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Autore: Iurin    07/09/2015    9 recensioni
La guerra è finita. Voldemort è morto, i defunti vengono sepolti, i feriti vengono curati.
E, a differenza di quanto accade nel settimo libro, Piton sopravvive.
Però è stato comunque morso da Nagini, quindi non se la passa per niente bene, infatti deve essere costantemente seguito da una guaritrice, Serena O'Dampand, che andrà a stabilirsi a Spinner's End insieme al professore.
E Piton, ovviamente, non ne è affatto contento. Ma tanto non sembra soddisfatto di niente, ormai: a cosa gli serve vivere?
Questa storia narra la riabilitazione di Piton, i suoi pensieri, la sua malattia. E chissà che lui non guarisca davvero - da tutto, però.

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«Basta. La tua vita si è conclusa alla Stamberga Strillante. Quello che vivresti d’ora in poi sarebbe solo un… riflesso. Un fantasticare costantemente – e penosamente – su quello che avrebbe potuto essere e che invece non sarà mai.» (Cap. 3)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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Epilogo
 
 
Il rumore dei fuochi d’artificio invadeva l’aria.
Non li guardavi, non ti interessavano; d’altronde ti eri sistemato in un punto del salotto dal quale, anche guardando per sbaglio fuori dalla finestra, non avresti rischiato di catturare con lo sguardo luci luminose che esplodevano in cielo.
Al massimo, se proprio gli occhi, in un momento di disubbidienza, avessero seguito il rumore e i rombi lontani, avrebbero incontrato solo il riverbero colorato contro le tende alla finestra del salotto. E così hanno fatto. Si sono imbattuti nel rosso scarlatto, nel verde brillante, nel luminoso giallo, nel blu elettrico, addirittura.
Ti sono sembrati i colori delle Case di Hogwarts.
Ma poi altre sfumature si sono aggiunte a quelle, e il pensiero è volato via, lontano, raggiungendo gli ultimi secondi di quell’anno appena finito, spariti anch’essi tra la trama di quella cosa chiamata ‘Passato’.
Il duemila, il nuovo millennio. Un evento storico, e tu di eventi storici ne hai vissuti a sufficienza, diversi anche in prima persona.
E tutto, in quel momento, è come se ti avesse detto – sì – che non era solo un semplice nuovo anno, quello che, in quel momento, gli inizi del primo gennaio portava sulla propria scia; era il primo anno del nuovo millennio. Il duemila, un bel due con tre zeri in fila, così candidi, così tondi, senza spigoli e interruzioni. Un anno che finisce con zero ha al suo interno le promesse dell’infinito, uno che ne aveva tre ne portava con sé l’imposizione.
Era come… Era come un sogno. Come una piccola e fastidiosa visione che era venuta a visitarti, entrando dalla tua finestra sulla scia di quelle luci colorate. Come un piccolo e altrettanto seccante Pix, ma immaginario.
Il Tempo. Un ometto con gli occhiali e la tuba, il panciotto e le ghette; i baffi che parevano due lancette per le ore e i minuti; snello, perché il Tempo non riesce a star fermo nello stesso posto per più di un fuggevole secondo, così piccolo e incalcolabile. Difatti saltava, il Tempo. Saltava come un matto, di mattonella in mattonella, si appendeva per un breve istante al lampadario, dondolava. Hai sferrato uno schiaffo alle sue gambe quando è saltato sul bracciolo della tua poltrona, ma sei riuscito a colpire solo l’orlo dei suoi pantaloni.
“Che cosa vuoi?” gli hai chiesto.
“Son più vecchio, son più vecchio!”
“Chiunque è sempre più vecchio, ogni secondo di più. Tu più di chiunque altro.”
“Ho ventun’anni, sono appena diventato maggiorenne negli Stati Uniti d’America. Oh, non è estremamente divertente questa faccenda?”
“Anni?”
Il Tempo si è messo a ridere.
“Un mio anno è un millennio, mi sentirei troppo vecchio davvero, a contarli tutti uno per uno. E non ho neanche i capelli bianchi, non è un po’ un controsenso?”
E’ saltato sul divano, e tu ti sei limitato ad osservarlo, perplesso. Stranamente, i cuscini non si sono scomposti affatto.
“Che cosa vuoi?” hai chiesto.
“Darti il benvenuto,” ti ha risposto l’ometto saltellante, “tu cominci come comincio io, come questo anno nuovo.”
A forza di seguirlo nei suoi continui movimenti, hanno cominciato a farti male gli occhi.
“Io non comincio. Ho quarant’anni, sai? Fra poco più di una settimana. Vado verso il declino. A quanto pare, sono più vecchio di te.”
“Ma il mio tempo non è uguale al tuo, io sono il mio stesso tempo!”
Un salto a destra, uno a sinistra.
“Non posso stare fermo,” ha continuato, “prima sono in un punto, poi in un altro, ed ogni secondo è anche un nuovo inizio. Tutto è sempre nuovo. Tutto sempre ricomincia!”
