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Autore: Love_My_Spotless_Mind    08/09/2015    1 recensioni
"Aveva sussurrato l’ultima bugia, la più grave e la più tagliente. Era stata una bugia che aveva avuto la bellezza delle più strazianti poesie d’amore. Era stata una bugia codarda che mai più avrebbe pronunciato."
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"My last lie" 







La luna era enorme sospesa lassù, nel cielo notturno della capitale, capace di sovrastare anche i grattacieli più alti, incurante degli sguardi che tanti uomini sulla terra le rivolgevano. A Leo quella sera la luna sembrava molto più vicina, era convinto che sporgendosi avrebbe potuto toccarla. Gli sarebbe piaciuto vederla minuscola, tenerla nel palmo della mano, custodirla nella tasca del giaccone invernale, sfiorandola per sentire la sua superficie di gesso. Avrebbe voluto poterne osservare il volto nascosto e capire che effetto fa possedere un simile segreto.
Leo quella sera avrebbe voluto non uscire dal suo minuscolo appartamento, vedere quelle strade ampie proprio in quel momento in cui si sentiva messo allo scoperto, lo terrorizzava. Un incontro decisivo lo attendeva ma quanto avrebbe voluto poterlo evitare. Leo desiderava salvaguardare se stesso, la sua fragile interiorità, peccato che spesso non fosse possibile.
Raggiunse il locale dell’incontro, un luogo denso di ricordi e che adesso appariva talmente arido da farlo sentire a disagio. Seduto pochi tavoli più in là, due anni prima aveva guardato negli occhi la ragazza che amava. Era stata una sensazione meravigliosa innamorarsi, era scivolato in quel sentimento fino ad affondare.
La ragazza che amava varcò la soglia dell’ingresso del locale quasi mezz’ora dopo, quando lui era intento nel bere il caffè bollente che aveva ordinato. Lei aveva fatto crescere i capelli, adesso le cadevano liscissimi sulle spalle ed era vestita molto finemente, con abiti apparentemente costosi. Appena se la trovò di fronte Leo alzò lo sguardo, si concentrò su ogni particolare del suo viso, dal trucco pesante agli orecchini di perle, si accorse persino che aveva cambiato profumo.
La salutò con un filo di voce, tornando in fretta a guardare la superficie scura del suo caffè americano. Gli sembrava di trovarsi di fronte ad una sconosciuta, o meglio di fronte ad una persona che stava iniziando una seconda vita. Peccato che quella nuova vita non prevedesse la sua presenza.
-Vedo che i tuoi gusti non sono cambiati. – esordì lei, riferendosi alla passione che il ragazzo aveva per il caffè.
Leo non cambiava facilmente le sue idee, se solo ne avesse avuto il coraggio le avrebbe detto che in lui non era cambiato proprio nulla, infatti l’amava ancora, esattamente come un tempo, esattamente come due anni prima.  Semplicemente non rispose, restò in silenziò, si portò la tazza alle labbra e la tenne così, senza bere, pur di non essere costretto a commentare.
Lei si morse l’interno della guancia, lo sguardo austero, delusa del fatto che lui non avesse colto la provocazione. Ed allora, con movimenti lenti e delicati prese la propria borsa di pelle bianca, sistemandosela sulle ginocchia. Le dita lunghe e affusolate fecero scattare la cerniera dorata, poi ripescarono dal suo interno una busta bianca, di quelle da lettera. La posò sul tavolo, facendola poi avanzare verso il ragazzo. Adesso su quelle dita che lui conosceva così bene stava un anello vistoso, con un diamante e la montatura d’argento.
Leo sentì il respiro mancargli. Posò la tazza e prese tra le mani la lettera. Essa conteneva una partecipazione di nozze. Le mani gli tremarono leggermente, eppure cercò di non darlo a vedere.
-Non ne abbiamo mai parlato chiaramente io e te, però ormai è chiaro che sia finita, non servono grandi discorsi. Sto per sposarmi. Volevo che lo sapessi. Evitiamo fraintendimenti. – disse lei, nella maniera più impersonale che le appartenesse. Leo non alzò lo sguardo da quel bigliettino, dentro di sé l’ultimo barlume di speranza si spense, lasciando il suo cuore completamente al buio.
-Auguri. – sussurrò Leo, non sapendo nemmeno da dove quella voce potesse provenire. Le sue labbra si mossero ma a lui parve di non udirsi nemmeno. – Voglio solamente che tu sia felice. –
Leo restò solo seduto a quel tavolo, mentre il locale restava completamente vuoto, con il caffè freddo di fianco ed una sensazione di perdita enorme nel petto. Era tutto finito, ogni possibilità dissipata, ogni gioia fuggita. E lui aveva mentito, l’ultima bugia che potesse rivolgerle era stata forse la più grave.
 
