Anime & Manga > Captain Tsubasa
Ricorda la storia  |      
Autore: Kara    05/09/2015    4 recensioni
Un tempo non avrebbe avuto esitazioni ma quel tempo era passato insieme alla loro infanzia, scontrandosi con le difficoltà e gli ostacoli del mondo adulto e il non avere, ora, una soluzione, gli dava, più di ogni altra cosa, la misura del cambiamento.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Taki/Ted Carter, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Questa storia non era prevista perchè di questi fatti ne avrei parlato nella ff principale di cui questa storia è un piccolo prequel. Ma complice la canzone in coda non ho potuto fare a meno di buttarla giù e quindi eccola qui.

Questa shot fa parte del ciclo di Sasha che spero di riuscire a scrivere... boh... prima di andare in pensione XD
 

Forget the world

 

L’ennesimo scoppio di risa lo strappò dal dormiveglia nel quale, senza accorgersene, era lentamente scivolato. Spostò la testa e aprì gli occhi, rimanendo accecato dalla lampeggiante luce rossa dell’insegna che penetrava dalla finestra. Con una smorfia infastidita serrò le palpebre e abbandonò la posizione prona per scivolare sul fianco, girando le spalle alla luce e all’irritante berciare che proveniva da fuori. Nonostante il love hotel fosse situato in una stradina laterale, il frastuono delle vie principali di Kabukicho costituiva un sottofondo impossibile da eliminare a qualunque ora del giorno e della notte: in quella zona di Tokyo la vita non si arrestava mai.
La mano che fino a qualche istante prima riposava sulla sua schiena e che il brusco movimento aveva fatto scivolare via riprese vita, muovendosi piano lungo il suo fianco, in una lenta carezza, fino a raggiungere l’addome. Un bacio lieve si posò sulla sua spalla mentre le dita continuavano a vagare, seguendo le linee degli addominali e scendendo lungo il ventre. L’eccitazione si risvegliò e tornò a scorrere sotto la pelle, accelerandogli le pulsazioni. Trattenne il respiro quando la mano trovò ciò che cercava e iniziò ad accarezzarlo con un movimento delicato ma ritmico. Serrò le labbra, trattenendo un gemito. Sarebbe stato così facile lasciarsi andare, annegare di nuovo nell’oblio dei sensi, permettere al piacere di spazzare via ogni cosa bruciandola nel fuoco devastante dell’orgasmo. Ma non sarebbe servito a nulla, non in quel momento, perciò scostò la mano con un gesto spazientito e si tirò a sedere, poggiando i piedi nudi sul pavimento.
“E’ tardi. Devo andare” mormorò senza girarsi, cercando di individuare, nella luce rossastra che a intermittenza illuminava la stanza, i vestiti che soltanto poche ore prima si erano strappati di dosso, in preda a una passione che non erano riusciti, come sempre, a controllare. Una passione che non si placava mai e che sembrava crescere ogni giorno di più, resa famelica dalla lontananza e dalla rabbia e con la quale, malgrado tutto, erano costretti a scendere a patti.
Sentì l’amante sospirare alle sue spalle: sapeva che il suo brusco gesto l’aveva irritato ma non se ne curò più di tanto, dando spazio a quella parte di sé che cercava di allontanarlo per evitare di esporre il fianco e in questo modo soffrire ancora.
“C’è ancora tempo”. Nonostante il tono tranquillo, colse lo stesso una nota tesa nella voce del compagno. Sembrava che questa volta Hajime fosse deciso a mantenere la calma e a non perdere la pazienza, il che era strano: normalmente avveniva il contrario. Di solito era Hajime il più impulsivo tra loro due, quello che si faceva saltare la mosca al naso con facilità; lui, invece, era la parte razionale, quella che cercava di non perdere la testa, di ragionare prima di fare mosse avventate, anche se ultimamente, per quel che riguardava il loro rapporto, la sua lucidità si era sciolta come neve al sole.
