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Autore: taisa    05/02/2009    8 recensioni
Una strana confusione colpisce Bulma e Vegeta, ad andarci di mezzo sarà il piccolo Trunks...
Genere: Generale, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bulma, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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REMEMBER ME

REMEMBER ME

*

Progetti per la giornata

*

Il rumore che lo distolse dai suoi sogni risultò quello della sveglia. Tuttavia, il bello addormentato, non sembrò interessato in alcun modo a destarsi. Mugugnò sonnolento, volgendosi dal lato opposto e sparendo sotto le coperte.

Si rigirò per diverse volte prima di stabilire, in maniera più logica, che spegnere quel dannato apparecchio si sarebbe certamente rivelata un’ottima idea. La sua mano tastò il comodino, in ricerca della radiosveglia, allo scopo di zittirla.

Quando infine ritornò il silenzio si rese conto, suo malgrado, che i suoi sogni erano ormai lontani. Sollevò il busto dal materasso, sedendosi sul giaciglio, ancora avvolto dalle sue calde coperte. Con una mano si toccò il capo, scompigliando i capelli già ribelli.

La scelta migliore, a quel punto, era quella di alzarsi definitivamente allo scopo di cominciare la giornata. Il suo stomaco, inoltre, gli suggerì che mettere qualcosa sotto i denti sarebbe stata una brillante idea. Quantomeno sarebbe riuscito a porre fine a quei gorgogli insistenti.

Posò i piedi sul freddo pavimento alla ricerca delle sue pantofole. Gesto che fu accompagnato da un sonoro sbadiglio.

S’incamminò barcollando verso la cucina, in uno stato di semi-incoscienza, muovendosi con un’andatura che poteva facilmente essere paragonata a quella di uno zombie. A dargli il colpo di grazia fu la luce e il vociferare concitato che sembrò provenire dalla stanza nella quale era diretto.

L’odore di brioche calde, appena sfornate, sembrò ricordargli che, in fin dei conti, la realtà non era così male in confronto al suo mondo di fantasia creato sotto le sue soffici coperte.

La scena che si presentò ai suoi occhi, ancora semichiusi a causa del sonno, risultò essere quella quotidiana e famigliare che era abituato a vivere tutti i giorni. Il rumore dei fornelli, la caffettiera che risuonava facendo capire a tutti che la bevanda era ormai pronta; i chiacchierii dei commensali, seduti attorno al tavolo e immersi in conversazioni più o meno importanti. La sua colazione, sistemata con cura dalla persona che per prima si era svegliata e che si era premurata di servirgli tutto il necessario per un buon inizio di giornata.

Tale famigliarità gli bastò per acutizzare i suoi sensi e tornare nuovamente a far parte del mondo dei vivi. “Buongiorno Trunks, dormito bene?” lo accolse la voce della nonna, intenta a preparare la colazione anche agli altri membri della famiglia.

Il giovane Trunks mugugnò qualcosa di vago in segno di saluto, accomodandosi su quella che era la propria sedia. Era sveglio, questo sì, ma la voglia di parlare o relazionarsi con il resto del mondo era attualmente pari a zero.

“Buongiorno tesoro” fu il saluto, un po’ distratto, della madre; che solo per un istante distolse la sua attenzione da un progetto apparentemente rilevante. Secondo la sua esperienza, Trunks aveva imparato a comprendere i valori d’importanza che sua madre, e suo nonno, davano al loro lavoro. La differenza stava, semplicemente, nell’orario in cui si professavano nel compito del momento.

La teoria del giovane Saiyan era che, se erano già all’opera al mattino presto l’urgenza era di alto grado. Ciò comportava inoltre un notevole via vai di pezzi e una presenza quasi evanescente dei due scienziati dalle attività famigliari o giornaliere.

La riprova di tale concentrazione fu infatti che, il Dottor Brief, nemmeno si accorse dell’entrata in scena del nipote, troppo impegnato a comprendere i dati scritti velocemente a matita dalla mano della figlia.

“Ben alzato anche a te” esordì nuovamente la signora Brief, questa volta per salutare l’ultimo componente della famigliola. Il borbottio che seguì fu quasi come un simpatico deja-vù che richiamava gli eventi di appena pochi istanti prima.