Era notte fonda, Leo avanzava lentamente lungo la strada, il suo corpo sottile era sfiorato da gocce di pioggia fitta e gelida. Lui sembrava non sentire nemmeno il freddo, continuava a camminare sofferente, con lo sguardo altrove, l’espressione che non trasmetteva niente mentre un’interiorità fragile restava celata. Si fermò di fronte alle sponde del fiume Han che attraversava Seoul con il suo flusso potente. Posò le mani sulla grata e restò lì a guardare, sul ponte, ammirando le acque scure e impietose, agitate dal vento invernale. Sul ponte campeggiava la scritta “sei felice?” e Leo la rilesse più volte, non riuscendo nemmeno a porsela una domanda simile. La felicità era lontana, legata ad un masso e trascinata sul fondo di quelle acque ipnotiche. Non era più qualcosa che gli apparteneva. Felicità. Un pallido ricordo di chissà quando, di una vita che non esisteva più.
Avrebbe voluto morire, scomparire tra quelle acque assieme al suo destino. Sarebbe stato così semplice,  bastava solamente un po’ di coraggio e poi più nulla lo avrebbe logorato, deluso, abbandonato. Si tirò su con le braccia, restò a guardare con il petto contro la grata la profondità del fiume, così meraviglioso e denso di mistero.
Lui e quella ragazza avevano vissuto insieme un anno e mezzo felice, apparentemente senza problemi. Lui le aveva mostrato le sue debolezze, lei parlava fino a notte fonda, inventava racconti ed ascoltarla era un piacere. Restavano abbracciati, svegli, finché non vedevano sorgere il sole, a parlare d’amore, a ripetersi quel che adoravano l’uno dell’altro, quello che li faceva stare bene del loro rapporto. Lo sguardo che lei rivolgeva ai primi raggi del mattino comunicavano sempre un enorme stupore, non si assopiva finché non sentiva la città mettersi in moto e la vita riprendere il suo ritmo. Era come se volesse accertarsi che nulla fosse cambiato, che il mondo fosse quello di sempre, proprio come le braccia che la tenevano stretta.
Poi lei aveva iniziato ad essere schiva, a trovare insopportabile ogni sua abitudine, a non voler più parlare fino a che sopraggiungeva il mattino come avevano sempre fatto. Per notti intere Leo era rimasto sveglio ad osservare la sua schiena avvolta dalla vestaglia sottile, non riuscendo a comprendere il motivo per cui lei ora gli voltasse le spalle. E poi, all’improvviso, scomparve. Leo tornò a casa dal lavoro e vide che tutti gli effetti personali di lei erano stati portati via: l’armadio era vuoto, nel bagno mancavano i suoi trucchi, le sue creme, il pettine, il bagnoschiuma e persino lo spazzolino. Tutto scomparso, come se lei non fosse stata altro che un miraggio, un sogno fin troppo reale.
Leo si rinchiuse in un silenzio colmo di dolore, restò in quella casa svuotata da ogni ricordo, persino da ogni fotografia. Non cercò spiegazioni, il suo carattere era così fragile che sicuramente avrebbe sofferto a dismisura. Trascorsero diversi mesi senza che lei si facesse sentire, senza una spiegazione, solamente tante domande irrisolte. Fino a quell’invito nel locale del loro incontro. Probabilmente lei aveva persino dimenticato che si trattasse di un luogo tanto prezioso.
La pioggia continuava incessante, era ora di tornare a casa. Accompagnato da quei ricordi così dolorosi fece rientro nel suo appartamento ma fu appena ebbe varcato la soglia che venne a conoscenza di un fatto che mai avrebbe immaginato. Bastò che aprisse la porta per rendersi conto di non essere più la persona che aveva sempre conosciuto, fu accecato dalla rabbia, iniziò a gettare a terra tutto quello che si trovò di fronte, provocando un gran rumore, gridando, vedendo cadere ogni singolo oggetto che si trovasse di fronte.
L’animo pacato e gentile, remissivo e fragile ora era sostituito da un’indole rabbiosa e violenta che desiderava distruzione, che voleva radere al suolo ogni forma di dolore. Era come se fosse avvenuta un’improvvisa trasformazione, il suo corpo non gli apparteneva più, la sua volontà agiva crudele trasformando quella casa in un cumolo di macerie senza significato.
Il pavimento era colmo di oggetti riversi, distrutti, senza più vita. Oggetti a cui Leo era sempre stato affezionato, a cui aveva tenuto come se si trattasse di preziosi compagni di viaggio. Ed ora era tutto lì, di fronte ai suoi occhi, trasformato in cocci e frantumi, in spazzatura. Posò la schiena contro la parete, le mani sul viso e le lacrime che gli rigavano le guance. Un dolore senza eguali lo sconvolse, il suo corpo tremò, gli impedì ogni movimento. E lui riprese a gridare, non riconoscendo la propria voce, sentendosi senza forze eppure così pronto a lottare.
 
