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Autore: lilly81    04/09/2015    13 recensioni
[...] "Vegeta racchiudeva in sé i misteri dell’universo intero, la genesi di un buco nero, lo spegnimento di una stella, il collasso di un pianeta; e il suo universo era per davvero infinito, senza linee di demarcazione, senza un epicentro" [...]
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bulma, Nuovo personaggio, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Finché morte non vi separi…”

ATTO II

 

L’universo poggia in perfetto equilibrio su di un filo invisibile, estrapolato dal caos primordiale da cui il tutto ha avuto origine.

Dita soprannaturali lo hanno srotolato con pazienza, palmo a palmo lo hanno intrecciato di materia indistruttibile, ricavata dall’impasto di secrezioni orali e polvere infinitesimale. 

Flessibile agli scuotimenti e pronto a rigenerarsi ad ogni strappo, il collasso di un pianeta non è altro che un punto di sutura che cede d’improvviso: su un tessuto di metraggio incalcolabile, seppure di manifattura divina, esistono difetti lasciati apposta a decretarne l’autenticità.

Dal caos, dunque, discendono perfezione ed equilibrio.

Stelle, pianeti, galassie e sistemi, assecondando l’estro di un sarto raffinato e la logica di una mente matematica, sono incastonati geometricamente su di un drappo scuro impreziosito di diamanti, ma esiste un pianeta sul quale, per le dimensioni assai ridotte, questa perfezione ed equilibrio, questa sintesi di creatività e rigore, si sono concentrate più che su tutti gli altri.

Non c’è filo d’erba che nasca tanto per spuntare, né granelli di polvere sospinti dal vento solo per la leggerezza del loro essere.

Esegue una danza su sé stesso senza improvvisazioni; con un ritmo sempre uguale, scandisce l’alternarsi del giorno e della notte dall’origine della sua creazione.

Gli esseri che lo popolano hanno una mente talmente vivida da far credere quasi, a chi viene da lontano, che abbiano creato loro l’aria, la luce, il fuoco, il buio.

Sono una popolazione folta, gran parte ammassata in spazi assai ristretti.

Amano l’arte, la musica, fanno la guerra e l’amore.

Uomo e donna, con la perfezione simmetrica dei rispettivi corpi, sono creati per fondersi in una carne sola, di generazione in generazione, e la maggior parte di essi, per assicurare la sopravvivenza della razza, non segue istinti primitivi, ma si avvale di riti assai antichi che sanciscono la loro unione e la rendono sacra.

Nessun pianeta è talmente perfetto e bello quanto questo.

La Terra.

 

***

 

Era davvero graziosa vestita di bianco, il filo di perle intorno al collo, le peonie color rosa tra le mani, un fiore bianco tra i capelli raccolti.

Per tutti aveva avuto un sorriso, come si confà ad una sposa nel giorno più bello della sua vita; un accenno appena abbozzato - seppur non ricambiato - persino per il principe dei saiyan, che adesso se ne stava in piedi, con la schiena poggiata contro la corteccia di un alto cedro del Libano e le scarpe nere e lucide inzaccherate di terriccio e di fili d’erba.

Non c’era stato modo di convincerlo ad indossare una cravatta, ma la camicia grigio chiaro, nella quale se ne stavano compressi i suoi muscoli, camuffate le cicatrici, sedate le vene pulsanti di istinti guerrieri, era di manifattura assai elegante ed emanava un pallido riflesso ai raggi del sole.

A sancire la libertà di quel pomo d’Adamo sempre proteso ed indurito, neppure l’ultimo bottone era stato agganciato.

Così agghindato, nel punto preciso in cui l’invalicabile natura aliena diradava verso quella appena più umana e dove Bulma era incappata qualche anno addietro, si accentuava del suo aspetto quel non so che di fascino selvatico e tenebroso.

Son Goku sopraggiunse alle sue spalle.

Pure lui, dismessa la consueta tuta arancione, faceva insolitamente sfoggio di una giacca nera ed una cravatta bianca, della quale, se non fosse stata per l’intransigente moglie Chichi, avrebbe fatto volentieri a meno.

Un saiyan costretto a mangiare con la cravatta non è diverso da un fuggiasco costretto a correre con le catene ai piedi.

“E’ da cafoni togliersi la giacca. Non è un pranzo qualunque, siamo ad un matrimonio”, si era sentito rimbeccare davanti all’enorme arrosto di cinghiale, tutto per lui, portato sulla spalla da quattro camerieri in divisa bianca.