“Nuovo? Vai così veloce che sarai stato negli stessi luoghi milioni di volte. Nulla di nuovo, per te.”
“Persino questa tua casa ogni momento è sempre nuova, ogni mattonella diversa da quando l’ho visitata giusto dieci secondi fa. Tutto scorre – Panta rei!
“Non è più tempo per gli inizi,” hai sentenziato.
“A me vieni a dire per cosa è tempo e cosa no? Sono io che decido, in queste faccende.”
Tu decidi?” hai ridacchiato, non potendone fare a meno. “Ognuno è padrone delle proprie azioni.”
“Ma il tempo! Se non c’è tempo per mettere in atto le tue azioni, l’importanza stessa delle tue azioni non può che svanire nell’aria.”
“Il mio tempo è già stato tempo fa.”
“‘Tempo fa’ è passato, e il passato neanche io lo colgo più. Passato è Passato, ed è un ombra che mi segue e mai mi raggiunge. Fastidiosa. Con il fiato sul collo. Anche se a volte ci piace giocare al gioco dei mimi. Passato è dietro le spalle. ‘Tempo fa’ non va bene, io direi ‘Tempo ora’,” ha fatto una piccola pausa, a questo punto, e ti si è fermato, con le gambe piegate e sulle punte dei piedi, direttamente sulle tue ginocchia. “Il tuo ‘Tempo fa’ continua con il tuo ‘Tempo ora’, perché, se, dopotutto, Passato ti piace, puoi riprenderlo e continuare da lì, proprio dove ti sta aspettando.”
“E dove? Dov’è che mi aspetta?”
“In Scozia.”
 
La tua dispensa è sempre la solita dispensa di sempre, il solito angusto sgabuzzino, la solita… stanzetta claustrofobica.
Ti piace.
Te ne avevano offerta una più grande, ma tu hai rifiutato, sebbene potesse rappresentare un piccolo dono che il corpo docenti aveva deciso all’unanimità di assegnarti.
Non fa nulla, tu, sul momento, hai di gran lunga preferito il buco che avevi sempre avuto. Se al Passato devi riagganciarti, allora il Passato deve essere così come l’avevi lasciato.
O quasi.
Forse è anche per questo stesso motivo che hai rifiutato la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure, rispondendo con un:
“Vorrei tornare a insegnare Pozioni. Se per te va bene, Minerva.”
Perché il Passato a cui vuoi riagganciarti non è quello in cui eri apparentemente servo del Signore Oscuro, no; vuoi tornare a qualche mese prima, a quando i tuoi studenti ti odiavano solo perché eri un professore fin troppo severo, a quando Albus era ancora vivo.
Sali la solita scaletta nella tua solita dispensa. Poggiati a terra, sotto di te, ci sono barattoli, scatole e boccette che hai appena acquistato o preparato, pozioni, antidoti di precauzione, gli ingredienti più vari, miscele ancora calde del fuoco del calderone.
Ti tieni alla scaletta con una mano, mentre con l’altra, agitando piano la bacchetta, con delicatezza, lanci alcuni ‘Wingardium Leviosa’ non verbali per far salire verso l’alto tutti quegli oggetti in modo da poterli sistemare sulle mensole più lontane. Senza rompere niente, senza far danno.
Metti al suo posto una piccola scatola di Pelle di Girilacco – troppi ricordi nefasti, quell’ingrediente – e ti gratti la stoffa nera della veste, all’altezza del collo. La cicatrice ti prude sempre un po’, supponi che, così come rimarrà per sempre visibile sul tuo collo e su parte della mascella e del petto, così non smetterà di farsi sentire anche tramite dello stupido e fastidioso prurito.
Ma sai che sarebbe potuta andare peggio, per cui ti gratti e basta, senza fare troppe storie. Non ne vale la pena.
Poi continui a mettere a posto. Potresti startene rintanato lì per giorni, appeso alla scaletta lunga e stretta, e non sentiresti la fatica, ne sei certo. Hogwarts è come un flusso di adrenalina continua, che non fa sentire il dolore.
Ti sei davvero sorpreso, quando, nella tarda mattinata di un giorno di fine luglio del 2000, hai ricevuto una lettera da parte della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. La scuola aveva aperto già da un anno – l’avevi saputo sia da Mann che dai giornali, letti ogni tanto e di sfuggita – con una grande e maestosa festa ad annunciare la fine dei lavori di ricostruzione. I docenti scelti per riprendere gli insegnamenti erano gli stessi di quando occupavi il posto di Preside. Cattedre dei Carrow a parte: la nuova docente di Babbanologia non la conoscevi, e alla cattedra di Difesa hanno messo, stranamente, Aberforth Silente.
Ma forse è stato anche giusto così.