 In tanti anni passati gomito a gomito aveva imparato a menadito quali erano i punti deboli di quello che era, da una vita, il suo migliore amico oltre che amante. E, conoscendolo come lo conosceva, sapeva che il suo atteggiamento scostante e insofferente degli ultimi tempi lo stava facendo uscire fuori di testa ma non riusciva a controllarsi. Soffriva, e più soffriva, più si ritirava in se stesso. Ormai loro due non parlavano quasi più se non per urlarsi contro, e la maggior parte delle volte a scatenare quelle liti rabbiose era proprio quel suo atteggiamento di chiusura. Già da qualche tempo il loro rapporto oscillava tra litigate furiose e amplessi devastanti in cui sembrava quasi che dovessero annientarsi a vicenda.
 Questa volta, però, c’era qualcosa di diverso in Hajime: quell’atteggiamento controllato non era da lui. Girò la trequarti per lanciargli un’occhiata, cercando di capire cosa fosse cambiato in quegli ultimi giorni - oppure settimane? Quando era stata l’ultima volta che si erano visti? Non riusciva a ricordarlo perché ormai si incontravano sempre più di rado - e ciò che lesse nella sua espressione tirata gli fece salire in bocca, come un fiotto d’acido, l’acre sapore della paura. Lo riconobbe subito, negli ultimi mesi lo aveva avvertito spesso durante le lunghe serate solitarie che trascorreva a Osaka, quando le ombre della sera avvolgevano la casa e rendevano foschi i suoi pensieri, disegnando amari scenari di un futuro parco di speranza.
 In quel momento ebbe la certezza che il tempo a sua disposizione stesse finendo.
 Che il loro tempo insieme stesse finendo.
 Hajime era stanco.
 Hajime non voleva più discutere.
 Hajime. ERA. STANCO.
 Un tempo le loro discussioni, specie quelle più accese, servivano ad avvicinarli maggiormente, avendo l’unico scopo di chiarire al massimo i loro pensieri e opinioni. Negli ultimi mesi, invece, erano diventate inutili e sterili, ripetitive, e loro sembravano due attori mediocri che ripetevano le stesse battute in continuazione, sbagliando sempre i tempi, incapaci di ascoltarsi e capirsi.
 Loro: la silver combi, che riusciva a pianificare una complessa azione di gioco con dei semplici sguardi.
 Loro: Hajime e Teppei, amici da una vita, che riuscivano a comunicare pur restando in totale silenzio, con una comprensione reciproca che, per gli altri, aveva dell’incredibile.
 Quando era accaduto tutto questo?
 Quando avevano iniziato a non ascoltarsi più, a non capirsi più?
 Ad allontanarsi?
 Perché non riusciva più a parlare con Hajime? Eppure c’era stato un tempo in cui si confidavano tutto.
 Ma ora…
In quale momento si era formata la prima crepa di quel baratro che li divideva e che sembrava invalicabile?
 C’era stato un momento preciso?
 Forse no… forse era successo a poco a poco, iniziando con la vittoria al World Youth e l’entrata, un anno prima, in J league… oppure con l’arrivo della notorietà… o forse… forse era successo quando aveva fatto outing con la sua famiglia, ricevendo da suo padre soltanto parole di biasimo. Suo padre, che si era preoccupato più del buon nome e dell’onorabilità dei Kisugi che dei suoi sentimenti di figlio, minando quella considerazione di sé e di ciò che era che aveva faticosamente costruito durante la sua adolescenza. E lui che non era riuscito a “fregarsene”, come lo aveva esortato a fare Hajime, perché era suo padre e  lo amava e quel suo rifiuto di accettarlo per ciò che era lo feriva nel profondo, facendolo sentire nuovamente sbagliato come quando, appena adolescente, si era scoperto attratto da persone del suo stesso sesso. Attratto dal suo migliore amico. E non riusciva nemmeno a odiarlo perche sapeva che suo padre, a modo suo, gli voleva bene, anche se non riusciva ad accettare che suo figlio fosse “uno di quelli là”. Non voleva abbandonare la sua famiglia, significava tanto per lui, vi era legato troppo profondamente. E poi, in fondo al cuore, coltivava la segreta speranza che prima o poi i suoi  genitori - suo padre - avrebbero capito che lui non era cambiato, che era sempre lo stesso ragazzo che li aveva resi fieri per i suoi risultati nel calcio, anche se amava un uomo. Non voleva tagliare i ponti con loro, anche se quello sarebbe stato l’unico modo per poter vivere liberamente la sua storia.