In un banchetto tanto lauto, tra profumi di spezie, carni alla brace, pesci fritti, pregiati calici di vino, cesti di frutta di ogni specie, pignatte di nabemono, vassoi zeppi di onigiri, piatti traboccanti di gyoza con salsa di soia e di aceto di riso, era difficile esigere compostezza persino da un terrestre a dieta.

Figurarsi un alieno, e tra quelli più ingordi, per giunta!

Così, avendo ingaggiato una strenua battaglia contro quel nodo scorsoio che aveva al collo e le scarpe che gli andavano strette sotto al tavolo, con la compostezza di un terrestre e la voracità di un saiyan, aveva inghiottito tutto quello che gli era stato portato avanti, nell’ordine rigoroso indicato dal papiro arrotolato su ogni tavolo.

Non solo aveva consultato il menù a più riprese per assicurarsi che ogni portata non fosse l’ultima, ma addirittura aveva chiesto a Chichi di conservarlo e di portarlo a casa, così da riproporre a pranzo o a cena, in un giorno qualsiasi, almeno la metà di quello elencato.

“Scommetto che anche tu detesti ballare”, disse allentando il famigerato nodo al collo e lanciando finalmente un sospiro di liberazione.

Su per l’esofago, di riflesso, gli ritornò il sapore piccante del brodo di polipo.

Da lontano sopraggiungeva una danza popolare eseguita al ritmo dei taiko e con le corde dei biwa.

Vegeta continuò a restare nella posa granitica di chi non si sarebbe schiodato da lì neppure in cambio della vita eterna.

Non che questa gli suscitasse interesse - sia chiaro - in quella fase della sua vita, dove il radar cerca-sfere era a portata di mano nel cassetto di Bulma accanto al letto, tra le mutandine ricamate, i reggicalze, il sacchetto di lavanda e le pillole anticoncezionali.

“Mai mi metterei a ballare”, seguitò Goku, osservando una lucertola attraversare pericolosamente un ramo, appena al di sopra della spalla di Vegeta. “Forse, lo farei soltanto se, mettiamo il caso, da questo dipendesse il futuro della Terra…”, la mise in salvo, deviandola in direzione della sua mano e adagiandola sul terreno.

“In tal caso, per me la Terra potrebbe pure collassare”, ribatté Vegeta.

Fu quando egli tolse le mani dalle tasche dei pantaloni, per incrociarle significativamente al petto, che Goku si accorse di una macchia scura che ghermiva poco alla volta il polso sinistro.

“Ehi, ti sei ferito?”, gli indicò il polsino della camicia.

A Goku parve proprio sangue e non cioccolato e - poiché il suo interlocutore aveva un passato di stragista intergalattico - si guardò intorno per vedere se tra l’erba spuntava il cadavere di qualcuno, magari proprio di quel cameriere con i baffi rossi che, per ben due volte, aveva dimenticato di passare con il vassoio di yakitori arrostiti intorno al suo tavolo.

Solo un istante durò la contrazione preoccupata ai lati dell’ampia stempiatura:

“Bada agli affari tuoi. Neppure la tua cravatta è pulita”, accennò ad una chiazza giallognola di fritto e tornò a fiondare le mani nelle tasche, al sicuro.

Un calpestio di erba annunciò l’arrivo di Bulma, ed il principe dei saiyan, allora, capì che la quiete di quel cedro del Libano, conquistata alla fine del banchetto, quando ormai l’ultimo vassoio di cubetti di gelatina alla frutta era stato portato via e sugli orli dei bicchieri erano rimaste soltanto le impronte unte delle loro labbra, era irrimediabilmente compromessa.

“Ti stavo cercando per la fotografia di rito…”.

E allora Goku vide le fronde dell’albero scuotersi all’improvviso e non era certo che fosse stato il vento.

“Questo è troppo, ti basta Trunks al mio posto!”.

“E dai! Cosa vuoi che sia una fotografia? Persino Piccolo si è messo in fila!”.

E dove non riusciva più la prospettiva di vita eterna, ci riuscivano due occhi azzurri ed una graziosissima frangetta dello stesso colore.

Pure un bel paio di gambe e due turgidi seni, si sarebbe aggiunto in uno spogliatoio di uomini.

Si schiodò alla fine da quel tronco e si incamminò con lei, ma soltanto quando gli fu garantito che non c’era nulla per cui mettersi in posa, che lo scatto sarebbe stato rapido ed indolore, che non era tenuto a guardare l’obiettivo, che Trunks aveva tutto il diritto di conservare per intero il ricordo di quel giorno che ormai volgeva al termine.

