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Autore: Laylath    02/09/2015    4 recensioni
(Spin off de La danza spietata della pantera che, tuttavia, può anche esser letto come storia indipendente)
Dal capitolo 1.
“Madre, che vuol dire shi’te?”
“Mosca bianca.”
“Mosca bianca?”
“Sì, ossia una cosa rara e difficile da trovare: le mosche sono scure, no? Quante mosche bianche ha mai visto in vita sua il principe Shao?”
“Nessuna, madre, nemmeno in autunno quando ce ne sono molte. E quindi io sono una cosa rara? Perché?”
“Perché il principe Shao è del clan Ming… e noi siamo diversi da tutti gli altri clan.”
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lan Fan, Ling Yao, May Chang, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1.
La mosca bianca



 
“Una famiglia unita è sempre più numerosa di una famiglia divisa”
Proverbio cinese

 
 
Palazzo imperiale di Xing, 1896
 
Il piccolo Shao camminava rispettosamente dietro la madre, tre passi dietro per essere precisi, proprio come gli era stato insegnato. Si sentiva un po’ costretto in quegli abiti cerimoniali che gli avevano fatto indossare e intuiva che nemmeno lei era entusiasta del suo pesante abito color zafferano: i movimenti, specie i passi, erano limitati e la postura eretta era troppo obbligata dalle imbottiture sulla schiena.
Tuttavia la mente curiosa del principino si soffermò solo brevemente su questi dettagli negativi e si puntò quasi subito sulla stretta treccia scura che cadeva sulla schiena della madre, un dettaglio voluto nell’elaborata acconciatura carica di gioielli: dondolava con vivacità da una parte all’altra, dando un senso di movimento del tutto particolare alla figura materna.
“Il principino Shao è teso all’idea di incontrare l’imperatore?” la voce della donna del clan Ming era calma e cerimoniale, ma il bambino fu rapido a riconoscere la rassicurazione in essa insita. Era come una strana e curiosa recita a favore delle due anziane dame di corte che li stavano scortando in quei corridoi così fastosi.
“No, madre, non sono teso. Sarà un onore poter incontrare il Celeste Sovrano.”
Shao dovette trattenere un sorriso mentre dava una simile risposta, sempre più preso dalla sua parte in quel gioco così strano. Più che onorato era solo estremamente curioso di conoscere suo padre: quel palazzo, i tanti occhi che sentiva sulla sua piccola persona, non lo intimorivano per niente. Perché lui era lì solo di passaggio, ad adempiere un rito che faceva parte della tradizione da tempi immemori e che prevedeva che, al suo quinto compleanno, un principe venisse presentato all’imperatore per essere riconosciuto ufficialmente. Poi, finito quel cerimoniale, sarebbe tornato a casa sua, nel nord del paese, nei possedimenti del clan Ming: non vedeva l’ora di rivedere il nonno e raccontargli le meraviglie del viaggio che…
“… shi’te…”
Le sue orecchie acute colsero quel bisbiglio proveniente da dietro una delle massicce colonne che costeggiavano quel corridoio. A dire il vero non era la prima volta che sentiva quell’espressione: da quando erano arrivati a palazzo la sera prima più volte quel “shi’te” era stato pronunciato, sempre da quelle voci nascoste da cui sua madre l’aveva messo in guardia.
Aveva tanta voglia di chiedere alla donna cosa volesse dire, ma sapeva che durante quel cerimoniale doveva parlare solo se interpellato.
“Eccoci arrivati, principino – lo avvisò la donna, mentre si fermava davanti a delle enormi porte d’oro massiccio, intagliate in elaborati disegni che rappresentavano le spire di un drago – adesso verremo ammessi alla presenza dell’imperatore: sii gentile e cortese, come ti ho raccomandato.”
Shao annuì, mentre la stretta treccina che teneva fermi i suoi capelli scuri ciondolava allegramente nella sua schiena. Il suo visino, in genere dall’espressione divertita e vivace, divenne serio e solenne e tutta la sua piccola persona si fece più dritta.
Le donne che li avevano scortati pronunciarono alcune frasi di rito che chiedevano di aprire la porta per permettere ai supplicanti di entrare.
Non capisco perché – si disse Shao – del resto ci hanno chiesto loro di venire. Il nonno dice sempre che l’ospite va accolto alla porta di casa, è più educato.
Ma come gli aveva detto sua madre, il mondo del palazzo imperiale era un qualcosa di completamente diverso da quella che era la loro vera casa.
 