Per cui… Ah, la sorpresa, già. La sorpresa di quella lettera proveniente dalla Scuola, firmata non solo da Minerva – nuova Preside di Hogwarts – ma da tutti i tuoi ex colleghi.
Ti offrivano la cattedra a cui avevi sempre ambito e dietro la quale ti sei seduto solo per un annetto scarso.
Che avessero saputo che, giusto tre mesi prima, i tuoi arresti domiciliari si erano conclusi e che tu potevi considerarti di nuovo un uomo libero? Possibile, certo. Due conti li sanno fare tutti.
Ti convocavano per una riunione da tenersi di lì ad una settimana, in modo da fare il punto, ed è stato lì che hai rifiutato. Però, sei tornato ad essere il Maestro di Pozioni di Hogwarts.
Il fatto che Lumacorno abbia voluto tornarsene alla sua riposante pensione deve aver aiutato… in qualche maniera.
Non puoi descrivere la sensazione. Dovresti usare una quantità troppo elevata di parole, esprimere troppi concetti tutti così simili che poi finirebbero per risultare noiosi. In poche parole: ti sei sentito bene.
… Oh, sì, la reclusione forzata era finita. Hai potuto salutare Mann lo stesso giorno in cui ti ha portato al Ministero della Magia per farti firmare una serie di pergamene – tanto per attestare che sì, è vero, hai scontato per intero la tua giusta punizione.
Prima di stringerti la mano, forse per la prima  e ultima volta, ti ha per forza voluto mostrare una fotografia di sua figlia, cosa che gli avevi sempre impedito di fare, un po’ per principio, un po’ per disinteresse, un po’ per pura e semplice antipatia.
Sulla fotografia che hai preso in mano sorrideva una sdentata bambina bionda con i capelli ancora troppo corti per poterli acconciare come si deve.
“Si chiama Lena,” ci ha tenuto a dirti Mann.
“Lena Mann, quale orribile condanna,” gli hai risposto, mentre gli riconsegnavi la fotografia, “Non sembra neanche troppo orrenda.”
Forse detta sorridendo sarebbe sembrata una battuta, ma tu non hai sorriso. Mann, ovviamente, non si è lasciato abbattere. Supponi che ormai ci avesse… fatto il callo, come dicono alcuni.
“Quando Lena sarà abbastanza grande da capire, le dirò che le ha fatto un complimento.”
“Non le ho fatto un complimento.”
“Ha detto che esistono bambini più orrendi di lei. Detto da lei, potrebbe sul serio essere quasi un complimento.”
“Il ‘quasi’ rende tutto più sopportabile.”
Per cui vi siete stretti la mano destra. Hai chiuso la porta, per una volta senza sbattergliela in faccia.
La mano destra, già. Dettaglio di non poco rilievo. Come il fatto che tu, ora, ad Hogwarts, nella tua dispensa, stia sistemando i tuoi effetti utilizzando entrambe le mani.
Come sembrano naturali, certi gesti…
Come sembrano scontati…
Come sembrano innocenti, innocui, privi di significato…
Come passano inosservati ai più…
Come nascondano, invece, mesi e mesi di travaglio.
Non hai smesso di prendere la pozione giornaliera, quella che – come aveva scoperto il professor Sherman – riusciva a tenere ‘addormentate’ le… particelle – o qualsiasi cosa fossero – del veleno di Nagini, sempre in circolo all’interno del tuo corpo, a braccetto con i tuoi stessi globuli rossi. Non se ne andranno mai. Per cui non dovrai mai smettere di prendere la pozione ‘miracolosa’, così come ogni quattro mesi dovrai andare al San Mungo per delle visite di controllo.
Gli inconvenienti di essere un sopravvissuto di una guerra. Magica, per di più.
Tutto ciò te l’ha detto lo stesso Sherman in uno dei vostri ultimi incontri, sempre spalleggiato dal suo fedelissimo Witherington.
“Forse lei non è il pessimo Medimago che credevo,” ti sei sbilanciato a dirgli.
Sherman si è messo a ridere, facendo vibrare i capelli e alzando verso l’alto le sopracciglia cespugliose.
“Un professionista è sempre contento di sentire parole come queste.”
Tu hai annuito.
“E per me non ha nulla?” Si è intromesso Witherington, a questo punto, neanche il tempo di farti smettere di muovere la testa.
“… Un lecca-lecca, se vuole,” è stata la tua risposta, e, quando hai ghignato, il ragazzotto ti ha guardato male.
Ah, i cari bei vecchi tempi.
Nel frattempo scendi dalla scaletta, dopo aver messo tutto al suo posto. Tuo nonno ti aveva detto, una volta, quando ancora non avevi neanche manifestato nessun potere magico, che ‘c’è un posto per ogni cosa e ogni cosa ha il suo posto’. Inconsapevolmente hai adottato tale regola, anche se poi tuo nonno non l’hai più visto in vita tua, per via del suo disgusto per te.