Per non affondare con le scarpe nel terriccio più molle, Bulma dovette allungare una gamba e sondare la stabilità di una zolla ghiaiosa, ma per farlo poggiò la mano sulla spalla di Vegeta, producendo un tintinnio tra i grossi bracciali con cui aveva coperto il polso sinistro.

Il saiyan registrò quel dettaglio con un’altra di quelle sue contrazioni ai lati dell’ampia stempiatura, ma non disse nulla.

“Non riesco a capire per quale ragione Gohan e Videl si siano voluti sposare in questo posto!”, si lamentò la donna. “Potevano permettersi gli alberghi più lussuosi, le residenze più eleganti, per non parlare della villa di suo padre! Avrei messo a disposizione, volentieri, anche i giardini di casa nostra!”.

Ma Videl, prima di archiviare il costume da paladina della giustizia nell’armadio, si era conservata gli ultimi scampoli di mascolinità giusto per imporre, contro il parere di Mister Satan, una cerimonia semplice, senza troppi fronzoli; e così, alla fine, era stata allestita una grossa tenda berbera, color dell’oro, ai piedi dei Monti Paoz, accanto ad un suggestivo casale con le assi di legno e le tendine di velluto antico.

Mister Satan aveva dovuto rassegnarsi ad accompagnare la figlia senza la presenza delle telecamere, su di un tappeto bianco neppure tanto lungo, dispiegato tra fiori di campo con le teste all’ingiù.

La pioggia della notte, infatti, aveva impaludato il terreno circostante ed anche ora, sull’imbrunire, le nuvole avevano ripreso ad ammucchiarsi con intenzioni minacciose.

“Tanto valeva che organizzassero un picnic sull’erba!”, seguitò a lagnarsi, schivando appena in tempo un’altra pozzanghera, senza che Vegeta le rivolgesse un minimo di attenzione o le offrisse un’altra spalla.

Ma tra i tavoli di vimini disposti sotto la tenda berbera, addobbati con vasi di ranuncoli selvatici, non si era badata ad alcuna forma di risparmio ed i migliori chef erano stati convocati per satollare intestini fuori dal normale.

Lì si erano radunati gli amici più intimi, quelli di ogni battaglia, di ogni nemico.

Giusto qualche mese dopo la sconfitta di Majinbu, Muten si era domandato, sulla sdraio della sua isoletta, sventolando l’invito ricevuto, se la fretta di quelle nozze fosse dovuta ad un’imprudenza commessa da Gohan.

Ma Gohan era un ragazzo a posto, che aveva soltanto voglia di sposare quanto prima la sua prima ed unica ragazza, emancipandola da un padre un tantino geloso.

Lo conosceva bene sua madre Chichi, che per la prima volta, dinanzi alla prospettiva di imparentarsi con Mister Satan e con tutto il suo impero - guai prima a ricordarle che questo fosse stato conquistato a spese di suo marito! - non aveva pensato su quale spiaggia gli studi di suo figlio sarebbero andati a naufragare dopo il viaggio di nozze.

Anzi, era fermamente convinta che la vita da sposato e, in seguito di padre, lo avrebbero allontanato, una volta per tutte, da quel gruppetto di supereroi fanatici di cui suo marito era il leader.

I preparativi delle nozze, in effetti, avevano già smussato un po’ la massa muscolare del ragazzo e l’oculista gli aveva riscontrato qualche cenno di astigmatismo.

“Non c’è niente di più romantico di un tramonto tra i monti Paoz! Non dimenticherò mai i pomeriggi trascorsi insieme a Gohan, lì ad allenarci!”, con questa osservazione tanto appassionata, inclusa nella strategia di figlia femmina alla quale niente si nega, Videl aveva guardato il buon Mister Satan, e questi non aveva potuto far altro che sospirare in segno di resa - cosa che gli riusciva assai bene - e dimenticare le schiere di giornalisti, le telecamere, i fuochi d’artificio, i castelli, le isole private e accompagnare la sua prediletta su di un tappeto bianco in mezzo a comunissimi fiori di campo, neppure tanto rigogliosi.

Purtroppo, la povera Videl, neanche a farle il peggiore dei dispetti, aveva dovuto rinunciare ad assistere, proprio nel giorno più felice della sua vita, al dipinto infuocato che il sole, al tramonto, abbozzava dietro le cime smerlate dei monti Paoz.

