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Autore: Geneviev    07/02/2009    1 recensioni
Nell'aria il sentore della battaglia, sangue e dolore nella fredda brezza della sera che avanza.
Una giovane e innocente superstite condotta quale appetitoso gioiello al Signore vincitore...
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Genere: Dark, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Baci oscuri'
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Ombre

Agnello del peccato…

 

 

 

Ombre.

Cremisi.

Un battito. Il frastuono sopito della battaglia. Le urla dei combattenti, il tramestio chiassoso delle lame che scontrandosi crea scintille. Acciaio che odora di sangue.

E l’acre sentore di cenere e sudore, fruscio della signora morte. Cadaveri ammassati sul terreno fangoso, terra imbevuta di rosso, trucidata da armi nere. Una nenia sofferente che sovrasta il sibilo del vento, gli occhi sbarrati di quei mostri prima che la vita sfugga insieme al respiro. Il fetido odore del fuoco pregno di carne, sangue che bolle.

La disfatta. La vittoria. Il maniero era perduto, conquistato. Il malvagio Re Boeman era stato sconfitto, la sua testa mozzata giaceva innanzi alla porta del salone, accanto allo scudo nero, frantumato.

Del suo esercito non rimaneva che qualche morente derelitto, che sarebbe stato finito dai guerrieri che avevano invaso le terre oscure.

La sera stava per giungere, il crepuscolo riempiva di un cangiante rosso il cielo terso e i raggi sanguinolenti accarezzavano i carri anneriti dal fuoco, fracassati dai colpi di spada, accanto alle picche lorde sopra cui erano infilzate le teste degli sconfitti.

I corridoi bui del castello erano silenziosi, la desolazione regnava sulle pareti di pietra macchiate di sangue, qualche salma che ostruiva il passaggio.

La sala delle armi e i magazzini del forte erano stati razziati, così come le stanze piene di ricchezze. L’ordine era quello di prendere e non perdonare.

Raakin, luogotenente di Ihorve, era l’ultimo rimasto, i suoi pesanti passi riecheggiavano negli anfratti oscuri delle segrete maleodoranti. I soldati avevano eseguito perfettamente gli ordini del loro Signore.

Uno squittio all’improvviso nel silenzio, forse un superstite, e l’uomo massiccio dalla barba arruffata e rossa sfoderò la spada in pochi secondi. Entrò nella sala da dove aveva sentito provenire quel gemito. Era là, nell’angolo buio, dietro il tavolo di legno, in parte coperto da un grezzo panno bianco.

Scaraventò il mobile contro la parete con un gesto brusco e un grido rauco, la spada pronta a uccidere, e la ragazza si rannicchiò piangendo silenziosamente nell’angolo.

La maschera statica che era l’espressione dell’uomo rimase ferma e immobile, mentre abbassava la spada. Fissava la ragazza con i penetranti occhi neri.

Piccola e indifesa, con le braccia pallide a coprire il capo nascosto, adorno degli scuri capelli scomposti. Una veste da camera color latte ridotta a brandelli riusciva appena a coprire il suo corpo minuto e aggraziatamente sensuale.

"E tu chi sei?" chiese con la roca voce profonda.

La giovane alzò infine lo sguardo. Gli occhi color ambra, lucidi e arrossati, si posarono sulla figura di lui con un’espressione implorante, quasi disperata. Non rispose.

Raakin la osservava in silenzio. Pensò al suo Signore, rinchiuso nella gabbia di dolore in cui aveva deciso di vivere, se quello si poteva definire vivere. Il tormento che tempestava la mente e il cuore di quell’uomo che nonostante la giovane età aveva condotto il suo esercito alla vittoria contro Boeman. Un ragazzo che aveva abbandonato la sua umanità per dedicare la sua esistenza alla battaglia, e che non si concedeva nessuna gratificazione.

"Portatemi via di qui" disse lei in un filo di voce soffice e infelice.

Nella sua poca delicatezza, si chinò e l’afferrò per un braccio alzandola di peso. Poteva considerarsi un tesoro trafugato dai possedimenti del malvagio Re, vista la sua bellezza, e non una prigioniera.