Ma questi sono altri discorsi, e ora, mentre richiudi la porta della dispensa, ritrovandoti nel familiare corridoio di Hogwarts, non è affatto il momento di far andare la mente così lontano.
È ora di pranzo, dopotutto: meglio concentrarsi sul tuo stomaco che, sicuramente, da qui a dieci minuti prenderà a brontolare.
È la fine di agosto, quindi. Hai già portato le tue valigie già nei sotterranei, prima di sera saresti partito nuovamente alla volta di Spinner’s End, per poi tornare al castello direttamente il primo di settembre, nel pomeriggio, per prepararti al banchetto di inizio anno.
Entrare nei sotterranei e in quelli che erano stati per quasi vent’anni il tuo ufficio, la tua aula e le tue stanze private… è stato un toccasana. Magari saranno comunque assegnate a te per altri vent’anni. Speri di più. Se proprio devi morire – e prima o poi morirai, probabilmente anche prima di un mago qualunque, vista la situazione – speri accadrà lì dentro.
Sarebbe anche un bel saluto nei confronti dei tuoi studenti: scioccandoli per un’ultima volta.
Fatto sta che l’odore di stantio e di chiuso, persino l’odore di polvere, l’odore di buio, l’odore del legno dei tavoli e del metallo dei calderoni… Hai voluto respirarlo a pieni polmoni, prima di andartene nella tua stanza e disfare le valigie. Almeno, una volta tornato il primo settembre, sarebbe stato già tutto al suo posto.
‘C’è un posto per ogni cosa e ogni cosa ha il suo posto’. Già. Un chiodo fisso, quel giorno.
Comunque, mentre ti dirigi verso la Sala Grande per il pranzo, ti rendi conto che prima dovresti passare nell’ufficio di Minerva – la Presidenza – per consegnarle le chiavi della dispensa, come è giusto che sia. Non puoi di certo portartele a Spinner’s End. Hai appena finito di scontare la tua condanna, non ci tieni ad essere accusato di furto o appropriazione indebita. O come diavolo si dica nel gergo più indicato.
Ti fermi di fronte al Gargoyle di pietra che conduce alle scale per la Presidenza. Sempre quello stesso Gargoyle, sempre lì di sentinella. Neanche la guerra ha potuto toglierlo dal suo posto.
“Silente,” dici, e la statua si sposta immediatamente.
La stessa parola d’ordine che hai usato durante l’anno in cui sei stato tu a ricoprire il ruolo di Preside. È… divertente. Ti fa quasi sorridere.
Quasi.
Stai proprio per salire quando, invece, è qualcun altro a scendere. Anzi, qualcun’altra, ma non si tratta di Minerva McGranitt. Una donna più o meno di mezza età, supponi, con gli occhi azzurri e i capelli castani, raccolti in quella che sembra essere una lunga treccia. È vestita addirittura con un tailleur. Quando ti scorge, rimane per un momento impietrita, tanto che potrebbe essere scambiata per una… collega del Gargoyle lì accanto.
Poi però è costretta a muoversi, quantomeno per farti passare. Infatti questo fa: si muove; però è per tenderti la mano.
“Non pensavo di incontrarla,” ti dice con una voce che vorrebbe sembrare il più sicura possibile, “sono… Amanda Little, l’insegnante di Trasfigurazione.”
“Ah,” rispondi, stringendole la mano – dovrebbe avere una presa più salda di quella che attualmente ha, “Severus Piton, Pozioni.”
Anche se forse lo sa già, chi sei. Pazienza.
“Piacere,” aggiunge lei.
Vedremo.
Questo è tutto. La signora Little se ne va e tu puoi finalmente andare a consegnare quelle benedette chiavi a Minerva. Bussi e la distinguibile voce di Minerva non può che dire ‘Avanti’.
Non appena apri la porta, però, ti accorgi che c’è un’altra donna nell’ufficio. Si erano per caso date tutte appuntamento lì? Che diamine era, una festa? Comunque. Un’altra donna, e di sicuro la conosci di più della Little appena incontrata.
“Ciao, Poppy,” la saluti.
Madama Chips si trova in piedi ad un lato della scrivania, Minerva in piedi accanto a lei. Supponi si stessero dirigendo anche loro in Sala Grande, dopo l’uscita dalla stanza della Little – qualsiasi fosse il motivo per cui si trovasse lì – prima che tu bussassi.
“Ciao, Severus,” è la sua risposta. “Come stai? Tutto bene?”
‘Bene’ è una parola fin troppo sottovalutata. E usata in maniera fin troppo superficiale.
“Bene,” dici, però. Di certo non ti va di metterti a fare… discorsi filosofici o altro, “sono stato al San Mungo la settimana scorsa.”
“E per il resto?”
“Bene anche lì.”
Fin troppo sottovalutata, già.
“Hai bisogno di qualcosa di particolare?” ti chiede, invece, la Preside McGranitt, giustamente intromettendosi nel discorso.