 Inoltre, anche se non voleva ammetterlo con se stesso, il tarlo del dubbio continuava a sussurrare al suo orecchio che forse suo padre non aveva tutti i torti quando diceva che loro due potevano anche dimenticarsi del mondo, come soleva ripetere in continuazione Hajime, ma il mondo non si sarebbe dimenticato di loro.
 Sarebbe stato impossibile.
 Chi avrebbe potuto ignorare due persone che per via del loro lavoro erano costantemente sotto le luci dei riflettori? Non certo la stampa, che li avrebbe fatti a pezzi non appena la loro relazione fosse diventata di dominio pubblico. Probabilmente se fossero stati degli attori si sarebbero salvati: in quell’ambiente l’omosessualità stava iniziando a diventare la normalità, perfino nel tradizionalista Giappone, dove erano guardate con riprovazione anche le coppie eterosessuali che si tenevano per mano in pubblico.
 Ma un calciatore… un calciatore era diverso.
 Chi avrebbe accettato un omosessuale in un mondo considerato ancora appannaggio maschile?
 Il “fanculo a tutti” con cui Hajime chiudeva sempre la questione non era realistico, non avrebbe potuto esserlo. Non per lui. Sarebbe stato troppo facile e la vita tutto era tranne che semplice per chi, come loro, non era libero di amarsi alla luce del sole.
 E in tutto questo lui si sentiva lacerato, strattonato da una parte e dall’altra. Come un pesce che si dibatte in una minuscola polla d’acqua cercando di sopravvivere, lui si dibatteva tra l’amore per i suoi genitori e il rispetto per la famiglia che gli era stato inculcato fin da piccolo, e i suoi sentimenti per Hajime, nonostante tutto sempre più forti. Perché l’amore per lui, quello no, non l’aveva mai messo in discussione.
 E l’incertezza di un futuro che non riusciva più a focalizzare, reso nebuloso da mille paure che si inseguivano e scontravano come bolidi lanciati a velocità folle l’uno contro l’altro, lo stava distruggendo.
 Era tutto così confuso, ultimamente, che non riusciva più a capire nemmeno se stesso. Cosa provava, cosa voleva. In quale direzione andare. Cosa fare. Si sentiva come stordito. Desideri, speranze, sentimenti. Era tutto vero e falso allo stesso tempo. Anche quella che era sempre stata la sua ancora di salvezza nei momenti difficili, il suo rapporto con Hajime, ormai affondava le radici in un terreno franante.
 E lui si sentiva perso.
 Quando aveva provato a spiegargli cosa provava, Hajime non aveva capito, non vedeva i problemi che lui gli prospettava, sottovalutava le situazioni. Teneva a minimizzare i suoi dubbi, le sue insicurezze, convinto che insieme avrebbero superato ogni ostacolo. A sentire lui era tutto facile, mentre - dannazione! -, non lo era, non lo era per niente. D’altronde, era normale che il compagno non capisse, i suoi genitori non avevano avuto problemi ad accettarlo per quello che era, né ad accettare la loro relazione; erano di mentalità aperta e Hajme aveva sempre parlato liberamente con loro. I Taki erano tutto quello che la sua famiglia non sarebbe mai stata e il compagno, grazie a loro, non si era mai sentito diverso come invece era accaduto a lui.
 Piano piano si era rinchiuso sempre più in se stesso, evitando di affrontare gli argomenti che lo facevano soffrire, ritenendo sempre più inutile parlare con Hajme e aprendo la bocca soltanto per riversargli addosso parole di biasimo e di rabbia, che nascondevano la paura e il dolore di vedere il loro mondo disgregarsi giorno dopo giorno.
 Perché non era solo l’amore che stava perdendo ma anche il suo migliore amico, quello di cui, in quel momento, aveva necessariamente bisogno.
 Lo vedeva stagliarsi dalla parte opposta di quel baratro che si faceva, ogni giorno, sempre più ampio e profondo, mettendo in evidenza le differenze caratteriali che non erano mai state un problema.
 Fino a ora.
“Teppei…” le braccia di Hajime lo riportarono al presente strappandolo suo malgrado da quei claustrofobici pensieri. Lo cinsero con dolcezza, tirandolo verso il suo corpo nudo. Si sentì posare la fronte sulla spalla, il respiro un leggero solletico sulla pelle della scapola.