La condusse all’esterno e lei si riparò gli occhi con un gesto leggero, come se non vedesse la luce, per quanto ormai crepuscolare, da anni. La coprì con il primo mantello che trovò, fra i mormorii silenziosi dei soldati, e la fece salire in sella. Solo allora si accorse che era scalza.

Salì con lei a cavallo, cercando di scaldare il suo freddo corpo attraverso il suo calore. Dopo quasi due ore al galoppo raggiunsero il castello di Ihorve.

Raakin rivolse uno sguardo alla ragazza, dopo averla fatta scendere dalla sella nel cortile desolato del maniero, un ordine silenzioso di seguirlo senza fiatare, e così lei fece. La portò all’interno, dove il tepore del fuoco che brillava in ogni camino scacciava lo spirito del freddo inverno che regnava fuori.

Attraversarono alcune porte e camminarono fino alla fine del corridoio, poi salirono diversi piani di scale. Arrivati alla penultima rampa, il guerriero si fermò e si voltò verso di lei.

"Sali le scale e attendi la venuta del mio Signore" disse austeramente.

Le labbra della ragazza si dischiusero appena nello stupore. Era stata salvata dalle nere celle di Boeman, e ora era solo un trofeo della vittoria, un piccolo premio. Abbassò gli occhi dalle iridi dorate, silente e ancora immobile.

"Fallo come un favore personale, per non averti trapassato da parte a parte" aggiunse lui, cinico e severo. La giovane tornò ad osservarlo, con uno sguardo forse spaventato, melanconico e infinitamente bello nella sua dolcezza, quindi si avvicinò ai gradini per iniziare a salirli.

"Donagli un sorriso" la richiamò la voce profonda e ora gentile di Raakin, quasi supplicante. Lei si voltò per un momento, ricambiando il suo sguardo e riprese a salire le scale.

L’uomo sospirò, sperando, cosa che mai faceva, e per quanto la considerasse una cosa mera, che il suo Signore avrebbe gradito quel dono, che quella giovane lo facesse sorridere davvero.

 

Vanya continuò a salire i gradini di fredda pietra, posando le mani candide sulle braccia, come cercando di ripararsi dal gelo che sentiva. Arrivata alla fine, si ritrovò in un’immensa camera da letto.

Diversi tappeti dai colori scuri e dai fregi simili a ombre malvagie coprivano il pavimento, e alle pareti erano appesi drappi porpora pregni di tenebre, come intrisi di sangue. Nel camino, alto quasi quanto lei, ardeva un fuoco caldo e rincuorante che pareva proteggere la stanza dal male.

La ragazza mosse qualche passo per la camera, osservandosi attorno. Guardò per un attimo il letto a baldacchino al centro della stanza, coperto di coltri e pellicce morbide. La sua attenzione fu poi catturata dallo specchio sulla parete, accanto al mobiletto sopra di cui erano posati un bacile e due caraffe piene di acqua tiepida. Osservò la sua immagine riflessa.

La pelle bianca come neve, coperta di polvere e macchie rosse. Il vestito pieno di strappi, sembrava stare insieme per qualche magia. Abbassò lo sguardo come imbarazzata da se stessa, poi fece scivolare l’abito dalle spalle, rimanendo completamente nuda.

Prese il panno e lo immerse nell’acqua che versò nel recipiente e lentamente lasciò che scorresse sul suo corpo. La stoffa candida accarezzò le guance del viso aggraziato, le spalle minute, il seno maturo, le braccia, il ventre e le gambe sensuali, portando via tutto il fango e il sangue di cui si andava riempiendo, lasciandola splendidamente bellissima.

Si avvicinò al letto e timorosa vi sedé sopra, accarezzando la soffice pelliccia fulva che era posata sopra. Un brivido di freddo le attraversò la schiena e portò le mani alle spalle, proteggendo il petto, quindi cercò di coprire il corpo nudo con la morbida pelliccia. Posò la schiena ai cuscini e tremò pensando di non aver mai toccato niente di così comodo in vita sua.

I suoi occhi si socchiusero, e quando il sonno iniziava a farsi avanti, sentì dei passi provenire dalle scale. Dopo poco vide apparire un alto ragazzo dai capelli scuri, vestito da battaglia, muovere qualche passo nella stanza e solo dopo accorgersi della sua presenza. La fissò con i freddi occhi azzurri, schiudendo appena le labbra e lentamente si avvicinò al letto. Dentro di se sorrise pensando a Raakin e alle sue parole: "Un dono per voi, lo meritate".