Trunks rivolse ora lo sguardo al padre, che con altrettanta svogliatezza si andò a sedere di fronte al ragazzo. Il bambino osservò il genitore per qualche istante, poi afferrò una scatola di cereali allo scopo di riempirsi la ciotola che gli era già stata assegnata.

I suoi piccoli occhi azzurri fissarono per pochi secondi la scodella, prima di essere attratto dalla discussione apparentemente incomprensibile tra la madre ed il nonno. Infine tornò ad osservare la confezione, leggendo la pubblicità che vi era stampata sopra.

“Tieni il tuo caffè Vegeta” annunciò la donna dai capelli biondi, posando di fronte al genero una tazza riempita dell’espresso che quotidianamente beveva allo scopo di ridestarsi.

Dal canto suo, Vegeta, non più sveglio del figlio, fissò il bicchiere per alcuni istanti, come se ne stesse contemplando il contenuto. Al suo fianco anche a lui giungevano parole incomprensibili su un progetto della quale non capiva nulla e che nemmeno gli interessava. A dire il vero, appena sveglio, non sarebbe nemmeno riuscito a distinguere un discorso sul livello di combattimento di un potenziale nemico. Questo da quando abitava sulla Terra.

“Papà” lo chiamò il piccolo Trunks che, al contrario, sembrò essersi completamente riscosso dal torpore che finalmente lo aveva abbandonato. Vegeta gli rivolse l’attenzione, senza aggiungere nemmeno un brontolio, attendendo di conoscere le richieste del figlio.

Il piccolo Saiyan additò la confezione di cereali, che ancora non aveva abbandonato la sua mano, ed osservò l’uomo con un’espressione colma di speranza. “Fino a lunedì ci sono le giostre in città… mi porti?” gli domandò tutto d’un fiato.

Le attività dei presenti si congelarono all’istante, tutti in attesa di conoscere il responso del Principe degli addormentati, che tuttavia sembrò immerso in riflessioni ben lontane. Vegeta restò immobile ad osservare il figlio; non era chiaro se nella sua mente stesse valutando l’idea o se stesse cercando di comprendere lentamente le sue parole.

Bulma fissò il compagno per pochi istanti. Esasperata dall’attesa decise di agire concretamente. Gli punzecchiò un braccio con la matita, ben affilata, che stava adoperando per scrivere.

“Che diavolo fai?!” sbottò Vegeta, finalmente sveglio, all’indirizzo della donna che si vide costretta a rifare la punta alla matita, ora ridotta del cinquanta percento a causa della lieve pressione fatta su un pezzo di marmo. “Tuo figlio ti sta chiedendo se lo accompagni alle giostre, rispondigli” ordinò assumendo un’espressione saccente, senza tuttavia guardarlo negli occhi e tornando poi al suo progetto.

Il Saiyan le lanciò un’occhiata bieca, non troppo contento di essersi svegliato bruscamente. Tornò poi ad osservare il bambino, che ancora non aveva smesso di fissare speranzoso il padre. “Sei un po’ troppo grande per queste idiozie” si lamentò Vegeta, tornato ad essere il solito padre burbero e scontroso.

Trunks s’imbronciò, un po’ deluso, “Ma ho solo dieci anni!” gli ricordò lagnoso, attendendo un’altra risposta da parte del padre, possibilmente positiva. “Certo che ti accompagna, puoi stare tranquillo Trunks” intervenne la madre, che si guadagnò la seconda occhiataccia in meno di un minuto da parte del compagno.

“Evviva! Lo sapevo! Il mio papà è il migliore del mondo!” esultò il piccolo Saiyan, alzando le braccia al cielo. “Trunks, caro, credo che dovresti andare a prepararti o farai tardi a scuola” gli ricordò la nonna, ottenendo un cenno d’assenso da parte del ragazzino, che tuttavia tornò a rivolgersi al padre. “Quando torno andiamo alle gioiste, vero?” domandò per avere l’ennesima conferma, che giunse tramite uno strano borbottio incomprensibile. Soddisfatto, il piccolo Trunks, uscì dalla cucina quasi di corsa. Prima andava a scuola e prima tornava a casa!