Ti infili la mano nella tasca destra ed estrai le famose chiavi.
“Ti devo lasciare queste, sono della dispensa.”
“Ah, giusto. Me ne stavo quasi dimenticando.”
“Ahi. La Preside già dimentica qualcosa? Non oso pensare cosa accadrà durante l’anno scolastico.”
“Taci, Severus, o ti licenzio. Adesso ho questo potere, sai?” Minerva ha incurvato le sue labbra rugose verso l’alto.
“Questo è un colpo basso.”
“Ce ne saranno molti, suppongo, quest’anno; facci l’abitudine.”
È Madama Chips ad inserirsi nel discorso, ora:
“Peccato non poter più assistere. Sarebbe divertente, immagino!”
L’hai guardata, inarcando appena un sopracciglio. Non hai bisogno di chiedere, la diretta interessata afferra… ‘al volo’ la tua domanda.
“Oh, sì. Vado in pensione,” ti spiega lei. “Avevo fatto domanda e Minerva mi ha appena detto che le è possibile accoglierla.” Poppy ha guardato la Preside ed entrambe hanno sorriso l’un l’altra. “Largo ai giovani, come si dice.”
“Largo ai primati, dico io,” commenti.
“Chi l’avrebbe mai detto, mh?” Minerva commenta il tuo commento.
Poppy, dal canto suo, si fa semplicemente una piccola risata, prima di parlare nuovamente:
“Sono sicura che non troverai problemi con chi mi sostituirà.”
“Lo spero. Ti auguro buon riposo, ma non vorrei grattacapi anche per quanto riguarda preparare le pozioni di cui necessita l’infermeria.”
“Oh, Hogwarts mantiene i suoi alti standard, per quanto riguarda il corpo docenti e non. Dico bene, Minerva?”
Minerva annuisce, andando poi ad aprire la porta.
“Ti abbiamo richiamato, no, Severus?” dice. “Se non è una prova di quanto dice Poppy, ne è perlomeno un indizio.”
Andate tutti e tre a pranzo, continuando a parlare del più e del meno lungo la strada. Dalla tua bocca escono meno commenti negativi del solito.
 
È il primo settembre, verso sera, ti trovi nella tua camera da letto, a Hogwarts, nei sotterranei. Sei davanti allo specchio, e stai giusto finendo di sistemarti il mantello sulle spalle. Alzi il braccio destro con una lieve smorfia, cercando di far scorrere meglio la stoffa nera su di te, in modo da calzare l’indumento come si deve. Una piccola sistemata ancora e sei pronto.
Incontri alcuni dei tuoi colleghi lungo le scale, tra cui Sibilla – è ancora qui, già – nonché Silente, e con loro raggiungi la Sala Grande per il banchetto di inizio anno. Sai che gli studenti sono già arrivati – tutti a parte quelli del primo anno – e che sono già seduti tutti alle loro tavolate.
Tu cammini, senza fare rumore.
Dietro la porta laterale che si apre direttamente sulla tavolata destinata ai docenti sono già ammassate altre persone, tutti insegnanti o, comunque, del personale scolastico. Ancora però nessuno apre la porta, rimanete tutti lì dietro, e siete parecchi. Riesci a scorgere giusto qualche testa castana, bianca, bionda o calva, ma non a chi appartengono.
Sembrate pecore dentro un recinto, in attesa del pastore.
Cominci a sbuffare.
Però il pastore arriva nella figura di Minerva McGranitt.
“Ci siamo tutti?”
Sì, sei tu che sei la ritardataria,’ avresti voluto rispondere. Minerva si è posta a capo della fila e ha aperto la porta, entrando in Sala Grande. Voi l’avete seguita camminando più o meno in fila indiana.
Gli studenti, che prima avresti potuto udire parlottare, ora fanno silenzio. Sei sollevato di entrare in gruppo, e non da solo. Ma, in tutto ciò, mantieni perlopiù lo sguardo basso, o dritto di fronte a te, sulla nuca di Pomona, che ti cammina davanti. Non ci tieni a guardarti intorno, neanche fossi un bambino di undici anni che non ha mai visto la sala in cui ti trovi. Durante la cena avrai tutto il tempo del mondo per osservare la massa degli studenti che hai di fronte. Nonché avrai la possibilità di sentirti osservato più di quanto preferiresti.
Vi sedete tutti, sistemandovi, e, prima che abbiate il tempo anche solo di pensare alcunché, le porte principali della Sala Grande si spalancano, introducendo la solita massa di bambini capeggiati da un sempre minuto Filius Vitious, mentre un sempre mastodontico Hagrid è appena entrato dalla porta laterale per sistemarsi anche lui al tavolo dei docenti.
Sì, Vitious. Essendo Minerva diventata Preside, la carica di vicepreside è andata a lui, per cui sarà l’insegnante di Incantesimi ad occuparsi dello Smistamento.