La giovane si mise a sedere, cercando di coprirsi, mente timidamente le sue gote si coloravano appena mentre l’uomo la fissava. Era la creatura più bella su cui avesse posato lo sguardo. Minuta e aggraziata, pallida, coperta solamente da quella pelliccia fulva, i capelli scuri scomposti a incorniciare il viso delicato e lo sguardo innocente e indifeso che gli donava con quegli occhi color dell’oro.

Lei rimase in silenzio osservando timorosamente il ragazzo che le era dinanzi. Alto, le spalle larghe e il corpo giovane e atletico, i capelli scuri, appena mossi e spettinati che sfioravano le spalle, incorniciando il viso severo e austero, lo sguardo profondo e penetrante che le donava con gli occhi celesti, freddi e taglienti come la lama che portava al fianco.

"E tu chi sei?". La sua voce calda ruppe il silenzio, come un cristallo frantumato in un giorno di pioggia.

"Non so nemmeno chi siete" un pensiero ad alta voce, mentre appena muoveva il capo "So solo che siete il Signore di questo castello e che avete sconfitto Boeman con il vostro esercito, e sono nuda nel vostro letto…" replicò lei. Lui la fissò immobile per un lungo momento poi sorrise vagamente.

"Me ne compiaccio" disse andando a slacciare la cintura d’armi che reggeva la pesante spada. Fece qualche passo per ritrovarsi a lato del letto e tolse il camaglio che portava sulle spalle e la cintura di pelle che stringeva la tunica, lasciando che cadessero sul pavimento.

"Non hai risposto alla mia domanda" le fece notare senza guardarla.

"Il mio nome è Vanya" rispose mentre lui si sfilava la tunica grigia strappata e macchiata, mostrando il torace possente, pieno di lividi e ferite. La ragazza chiuse gli occhi distogliendo lo sguardo. L’uomo si avvicinò al bacile e osservò il panno bagnato e macchiato che la giovane aveva usato poco prima, quindi lo prese e lo avvicinò al viso socchiudendo gli occhi. Lo immerse nell’acqua pulita di una caraffa e iniziò a passarlo sul petto.

"E’ un nome splendido".

Vanya tornò a fissare la schiena di lui, le sottili sopracciglia appena corrugate in un cipiglio leggero, come sentisse dolore per le ferite che attraversavano la pelle di quell’uomo. Lui si sedette sul letto, dandole le spalle.

"Qual è il vostro nome?" uscì dalla rosea bocca.

"Imrik Narvinye delle Terre di Ihorve".

"State sanguinando…" appena un sussurro, mentre si avvicinava appena al ragazzo.

"Si" rispose lui.

"Lasciate che vi aiuti" disse mentre tendeva una mano verso il panno bagnato, rimanendo alle sue spalle. Imrik lasciò che lo prendesse.

"Cosa ci fai qui?". La ragazza poggiò delicatamente la mano fresca sulla sua schiena e avvicinò la pezza al sangue.

"Ero nelle segrete del Re… a un tratto è diventato tutto così movimentato e rumoroso. Mi sono svegliata di soprassalto. Erano tutti più rabbiosi del solito e continuavano a urlare qualcosa… ho capito che il forte era stato attaccato. Mi sono nascosta nella sala delle guardie senza che nessuno si curasse di me. Avevo paura. Non so quanto tempo sono rimasta lì immobile. Poi, quando tutto sembrava più lontano, è arrivato uno dei vostri uomini, con la barba rossa, e mi ha portato via… mi ha portato qui". La sua voce era carezzevole e delicata, come i suoi gesti. Raccontò tutto piano, mentre puliva le ferite sulla sua schiena muscolosa e pallida.

"Ti ha fatto qualcosa?".

"No. Mi ha solo detto di farvi sorridere" rispose lei fermandosi per un attimo, fissando quelle lesioni raggelanti.

Avvicinò lentamente il viso a quel corpo e, socchiudendo gli occhi, posò le labbra su quel taglio sanguinante, baciando la pelle lacerata con dolcezza.

