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Autore: Marge    07/09/2015    2 recensioni
Missing moment della 3x22, una giornata ordinaria a lavoro, la mente da tutt'altra parte. Quando i pazienti hanno molto da insegnare persino a una semplice infermiera come Carol.
E' una CarolXDoug, con comparsata di Mark, Kerry, Jerry e Malick.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Hathaway, Doug Ross
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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SCELTE

[ Missing moment 3x22 ]


Questa storia comincia esattamente in questo momento. Se volete entrarci dentro al meglio, guardate il video, si tratta di un minuto e mezzo alla fine dell’episodio 3x22.




“Toby non ha ancora il permesso d’entrare?”
“Oh Doug, oddio! M’hai fatto paura!”
“Ero in agguato. Laggiù, sotto il ponte della metro.”
“Se t’avessero visto i vicini avrebbero chiamato la polizia."
Doug sale le scale ridacchiando.
“Che sei venuto a fare?”
“Eh… Toby non ha ancora il permesso d’entrare?”
Carol sospira con un mezzo sorriso, alza gli occhi al cielo mentre si tormenta le mani. “Eh… è la terza volta che esco con lui, Toby il permesso d’entrare deve ancora guadagnarselo.”
Doug ora le è di fronte. Sorride.
“Cosa c’è?”
Non risponde.
“Cosa c’è?” chiede ancora, il sorriso che diventa esitante.
Ma non si sposta mentre lui la bacia. Lo fissa negli occhi, incredula. E Doug si allontana subito, aspetta la sua reazione, ma non smette di sorridere.
Allora Carol, questa volta, chiude gli occhi. E lo vuole più vicino, vuole sentire le sue labbra e la nuca sotto la mano e il corpo contro il suo. Una stretta allo stomaco le toglie il respiro, mentre lui le carezza il viso, la stringe.
“Andiamo dentro” sussurra Carol.
Doug trattiene il fiato, la guarda negli occhi senza smettere di tenerle la testa con entrambe le mani.
“No. Senti, Carol… questa volta è diverso. Ora vado a casa, e voglio che tu rifletta.”
“Cosa c’è da riflettere?” chiede lei, un mezzo sorriso che rivela insieme la delusione e la confusione.
“Non voglio entrare e farti addormentare con la paura di non ritrovarmi domani mattina. D’accordo?”
Non è sicura di riuscire a capire. Doug si allontana e scende due gradini.
“Quindi è colpa mia?” domanda Carol.
Doug si ferma, risponde senza voltarsi: “No, la colpa è stata mia. Ma non voglio che tu abbia paura.”
Si gira solo per un momento, le tende una mano e lei l’afferra.
“Ci vediamo domani a lavoro.”


“Presto, qualcuno venga a darci una mano!” urla la paramedico coperta di pioggia.
“La prendo io! Carol, vieni con me! Jerry, fai preparare emergenza 1! Malick, chiama la Weaver!”
Mark si precipita sulla barella che sta entrando dalle porte. Dà una mano a spingerla mentre gli viene riassunta la situazione.
“Uomo, sui settanta, trovato senza conoscenza nel bagno di casa. La moglie ha chiamato l’ambulanza. Iperteso, diabetico in terapia con insulina, pregresso infarto del miocardio due anni fa, in terapia con cardioaspirina. Intubato sul posto, rianimato, ora c’è polso, ancora senza conoscenza, parametri nella norma.”
“Bene, al mio tre lo spostiamo. Uno, due, tre…!”
In sala emergenza comincia la danza degli infermieri.
“Carol, parametri” ordina Mark mentre controlla le pupille all’uomo.
“Massima 90, polso flebile.”
“Riflessi presenti” dice un’altra infermiera ai piedi del letto.
“Foley, due vie venose, prelievo per formula ematica completa, enzimi cardiaci, coagulazione, glicemia, stick urine con glicosuria, ECG, ora!”
“Buon lavoro, alla prossima!” dice la paramedico con voce stanca. Mentre esce dalla porta assieme ai due colleghi si ode il passo inconfondibile di Kerry.
“Mark, cos’hai?”
Il dottor Greene le espone brevemente il caso.
“Cosa sospetti?”
“Infarto del miocardio, TIA, ictus o magari un coma diabetico, anche se non c’è fetor… siamo in attesa dell’esito delle analisi e dell’ECG. Per ora è stabile, eseguirò un esame neurologico completo e una TAC cranio e staremo a vedere.”
“Te la cavi da solo? Oggi devo esporre ai piani alti una presentazione sui costi del pronto soccorso e devo ancora rivedere gli ultimi dati.”
“Vai pure, Kerry. Tutto sotto controllo.”
Mark torna al letto del malato, dove Carol sta aggiornando la cartella.
“Non sappiamo ancora il nome” dice.
“Continua il monitoraggio dei parametri e, appena arrivano le analisi, avvertimi.”
“Mio marito è qui?” urla la voce di una donna anziana appena fuori dalla porta.
“Fatela entrare!” dice Mark. “Salve, lei è la signora…?”
“Frank!” grida lei e si getta sul marito.
“Signora, deve dirci il suo nome e quello di suo marito…” comincia il dottor Greene, ma la signora non lo ascolta. Ha le mani rugose attorno al volto dell’uomo e lo fissa intensamente, le lacrime agli occhi.
“Ci penso io” sussurra Carol. Mark annuisce. In quel momento entra Lydia con le analisi in mano: “Dottor Greene, la glicemia è di 43…”
L’infermiera Hathaway, con dolcezza, posa una mano sulla spalla della signora.