Un ticchettio leggero, difatti, prese a battere sul tessuto impermeabile della tenda berbera quando Bulma raggiunse il gruppo, in procinto di eseguire, ciascuno con le rispettive famiglie, la foto di rito con gli sposi, seguita a debita distanza da un riluttante consorte, che, per la frazione di un flash, volentieri avrebbe rispolverato il suo passato di stragista intergalattico.

 

***

 

"Possiate essere felici ogni giorno della vostra vita, nelle grandi e nelle piccole cose...".

Bulma aveva più dimestichezza con i numeri piuttosto che con le lettere, ma quel rigo scribacchiato su di un cartoncino augurale di colore bianco, tanto per accompagnare l'assegno sostanzioso che fungeva da regalo di nozze, era stato scritto con il cuore.

Nessuno meglio di lei sapeva come la felicità di una coppia risiedesse nelle piccole cose di tutti i giorni: due tazze di cioccolato caldo mentre fuori piove, ad esempio, oppure un risveglio indolente tra due possenti braccia e la scoperta di non esserci finita lì per caso.

Nella sua vita di coppia, persino un battito di ciglia, la carezza di una mano senza guanto, un respiro accelerato al di fuori della stanza gravitazionale, l'indugio di uno sguardo, una ruga in più ai lati della bocca avevano avuto importanza.

Così sarebbe sempre stato.

E quando persino un bacio a fior di labbra, scambiato d'improvviso in un momento qualunque della giornata, riesce ad essere appagante quanto una notte infuocata, è lì, allora, che si trova la felicità.

Il rovescio della medaglia, semmai, è riflettere qualche istante in più del dovuto se menzionare il nome di Vegeta in basso al cartoncino, e alla fine optare per un più comodo "Con affetto, famiglia Brief".

Gohan si aggiustò gli occhiali sul naso per sincerarsi di averci visto giusto:

"E' davvero generoso da parte tua... Sono senza parole!".

"Figurati!", minimizzò Bulma."Sono cifre alle quali ti abituerai. Piuttosto, fanne buon uso".

"Credo che mi pagherò tutti gli studi universitari e anche oltre...".

"D'accordo", gli strizzò un occhio. "Ma divertiti pure! Che darei per avere ancora la vostra età!".

Ma il seno, che spuntava al di sopra del voilà di un’elegante camiciola a pois con le spalline basse, poteva ancora competere con quello di una ragazza dell’età di Videl.

Ci furono altri scambi di regali e molti altri brindisi.

La sposa, ancora una volta, ringraziò i piccoli Goten e Trunks per il dono dell’acqua termale attinta direttamente alla fonte.

Non fu chiaro, sul finire della cerimonia, quando i due novelli sposi furono sul punto di accomiatarsi in direzione del casale con le assi di legno e le tendine di velluto - dove avrebbero trascorso la prima notte - da quale tavolo partì lo scroscio di applausi, ma pure Dende, sacerdote di quelle nozze, con lo slancio della sua giovane età, finì per unirsi al coro acclamante “Bacio! Bacio!”, per poi incrociare lo sguardo severo di Piccolo e tornare a piegare il collo intimidito.

“Tu sei una divinità, queste cose lasciale ai terrestri!”. 

Orbene, se c’era un pesce fuor d’acqua a quel banchetto era proprio il namecciano, forse anche più di Vegeta, perché a lui sfuggiva quella logica per cui un uomo, ad un certo punto della sua vita, ha bisogno di trovarsi una donna e tra le tante ne sceglie una in particolare.

Vomitato dalla scellerata bocca del suo genitore sotto forma di uovo, la gamma dei suoi sentimenti non andava oltre quella di un padre per il figlio e tale era il suo bene per Gohan.

Per il resto, nell’attrazione tra terrestri e saiyan percepiva qualcosa di torbido - seppure utile alla loro riproduzione e sancito da riti sacri - che un cuore puro come il suo non ammetteva.

E quell’impurità si fece ancora più ignota quando Muten, un po’ su di giri, dopo il bacio casto che un imbarazzato Gohan poggiò sulla bocca della sua sposa, esclamò: “Farebbero meglio a riscaldarsi un po’ quei due…”.

Vegeta, intanto, trovò più interessante osservare la pioggia che tornava a raccogliersi nelle stesse pozzanghere scavate dalla notte prima.

Il tappeto bianco era ormai un tutt’uno con il fango e con l’erba, anzi dava l’impressione di essere una sequenza di grosse pietre di porfido.

Quando vide gli sposi correre in direzione del casale ed il velo impigliarsi nella porta sbattuta dal vento, trovò quell’immagine di un’eloquenza… sarcastica ed intuì finalmente che quella giornata volgeva al termine.

