EPILOGO:
Meet Me in the
- 5
anni dopo -
Cerco
con tutte le mie forze di non far notare il tremolio delle mie mani, mentre
posiziono la busta di plastica, portata dal corriere espresso questa mattina,
al centro del tavolo.
Kagome,
davanti a me, sorride radiosamente, gli occhi piedi di orgoglio ed emozione. E’
impaziente di vedere il contenuto della busta, e non fa nulla per nasconderlo.
Miroku sfoggia un sorriso più largo nel suo repertorio: “Sono eccitato!”
esclama, e
Sango, che tamburella con le dita sulla
superficie del tavolo alza gli occhi al cielo “E dov’è la novità?”
“Che aspetti?” mi domanda impaziente Kagome.
Riprendo
la busta tra le dita e la squarcio senza pietà. Dentro, un’altra busta di
carta. La apro cerimoniosamente, come fosse il
sarcofago di una qualche sacra reliquia.
Ne
estraggo il frutto di cinque anni di schizzi, disegni, pensieri ed idee. Il
riscatto della mia vita. Anni passati in un orfanotrofio ti insegnano ad essere
determinato, a sacrificarti per raggiungere i tuoi obbiettivi, a lottare per la
vittoria su chi ti ha creduto un fallito ancor prima di darti una sola
possibilità.
Tra
le mie mani c’è il mio fumetto. Il
primo volume. Nonostante abbia disegnato di mio pugno la copertina, e
nonostante il lavoro sulla scritta del titolo, lo trovo ancora più bello di
come potessi immaginarlo.
“MOONLIGHT
SHADOW” è scritto in uno stile calligrafico, rosso sangue. Tra le due parole vi
è una fetta di luna crescente. Sotto, a guardarla, Ike Le Chien,
che rivolge le spalle al lettore. I capelli argentei sono raccolti in una lunga
coda. Una mano è infilata nella tasca della giacca di pelle, l’altra è
sull’elsa della sua spada luccicante, appoggiata alla spalla.
Sfoglio
le pagine disegnate, i miei amici e la mia ragazza che scorrono avidamente i
disegni.
Kagome
mi stampa un bacio sulla guancia. Mi giro e gliene stampo uno sulle labbra. La
mia felicità non è descrivibile in questo momento. “Spero solo che capiti in
mano ad una di quelle dannate pinguine.” Sogghigno, mentre Miroku stappa la bottiglia di spumante
che ha portato da casa. Sango guarda il retro copertina, la bocca aperta ad O.
Poi mi tira un buffetto sul petto, prima di passare il fumetto a Miroku.
“Questo Fumetto è dedicato a Kagome, Miroku e
Sango - I VERI
ideatori di quello che state leggendo!!” Legge il mio amico, guardandomi
stupito. Kagome esclama che non era necessario. Io sbuffo. “Se non avessi
scritto nulla, mi avreste rotto le scatole per tutta la mia intera esistenza
dandomi del bastardo ingrato…” spiego, fingendo un tono scocciato.
Miroku
e Sango fanno un cenno affermativo con la testa. La mia ragazza prova a farmi
credere che non è vero, ma se la ride sotto i baffi.
Riempiamo
i bicchieri di spumante e li alziamo: “Al fumettista più idiota che ci sia in
giro!” brinda Miroku.
“Al
NERD che ce l’ha fatta!” esclama Sango.
Kagome
grida: “Al mio artista preferito!”
Li
guardo tutti e tre. Come ho fatto a vivere per diciassette anni senza di loro?
Non ne potrei fare mia a meno, e di certo anche il mio passato non sarebbe
sembrato così lontano senza i miei amici. E la mia ragazza, soprattutto.
“A
voi tre, maledetti
LECCACULO.” Brindo, prima di vuotare tutto il bicchiere con un sorso. “…non
avrete mai i miei soldi!” fingo di ringhiare, sbattendo il vetro sul tavolo.
Sango
e Miroku si guardano e fingono di andarsene, “Te l’avevo detto che era solo
fatica sprecata…” sospira lei.