“Cosa ci sta succedendo? E perché glielo stiamo permettendo?” Era la prima volta che il compagno poneva quella domanda, segno evidente che anche Hajime iniziava a sentire la terra franargli sotto i piedi, anche Hajime ora vedeva il baratro e il suo fondo oscuro, cosa di cui, finora, sembrava non essersi accorto. Anche Hajime, ora, doveva prendere atto che le cose tra di loro erano arrivate a un punto critico e che sarebbe bastato un niente perché il loro rapporto implodesse, trasformando il loro mondo in un cumulo di cenere che il vento avrebbe portato via, lasciando dietro di sé soltanto uno spaventoso vuoto. E in quel sentirsi minacciato senza poter fare nulla, Teppei ne era certo, Hajime non avrebbe reagito bene. A differenza sua, che tendeva a chiudersi, il compagno manifestava il suo dolore e la sua rabbia sfogandola contro tutto e tutti.
 E sapeva essere spietatamente distruttivo.
 Sospirò piano, chiudendo gli occhi e cercando la forza per scacciare quella sensazione di fine incombente che gli soffocava l’anima. Perché nonostante fosse consapevole che il mostro era lì già da tempo e aleggiasse su di loro come uno spettro invisibile, aveva cercato di tenerlo a distanza. Di rimandare l’inevitabile. Ma ora… eccolo lì. Vivo. Tangibile. Reale quanto e più di loro. Quanto i loro muscoli e le loro ossa, i loro sentimenti. Pronto a spezzargli il cuore.
“Non lo so Hajime…” si girò e lo abbracciò a sua volta. Anche lui era stanco di litigare, tanto stanco.
 Oltre ogni limite.
 Lo strinse forte, con disperazione, quasi avvertisse, come in un presentimento, che quella era l’ultima volta che lo teneva tra le braccia. Continuando a stringerlo si stese accanto a lui. Alzò lo sguardo, per cercare nei suoi occhi la propria immagine e in quella ritrovare il vecchio Teppei che sapeva non esserci più. Ma lo sguardo che Hajime gli restituiva non era quello che conosceva bene. Anche lui sembrava aver acquisito una nuova consapevolezza. Anche lui era cambiato. E cosa sarebbe successo, cosa potevano ancora essere l’uno per l’altro, in quella situazione che sembrava senza via di uscita, era una domanda a cui non sapeva dare una risposta.
 Un tempo non avrebbe avuto esitazioni ma quel tempo era passato insieme alla loro infanzia, scontrandosi con le difficoltà e gli ostacoli del mondo adulto e il non avere, ora, una soluzione, gli dava, più di ogni altra cosa, la misura del cambiamento.
 Ma lui… era pronto per questo cambiamento?
“Tecchan… non andartene, abbiamo ancora tempo…”
No… non era pronto… non voleva andarsene…
non voleva… perderlo… 
Forse Hajime aveva ragione… forse avevano ancora un po’ di tempo.
 Si aggrappò a quella speranza con tutto se stesso.
 Ancora tempo.
 Ma quanto?
“No… non me ne vado…” gli sussurrò, avvicinando le labbra alle sue “se mi stendo qui, vicino a te, possiamo ancora dimenticarci del mondo?”.
Ma sapeva, mentre pronunciava quelle parole, mentre la bocca di Hajime si posava con forza sulla sua e le sue mani riprendevano a scivolare piano lungo il suo corpo, che la sua domanda era solo una bugia.

 

Chasing cars

We'll do it all
 Everything
 On our own

We don't need
 Anything
 Or anyone

If I lay here
 If I just lay here
 Would you lie with me
 And just forget the world?

I don't quite know
 How to say
 How I feel

Those three words
 Are said too much
 They're not enough

If I lay here
 If I just lay here
 Would you lie with me
 And just forget the world?

                 Forget what we're told               
 Before we get too old
 Show me a garden
 That's bursting into life

Let's waste time
 Chasing cars
 Around our heads

I need your grace
 To remind me
 To find my own

If I lay here
 If I just lay here
 Would you lie with me
 And just forget the world?

Forget what we're told
 Before we get too old
 Show me a garden
 That's bursting into life

All that I am
 All that I ever was
 Is here in your perfect eyes
 They're all I can see

I don't know where
 Confused about how as well
 Just know that these things
 Will never change for us at all

If I lay here
 If I just lay here
 Would you lie with me
 And just forget the world?

 

Snow Patrol

 

Fine...
 


...e palla al centro.

Ringrazio Melantò per l'apprezzamento e tutti coloro che la gradiranno.

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Kara