Eppure, quando si voltò, vide che gli ospiti se ne stavano ancora a chiacchierare, comodamente in piedi, e che nessuno mostrava l’urgenza di volersi accomiatare, tanto meno Bulma che, per tutta la giornata, non aveva fatto altro che lamentarsi dell’unghia incarnita dell’alluce destro a causa della scarpa troppo stretta.

Vegeta pensò che le avrebbe incarnito anche l’altra unghia se solo ella gli avesse chiesto di trattenersi ancora.

Terminato un banchetto, un saiyan che si rispetti gira i tacchi senza troppi convenevoli, ma Kakaroth  non era un saiyan come tutti gli altri e, libero dal nodo scorsoio della cravatta e dimenticata la giacca nel bagno, se ne stava seduto sopra un tavolo ad inghiottire manciate di confetti:

“Deliziosi questi… gnam… gnam… ma a che gusto sono? Sembrano gnam… gnam… al sapore di ricotta e pera! No… gnam gnam…”, arraffò da un’altra ciotola. “Questi sanno di limone! Ah, che bontà! Io adoro i matrimoni! Ci andrei anche solo per mangiare confetti!”.

“Anche a me piacciono i matrimoni”, aggiunse Bulma. “Ma bisognerebbe permettere agli invitati di venire scalzi. Ho i piedi distrutti!”.

“A proposito…”, le fece Goku, puntando nella sua direzione un dito accusatore. “Tu sei stata un po’ cattivella…”.

“Dici a me?”, Bulma smise di centellinare lo champagne.

Per la sua spontaneità ed il buonumore, Goku aveva la capacità innata di calamitare l’attenzione di tutti e persino Vegeta si ritrovò a prestargli ascolto, domandandosi, però, se i confetti fossero ripieni di vodka e di rum piuttosto che di ricotta e pera.

Goten e Trunks, invece, continuavano a rincorrersi tra i tavoli, gettandosi l’uno contro l’altro i coriandoli bianchi sparati al momento della torta.

Agitati dai loro sbuffi, parevano fiocchi di neve danzanti sopra i tavoli sparecchiati.

“Sì, esatto. D’accordo che io ero all’altro mondo…”, mandò giù un altro pugno di confetti al gusto di cocco. “Ma potevi almeno invitare Chichi quando tu e Vegeta vi siete sposati”.

“Idiota che non sei altro!”, l’apostrofò questi.

Nell’impeto, liberò la mano sinistra dalla tasca dei pantaloni, ma nessuno si accorse del sangue ormai coagulato sull’orlo del polsino.

“Io e Bulma non ci siamo mai sposati!”.

“Ah no?”, si grattò la testa pensieroso. “E allora perché dite… mia moglie o mio marito?”.

Goku ricordava bene che, in merito alla fotografia di Bulma promessa a Kaioshin, Vegeta aveva dichiarato senza mezzi termini che Bulma era sua moglie.

“Io chiamo mia moglie come mi pare e piace!”.

Ecco che proprio lì, sugli zigomi di Vegeta, geneticamente predisposti a ricevere pugni e cazzotti quando non era egli a suonarne di santa ragione, si addensò un inusuale velo di imbarazzo.

“Che ti dicevo? Anche ora l’hai chiamata moglie!”.

“Tesoro…”, intervenne Chichi, ma non fu affatto di aiuto. “Non è il caso di essere invadente, né di fare l’ingenuo. Se si chiamano così è perché, evidentemente, si vogliono bene, anche se non sono sposati”.

Ora, Vegeta ebbe la sensazione che il tappeto fosse sprofondato e che tutti si fossero messi in circolo ad osservare la sua fossa.

Solo Bulma, vedova che non si lascia prendere dallo sconforto, esibiva tutta la sua forza d’animo nella fermezza con cui sosteneva il calice di champagne tra le dita.

“Eh, no, cara Chichi, mi dispiace contraddirti, ma io e Vegeta ci siamo davvero sposati. E’ accaduto esattamente tre anni fa, ma non eravamo qui sulla Terra”.

Trunks e Goten continuavano a raccogliere e a lanciarsi addosso coriandoli di neve, come se il tronco d’albero piovuto dal cielo, dopo aver sfondato il tendone e travolto tutti gli altri, tra cocci immaginari di piatti e bicchieri, avesse scansato volutamente le loro cervici.