Kagome
scuote la testa. “Sapevo che lasciarsi scappare Koga
sarebbe stata una leggerezza imperdonabile”
Le
mostro la lingua. Poi mi rivolgo a Miroku, che nel frattempo ne ha approfittato
per trascinare Sango addosso a sé. “Perché non organizzi una bella festa in mio
onore?”
Lui
alza il bicchiere, uno dei suoi sorrisi inquietanti sulle labbra. “Già fatto.”
Lo fisso senza capire. O, meglio, vorrei non averlo capito.
Il
campanello suona. Insistentemente.
Belle
Ile en Mer, Francia
La
luce era perfetta.
Il
tramonto inondava di calore le scogliere e rendeva le onde salate di lava
incandescente. La sabbia sembrava una distesa di polvere dorata e scintillante
tra le rocce dell’insenatura. La brezza serale saliva dal
mare fresca, scompigliando impertinente i cespugli che crescevano
selvaggi sulle rocce e al limite della scogliera. La primavera era esplosa in
tutta la sua vitalità, e l’isola era un tripudio di colori e profumi.
Tolse
la macchina fotografica professionale dalla custodia e la posizionò sul treppiedi, facendo ben attenzione a non farla cadere.
Con quello che l’aveva pagata!
Puntò
l’obbiettivo verso un angolo della caletta, dove le rocce scendevano dolcemente
verso il mare, aspettando il momento opportuno per catturare l’onda che si
infrangeva contro di esse.
CLICK!
Ottimo.
Un paio di altre fotografie e per quel giorno poteva bastare. Si guardò attorno
alla ricerca di un soggetto interessante. Facendo schermo agli occhi con la
mano, cercò la bambina, per controllarla.
Lei
se ne stava a piedi nudi sul bagnoschiuma, i jeans
chiari arrotolati appena sotto il ginocchio, le piccole dita che cercavano tra
i detriti conchiglie o sassolini dalla forma strana. La vide raccogliere
qualcosa e studiarlo in controluce; probabilmente l’ennesimo coccio di vetro
levigato dall’acqua. Aveva una fissazione per gli oggetti che il mare
restituiva a riva, l’affascinavano a tal punto da passare ore e ore a raccoglierle.
Sembrava perdere la nozione del tempo.
La
donna sorrise, prima di decidere di risalire lungo il sentiero della scogliera,
volendo sfruttare al massimo quella luce magnifica,
che sarebbe scomparsa da li a poco. Mentre stava recuperando l’attrezzatura,
sentì una voce allegra salutare dal sentiero, e un ragazzo magro, dai
lineamenti delicati e la chioma castana e ribelle comparire lungo le rocce.
Anche
la bambina interruppe il suo lavoro e alzò lo sguardo, salutandolo con un
sorriso e agitando la manina.
Lui
fu sulla sabbia con pochi balzi, arrivando alle spalle della donna.
“Tutto
bene?” domandò, indicando la fotocamera.
“Certo.
La luce è favolosa. Questa spiaggia sembra fatta apposta per le foto al
tramonto.” Gli mostrò, sul piccolo schermo, le ultime
foto, incontrando il parere positivo del ragazzo. “L’ente Turistico avrà un bel
catalogo fotografico aggiornato, quest’anno!”
“Dillo,
avanti, che l’idea di rendermi tua socia al cinquanta per cento è stato un
grande affare, Jakotsu!” si pavoneggiò lei, beandosi
dei complimenti dell’altro. Adorava sentire la voce del suo amico tessere le
sue lodi, anche solo per scherzo. Era un gioco che facevano da
quando si erano conosciuti, quello di prendersi in giro a vicenda in
ogni situazione.
Jakotsu gemette,
falsamente stanco di quella messinscena. “E’ stata l’idea migliore della mia
vita!” cantilenò per l’ennesima volta, provocando il sorriso soddisfatto della
donna.