Il mattino sopraggiunse, lui era a terra, insieme a quegli oggetti dall’anima rubata. Fu appena aprì gli occhi che si accorse di essersi ferito le mani, alzò lo sguardo e vide lo specchio in frantumi. Non poteva più restare in quella casa, in un luogo che dimostrava l’esistenza del suo mostro interiore. Si alzò in piedi, la maglia era sporca di sangue, gli occhi avevano uno sguardo diverso, più cupo e profondo. Decise di fuggire, senza riprendere il giaccone, senza portare null’altro con sé che la propria persona.
Aveva tenuto celato un lato di sé che non aveva intenzione di soffrire in silenzio, di arrendersi tanto facilmente. Un lato di sé che si era risvegliato appena aveva udito quella bugia, appena aveva compreso che Leo stava andando in contro all’auto distruzione.
Le aveva dato i suoi auguri, peccato che non fossero sinceri. Nemmeno una parte di sé desiderava che lei fosse felice, perché aveva prosciugato un cuore già stanco, perché aveva giocato con le debolezze, con i sentimenti e con la vita dell’unica persona capace di amarla sul serio.
Quella parte di sé venuta fuori all’improvviso avrebbe agito diversamente. Lui l’avrebbe stretta a sé, avrebbe baciato quelle labbra che un tempo gli erano appartenute, avrebbe detto di odiarla, si sarebbe convinto di odiarla sul serio, eppure, nonostante questo, non l’avrebbe lasciata andare.
Si può costringere qualcuno ad amare? Leo se lo domandava, barcollando su quelle gambe slanciate ed apparentemente fragili. Leo che non sarebbe mai riuscito a contare tutte le ferite di quel suo cuore che avrebbe soltanto voluto chiudere in un cassetto, lontano da se stesso.
E quella parte di sé così forte in maniera fragile, così convinta di poter vincere tutto, pian piano stava crollando, assieme a tutto il resto. Era un dramma quell’amore finito, gli sembrava di udire il suono dei violini ed osservare il pubblico in lacrime. Era un dramma che si sarebbe protratto anche quando sarebbe sceso dal palco, perché di quel personaggio non si poteva liberare, perché quella farsa che era la sua esistenza non era ancora finita.
 
Aveva sussurrato l’ultima bugia, la più grave e la più tagliente. Era stata una bugia che aveva avuto la bellezza delle più strazianti poesie d’amore. Era stata una bugia codarda che mai più avrebbe pronunciato.




 
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