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Autore: Stella Dark Star    08/09/2015    0 recensioni
[Le cronache di Narnia]
C’è odore di novità nell’aria! La guerra è finita, Peter si è stabilito definitivamente in America, Edmund e Vera sono prossimi al matrimonio ed hanno già una casa dove andare a vivere. Proprio la mattina del matrimonio riaffiorano vecchi problemi e se ne presentano di nuovi. Come faranno a sposarsi se Peter, il testimone, non si presenta al matrimonio? In loro soccorso arriva una nuova avventura nel mondo di Narnia, che coinvolgerà anche la dolce Lucy e, suo malgrado, il cugino Eustace. I ragazzi dovranno affrontare le loro più segrete paure e le loro debolezze a causa di un inaspettato ritorno di Jadis, la regina del ghiaccio. Anche se per Edmund e Vera è una gioia poter vivere ancora accanto all’amato figlio Caspian, che nel frattempo è cresciuto di altri dieci anni, si ritroveranno ad affrontare il passato e il futuro contemporaneamente e saranno costretti a prendere una difficile decisione.
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 1
Un quarto alle undici
 
L’incanto delle foglie rosse che si staccano dai rami, che volano trasportate dal vento autunnale, che accarezzano i muri delle case o l’asfalto della strada, che creano magici giochi di luce sotto i raggi del sole e figure inquietanti  nell’ombra, sono uno spettacolo non solo per i poeti che s’ispirano né per i bambini che ci giocano né per gli innamorati che ne vengono dolcemente investiti passeggiando né per gli anziani che le guardano seduti sulle panchine del parco, ma sono uno spettacolo anche per una giovane sposa che, in attesa di andare in chiesa, se ne sta di fronte alla finestra con addosso solo la sottoveste per ammirare quella danza naturale.
“Vera, vieni a sederti di fronte alla specchiera, così posso acconciarti i capelli.”
Mi voltai sorridente verso Lucy, che mi attendeva tenendo la spazzola in mano.
“Oh, scusami Lucy. Sono così belle le prime foglie d’autunno!” Mi sedetti sullo sgabello reso comodo da un cuscinetto e attesi che la mia futura cognata iniziasse a pettinarmi.
“Per caso ha telefonato qualcuno?”
Rise sotto ai baffi: “Ma dove hai la testa? Il telefono non ha suonato, altrimenti lo avresti sentito anche tu.”
“Hai ragione! Sono un po’ distratta.”
Presi una fragola dalla ciotola che avevo di fronte, guardando la scatolina contenente le roselline di seta che Lucy mi avrebbe messo tra i capelli.
Pettinò solo i capelli sul capo, stando molto attenta a non sfiorare i boccoli della lunghezza: “Come mai ultimamente hai così tanta voglia di fragole?”
Per poco non mi andò di traverso la fragola: “Ehm, non saprei. Perché?”
“Così per sapere. Mi dispiace solo che, con i tempi che corrono, si fatichi molto a trovare certa frutta e certi ortaggi! Anche se la guerra è finita ci vorrà molto tempo prima che la vita torni quella di prima.”
Misi in bocca un’altra fragola, pensierosa, e dopo averla mangiata dissi: “Lo so, Lucy. Lo so.”
 
Nella mia mente ripensai a tutto quello che era accaduto negli ultimi due anni. Peter era partito, proprio come aveva detto, per andare in America. Le sue speranze di pilotare subito un aereo da combattimento furono infrante sul nascere, poiché suo padre aveva fatto di tutto per tenerlo sotto la propria ala protettrice e fece in modo che l’addestramento durasse più di un anno. Anche in seguito, Peter partecipò solo a qualche spedizione di minore importanza, dove il pericolo più grande era che il motore dell’aereo andasse in avaria per cause tecniche. Praticamente non aveva visto nemmeno l’ombra di un tedesco o di un giapponese. Chiunque si sarebbe sentito fortunato, invece lui si sentì inutile e chiuso in gabbia. Forse per questo, una volta finita la guerra, decise di tentare la carriera di pilota professionista e di stabilirsi definitivamente in America.
Da quando era partito non l’avevamo più visto e tantomeno ricevemmo lettere da parte sua. Le tensioni tra me e Susan si intensificarono, poiché mi riteneva responsabile del fatto che il suo gemello non volesse mandarci notizie. L’unica consolazione fu che di lì a poco lei tornò a Londra da sua madre. La fortuna ci sorrise a tal punto che quando mia madre tornò a casa per il nuovo anno, una volta ottenuto il congedo, io potei riprendere la mia vita scolastica nella mia adorata Cambridge ed Edmund insieme a Lucy si trasferì momentaneamente a casa dei suoi zii che risiedevano nella stessa città. Nello stesso periodo, Susan e sua madre andarono in America. Il tempo passò lentamente e senza sorprese. A luglio io ed Edmund ci diplomammo, io in letteratura e lui in scienze sociali.
Al compimento dei diciotto anni di Edmund, dato che io li avevo compiuti in primavera ma avevo scelto di non fare festeggiamenti, decidemmo di organizzare una grande festa per entrambi, nella casa dove abitavo con mia madre. La guerra era finita appena tre giorni prima. Durante la festa, Edmund mi fece trovare un anello con diamante all’interno di un pasticcino al cioccolato e mi chiese di sposarlo.
Due mesi passarono davvero in fretta, grazie all’aiuto dei miei parenti,  i quali ci regalarono una piccola casa  in centro città, dove saremmo andati a vivere una volta sposati, e grazie ai famigliari di Edmund che avevano mandato un assegno perché si comprasse un’automobile. Edmund, per mantenere entrambi, aveva trovato lavoro presso un commissariato di polizia, dove svolgeva semplici mansioni come scrivere a macchina e riordinare l’archivio, iniziando in contemporanea un corso specializzato in investigazione. Per potermi sposare, decise perfino di convertirsi alla religione protestante, perciò ogni singolo sabato e domenica era impegnato con il catechismo e le messe. Io invece, che mi ero iscritta all’università, passavo le giornate tra la scelta di fiori e dolci per il matrimonio e lo studio dei libri di letteratura classica occidentale.
 