Il Divino Imperatore del Trono Celeste era colui che, da ormai undici anni, governava tutto l’immenso impero di Xing. La sua parola era legge, il suo dominio praticamente infinito, a lui si piegavano tutti i cinquanta clan di cui era composto il paese, persino quelli più valorosi e potenti.
Poiché rivestiva un ruolo così importante era chiaro che doveva essere pure lui una persona fuori dal comune, magari con attributi divini. Almeno era questo quello su cui Shao aveva riflettuto per tutta la durata del loro viaggio dalle lontane terre di Ming.
Poter finalmente vedere quella figura così mitica era un’esperienza che il principino aspettava con trepidazione. Non che lo vedesse come un padre, assolutamente: il concetto di famiglia era riferito a sua madre, suo nonno e gli altri parenti del clan Ming. Per un principe di Xing l’idea di padre era pressoché sconosciuta: l’imperatore era prima di tutto il grande sovrano a cui doveva tutta la sua devozione. Dare e ricevere affetto era una cosa impensabile.
Per cui, quando si inginocchiò rispettosamente davanti alla piccola scalinata che portava alla piattaforma dove stava il trono, Shao non era di certo alla ricerca di una figura paterna da amare.
“Sovrano Celeste – disse la voce di sua madre, inginocchiata accanto a lui – ho l’onore di condurre alla tua presenza il nono figlio che gli dei ti hanno concesso. Come rappresentante del clan Ming, lascia che ti presenti il principe Shao, che oggi ha compiuto cinque anni.”
A quelle parole l’inchino del piccolo si fece ancora più profondo, come gli avevano insegnato.
Aspettò qualche secondo, impaziente di vedere finalmente l’imperatore, di sentirne la sua voce, ma sembrava che il momento non arrivasse mai.
“Alzati, Shao del clan Ming.”
Era una voce piatta, si sarebbe potuta definire disinteressata: sembrava rimbombare in quella grande stanza vuota, dalle alte colonne rosse che sparivano verso il soffitto. Tuttavia Shao non ne ebbe paura: aveva capito che quello era tutto un gioco di suoni e di eco, proprio come gli aveva fatto vedere suo nonno una volta che l’aveva portato a visitare una grotta vicino casa.
Lo sa che la sua voce non è davvero così potente?
Il viso di Shao, mentre si alzava in piedi, rimase immobile, cercando di scrutare quella figura che, nascosta com’era dietro quegli imponenti vestiti e quell’elaborata acconciatura, pareva davvero indefinibile. Forse era anche la distanza, ma il bambino non riuscì a cogliervi un briciolo di personalità: era un viso inespressivo, quasi una maschera messa lì a beneficio di chi entrava.
“Il bambino è stato esaminato dai medici di corte come da rituale – disse ancora sua madre – nessun difetto è stato riscontrato in lui. E’ un maschio sano e forte quello che il clan Ming ha donato al Sovrano Celeste.”
La voce di sua madre, al contrario, era educata e devota, ma lasciava trapelare immenso orgoglio per il figlio. Shao fu tentato di rivolgersi verso lei e sorriderle, ma gli era stato detto che non doveva distogliere la sua attenzione dall’imperatore che, forse, gli stava dando un minimo di considerazione.
“Bene – disse il Sovrano Celeste – come da tradizione sia scritto che io, in questo giorno, riconosco Shao Ming come mio nono figlio ed erede al trono. Possano gli dei concedergli lunga vita in modo che possa onorare Xing ed il suo clan.”
Una frase di rito, ripetuta decine e decine di volte nel corso dei secoli, la nona volta per quell’imperatore. Era un momento veramente solenne, quello in cui un principe veniva riconosciuto ufficialmente e dunque entrava di diritto nella linea di successione.
Ma ad onor del vero Shao era in parte deluso da quell’incontro.
 