Diverse ore dopo, il signor Frank Sacks, settantadue anni, ha ripreso conoscenza, è stato estubato e riposa in un letto in sala visite 4. Carol gli ronza intorno silenziosamente, rileva i parametri, si assicura che il cuscino e il lenzuolo siano ben posizionati, per ridurre al minimo il rischio di piaghe da decubito.
“Può ripetere cosa mi è successo?” domanda con voce flebile ma sicura.
“Lei è svenuto, signor Sacks. I suoi zuccheri nel sangue erano troppo bassi, è una condizione che si chiama ipoglicemia ed è comune nei pazienti diabetici che fanno uso di insulina.”
“Quindi il cuore e la testa stanno bene?”
“Direi proprio di sì.”
L’uomo sorride. “Meno male, Margaret è sempre così preoccupata per il cuore, dopo il mio attacco qualche anno fa.”
Carol posa la cartella e si avvicina al letto. “Non ha avuto qualche sintomo di ciò che stava per accadere? Di solito, prima di perdere conoscenza, si possono avere giramenti di testa, nausea, malessere generale.”
“Sì, ma credevo fosse la pressione alta. Sono andato in bagno per prendere la mia pasticca, ma non ricordo altro.” “Non sarebbe successo se mi avessi aspettata come ti avevo detto, Frank” dice la moglie, che sta entrando in quel momento. Nel vederla, l’uomo s’illumina.
“Amore mio!” esclama tendendole le mani. La signora si affretta a stringerle. “Hai mangiato qualcosa?”
“Non devi preoccuparti per me, Frank. Siamo qui in ospedale per te. Comunque sì, ho cenato alla mensa dell’ospedale.”
“Beata te, io per ora devo accontentarmi di queste” ribatte lui con una smorfia e indica le flebo che gli pendono dal braccio. “Questa bella infermiera qui non fa che montarmi tubi su tubi.”
“Insulina e glucosata di prima qualità!” esclama Carol con un sorriso.
“Grazie, infermiera” dice la donna. Posa la mano sulla sua e la guarda intensamente.
Carol sente il cuore riempirsi.


Quel giorno sembra che tutta Chicago abbia deciso di farsi visitare al pronto soccorso del Policlinico. Carol trotta su e giù senza sosta, riesce a intravedere Doug solo per un momento, attraverso una veneziana lasciata aperta, mentre cerca di convincere un bambino ad aprire la bocca e mostrare le tonsille. La scena le suscita un misto di tenerezza e desiderio e si volta subito, infastidita.
“Carol, hanno chiamato da medicina interna, verranno a prendere il tuo diabetico fra mezzora” urla Jerry mentre lei passa con un vassoio di provette in mano.
“Alla buon’ora” commenta.
Di ritorno dal laboratorio analisi si ferma in sala d’aspetto per cercare la moglie dell’uomo.
“Signora Sacks?” dice a voce alta, non scorgendola.
Da un angolino si srotola la signora, acciambellata su una sedia per riposare. “Il mio nome è Margaret Grimes” precisa quando le è vicina.
Carol scuote la testa: forse la stanchezza del turno la sta facendo confondere: “Non è lei la moglie del signor Sacks?”
La signora sorride con dolcezza. “Ci sono novità?”
“Abbiamo trovato un posto letto in medicina interna. Lo porteranno su fra mezzora. Può andare da lui, così potrete salire insieme.”
“La ringrazio molto.”
La conversazione sembra finita, ma Carol rimane ancora un attimo immobile, a guardarla.
“Vuole sapere perché non porto il cognome di Frank?”
Carol arrossisce e alza le spalle: “Beh, potrebbero esserci molte spiegazioni.”
“Se vuole le spiego la nostra. Ma lei sembra davvero stanca: non le andrebbe un caffè?”
Le basta un’occhiata alla sala per rendersi conto che, al momento, sembra tutto sotto controllo e può permettersi dieci minuti.
“Jerry, io vado in pausa” grida.