Si
arrampicarono entrambi lungo il sentiero. “Io giuro che non capisco come tu
riesca a salire di qui con quelle infradito!” protestò lei, inerpicandosi
faticosamente, puntellando le scarpe da ginnastica contro la roccia friabile,
tra le risatine di scherno dell’altro.
Scattò
qualche foto da un punto panoramico del sentiero, focalizzando l’attenzione sui
fiori primaverili cresciuti nei luoghi più impensabili.
“Direi
che può bastare” decise, guardando la spiaggia, dove la bambina seguitava la
sua raccolta. La fissò pensierosa, mordicchiandosi il labbro inferiore. Il
ragazzo la fissò, intuendo che stesse rimuginando su
qualcosa. Ormai si capivano con un solo sguardo, si conoscevano talmente da intuinre, nei movimenti dell’altro, un esatto pensiero o un
particolare stato d’animo. Le domandò cosa avesse.
“Sai,
mi ha chiesto di suo padre.”
Il
ragazzo si passò una mano tra i capelli. Questa cosa era improvvisa, ma non
sembrava meravigliato più di quel tanto. “Di già? E cosa gli hai risposto?”
“Che
abita molto molto lontano da
qui. E poi sono stata salvata dal campanello d’ingresso. Ma ho solo rimandato la
faccenda.”
“Prima
o poi vorrà conoscerlo, lo sai. E’suo diritto.” Sospirò, attorcigliandosi una
ciocca di capelli alle dita sottili. “Quando sarà grande chiamerà suo padre
senza dirtelo, te lo ritroverai qui sull’isola, magari nel giorno delle sue
nozze e…”
La
donna alzò gli occhi al cielo, esasperata. “Non dovevo regalarti quel maledetto
DVD… Lo sapevo da quando siamo tornati dal cinema e ti
sei messo a cantare “Dancing Queen” in strada.”
Lui
fece spallucce. “Dovevi aspettartelo. Lo sai che adoro gli ABBA”
“In
ogni caso, non sono pronta a queste domande.” Tagliò
corto lei. “Nella sua scuola materna ci sono figli di genitori divorziati, e
qualcuno di loro non vive più nell’isola. C’è anche una vedova lo sai. Ma tutti
i bambini sanno chi e dove sono i loro padri. E lei no.” Sospirò scuotendo la
testa bruna: “Non so cosa risponderle. Si, lo so, che
un giorno mi avrebbe chiesto dove è finito suo padre. Ma non pensavo a 4 anni.”
“Shiori è una bambina sveglia. E forse… forse è giunto il
momento di contattarlo…”
La
donna scosse la testa. “Per lui, per tutti, io sono morta. Kagura fa parte del
passato. Ora ho un’identità nuova…”
“…falsa”
“E
una vita nuova. Lui mi crede un corpo senza vita trasportato dalla corrente tra
un oceano e l’altro. Ho fatto una scelta, e non tornerò indietro. Anche se a
volte mi domando cosa sia successo dopo il mio finto decesso.”
“Che
visione romantica che hai del cibo per pesci” commentò ironico. Poi tornò a
fissarla, serio. “Kagura, in questi cinque anni non hai più avuto un uomo – ed
io non so sinceramente come tu faccia a reggerti ancora in piedi. Scruti tua
figlia di giorno in giorno, rallegrandoti delle piccole somiglianze che ha con
lui. A volte ti sento anche piangere di notte…”
“Dimenticavo
del tuo orecchio bionico.”
“Che
scema. Abbiamo in comune un muro eccessivamente sottile. Così come tu mi sentivi quando portavo a casa Bankotsu…”
“Eravate
fastidiosamente rumorosi. Devi ammetterlo. Sono andata ad infilare le cuffie
antirumore più di una volta a Shiori!”
“…io
sento te piangere di notte. So che lo disegni. Ho dato un’occhiata ai tuoi
schizzi –non l’ho fatto apposta, giuro. Posso capire quanto ti manchi. E’ un
uomo così bello… e sensuale…e…”
“E
lontano.” Concluse lei, decisa. “La nostra storia non sarebbe funzionata
comunque, Jak, è inutile. A lui piace la sua vita.