Shan-Ju del clan Ming aveva appena ventiquattro anni ed era considerata la perla della sua famiglia.
Alta, slanciata, dai lineamenti fini, era dotata di un fascino incredibile che le avrebbe sicuramente procurato moltissimi pretendenti. Tuttavia era anche l’unica figlia del capo del clan Ming, Liu-Shu, e questo aveva segnato il suo destino: a sedici anni era stata mandata a corte per diventare concubina dell’imperatore e dargli un figlio, così come succedeva per ogni principessa di clan.
Dopo tre anni aveva dato alla luce il piccolo Shao e dopo una settimana dalla nascita del bimbo, era tornata assieme a lui nei possedimenti di famiglia. Funzionava così del resto: erano pochi i principini che crescevano nel palazzo reale. La maggior parte di loro passava la propria infanzia nelle terre del proprio clan e solo in età più matura entrava nel pericoloso mondo di corte.
Tuttavia Shan-Ju sapeva che per il suo piccolo figlio le cose sarebbero state differenti.
“Il principino Shao è stato felice della sua visita a corte? – chiese quella sera stessa mentre, assieme al suo piccolo seguito, cavalcava lontano dalla capitale per tornare a casa – Non ha detto parola per tutto questo tempo e non è da lui.”
Il bambino, seduto davanti alla madre, continuò a fissare il panorama che ormai si arrendeva al calare della notte: ancora poco e si sarebbero accampati per poi ripartire all’alba del giorno successivo. Gli piaceva poter essere di nuovo all’aria aperta, lontano da tutti quegli ambienti così sfarzosi ed imponenti: si sentiva meno minacciato e più libero di esprimere se stesso, persino nel parlare.
“Madre, ma l’imperatore è un uomo come tutti noi, vero?” chiese dopo qualche secondo di silenzio.
“L’imperatore era un uomo come tutti… anzi, un principe come lo sei tu – sorrise Shan-Ju, accarezzandogli i capelli neri ancora stretti nella treccia scura – solo che un giorno è salito al trono ed è diventato il signore di Xing. Questo lo pone un gradino sopra gli uomini, capisci?”
“A me sembrava solo annoiato – commentò il bambino, arricciando il naso con lieve disappunto a quella spiegazione – lo sarei pure io a stare in quella stanza da solo.”
“Lui non sta sempre da solo – spiegò pazientemente la donna – la maggior parte del suo tempo lo passa assieme al Consiglio dei Clan per governare al meglio Xing.”
“Il nonno però non va mai a quel consiglio: è sempre a casa.”
“Perché il clan Ming è diverso. Adesso il principino Shao è troppo piccolo per capirlo, ma col tempo imparerà che non tutti i clan sono uguali.”
Shao annuì, reprimendo uno sbadiglio. Ma subito il sonno venne cacciato via da una nuova domanda che gli bruciava nell’anima.
“Madre, che vuol dire shi’te?”
Shi’te? Oh, le orecchie del mio piccolo principe sono davvero aguzze… ha contato quante volte l’hai sentito a corte?”
“So contare fino a dieci – rifletté lui – e ogni volta ripartivo dall’inizio. L’ho fatto per ben tre volte.”
“Allora sono trenta.”
“Però non mi hai detto cosa vuol dire quella parola.”
“Mosca bianca.”
“Mosca bianca?” chiese con perplessità.
“Sì, ossia una cosa rara e difficile da trovare: le mosche sono scure, no? Quante mosche bianche ha visto in vita sua il principe Shao?”
“Nessuna, madre, nemmeno in autunno quando ce ne sono molte. E quindi io sono una cosa rara? Perché?”
“Perché il principe Shao è del clan Ming… e noi siamo diversi da tutti gli altri clan.”
“E’ per questo che il nonno non va mai al consiglio dell’imperatore?”
“In parte. Ma anche questo verrà imparato col tempo: adesso direi che è il caso di fermarci per la notte. La strada è ancora lunga ed è tempo di riposare.”
 