Lucy terminò il lavoro: “Ecco fatto! Ora puoi metterti il vestito!”
Mi aiutò ad indossare l’abito bianco, composto da una gonna di seta con sopra un velo di tulle, il corpetto ricamato in oro che aveva una generosa scollatura e le maniche allungate che mi coprivano gran parte delle mani. Stavo sistemando il tulle quando lei mi disse alle spalle: “Non ti muovere ora, per favore.”
Lasciai che terminasse ciò che stava facendo, senza muovere un muscolo.
“Perfetto! Vai a guardarti!”
Mi avvicinai allo specchio con molta curiosità e rimasi a bocca aperta nel vedere il velo che partiva a punta da sopra i capelli boccolati, per poi ricadere aperto lungo la gonna e terminare sul pavimento. Le roselline sparse sul mio capo erano in contrasto con la stagione, ma erano davvero graziose.
“Hai fatto una vera magia! Sei stata bravissima!”
Strizzò l’occhio: “Ehi, quando avrò terminato gli studi aprirò un salone di bellezza tutto mio!”
“Oh, se mi vedesse Edmund!”
“Tra poco sarai accontentata.  Manca un quarto alle undici.”
 
Edmund, di fronte alla specchiera della stanza che divideva con suo cugino, si stava sistemando il nodo della cravatta per la centesima volta. Si passò le dita tra i capelli, si lisciò i risvolti della giacca e sbuffò: “Perché sono così nervoso? Eppure non è la prima volta che mi sposo.”
“Come sarebbe a dire?”
Si voltò di scatto accorgendosi che suo cugino, un ragazzo della stessa età di Lucy, era nella stanza: “Eustace, che ci fai qui? Da quanto tempo sei nella stanza?”
Lui gli puntò il dito contro: “Non cambiare discorso. Di che parlavi prima? Sei forse bigamo?”
Edmund fece un’espressione schifata: “Non dire stupidaggini. Come ti salta in mente?”
“Allora cosa volevi dire, prima?”
“Volevo dire che…” Ci pensò un attimo, anche se aveva una gran voglia di dire che si era già sposato con me quando eravamo a Narnia: “Ho pensato così tanto a questo giorno che ormai credevo di essermi abituato all’idea di sposarmi.”
L’altro disse sospettoso: “Sì, potrei crederti. Ma se nascondi un segreto lo scoprirò presto.”
“Guarda che sono io quello che un giorno diventerà detective, non tu! E quando io diventerò famoso per le mie indagini eccellenti, tu sarai rinchiuso in una lugubre stanza in compagnia di quegli insetti morti che ti piacciono tanto.”
“Proprio perché mi piacciono sto bene in loro compagnia.”
Edmund cambiò discorso: “Ehi, non ha ancora telefonato nessuno? Ormai i miei genitori, con Peter e Susan, dovrebbero essere già arrivati. L’arrivo del treno era previsto alle dieci.”
Una voce femminile, proveniente dal piano terra, gridò: “Ragazzi, noi andiamo in chiesa! Tra qualche minuto partite anche voi!”
Eustace si affacciò alla rampa di scale: “Ok mamma! A dopo!”
Edmund aggrottò le sopracciglia: “Ma che ore sono?”
Il cugino guardò l’orologio da polso e sorrise sadico: “Un quarto alle undici.”
Edmund sospirò per placare l’agitazione: “Bene, dove sono le chiavi della mia auto?”
Eustace le tirò fuori dalla tasca dei pantaloni e le innalzò come un trofeo: “Eccole qui. E non ho nessuna intenzione di dartele. Oggi guido io.”
Scappò dalla stanza, subito seguito da Edmund che cominciò a gridare: “Non ti azzardare. Dammi quelle chiavi, Eustace. Guai a te se tocchi il volante.”
  
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