Ama passare da un ufficio ad una cena d’affari. Adora le auto sportive e non
disdegna uscire con le modelle. Tutte cose che a me non mancano per niente.”
“Tu
non sei mai stata una modella.”
“L’eccezione
che conferma la regola.” Sbuffò. Quando il suo amico cercava di farla parlare
di Sesshomaru, di farle ricordare i suoi sentimenti, lei si irritava
all’istante. “Io bramavo la libertà. Ed è quella che ho ottenuto. E voglio
viverla sino all’ultimo. Me la merito.”
Rimasero
in silenzio un attimo, a guardare il sole che scendeva lentamente.
“Me
lo ricordo il giorno in cui hai scoperto di essere incinta. Ci conoscevamo da
appena un mese.” Ricordò lui, quasi emozionato. “Piangevi come una vite
tagliata.”
“Non
era una cosa che avevo previsto”
“Non
volevi tenerla, perché non eri sicura di chi fosse il padre. Ma poi ti ho
chiesto di darle una possibilità, che avremmo fatto il test di compatibilità
genetica appena nata.”
Kagura
abbassò lo sguardo, colpevole.“Ho davvero pensato di non tenere mia figlia?”
Jakotsu
annuì. “Oh si. E posso capirti. Dopo tutto quello che
hai passato… ma poi quando è nata… e l’hai avuta tra le braccia… non volevi
nemmeno che l’infermiera la lavasse!”
Kagura
sorrise. Non aveva creduto ai colpi di fulmine finché quel fagottino bianco e
rosa le era stato messo in braccio.
“Non
pensavi nemmeno fosse necessario un test genetico, vero? Non ti interessava
più. Lei era tua figlia. Punto, in ogni caso. L’abbiamo fatto solo perché
l’avevo pagato in anticipo.”
“Il
tuo regalo di compleanno…” rise lei, ricordando. “Un bel test di compatibilità
genetica per mia figlia!”
“Oh, beh. Non faccio mai
regali banali.” Si vantò lui. “E quando è risultato che avevi solo il 50% di
compatibilità genetica, e quindi faceva di te la madre di Shiori,
e non anche la sorella, hai pianto di gioia.”
“Come
una vite tagliata.”
“Altroché! Avevi un ricordo
di lui che sarebbe stato con te per sempre. Il regalo più prezioso che ti
potesse mai fare.”
“Non
credo abbia avuto davvero l’intenzione di farmi un regalo del genere.
Sesshomaru non è proprio l’uomo da famiglia.” Sospirò
lei, un sorriso mesto sulle labbra rubino.
“Magari
ti sbagli.”
Kagura
scosse la testa. “Non mi sbaglio mai, su queste cose. Come con te e Bankotsu…”
Il
ragazzo fece segno di darci un taglio. “Dammi tregua. Ero un fanciullo ingenuo
e innamorato.”
La
donna colse l’occasione al volo per tentare di cambiare discorso.“Tsk! Eri? ti conosco bene, ci
ricascheresti.”
“Non
stiamo parlando di me.” troncò l’altro, intuendo le
sue intenzioni. “Dicevo: non credi che varrebbe la pena contattarlo? Fargli
sapere che ha una figlia? È un suo diritto saperlo. Pensaci bene. Io sono
l’unica figura maschile nella vita di Shiori.”
“…
figura maschile…?” esclamò scoppiando a ridere Kagura. “Ma se sono più maschile io di te…!”
“Uffa!
Quanto sei puntigliosa oggi…!” sbuffò, cercando di trattenere una risata “Io
parlo solo per il vostro bene e tu…”
Shiori si
alzò dal bagnasciuga, le ginocchia sporche di sabbia bagnata. La mano era
alzata, come per mostrare un trofeo.
“Maman! Un crabe!” esclamò
in francese, la lingua che padroneggiava meglio. Kagura aguzzò la vista. Era
proprio un granchio quello che la sua piccola aveva trovato.