Una delle cose più belle del viaggiare era poter osservare le stelle: d’estate le temperature non scendevano così tanto e dunque si dormiva all’aperto, senza bisogno di tende, con la volta celeste proprio sopra di sé. A dire il vero per un principe di Xing e sua madre potevano essere richiesti ben più agi, come tende, cuscini, servitù e quanto altro, ma Shan-Ju del clan Ming non riteneva simili cose necessarie né per lei né per suo figlio: bastava il tanto giusto per accamparsi e le guardie fidate di suo padre.
Per quanto fosse effettivamente stanco, Shao rimase diverso tempo sdraiato supino ad osservare il cielo, il piccolo indice che si muoveva abilmente a seguire le costellazioni che aveva imparato a riconoscere.
Accanto a lui sentiva il rassicurante respiro della madre e questo bastava a farlo sentire tranquillo e protetto: a poca distanza i rumori familiari dell’accampamento, come i movimenti dei cavalli, lo scoppiettare del fuoco e il mormorio delle guardie, contribuivano a cullarlo.
“Secondo me è un uomo come tutti gli altri…” bisbigliò lentamente e con un sorrisino furbo, lo stesso che aveva trattenuto per la sua breve permanenza a corte. Gli sembrava di essere appena entrato in possesso di un segreto particolarmente importante, qualcosa che in qualche modo lo poneva al di sopra di tutti, persino dello stesso imperatore. Forse ne avrebbe parlato col nonno, ancora non lo sapeva: non era molto bello dire cose non proprio gentili sul proprio sovrano, però Shao intuiva che la sua scoperta non era propriamente malvagia o mancante di rispetto.
Era la semplice verità.
All’improvviso il suo orecchio acuto percepì un nuovo suono rispetto a quelli dell’accampamento e questo lo fece rizzare seduto, gli occhi spalancati.
“Lao…” mormorò, cercando con lo sguardo il capo della scorta.
L’uomo, dalla profonda cicatrice sulla guancia destra, il guerriero più forte che conoscesse da quando era nato, rimase seduto davanti al fuoco, ma il principino vide chiaramente il lieve gesto che fece con la mano: sdraiati e resta immobile.
Obbedendo a quell’ordine il bimbo si accucciò nella sua coperta e si strinse al petto della madre.
“Clan Zao – mormorò la donna, quasi un sussurrò, cingendolo a sé e sollevandosi in ginocchio– non fiatare, figlio mio.”
 