Il ragazzo chiuse a sua volta gli occhi e trattené un sospiro nella bocca. Si girò per poterla osservare in viso, per poter mirare il suo splendido viso. Nessuna espressione mosse il viso di lui, freddo e austero.

"Come siete arrivata nelle segrete di Boeman?". Vanya inumidì le labbra, poi abbassò lo sguardo.

"Ha attaccato il villaggio dove sono cresciuta" disse, dopo un lungo silenzio "Ha ucciso mio padre, e i suoi uomini hanno trucidato mia madre e i miei fratelli. Ho cercato di fuggire nei boschi…". Imrik ascoltava in silenzio, osservando la sua bellezza e la sua sofferenza.

"E a te cosa ha fatto?".

La ragazza alzò lo sguardo limpido e stupito incontrando i suoi occhi azzurri, abbassandolo poi sul taglio che gli attraversava il pettorale destro, le labbra appena socchiuse, e riabbassò subito gli occhi dorati, sentendo un enorme dolore nel cuore. L’uomo allungò una mano, poggiandola alla sua guancia candida, accarezzandola con delicatezza. Si fermò a osservare le spalle nude e il seno che la pelliccia non copriva. Respirò profondamente.

"Parlami ancora, la tua voce è splendida" disse piano, a pochi centimetri da lei.

Vanya alzò la mano e avvicinò il panno al suo petto, sfiorando delicatamente il sangue che lo sporcava, lo sguardo fisso, malinconico.

"Di cosa volete che vi parli?".

"Di quello che vuoi" ribatté lui con un sussurro, accarezzando con le dita nodose il suo volto. La giovane socchiuse le labbra come per parlare, ma rimase in silenzio per un lungo attimo.

"Avrei dovuto sposarmi dopo un mese. Mia madre aveva appena finito di confezionare il mio abito… il mio futuro sposo era il giovane figlio del fabbro e mio padre gli avrebbe donato ottocento monete in dote" la voce dolce iniziò a farsi fragile "lo vidi morire davanti ai miei occhi. Voi…".

La ragazza fu interrotta. Imrik si era proteso verso lei e aveva posato le labbra sulle sue, portando una mano dietro la sua schiena, accarezzando la pelle morbida e liscia. La strinse a sé, sentendo il suo corpo fragile e delicato contro il petto, le sue mani piacevolmente fresche dietro al collo, che sfioravano i capelli mossi.

Vanya si abbandonò al suo abbraccio, sentendo il suo sapore nella bocca, il tocco affabile e avido della sua lingua. Le mani del ragazzo iniziarono a scorrere lentamente, premendo dolcemente quel corpo, costatandone la delicatezza. Piano salirono lungo la spina dorsale per poi fermarsi e stringersi sulle spalle esili, mentre la baciava con veemenza.

Si scostò appena da lei per osservare il suo viso, gli occhi chiusi, le labbra che boccheggiavano aria. Tuffò poi la testa sulla sua spalla e posò le labbra sulla pelle sottile del suo bianco collo, e una delle sue mani scese a lambire adulandole il fianco e l’altra, sfiorandole il seno.

La fanciulla si strinse contro di lui, inarcando la schiena, affondando le dita affusolate fra i suoi capelli scuri. Un gemito sommesso le sfuggì dalle labbra quando quel bacio affamato le si impresse sulla gola. Strinse le dita afferrando le sue ciocche e lo allontanò appena da sé per abbassare gli occhi ambrati sul suo viso.

Imrik socchiuse di nuovo gli occhi e cercò le sue labbra per lusingarle con un bacio dolce e passionale che cresceva d’intensità. Si mise sulle ginocchia, stringendola contro di sé, per farla distende e poi sdraiarsi su di lei.

Tolse la pelliccia che divideva ancora i loro corpi e godette dalla sensazione che gli donava la pelle candida della giovane contro quella del suo petto martoriato. Fece di nuovo scorrere le labbra fino al mento, baciandolo, scendendo sul collo, leccando poi la clavicola e scivolando sul morbido e soffice petto di donna. La mano discese lenta ad accarezzare il fianco, disegnando arabeschi attorno all’ombelico, premendo delicatamente il pollice sul dolce ventre.