Le
gridò di lasciarlo libero. Un po’ scocciata, la bambina lo lasciò libero sulla
sabbia. Il granchio sgattaiolò via, muovendo le chele, forse ringraziando la
donna per aver intercesso alla sua liberazione.
“Convincimi
che non lo vorresti davvero.” Jakotsu non demordeva.
Conosceva la sua debolezza e girava il coltello nella piaga. Kagura non
riusciva ad afferrare il senso di questa sua insistenza. La curiosità di
conoscere il suo leggendario(come l’aveva soprannominato in uno delle loro
schermaglie giocose) uomo? Oppure per quel sentimento, più forte del tempo,
della morte e dei chilometri, che unisce alcune fortunate persone, rendendo
partecipe l’uno delle gioie e dei dolori dell’altro, e che viene
riassunto nella parola amicizia?
“Non
lo accetterà mai. Mi odierà, e non ha tutti i torti, sinceramente.”
“Finché
non provi non lo saprai davvero.”
Shiori si era messa a tappezzare una montagnola di sabbia
con le quello che aveva raccolto nel pomeriggio. Kagura
sospirò. Neppure Jakotsu era a conoscenza di quante
volte aveva iniziato a scrivere lettere, per poi strapparle. A comporre il
numero, per poi riagganciare. Più di una volta si era sorpresa a navigare in
internet alla ricerca di voli aerei.
“E come faccio? lo chiamo e gli dico ‘Ciao, sono Kagura, ti ricordi di me? Oh, non
preoccuparti, non sono morta, sono solo su un’isoletta francese… ah, lo sai che
abbiamo una figlia in comune?’”
Jakotsu
sembrò prendere in considerazione l’idea. “Beh, io sono sempre per le cose
dirette e sincere.” Il volto del ragazzo si illuminò
improvvisamente: “Ho un’idea. Mandagli una foto di Shiori.
Scattala adesso, mentre gioca. Da questo esatto punto, con questa esatta luce.
Inviagliela e vediamo cosa succede. Non scrivergli altro.”
“E
cos’è, il gioco degli indovinelli?” sbottò sarcastica. Tuttavia giocherellava
con indecisione con la macchina fotografica appesa al collo.
“Sesshomaru
deve meritarsi la sua famiglia. Se
non è interessato, non capirà e lascerà perdere. Altrimenti…”
Its getting colder in this ditch where I lie
Im feeling older and Im
wondering why
I heard they told her it was tell and live or die
I didnt know her but I know why she lied
I didnt know her but I know why she died
Kagura
scosse la testa, guardando la figlia. Era un’idea senza senso. Un desiderio
irrealizzabile. Ma la tentava, più di qualsiasi altra cosa negli ultimi cinque,
fantastici anni della sua esistenza. I migliori che si potesse mai augurare. E
forse li stava per gettare nel nulla con un gesto irrazionale, per un ricordo
che sembrava di giorno in giorno più una fantasia, un sogno, che un fatto
concreto.
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
Ma cosa mi salta
in testa…pensò. Dannazione, doveva
ammettere che Jakotsu aveva
ragione.
Scrutava
i lineamenti delicati della figlia, trovando ogni giorno qualcosa in più di suo
padre. Il profilo nobile, le labbra sottili, il naso…Almeno non aveva ereditato
i suoi occhi d’oro! Sarebbe impazzita, a trovarseli addosso
ogni giorno.
And we wont go down
Di
notte gli capitava spesso di sognarlo, era vero anche questo. E al risveglio
dai suoi sogni, nel buio della sua stanza e tra le lenzuola di semplice cotone
del suo letto vuoto, non poteva evitare da venire
accolta tra le braccia della nostalgia più struggente.
I heard them say that dreams should stay in your head
Well I feel ashamed of the things that Ive said
Put on these chains and you can live a free life
Well Id rather bleed just to know why I die
Aveva
una figlia, la libertà che sempre aveva desiderato. Un socio d’affari che era
anche il suo migliore –ed unico- amico. Viveva in un paradiso terrestre. Eppure
le mancava qualcosa. Devo essere
impazzita del tutto. Si disse.