Persino il principe dei saiyan, un tempo stragista intergalattico, ebbe bisogno più di un secondo per risalire dalla fossa e sbottare:

“Tu sei completamente matta! Anzi, no, sei ubriaca! Noi ci saremmo sposati? Io non mi metto a fare queste pagliacciate!”.

“Come sarebbe a dire… pagliacciate?”, balbettò offeso Mister Satan, nelle sembianze di una parentesi insignificante che non cambiò l’impostazione del discorso, né spostò l’attenzione degli altri.

“Hai dimenticato il pianeta Oiko?”, insistette Bulma.

Un cameriere le passò accanto con un vassoio e lei si liberò, senza molta delicatezza, del calice di champagne, che finì tra gli altri mezzi vuoti - o mezzi pieni - con lo stelo tranciato in due.

“E quel sovrano? Come si chiamava?”.

Ma Vegeta le aveva già messo le mani addosso, lì sulle belle spalle nude, con una brutalità a sua portata, e la spingeva ad indietreggiare in direzione dell’uscita.

“Io non ti ho sposata! Ti ho letteralmente comprata!”, gli sentirono dire, mentre la pioggia, fuori dalla tenda berbera, li coglieva in pieno ma senza sorprenderli.

Tutti restarono inermi a fissarli da lontano, con l’espressione intontita di prima tramutata in un’altra più interrogativa.

Non era chiaro ciò che i due si stessero dicendo, ma non dovevano essere parole gentili.

Bulma parlava concitata e si strappava i bracciali dal polso con un gesto nevrotico.

Ad un certo punto, la videro afferrare la mano di Vegeta, ma nessuno pensò che fosse con l’intento di trattenerlo, perché un tipo come Vegeta non si trattiene prendendogli semplicemente la mano.

Poi il saiyan agitò un dito nella loro direzione, come ad indicarli con fare quasi minatorio, e tutti, di riflesso, fecero un passo all’indietro.

E infine, mentre Trunks e Goten continuavano a mettere in moto migliaia di coriandoli bianchi tra i tavoli e le sedie, intrappolando tutti in un souvenir di vetro da capovolgere all’ingiù, accadde, più in là, qualcosa che mai nessuno di loro si sarebbe aspettato di vedere.

 

***

 

“Vegeta racchiudeva in sé i misteri dell’universo intero, la genesi di un buco nero, lo spegnimento di una stella, il collasso di un pianeta; e il suo universo era per davvero infinito, senza linee di demarcazione, senza un epicentro…”.

Ma questo già si è detto.

C’è da aggiungere, però, che quest’universo, ad un certo momento della sua storia, contrariamente a qualsiasi teoria scientifica, aveva finito per inglobare in sé un altro cosmo, altrettanto misterioso, caotico, interminabile, e con delle profondità scavate apposta per finirci dentro.

Allora, e solo allora, era terminato il suo universo, quando, pur preservandone tutte le altre caratteristiche, Qaveva scoperto il piacere di addentrarsi e di smarrirsi nell’altro.

“Come sarebbe a dire che mi hai comprata?”, replicò Bulma. “Tu non mi hai affatto comprata! Io ti sono stata data in moglie!”.

La pioggia sottile - ma fitta - ticchettava sulle spalle nude, a pochi passi dall’alto cedro del Libano.

“Fammi il piacere! Era soltanto una farsa e lo sai bene!”.

Dietro di lui, il tappeto bianco, neppure così lontano, sembrava adesso un rigagnolo d’argento che declinava tumultuosamente a valle, e la luce proveniente da una finestra del piccolo casale, dietro le calate di velluto, una stella che rischiarava appena il sentiero.

“E allora perché questa ferita è tornata di nuovo a bruciare terribilmente?”.

I bracciali tintinnarono un’ultima volta tra di loro e poi si sparpagliarono tra l’erba bagnata.

Vegeta strinse il pugno e vide che pure la sua ferita era tornata a sanguinare.

Succedeva ogni anno, di quella ricorrenza, come in un sortilegio, man mano che si approssimava la notte.

Tre anni precisi erano trascorsi da allora.

“Tu sei abituato alle ferite, io no!”.

Quanto si sbagliava!

Nessuna ferita di battaglia aveva mai bruciato quanto quella, né lo sfregio a tradimento di Yajirobei, né il buco diritto al petto scavato da Freezer, e neppure il ridursi in cenere in virtù del sacrificio.

Piccola e sottile, quasi invisibile negli altri giorni dell’anno, dava una percezione del dolore assolutamente sconosciuta.

Forse, non era neanche propriamente dolore corporeo, ma qualcosa di più interiore.