Le carezzò una coscia e piano la mano scorse smaniosa, arrivando infine al suo ginocchio, e mentre la baciava con ardore sulla bocca, abbassò la mano verso la coperta lanosa allargandone le gambe. Sentì di nuovo le sue dita fra i capelli, massaggiargli e torturargli la cute.

Provò il malsano desiderio di averla con violenza, di profanare quel corpo fragile come corolla di un fiore. Sentì le sua mani slacciargli i pantaloni di pelle. Aprì di scatto gli occhi e la vide ingenuamente arrossata, con gli occhi serrati e la bocca dischiusa, offrirgli la propria gola, con la schiena inarcata e il petto che premeva contro di lui. La sua bramosia crebbe fino allo spasmo.

All’improvviso, dei sussurri nella sua testa. Una voce sconosciuta, sibilante e cocente, lo straziava recitando in una lingua arcana. Mormorii della terra dei morti. Tutto si fece lento, molto più lento, e ovattato.

Avvertì le mani di Vanya sul viso, carezzarlo amabilmente, donandogli una sensazione di sollievo. Non riusciva a capire, si sentiva come intontito, vedeva solo il suo lieve sorriso.

Le dita della ragazza si spostarono sul suo collo, fresche e delicate e Imrik si ritrovò seduto in ginocchio con il corpo di lei avvinghiato al suo. I lunghi capelli scuri della giovane solleticavano le sue mani che le toccavano la schiena liscia.

E poi…

 

I canini affilati e bianchi penetrarono nel muscolo del collo, e subito la linfa rosso rubino stillò dalle nuove ferite a bagnare le labbra affamate.

Un gemito di dolore sfuggì all’uomo che non riuscì a fare altro che rimanere immobile, fissando un punto indefinito con le labbra dischiuse, impietrito.

La ragazza ghermì quel corpo possente e attraente. Posò le mani sulle sue spalle larghe, poi lo abbracciò, andando ad accarezzargli la schiena atletica.

Iniziò a succhiare avidamente il sangue, riempiendosi la bocca di quel caldo umore, forte e appagante, per poi inghiottirlo, lasciando che estasiasse ogni fibra del suo freddo e bianco corpo.

Nel piacere massimo del suo cupido pasto, vide il fuoco. La pioggia battente, rumore di frettolosi passi nel fango e lo scintillio di una lama. La battaglia, urla e strepitii, sferragliare di colpi di spada e il pesante tonfo della morte che schianta a terra i perdenti. Il tormento, l’odio e la frenesia, una mente accecata dalla notte. Vide una vita fatta di solitudine e dolore.

Si staccò prima di scoprire altro su quel ragazzo alto, con i capelli bruni, che ora era pallido e debole. Prima di capire meglio la sua storia e la sua vita, perché aveva paura che potesse trascinarla con sé nel suo terrore. Preferiva non arrivare a provare amore per lui.

Le si accasciò contro e lei lo fece stendere sulla schiena. Aveva gli occhi sbarrati e respirava affannosamente e a fatica, come avesse un peso opprimente sul petto. Il collo ancora sanguinante.

Vanya, la piccola vampira, si avvicinò al Signore di Ihorve e leccò le ferite che gli aveva procurato.

"Che… co…?".

"Shh…" lo zittì lei dolcemente "Non parlate. Non vi ucciderò".

Imrik tremò appena, cercando di alzare una mano per allontanarla da sé, lo sguardo ancora sbalordito. La ragazza prese la sua mano debole e la baciò teneramente. Poi si chinò sul suo corpo spoglio e iniziò a leccare la ferita che gli attraversava il pettorale destro.

Lentamente scese lambendo la sua pelle, fino ad arrivare agli addominali, baciandolo con calore, sfiorando ogni taglio con la lingua.

Il ragazzo rimase disteso sulla schiena, sentendo il minimo peso di lei su di sé, gli occhi sbarrati guardavano l’alto soffitto a volte. Respirava profondamente e tremava ogni volta che sentiva i suoi peccaminosi baci procurargli nuovo dolore ed estremo piacere nello stesso tempo. E, mentre la sua bocca scendeva lentamente lungo il suo corpo, pensò che non lo avrebbe ucciso, ma si… lo avrebbe fatto impazzire.

   
 
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