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Autore: MalandrinaLunastorta    08/09/2015    2 recensioni
C'è un momento per tutti in cui si deve lasciare alle spalle il passato ed affrontare il futuro.
Con questa storia, ci lasciamo alle spalle Harry, Ron, Hermione e gli eroi della Seconda Guerra Magica per prenderci per mano assieme a Rose, Albus, Scorpius e i ragazzi della Nuova Generazione.
Lasciatevi condurre in un mondo magico e incantato, antico ma con tanti segreti ancora tutti da conoscere.
Fidatevi di Remus, esperta in Malandrinate, esplosioni di pozioni e Tiri Vispi Weasley!
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo I. Il Binario Nove e Tre Quarti.

Quel mattino di metà agosto il cielo nuvoloso di Londra era stato inondato da un gran numero di gufi, lasciando sinceramente perplessa la popolazione ormai avvezza a tutto, perfino alle macchine volanti.
La signora Winchester, amorevole e affettuosamente pettegola vicina, si stava godendo il suo quotidiano tea delle 10, perché “la prozia buonanima lo beveva così e campò fino a 20 lustri” quando uno di quegli insoliti volatili si andò a schiantare dritto contro il suo vetro.
Vecchia e uccello si studiarono per qualche secondo, l’una sbigottita, l’altro, beh, spiaccicato.
Questi poi aveva ripreso il suo sbilenco volo, lasciando una lettera ignorata dalla miope nonnetta sullo zerbino della villetta a schiera seguente, un grazioso edificio dai mattoni rossi e dalle tendine ricamate.
“Strani tipi, quei Weasley” pensò scuotendo il capo la signora Winchester.
Ma adesso, siccome alla fin fine non ci interessa molto del tea delle 10 di quella buffa vecchietta che era la vedova Winchester, riprenderemo da dove il gufo ha lasciato, ovvero l’ingresso della tranquilla dimora della famiglia Weasley.
La lettera pazientava sullo zerbino, in attesa di compiere il proprio dovere, quando un bambino urlante si precipitò in casa, portandosi dietro, anzi, sul piede la povera missiva rimasta appiccicata alla gomma da masticare attaccata alla scarpa.
“Hugo! Stà zitto, per le mutande di Merlino!” una testolina rossa si affacciò sulle scale spiando torva il fratellino “Maaammaaa! Sto cercando di studiare, ma Hugo mi distrae!”
“Hugie, lascia in pace tua sorella. E tu Rosie modera il linguaggio! Vorrei che vostro padre non usasse quelle parole davanti a voi.” La voce proveniva dalla donna indaffarata ad osservare delle carte seduta alla poltroncina dello studio, abito elegante, occhi intelligenti e una spaventosa criniera sulla testa.
Hermione Granger in Weasley era stata e rimaneva la strega più brillante della sua generazione, ma la vita da madre, moglie e Vicepresidente del Dipartimento per la Regolazione della Legge Magica del Ministero aveva affaticato anche lei.
Per questo forse le era difficile contenere quel fuoco d’artificio che era suo figlio Hugo, come d’altronde sollevava spesso gli occhi al cielo alle esclamazioni poco signorili della sua primogenita Rose.
Certo, se l’intelligenza e l’attitudine allo studio della bimba erano suoi, doveva pur aver preso qualcosa dal padre, oltre ai capelli rossi, gli occhi azzurri e l’irresistibile spruzzata di lentiggini che le affollavano il naso.
In quell’istante il bambino irrequieto già citato entrò in studio e la mamma lanciandogli uno sguardo a metà tra l’affettuoso e il disperato notò la lettera che si trascinava dietro.
Dopo averlo fermato, lanciò al pezzo di carta un rapido sguardo e con tono eccitato esclamò: ”Rose! Corri, c’è una lettera per te!”
Un attimo di silenzio e subito la bambina si precipitò giù per le scale sollevandosi un momento in volo, troppo euforica per contenere la magia: “Viene da Hogwarts? Per la giarrettiera di zia Muriel, dammela, mamma! Voglio vedere!”
Quindi la bimba le strappò di mano la missiva, ignorando il borbottio di protesta della madre che suonava molto simile a un “ho cresciuto dei troll”.
Era così.
No, non intendo dire che la donna fosse effettivamente genitrice di una specie orrida, checché taluni malevoli possano credere, ma la carta che Rose M. Weasley stringeva al petto saltellando per la stanza arrecava il timbro della famosa scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e la invitava a recarsi al binario 9 ¾ della stazione di King’s Cross il giorno 1 Settembre per raggiungere quella che sarebbe stata la sua seconda casa per i prossimi 7 anni.