Interessante e divertente come, di fronte a te, non vi sia solamente il consunto sgabello con sopra l’altrettanto consunto e sempiterno Cappello Parlante, ma anche un altro sgabello, lievemente più basso, destinato sicuramente allo stesso Vitious.
… Oh, ti viene giusto adesso in mente: Minerva ora non può più ricoprire la carica di Capo Casa Grifondoro. Devi assolutamente informarti su chi sia il suo successore. Non puoi rinunciare ai tuoi soliti commenti durante le future partite di Quidditch, e quale bersaglio più… perfetto potresti trovare, se non quel Capo Casa?
“Benvenuti ufficialmente ad Hogwarts,” è la prima cosa che dice Filius, una volta raggiunta la sua postazione.
Sì, la sua postazione consiste in quel secondo sgabello. Sì, è divertente.
“Prima di lasciare la parola alla nostra Preside,” continua lui, voltandosi appena proprio verso Minerva, “procederemo con la cerimonia dello Smistamento. Io poserò il Cappello Parlante sopra la vostra testa e voi verrete Smistati in una delle quattro Case di Hogwarts, che già, immagino, conosciate di fama: Grifondoro, Corvonero, Tassorosso, Serpeverde.” Una piccola pausa, tanto per riprendere fiato. “Bene, mi sembra di aver detto tutto. Ah, ovviamente, una volta Smistati, andate a sedervi alla tavolata giusta! Vediamo chi è il primo… Abbing Alice, prego, tocca a te!”
Lo Smistamento dura una buona mezz’ora. Il tuo stomaco non ne è propriamente contento.
Quando tutti i ragazzini, finalmente, si sono uniti alla tavolata che spetta loro, rimpolpando i ranghi di ciascuna delle quattro Case, i due sgabelli e il Cappello Parlante vengono messi via e Filius si siede al suo posto. Minerva, invece, si alza in piedi, andando al leggio riservato al – o alla, come in questo caso – Preside, quello stesso posto occupato da Albus per almeno cinquant’anni (tiri a indovinare) e da te solo per uno, pronta a pronunciare le parole di benvenuto, come di consueto. Speri durerà poco.
“Ragazzi e ragazze,” comincia, allora, “buonasera. Benvenuti ad un nuovo anno scolastico alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Se lo scorso anno eravamo… entusiasti di poter annunciare la riapertura della scuola, quest’anno siamo tutti più che contenti di constatare che il castello sia ancora tutto qui. Evidentemente i nostri… carpentieri hanno davvero saputo portare a termine il loro compito.”
Dalla massa di primati si alza qualche risatina. Da quando Minerva fa battute?
“Ma veniamo a noi,” riprende lei, “c’è stata qualche piccola variante, nel nostro corpo docenti. Nulla di grave o di stupefacente, al contrario: voglio che da questo momento in poi, per i mesi che verranno, il vostro comportamento sia esemplare, qualsiasi sia l’insegnante che vi si pari di fronte. Patti chiari, amicizia lunga, signorine e signori.”
Non ha fatto nomi. Ma sai di averci a che fare. La ringrazi mentalmente.
“Sono solo due le questioni di cui rendervi partecipi. Prima cosa: il professor Lumacorno è andato in pensione questa estate. La sua cattedra è stata affidata al professor Severus Piton, di ritorno dopo essersi preso un paio di… anni sabbatici. I più grandi di voi lo conosceranno sicuramente di già.”
Ti aspettavi qualche mormorio, quelli a cui sei sempre stato abituato, i bisbigli, le frasi sussurrate all’orecchio. Invece, sul momento, c’è un vero e proprio silenzio tombale. I fantasmi di Hogwarts, agli angoli della Sala Grande, sembrano più vivi di quei ragazzini seduti a fissarti.
Poi, però, comincia l’applauso. Quello di circostanza, quello che viene fatto a tutti i… nuovi arrivati, quello che dura tre secondi scarsi.
Eppure, raggiunti i quindici secondi, stanno ancora applaudendo, e tu guardi la schiena di Minerva con cipiglio interrogativo. Lei è costretta ad alzare la mano per far tacere tutti.
“Bene. Il secondo punto riguarda un altro nostro neo-pensionato. Madama Chips è andata anche lei a godersi il meritato riposo,” si ode qualche piccolo e incontenibile, evidentemente, ‘oooh’, “al suo posto vi presento la nostra nuova infermiera: ha lavorato al San Mungo fino a poco tempo fa, ed è molto qualificata. La signorina Serena O’Dampand si occuperà di tutti voi, doveste mai cacciarvi nei guai. Cosa che mi auguro per voi non accada.”
Perfetto. I due punti sono stati esposti, ora il saluto, Minerva avrebbe dato il via al banchetto e quindi sareb— Un momento.
Cosa?