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
Poi
inquadrò Shiori, ignara del suo tormento interiore.
Ignara di quello che aveva vissuto, dell’inferno in cui era cresciuta la sua
mamma prima di metterla al mondo, in una calda sera di inizio settembre.
Mise
a fuoco bene l’obbiettivo. Sua figlia, la sua bellissima bambina, meritava una
foto veramente artistica, un piccolo capolavoro per ritrarre quel gioiello che
aveva fatto nascere.
La
brezza tolse i capelli candidi dalla faccia della bambina, per un istante,
permettendo al sole morente di illuminare il suo faccino concentrato sulla
sabbia.
CLICK!
And we wont go down
And we wont go down
And we wont go down
And we wont go down
All I know is that fear has got to go
This time around
Kagura guardò Jakotsu,
che non nascondeva un sorriso trionfante, e allo stesso tempo, caldo e
confortante. “Non funzionerà mai, lo sai.”
Lui
alzò le spalle, guardando l’orizzonte con aria sognante. “Chissà.” Disse
solamente.
Anche
la donna perse il suo sguardo verso l’ultimo raggio di sole che scompariva nel
mare. La brezza aumentò, e il vento le baciò il viso. Ecco, un’altra cosa per cui valeva la pena vivere: le sorprese.
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
You cant say I didnt give it
I wont wait another minute
Were on our way this time around
And we wont go down
And we wont go down
And we wont go down
FINE.
NOTE
DELL’AUTRICE.
Ho
iniziato a scrivere questa Fanfiction ben 3 anni fa.
Per anni è rimasta tra i file obsoleti del mio pc, interrotta al capitolo 4.
Quando
l’ho iniziata a scrivere, avevo finito da poco le scuole superiori, mi stavo
affacciando alla realtà adulta, ma avevo bene in testa cosa si provava ad avere
17/18 anni. Avevo intenzione di scrivere principalmente a proposito di Kagome e
Inuyasha, con qualche sprazzo su Sango e Miroku e qualcun altro su Sesshomaru
–Kagura.
A
distanza di soli 3 anni mi sono ritrovata a prediligere la coppia “adulta”
della storia, riuscendo meglio ad inserirla in un contesto ben preciso, a
formulare pensieri e riflessioni, a descrivere situazioni, più adatte a loro
che ad una coppia di adolescenti.
Per
questo la storia sembra iniziata in un modo e finita in un altro.
Spero
che comunque vi sia piaciuta lo stesso.
Io
mi sono divertita molto a scriverla, e spero di avere l’ispirazione per tornare
al più presto con un’altra Ff.
Voglio
ringraziare coloro che hanno letto, anche solo di sfuggita, la mia storia. E
anche chi l’ha inserita tra i suoi preferiti. (sino ad
ora ben 29persone!!!) Un altro grazie va in particolare alle ragazze che hanno
commentato: i vostri post mi hanno spronata molto a portare a termine questi
20capitoli.
La
canzone da cui prende il titolo
Anche
il titolo dell’Epilogo è tratto da una canzone: manco a dirlo, di Bruce Springsteen ( MA VA???)
SHIORI
è una bambina, Hanyou come Inuyasha, che si incontra
nei primi capitoli della storia. Non volevo creare un personaggio nuovo, e lei
era l’unica che poteva risultare “passabile” figlia di Sesshomaru e Kagura. (grazie ai capelli candidi…)
JAKOTSU:
si, lo so. E’ un po’ OOC. Mi sono permessa di
“plasmarlo” per inserirlo nella storia.
KAGURA:
(il mio personaggio preferito di Inuyasha) avevo pensato inizialmente di farla
morire davvero. Fatta fuori da Naraku.
Ma
SESSHOMARU:
… e chi se lo dimenticherebbe uno così?? Se esistesse
nella vita reale, non ci sarebbe la crisi delle nascite al mondo.
Ciao
a tutti, grazie di cuore.
Evil Cassy.