Vegeta sorseggiò la sua bevanda tra un brusio e l’altro, suscitando nella compagna un sorriso. Bulma non riuscì a nascondere la soddisfazione di assistere ad una scena del genere.

“Bulma tesoro” fu ora la madre a richiedere la sua attenzione, e lei si voltò a guardarla, “Dimmi” la esortò a parlare. “Se non ti spiace accompagnerei io Trunks a scuola oggi. In questo modo posso andare a fare anche la spesa, così tu e papà potete concentrarvi sul vostro lavoro” si offrì sorridente.

*

“Papà, questi pezzi sono antiquati. Non otterremo mai il circuito che vogliamo” brontolò Bulma, osservando i progetti sparpagliati sul banco di lavoro del laboratorio. Al suo fianco, il Dottor Brief aspirò alla sigaretta che stava fumando, poggiandosi la mano al mento con una strana espressione in volto. Chi lo conosceva bene sapeva che quello strano modo d’inarcare il sopracciglio era sintomo che il suo cervello era entrato in funzione alla massima velocità. Pertanto, Bulma intersecò le braccia ed attese, conscia che entro pochi secondi suo padre avrebbe certamente espresso le proprie idee. “E se cambiassimo questo pezzo con uno più potente?” suggerì additando quello che sembrava essere solo uno scarabocchio sul pezzo di carta che entrambi erano occupati a fissare. La figlia guardò il disegno, elaborando a sua volta pensieri e formule. Dopo alcuni secondi scosse il capo in segno di diniego, “No, non è possibile, interferirebbe col sistema di accelerazione del motore” spiegò, cercando tra i vari progetti quello appartenente al meccanismo propulsore “Ora ti faccio vedere” annunciò un secondo più tardi.

Il padre restò per alcuni secondi in attesa. “Ehi, ma qui mancano dei fogli” protestò Bulma, tornando a sfogliarli dal primo pezzo di carta. “Ne sei sicura cara?” gli domandò paziente lo scienziato, osservando a sua volta i piani di lavoro. “Certo che ne sono sicura!” protestò la donna, accigliandosi in maniera seccata. “Mmm, hai ragione, mancano alcune pagine. Credo di averle lasciate in cucina” si giustificò l’anziano, accarezzando distrattamente il gatto sulla propria spalla.

Bulma si appoggiò entrambe le mani ai fianchi, in segno di rimprovero. Suo padre era davvero una persona inaffidabile, certe volte. “Non temere, vado subito a prenderli” cercò di rimediare, avendo riconosciuto la posizione da ramanzina della figlia. “D’accordo, fai in fretta. Intanto io cerco i pezzi, così ti faccio vedere a cosa mi riferisco” stabilì la figlia, osservando l’attempato scienziato uscire dai laboratori.

Rimasta sola, Bulma sospirò pesantemente. Attese alcuni istanti prima di darsi alla ricerca dei pezzi che lei stessa aveva definito vecchi. A grandi passi si avviò verso un gigantesco armadio posto in un angolo della fabbrica. Lo aprì, con molta cautela, scoprendosi ben presto a fissare innumerevoli scatoloni di progetti vecchi o scartati.

Negli anni quell’armadio era diventato una specie di rifugio per tutto ciò che aveva una forma solo su carta. Ogni scatolone rappresentava l’agglomerato di progetti che avevano avuto il via, ma che strada facendo erano stati interrotti per i motivi più svariati.

Mentre Bulma cominciò a tirarli fuori disordinatamente dal ripostiglio si ritrovò a leggere le etichette dei nomi della quale nemmeno si ricordava più l’esistenza. Uno dei primi scatoloni che trovò era bollato come Gravity Room 3, con ogni probabilità uno dei primi progetti dell’attuale camera di allenamento. I pezzi erano ancora lì, perfettamente utilizzabili, riuniti dopo lo smantellamento della stanza, per far posto al nuovo modello attualmente funzionante.