I cinquanta clan di Xing erano spesso in contesa tra di loro.
Erano pochi quelli che non avessero dei nemici giurati e molto spesso bastava un nulla per scatenare delle contese latenti. Il fatto che non si sfociasse mai in guerre vere e proprie era dovuto alla presenza dell’imperatore… anzi, alla carica di imperatore. La contesa al trono era aperta a tutti i principi e principesse, nessun clan escluso: era solo questione di essere più forti e scaltri degli altri, sopravvivendo a quell’ascesa spietata al potere che non esitava ad uccidere anche dei bambini inermi pur di levarli dalla successione al trono. E l’imperatore prendeva in sposa una donna di ciascun clan, eccetto il proprio: in questo modo si aveva la garanzia di non formare una vera e propria dinastia che avrebbe dato eccessivo potere ad un particolare clan.
Il clan Ming si teneva abilmente fuori da queste lotte interne di potere in quanto non era mai stato interessato al trono: in centinaia d’anni di successioni, mai un Ming era diventato imperatore. In realtà se questa famiglia avesse voluto, avrebbe potuto garantire al proprio candidato un appoggio più che potente: le terre della sua provincia erano tra le più fertili e prolifiche della parte nord del regno e fornivano eccellenti guerrieri altamente fedeli al loro signore. Inoltre i Ming avevano la gestione esclusiva dei rapporti commerciali con il regno di Drachma, dato che era gli unici a confinare con il grande autarcato: la famiglia aveva legami così stretti con la nobiltà di quel paese che era quasi come avere degli alleati stranieri pronti a correre in loro aiuto.
Alla luce di questo i Ming godevano di una posizione privilegiata agli occhi dell’imperatore: i benefici che provenivano da quella provincia erano troppo importanti per l’economia di Xing e dunque c’era una sorta di immunità nei loro confronti.
Tuttavia, a prescindere da questo, erano gli stessi Ming a non voler partecipare alla contesa per il trono, da sempre.
Semplicemente non ne erano interessati.
Non aveva senso lottare per un potere ed un’influenza che sarebbero durati per una generazione appena, quando avevano già una sorta di piccolo regno che godeva di diverse autonomie. L’unica cosa di cui si preoccupavano era di dimostrarsi sempre fedeli all’imperatore, tenendosi per il resto discretamente fuori dai giochi. Questa loro posizione era ormai tradizione e di conseguenza gli altri clan erano completamente disinteressati all’erede della famiglia Ming.
Ma il clan Zao era diverso.
Era direttamente confinante con i territori sud-orientali della loro provincia e più volte aveva cercato di conquistare buona parte dei fertili possedimenti di quelle zone. Sebbene venisse quasi sempre respinto quella contesa durava ormai da tempi immemori, inasprito soprattutto da parte degli Zao.
Gli unici che avessero interesse a rapire, o persino uccidere, Shao e sua madre… non tanto in quanto concubina dell’imperatore e rispettivo figlio, ma come figlia ed erede della stessa famiglia Ming.
Shao aveva dunque imparato a detestare il nome Zao fin dalla più tenera età e sentirlo pronunciare dalle labbra materne gli fece impazzire il cuore d’angoscia: mai si era trovato così vicino al pericolo.
Avvertì un movimento della mano di sua madre e capì che aveva sfoderato un piccolo pugnale dal suo vestito. Un’estrema difesa nel caso le guardie non ce l’avessero fatta.
Nascosto com’era contro il petto materno, il bimbo poté solo udire i suoni della battaglia che imperversava attorno a lui: spade e lance che si intrecciavano con foga, con poche esclamazioni ad accompagnarle. Più che altro erano i cavalli a fare rumore, innervositi da tutti quei movimenti e dal pericolo: scalpitavano e nitrivano con frenesia, chiaramente cercando di liberarsi e allontanarsi.
No, ce ne sono anche altri – capì il bimbo, facendo attenzione ai suoni – devono essere quelli dei nemici.
Era freddo, lucido, calmo, nonostante quell’esperienza in parte lo spaventasse: sentiva il corpo della madre teso come mai era successo, pronto a scattare come un elastico. La sua piccola mente assorbiva tutti i rumori, immaginandosi le scene di combattimento.
Combattono vicino al fuoco, ma attorno a noi ci sono delle guardie nostre… ci proteggono. Non sono molti i nemici, forse quanti noi. Però Lao ce la farà, lui è il migliore.
Il tempo prese a scorrere seguendo i ritmi di quel forsennato combattimento: ogni tanto si sentiva un gemito soffocato e questo voleva dire che qualcuno era stato ucciso. E contemporaneamente sentiva che anche la tensione del corpo di sua madre diminuiva, segno che erano i loro soldati a prevalere.
Alla fine tutti i rumori di combattimento cessarono: restarono solo alcuni respiri affannosi e alcuni passi che andavano in diverse direzioni, anche verso di loro.
“Mia signora, voi e il principino state bene?” la voce di Lao era a pochi metri da loro.
“Sì, stiamo bene – annuì Shan-Ju, liberando il bambino dalla coperta e permettendogli di alzarsi in piedi – clan Zao, vero?”
“Senza ombra di dubbio – spiegò Lao, guardandosi attorno mentre i suoi uomini provvedevano a dare una mano a chi era ferito e a calmare i cavalli – dovevano essere sulle nostre tracce da quando abbiamo lasciato la capitale. Tuttavia in territorio sotto il diretto controllo imperiale non hanno azzardato un’imboscata troppo numerosa, avrebbero provocato troppo scalpore. Scaveremo una fossa e li seppelliremo qui.”
Shan-Ju annuì e poi si fece da parte per lasciar lavorare i soldati.
“Il principe Shao si è spaventato molto? – chiese con dolcezza sedendosi accanto al bambino che osservava a sua volta i movimenti nel piccolo accampamento – Vedere i cadaveri lo turba?”
“Volevano far del male a me e a te, madre – rispose il bambino, guardando in parte affascinato quei corpi senza vita che venivano spostati lontano dal fuoco – meritavano la morte, no? E Lao è il più forte di tutti, lo dice sempre il nonno.”
“Andrà decisamente meglio quando saremo a casa, vero?” gli accarezzò con tenerezza la fronte.
“Sì, madre – annuì Shao, notando le gocce di sangue che cadevano a terra mentre un cadavere veniva sollevato da due uomini – andrà meglio.”
 