Vegeta fissava quelle stimmate con l’incredulità di un miscredente, mentre il sangue si raccoglieva nel palmo della mano e si mescolava alla pioggia.

Ora, c’era solo un modo per placarne il dolore, ma quello non era il momento, né il luogo.

“Sta zitta! Che ne puoi sapere?”.

Bulma continuava a stringere i denti.

Dov’era il cielo stellato di quella lontana notte cosmica?

Ora c’era solo un ammasso di nubi, che non lasciava filtrare altro che pioggia, e l’unica stella che rischiarava il sentiero era stata appena spenta.

La bellezza contemplata dalla sua capsula spaziale quella volta, tutta concentrata nei colori più brillanti dell’argento e dell’amaranto, le era rimasta impressa nella mente come la cosa più straordinaria che avesse mai visto.

Col più potente telescopio, nei giorni successivi al rientro sulla Terra, aveva cercato di trovare una nebulosa che le rinnovasse quell’estasi e quando ne aveva trovata una con lo stesso impatto visivo, aveva capito che a rendere spettacolare quel quadro erano stati anche altri dettagli: un materasso avvolto ancora dal cellophane, una ferita martellante sotto un fazzoletto, sempre più martellante, finché i loro polsi non erano tornati a cercarsi, un po’ esitanti, un po’ turbati, quasi sconosciuti.

Solo allora avevano sentito quel dolore scemare, man mano che il piacere scalpitava nelle ossa e i loro corpi diventavano un tutt’uno per un bisogno disperato ed impellente.

Poco importava che fosse debilitata dalla febbre o che le pillole contraccettive fossero rimaste accanto al radar cerca-sfere nel suo cassetto.

L’orgasmo che li aveva colti era sembrato essersi diramato proprio dai polsi piuttosto che dal basso ed ambedue avevano urlato nel vuoto cosmico come mai erano stati liberi di fare tra il cemento.

Di pianeta in pianeta, di razza in razza, di rito in rito, volente o nolente, la prima notte va vissuta in questa maniera e quel taglio netto sul polso sarebbe continuato ad andare a fuoco, una volta all’anno, fino a quando il corpo di Bulma non sarebbe stato gravido.

Ma la suddetta aveva già un figlio all’epoca dei fatti e, tornata sulla Terra, ogni sera, prima di coricarsi, apriva puntualmente il cassetto accanto al letto, rovistava tra il radar cerca-sfere, le mutandine ricamate ed il sacchetto di lavanda, e schiacciava sull’apposito blister calendarizzato la dose giornaliera di estrogeni e tranquillità.

E quando per distrazione aveva saltato qualche compressa, a metà della confezione, il seme di Vegeta, per quanto prezioso e regale fosse, non aveva il potere soprannaturale di attecchire su un terreno non fecondo.

“Ti prego, dammi la tua mano…”, lo implorò.

“Smettila!”, le disse, ma il respiro mancò un battito quando si ritrovò la mano dell’altra aggrappata con ardore alla sua.

L’acqua sembrò accelerare la scarica elettrica e Vegeta si ritrovò a sudare freddo, sotto la pioggia e con un vento che gli ululava nelle orecchie con assillo maggiore.

Forse aveva bevuto troppo, pensò lui, forse era colpa di quelle bretelle basse e della pioggia che inzuppava il voilà sopra il seno, ma incominciava a fermentare un desiderio, diverso da tutte le altre volte, nel momento più inappropriato che potesse esserci, mentre i polsi, finalmente vicini incominciavano a pulsare all’unisono ed il bruciore trovava conforto.

“Vedi che va già meglio…”, sussurrò lei, come corroborata, facendo fremere le ciglia.

Ma la tenda berbera riprese ad avere contorni più netti alla vista del saiyan e le sue luci sembrarono meno lontane di quanto fossero apparse prima, tra la nebbia del dolore e del desiderio.

“Piantala! Io me ne vado! Hai dato già troppo spettacolo!”.

La suola in cuoio delle scarpe si scollò dal fango, ma non fece in tempo a decollare.

“Ho detto solo la verità. Perché dovevo nasconderla?”.

Vegeta la fissò con l’ovvietà di chi quella cosa l’aveva taciuta per tre anni.

Pure nelle passate ricorrenze, era bastato un fazzoletto intorno ai polsi ed un incontro nel cuore della notte, più urgente e violento del solito, per non tornare sull’argomento.

“Perché era la cosa più sensata da fare, ma tu, evidentemente, hai bevuto qualche bicchiere di troppo”.