Mentre il piccolo applauso di benvenuto è ancora in corso tu non puoi fare altro che agire di istinto: ti pieghi in avanti, quasi a toccare il tavolo con il petto, in una posizione del tutto scomposta e poco professionale e sicuramente non molto autoritaria, ma… O’Dampand?
Nel marasma generale, non l’avevi vista. Ma è veramente lei o si tratta di un caso di omonimia?
No, è lei: la scorgi, da quella posizione, con un piccolo sorriso imbarazzato, gli occhi rivolti alla Sala Grande.
Ti rimetti dritto.
Perché non ti ha detto che sarebbe venuta a lavorare ad Hogwarts? Lei lo sapeva che ci saresti stato anche tu? Perché non ti ha scritto? E quando Minerva ha fatto il tuo nome, anche lei si è chinata in avanti per provare a guardarti? Come diavolo ha fatto a non sapere che avresti lavorato lì? I tuoi stessi colleghi supponi ne abbiano parlato per giorni! Che sia arrivata a Hogwarts il giorno stesso?
Salazar. Il mal di testa.
Ti è passato l’appetito, e neanche ascolti le ultime parole di Minerva, la vedi semplicemente sedersi al suo posto, accorgendoti in ritardo che i vassoi vuoti si sono già riempiti di cibo, come sempre.
Non puoi risolvere la questione ora, non puoi alzarti e andare a scambiare quattro chiacchiere con O’Dampand come se nulla fosse, e neanche lei può. Cioè… Credi, almeno, che non possa. Ma d’altronde è ora di cena, non sta bene gironzolare ovunque con il cibo già nei piatti.
… Che diavolo stai dicendo, si può sapere?
No. Dopo cena. Dopo cena la situazione sarà più tranquilla.
 
Quando il banchetto si conclude, dunque, aspetti che tutti gli studenti escano dalla Sala Grande per dirigersi nei loro dormitori. Attendi che anche voialtri vi ritroviate in corridoio, vi diate la buonanotte e che vi dirigiate ognuno verso la propria stanza. Beh, non tutti. Più o meno.
Oh, e O’Dampand, a questo punto, non può non accorgersi di te; ti guarda fissa finché non incroci il suo sguardo. Tu inarchi un sopracciglio, pensando a tutte le domande che ti sei già posto da solo durante la cena; lei, invece, ti fa un piccolo sorriso.
Ed è naturale, allora, che, una volta che tutti se ne sono andati per la loro strada, tu e lei rimaniate soli, in mezzo al corridoio, uno di fronte all’altra.
C’è un momento di silenzio.
Lei è vestita in maniera più elegante, rispetto a come la ricordavi. Sempre con dei pantaloni, ovviamente, ma più ricercati, potresti dire. E i capelli biondi sono sciolti, ora. Supponi sia per fare una più bella impressione a tutti gli altri.
“O’Dampand.”
“Signor Piton.”
Dite insieme, e le vostre voci si sovrappongono. Lei rimane in silenzio, facendoti segno di proseguire.
“Non mi aspettavo di trovarla qui,” dici.
“Se è per questo, neanche io mi aspettavo di trovare lei, qui.”
“Perché non me l’ha detto? Dal momento che ha saputo che avrebbe lavorato qui, avrebbe potuto scrivermi.”
“Perché?”
Inarchi nuovamente il sopracciglio.
“Come ‘perché’, O’Dampand? Che domanda è?”
“Beh, gliel’ho appena detto, no? Non lo sapevo che sarebbe tornato a insegnare. Perché avrei dovuto dirglielo?”
Perché… Perché Hogwarts è casa tua, sei più legato a questo luogo che a qualunque altro. È per questo.
Ma lei come può arrivarci, d’altronde?
“Lasci perdere, non fa niente,” finisci per rispondere.
“E’ stata una vera sorpresa, per me, essere assunta. Sa, avevo fatto domanda così… giusto per provare. Sapevo che sarebbe stato difficile. All’inizio la Preside aveva rifiutato la mia candidatura, infatti, ma poi la precedente infermiera della scuola…”
“Madama Chips,” puntualizzi.
“… Sì, Madama Chips… è andata in pensione. E allora la Preside McGranitt mi ha mandato un gufo.”
La guardi e, prima di parlare, ti umetti appena le labbra:
“Quindi ha lasciato il San Mungo.”
“Già. Avevo voglia di… cambiare aria,” dopodiché fa una breve pausa, prima di riprendere a parlare, “Ma lei, invece? Perché non mi dice niente?”
“… Prego?”
“Sì! Ho notato che ci sono stati… positivi cambiamenti.”
Ah, già… quelli. Hai ricominciato a muovere il braccio destro. Ma non tutto: le ultime due dita della mano rimangono rigide, e lo stesso braccio non puoi più alzarlo come prima: la spalla riesce a muoversi solo in parte. Sherman ti ha detto che quasi sicuramente la situazione, oramai, rimarrà così per sempre.
Ed è proprio questo che spieghi a O’Dampand.