Mentre l’imperatore aveva dato a Shao l’idea di qualcosa di estremamente artificioso, suo nonno rispecchiava l’ideale di un vero e proprio governante.
Liu-Shu aveva cinquantacinque anni e li portava splendidamente: sedeva dritto sui cuscini, col naso aquilino che contribuiva a rendere il viso ancora più espressivo. Gli occhi scuri erano sempre pronti a notare qualsiasi dettaglio e la sua voce era sempre colma di carattere. E, soprattutto, almeno agli occhi di Shao, non si nascondeva dietro vestiti sfarzosi, capigliature elaborate e piattaforme soprelevate: il signore dei Ming riceveva i suoi ospiti, di qualunque ceto sociale, seduto semplicemente su un comodo cuscino sul pavimento, a poca distanza dalla persona con cui interloquiva.
Quella sera, tuttavia, non era nella sala delle udienze, ma in una parte più privata della sua grande dimora, più precisamente nella sala che usava per mangiare assieme alla sua famiglia. In particolare era felice di sentire il resoconto del viaggio da parte del suo giovane nipote, nel quale riponeva grandissime speranze. Il destino aveva voluto che lui e sua moglie non avessero avuto che Shan-Ju e l’amore profondo che l'aveva legato alla consorte l’aveva fatto desistere da seconde nozze dopo la sua morte avvenuta dieci anni prima. Dunque la sua famiglia era costituita dalla figlia e dal nipotino, nonostante ci fosse anche un fratello che tuttavia stava spesso lontano da casa per il suo compito di ambasciatore imperiale.
“E così ora sei il nono principe di Xing – dichiarò infine con tono importante, rivolgendosi al bambino che finalmente taceva dopo aver parlato così tanto da aver dimenticato di cominciare la sua cena – come ti senti ad aver ricevuto ufficialmente un simile titolo?”
“A dire il vero non lo so, nonno – ammise Shao, dopo aver mangiato finalmente qualche boccone del suo riso – uguale a prima, penso. Forse è perché sono una mosca bianca come mi ha spiegato mia madre.”
“Il principe Shao ricorda anche il termine giusto?” lo interrogò Shan-Ju con un sorriso.
Shi’te.” rispose prontamente il bambino.
“E perché secondo te sei una mosca bianca?” continuò Liu-Shu.
Shao rimase in silenzio per diverso tempo, posando la sua ciotola di riso e meditando profondamente, quasi fosse incerto su cosa dire, o meglio… come se stesse valutando quanto si potesse confidare con il nonno e la madre.
“Secondo me sono una mosca bianca perché ho visto che l’imperatore in realtà è solo un uomo.”
La donna e l’uomo rimasero interdetti a quella risposta, tanto che il bambino per qualche attimo li fissò timoroso di un lieve rimprovero. Tuttavia i suoi occhietti scuri brillavano di fierezza per quella risposta.
Alla fine Liu-Shu scoppiò a ridere e si protese per arruffare i capelli del nipote.
“Questo giovanotto ha più intelligenza di quanto credessi! – esclamò con divertimento – E’ proprio così, piccolo principe di Xing, l’imperatore è solo un uomo non scordarlo mai. E che tipo di uomo ti è sembrato?”
“Triste, solo… annoiato!” rispose prontamente Shao, sicuro ormai di poter parlare apertamente.
“E perché solo? – Liu-Shu continuò a sondare la capacità d’intuito del bambino – Eppure hai visto pure tu quanta gente c’è a corte. Senza contare che ha già otto figli oltre a te.”
“La mamma durante il viaggio mi ha raccontato come avviene la successione – continuò Shao, scuotendo il capo – i principi combattono tra di loro, si uccidono anche… oppure lo fanno le loro famiglie per farli diventare imperatori. Eppure sono fratelli.”
“Sono eredi, non fratelli, ricordalo bene.”
“In ogni caso non sono una famiglia – scrollò le spalle il bambino – e dunque l’imperatore è solo. Io da grande non diventerò imperatore, nonno, è questa la mia decisione. Non voglio diventare come lui, non voglio stare in quel posto: voglio diventare come te e stare qui, a casa mia.”
“Queste sono parole degne di un membro del clan Ming, principino – sorrise Shan-Ju con orgoglio – mi rendi molto felice di te.”
E Shao annuì con orgoglio, lieto che la sua famiglia approvasse le sue decisioni per il futuro.




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E di nuovo bentrovati e benvenuti ad eventuali nuovi lettori! ^____^
Come vedete non ho perso troppo tempo e mi sono subito buttata sullo spin off del principe Shao (una fic che può essere letta anche come storia singola, senza considerare La danza spietata della pantera) da alcuni di voi richiesto a gran voce. 
Ho deciso di partire da questo episodio abbastanza significativo per il piccolo Shao, delineando così il suo carattere sin da piccolo. Durante la storia poi ho deciso di farlo intrecciare anche con Ling Yao una volta che sarà diventato imperatore di Xing, anche se non ho ben chiari ancora gli sviluppi della trama che mi farò venire in mente di volta in volta.
Spero che anche questa storia vi piacerà: a dire il vero è una delle rare volte che vado fuori dal team Mustang, trattando di altri personaggi. Certo, Shao è un mio OC, ma ci sono anche Ling e Lan Fan dei quali è la prima volta che scrivo e che non sono nemmeno sicura di voler rendere come coppia.
Anyway, dalla base è tutto: ringrazio già in anticipo chi seguirà, ricorderà, preferirà e recensirà questa storia ^___^
Enjoy!


Laylath
  
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