Bulma gli intralciò ancora il passaggio, esibendo fra due gomiti appuntati una camiciola ormai fin troppo aderente.

“Un bicchiere di champagne non mi ha mai dato alla testa! E la cosa più sensata da fare era che tu, una volta tanto, non mi contraddicessi. Non davanti agli altri, facendomi passare come la farneticante di turno”.

“No, sono io che non tollero certe cose alla presenza di altra gente. Dovresti conoscermi bene”.

Qualificare il suo rapporto con Bulma gli veniva naturale già da un po’ di tempo.

Non sapeva come e quando lo era diventata -  sia chiaro -  ma Bulma era sua moglie. Punto.

Ora, gli altri non erano tenuti a domandarsi il perché.

Per il fatto che dietro quel perché si spalancava quell’universo dove, seppure infinito, c’era spazio soltanto per due persone.

A stento.

Tanto meno dovevano farne oggetto di conversazione in sua presenza, considerato che, a parte voltare la schiena, non esisteva corazza contro quel rossore che gli prendeva a pugni gli zigomi.

Ebbene, mai e poi mai avrebbe saputo spiegarsi la ragione per cui Bulma, proprio quel giorno, avesse deciso di aprire una breccia e mostrare agli altri qualcosa del loro mondo, né poteva immaginare quello che di lì a poco sarebbe accaduto.

“Evidentemente, ti conosco così tanto bene che mi sono stufata di essere complice dei tuoi silenzi e delle tue distanze. Chi ha stabilito tutta questa rigidità di protocollo? Sai cosa ti dico? Credo proprio che, una volta tanto, farò qualcosa per cui valga veramente la pena di farti arrabbiare e lo farò apposta davanti a tutti gli altri. Non mi importa! A volte bisogna pur prendersi delle soddisfazioni!”.

Al cospetto del principe dei saiyan - ma non solo - Bulma, determinata più che mai, sapeva tenere la schiena diritta alla pari di qualsiasi avversario giunto dalle profondità dello spazio.

Già il mascara a lunga tenuta, applicato fin dal mattino, aveva mostrato una resistenza alla pioggia considerevole; pure le unghie, grazie allo smalto semipermanente, non erano mai state così scintillanti di rosa confetto.

“Mi stai sfidando, non ti conviene”, sogghignò ancora indulgente. “Commetti sempre l’errore di confidare troppo nella tua lingua. Perciò, te lo do come consiglio, Bulma: non attaccar briga con chi è più forte di te. Prima o poi, ti troverai di fronte qualcuno che ti darà la lezione che meriti”.

“Avrei voglia di prenderti a schiaffi, lo sai?”.

Graffiate da rivoli di pioggia, le braccia non stavano tremando per il freddo.

“Su che aspetti, allora? Vedo che stai scalpitando dal farlo. Togliti la soddisfazione di schiaffeggiarmi davanti a tutti i tuoi amici. Avanti, fallo!”, puntò un dito nella direzione della tenda berbera. “Così sapranno che non sono impazzito d’un colpo quando ti avrò risposto con la stessa moneta”.

La conversazione stava rotolando su di una piega difficile da riassettare e il ticchettio della pioggia, per discrezione, si ritirò in silenzio, concentrandosi soltanto tra le fronde dell’alto cedro del Libano.

“Non fare il gradasso, tanto non avresti il coraggio di colpirmi”.

“Ah, no? Tu faresti perdere la pazienza persino agli dei”.

“Sei soltanto uno stupido… quando ho detto che ti avrei fatto arrabbiare non stavo pensando certo di prenderti a schiaffi davanti a tutti. Che soddisfazione potrei mai ricavarne?”.

“E a cosa diavolo pensavi?”, fece furente.

“A molto peggio”, disse alla fine.

Con le gambe divaricate e le caviglie sprofondate eloquentemente nel fango, le braccia non fecero in tempo a prevedere l’assalto e rimasero sospese in avanti, raggelate, intorno ai fianchi morbidi di quell’avversario sottovalutato.

Nessuna mossa fu mai più efficace di quella con cui Bulma, trovato il varco giusto per fronteggiare quel corpo senza armatura, agganciò i polsi intorno al suo collo, strofinando pioggia e sangue sul colletto della camicia da cerimonia.

Qualcosa di umido e di molto caldo si trattenne per un breve istante sulla bocca di Vegeta, proprio mentre una raffica di vento più gagliarda sollevava migliaia di coriandoli bianchi e li faceva danzare sulle loro teste.

 

FINE

   
 
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