“… Ma va bene così. Sto imparando ad… adattarmi, diciamo,” concludi.
“E per la preparazione delle pozioni? Lì…”
“No. I movimenti da compiere non sono esagerati. È fattibile.”
O’Dampand si lascia andare ad un piccolo sorriso.
“Bene. Sono contenta per lei. E comunque, allora, adesso posso cominciare a chiamarla ‘professor Piton’.”
Incurvi a tua volta un angolo delle labbra.
“Esatto. Non se lo dimentichi. O mi arrabbierò.”
“Ehi, non sono mica una sua studentessa.”
“Dettagli.”
La guardi negli occhi, in quegli occhi che, seppur verdi, sono così diversi da quelli di Lily. Sono meno belli, l’hai sempre pensato. Ma ora vedi che sono comunque belli, anche se a modo loro, dissimili dalla perfezione, ma veri anche loro.
“Allora le auguro la buonanotte, O’Dampand,” le dici, tendendole poi la mano destra.
Lei ti stringe la mano con la sua, scuotendola appena.
“Magari prima o poi potrebbe chiamarmi Serena…?”
“Prima o poi. Forse,” ribatti, “Ci vediamo sicuramente domani.”
“E dopodomani,” risponde, “e il giorno dopo, quello dopo ancora, e quello dopo quello--”
O’Dampand. Ho capito.”
Lei si mette a ridere nel suo modo più caratteristico.
Le risate di scherno che, per tutto l’ultimo periodo, il giullare della vita ti ha riservato ci sono ancora, ma ora sembrano quasi un’eco.
E Hogwarts, tutta ad un tratto, è diventata ancora più accogliente.







 
Fine








 
Angolo Autrice:

Barrare la casella accanto all'opzione "Completa?", prima di aggiornare, è stato un misto tra una sorta di soddisfazione e un colpo al cuore.
Siamo giunti alla fine, "Convalescenza" ha visto la sua conclusione, così come si è conclusa la vera e propria convalescenza di Piton.
E' stato un percorso, in fondo: l'arrivo e la stabilizzazione della malattia di Piton di pari passo all'evoluzione psicologica del professore, all'accettamento della nuova vita che, in questa what-if?, ha di fronte. Una vita non troppo diversa da quella che ha sempre avuto, ma più leggera, più sua.
Spero di aver fatto un buon lavoro.
E spero che vi siate emozionati e divertiti a leggere queste pagine, così come mi sono emozionata e divertita io nello scriverle. Ehi, sapete che avete praticamente letto una storia lunga quanto un vero e proprio romanzo? Sebbene in tempi molto più lunghi. "Convalescenza" ha visto il suo prologo nel 2013 e... sono sul serio passati due anni? Davvero? Mi sembra ieri. E' proprio vero che, per i genitori, i propri bimbi rimangono sempre uguali.

Ringrazio dal profondo delle mie viscere (:P),
dierrevi, beta-reader attento e puntuale, bacchettone al punto giusto, che mi ha insegnato tante cose, come a non complicare troppo i periodi, a usare punteggiatura giusta nei discorsi diretti... GRAZIE. A quest'ora sarei ancora a caro amico, grazie per avermi sopportata.

Veniamo al capitolo in sé, invece: nel testo avrete trovato il piccolo motto "C'è un posto per ogni cosa e ogni cosa ha il suo posto". Lo diceva il mio bisnonno, difatti mio nonno e il mio prozio sono diventati i più precisi del mondo, nel mettere a posto le cose. Inserirlo mi è sembrata una cosa carina.

E ora mi preme apporondire un altro piccolo punto, di cui non vedevo l'ora di parlare: il nome! Serena O'Dampand!
Mi prenderete per pazza, lo so, ma tant'è.
Avete presente che "Severus Snape" è l'anagramma di "Perseus Evans", un po' a sottolineare il legame con Lily?
Allora io cosa ho fatto? Sebbene tra Serena e Piton non ci sia OVVIAMENTE lo stesso rapporto che esiste tra Piton e Lily, ho considerato il fatto che, in qualche modo, la "controparte" femminile di Perseo, nella mitologia greca, è Andromeda.
Andromeda.
Le ho dato un cognome in base al ragionamento di cui prima:
Andromeda Snape.
Ho fatto l'anagramma:
Andromeda Snape --> Serena O'Dampand.
... Bello e pazzo allo stesso tempo, vero? :)

E ora, anche se è brutto dirlo, non ho altro da aggiungere.
Vi ringrazio di cuore per tutto quanto, spero mi facciate sapere cosa ne pensate dell'epilogo e, se vi scappa tempo, della storia in sé; mi farebbe veramente tanto piacere :) Da autrice, le impressioni di chi si ha intorno sono sempre utili e piacevoli, nella buona e nella cattiva sorte!

Ci si becca in giro!
Un abbraccio,
Iurin
   
 
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