Il caffè bollente ha il potere, con il solo odore, di farle recuperare un po’ di forze. Perfino la confusione della mensa sembra piacevole, rispetto al girone infernale che è il pronto soccorso.
“Frank è rimasto vedovo molto presto, attorno ai trent’anni” comincia Margaret con le mani strette attorno al bicchiere di tetrapak. “Il suo era stato un matrimonio infelice, imposto dalle famiglie. Quando quella povera ragazza morì, Frank sentì quasi sollievo. Mi disse che la prima parola che gli venne in mente fu: “Libero!”. Quella donna era praticamente una sconosciuta che si ritrovava nel letto ogni sera. Entrambi cercavano cordialmente di evitarsi il più possibile durante il giorno.”
Oh, di coppie che si erano rovinate a vicenda imponendosi l’uno la presenza dell’altra per anni ne aveva viste, in pronto soccorso.
“Quando ci siamo conosciuti, Frank mi ha detto: Cara, non ho nessuna intenzione di chiederti di sposarmi. Voglio alzarmi ogni mattina al tuo fianco perché l’ho scelto, intenzionalmente, la sera prima. Non ho affatto voglia di legarti a me per l’eternità per una parola pronunciata un solo giorno.”
Carol sorride colpita.
“Strano, vero? Erano gli anni Cinquanta, queste teorie sarebbero arrivate in America una decina d’anni dopo, ma Frank aveva le idee molto chiare.
” “E lei lo accettò?”
Gli occhi di Margaret brillano; beve un sorso di caffè e sembra leggere dentro la bevanda come in una sfera di chiromante che, al contrario, mostra il passato.
“Lei sottovaluta la sicurezza che può dare un uomo che ogni sera pronuncia questa frase: Amore mio, è stata una giornata splendida. Domani voglio restare ancora assieme a te.”
Un brivido le corre lungo la spina dorsale.
“Abbiamo passato dei guai perché non ci siamo mai sposati, soprattutto quando sono nati i bambini. Ma Frank non ha mai cambiato idea, anche ora che abbiamo una decina di nipoti e non c’è alcun pericolo che qualcosa ci separi.”
“La ha ripetuto questa frase ogni sera per quarant’anni?”
Margaret alza la testa fiera e annuisce lentamente. “Frank inoltre voleva che io facessi lo stesso. Che scegliessi lui, ogni giorno della mia vita, e non rimanessi insieme a lui solo per inerzia. Riesce a capirlo?”
Pensò a Taglieri. “Credo di essere una specialista dell’inerzia” scherza.
“È successo, a volte, che Frank o io abbiamo esitato a fare la nostra scelta serale. Quattro o cinque momenti di crisi, in più di quarant’anni, sono tollerabili, no? Dopo pochi giorni siamo sempre tornati insieme. Abbiamo scelto nuovamente con chi volevamo passare il giorno successivo.”
“Devo tornare a lavoro” mormora Carol. La storia della donna rischia di entrarle troppo dentro. Non vuole più rimanere lì con quegli occhi placidi che non temono l’abbandono ma lo sfidano ogni sera, da decenni.
“Infermiera” la chiama ancora la signora Sacks … Grimes, “ho solo una paura: che venga il momento in cui Frank non potrà più decidere per se stesso, e io non risulto essere la sua parente più prossima. Ho paura di essere estromessa alla fine dalla sua vita solo perché la legge non ci riconosce.”
A questo Carol sente di poter porre rimedio. “Le darò il nome del consulente legale dell’ospedale, le spiegherà come riempire una procura. Non si preoccupi.”


“Carol! Cosa fai qui fuori?”
Lei si risveglia dal torpore. Doug le viene incontro, il pallone di basket tra le mani.
“Non fa poi così freddo.”
“Hai staccato?”
Nel parcheggio dell’ospedale entra un’ambulanza con la sirena accesa. Dalla porta del pronto soccorso si precipitano fuori medici e infermieri.
“Per fortuna sì” risponde. “Ti stavo aspettando. Sapevo saresti venuto a fare due tiri.”
Doug inclina la testa e sorride, stirando un lato del viso più dell’altro. Carol conosce quel suo modo: è insicuro, non sa bene cosa fare. Gli si avvicina e mette le mani sul pallone, sopra quelle di lui.
“Oggi è stata una giornata particolare” comincia. “Non ho fatto che pensare a te.”
Le sue parole lo lusingano, il sorriso sul suo volto si allarga.
“Davvero?” sussurra. Oh, Carol potrebbe sciogliersi per quella voce.
“Davvero.”
“È successo qualcosa con un paziente?”
“Più o meno…”
Sorride anche a lei, a occhi bassi, per l’imbarazzo. Si era preparata un bel discorso, ma ora non ricorda quasi più nulla. Le viene in mente solo una frase: “È stata una giornata splendida, perché non facevo che ripensare a quello che è successo ieri. Voglio che domani sia uguale.”
Doug non risponde, ma il suo fiato è così vicino che lo sente sulle labbra.
Il pallone rimbalza lontano; nel sottofondo di sirene e grida concitate, Carol ritrova il suo posto tra le braccia di Doug.





***
Questo fandom risale alla mia infanzia, quando ancora non sapevo cosa fosse una fanfic. Carol e Doug sono stati alla base della mia educazione sentimentale nei lontani anni ’90. Ho ricominciato da qualche settimana un rewatch di ER a partire dalla prima stagione e non potevo non scrivere qualcosa su loro due. Inoltre è la prima volta che mi cimento in argomenti medici, se ho scritto qualche cavolata fatemi sapere :) Probabilmente arriverà anche qualche altra fic in futuro (persino su altri personaggi), intanto fatemi sapere se questa vi è piaciuta! Grazie a Kuruccha per il beta <3
See ya!
  
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