Passò poi ad un vecchio motore innovativo, che risultò tuttavia difettoso, quindi scartato. Una macchina che non era mai stata lanciata sul mercato; un aereo, troppo costoso da realizzare, o da comprare eventualmente. Una moto all’ultimo grido, che alla fine aveva fatto gridare solo lei, vista la quantità di difetti dell’idea iniziale che l’avevano resa inutilizzabile.

Infine la targhetta segnata come Time Machine, iniziata ma mai conclusa. In parte per mancanza di tempo, paradossalmente; in parte per un fattore di attuale inutilità. L’aveva cominciata per mettersi alla prova, e i progetti che erano allegati a quello scatolone non fecero altro che confermare a se stessa quanto era geniale.

Si lasciò rapire per un attimo dai ricordi, leggendo i dati riportati sui pezzi di carta contenuti in quello scatolone. Osservò successivamente alcuni meccanismi già montati e pronti all’uso. Restò a fissarli per diversi secondi prima di udire la porta del laboratorio aprirsi e richiudersi, procurandole anche un bello spavento.

“Papà, vieni a vedere cos’ho trov…” disse alzando il capo dai macchinari che stava contemplando. Tuttavia, la persona che si mostrò, non era colui che si aspettava di vedere. Dinnanzi a lei apparve la figura seria e autoritaria del compagno, che in silenzio la fissò dall’alto al basso a braccia conserte. “Oh! Vegeta! Che ci fai qui?” gli domandò sorpresa. Era diventato raro vederlo gironzolare nei laboratori, dalla disfatta di Majin-Bu.

Vegeta la guardò assorto nei suoi, misteriosi, pensieri. La scrutò da capo a piedi, come se non l’avesse mai vista indossare un’abbondante tuta da lavoro macchiata di chissà quale liquido di qualche motore. “La Gravity Room ha bisogno di essere riparata, dalle un’occhiata” si decise a dire dopo alcuni istanti. Benché il suo volesse essere un ordine, il tono della sua voce risuonò tutt’altro che dispotico. Autoritario, questo sì, ma d’altro canto questo faceva parte del suo modo di parlare. Quello che giunse alle orecchie di Bulma non voleva essere un comando impartitole da un tiranno, bensì solo una richiesta d’aiuto posta in maniera piuttosto singolare. Alla Vegeta insomma.

Bulma ripose i fogli che reggeva in mano nel contenitore; si alzò, dopo essere rimasta accucciata tra gli scatoloni posti al suolo. “Qual è il problema?” gli domandò incrociando le braccia. Vegeta alzò semplicemente le spalle, “Sei tu che devi dirlo a me” borbottò aggrottando le sopracciglia, assumendo una tonalità di voce dalle sfumature sarcastiche. La compagna sbuffò, non aveva alcuna intenzione di mettersi a discutere con lui, soprattutto visto la mole di lavoro che si ritrovava a dover svolgere in qui giorni. Restò dunque tranquilla alle sue provocazioni, incamminandosi verso l’uscita del magazzino. “Andiamo, fammi vedere cosa c’è che non va” dispose facendo cenno al Saiyan di scortarla, e lui ubbidì senza replicare. Infondo protestare non sarebbe servito a nulla.

Il laboratorio rimase deserto e silenzioso per alcuni minuti, poi la porta d’ingresso cigolò nuovamente, producendo un rumore metallico.

“Avevi ragione tu, cara. Ci sarebbero delle interferenze” annunciò lo scienziato entrando nell’officina. Il Dottor Brief avanzò nella stanza prestando più attenzione alle carte che reggeva tra le dita. Distratto non si accorse pertanto degli scatoloni appoggiati disordinatamente al suolo.

I suoi piedi incapparono in uno di questi, che si rovesciò facendo cadere anche molti degli altri, in una specie di sequenza in stile domino. Mentalmente ringraziò di non essersi capovolto a sua volta, ma soprattutto ringraziò che alla scena non avesse assistito anche la figlia. Infatti, dopo aver constatato la sua assenza, sospirò; riponendo velocemente e senza ordine i pezzi e i meccanismi a casaccio negli vari scatoloni. Infondo il danno non era grave, erano solo dei progetti scartati.

*

CONTINUA…

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