E come Rose, tanti altri undicenni ignari e non ricevettero quel giorno la lettera dall’antiquato e intrigante sigillo rosso.
Potrei parlarvi di come Albus S. Potter dovette barattare l’introvabile figurina delle Cioccorane di Leopoldina Smethwitch con suo fratello James per recuperare la propria, o di quanto il giovane rampollo di villa Malfoy dovette sudare per convincere l’elfa domestica Mitty che no, Mitty, non ti devi punire se hai toccato la mia lettera con le tue sudicie mani, nonno non lo verrà a sapere.
Potrei raccontarvi di ognuno di questi magici momenti nell’affollata Londra di metà Agosto, ma forse è meglio fare un piccolo salto avanti.

Quell’anno l’autunno arrivò presto.
La mattina del primo settembre era croccante e dorata come una mela e quando la famigliola attraversò la strada rumorosa verso l’enorme stazione fuligginosa, i fumi dell’auto e il fiato dei pedoni scintillavano come ragnatele nell’aria fredda.
Fortunatamente, pensò la signora Weasley, era impossibile perder di vista la zazzera rosso arancione dei suoi figli e di quell’altro bambinone, suo consorte.
Dovette anzi cercare di passare nel maggior modo inosservata quando, giunta dinanzi al muro che divideva il binario 9 dal binario 10, la folla di pendolari attorno a loro continuava a lanciare sguardi incuriositi verso i due fanciulli scalmanati e al loro carrello arrecante una baule e la gabbia di un paffuto barbagianni.
I due bambini bisticciavano come la solito, l’una elargendo coloriti epiteti ai gloriosi antenati della famiglia, l’altro cercando di velare con tono sbruffone l’invidia nei confronti della sorella.
“Hugo, Rose, basta. State attirando troppa attenzione. Rosie, siamo arrivati.”
La bambina dai capelli ramati si guardò attorno: “E dove dovrei passare, per il ramarro marrone del prozio Bilius, se non c’è neppure il cartello del binario 9 ¾?”
Mentre Ronald cercava di soffocare una risata celandola sotto un colpo di tosse, la donna, alzati gli occhi al cielo, indicò il muro davanti a se, sotto lo sguardo perplesso dei propri pargoli.
“È definitivamente impazzita” comunicò Rose al fratello “prometti di prendertene cura in mia assenza.”
Il bambino lentigginoso annuì come un soldatino, ma da bravo mercenario chiese in cambio un pacco di cioccorane non appena la sorella avesse raggiunto Hogwarts.
Si strinsero quindi professionalmente la mano, mentre il trentanovenne Ronald B. Weasley cercava sostegno nel muro per riprendersi dall’attacco di risa appena avvenuto.
Hermione lo stava fulminando con lo sguardo, ragion per cui decise di ritrovare un minimo di serietà rivolgendosi così all’adorata primogenita: “Mamma non scherza, Rosie. Questo è un passaggio magico che porta al binario 9 ¾, per attraversarlo basta camminarci verso con la convinzione che non ci sbatterai contro. Se sei nervosa, meglio andare a passo di corsa. E adesso, vai. Noi ti seguiremo.”
La bambina alzò il mento e fece un respiro profondo, percependo che quello che stava per compiere sarebbe stato il primo passo verso la propria storia.
Stava per muoversi, quando Hugo le piombò addosso, appiccicandosi come una medusa.
“Mi mancherai” disse il bambino, nascondendo la faccia contro il suo petto, mal celando tuttavia le orecchie rosse.
Suo fratello era più sensibile di quanto sembrasse, pensò allora Rose.
Sorridendo sorpresa, gli spettinò i capelli, rispondendo: “Anche tu, razza di rospo con le mutande a strisce”.
Guardò poi i suoi genitori: Ron ed Hermione si tenevano per mano, come due adolescenti alla prima cotta, e li stavano osservando con occhi lucidi.
“Vieni qua, piccola sboccata” la strinsero a sé e le diedero i propri saluti e gli ultimi consiglia, discordanti tra loro come sempre, ma per questo facendola sentire a casa.
Asciugandosi le lacrime che le impedivano la visuale, Rose si rimise in sesto la divisa nuova di zecca e impugnato il manico del carrello si girò verso la sua famiglia ed esclamò: “Allora vado!”
Corse, e non era più lì.
Una locomotiva a vapore scarlatta era ferma lungo un binario gremito di gente.
Un cartello alla testa del treno diceva Espresso per Hogwarts, ore 11.
Alzando lo sguardo, la bimba vide un arco in ferro battuto con su scritto Binario Nove e Tre Quarti. Ce l’aveva fatta.
Sorrise in direzione della scritta, mormorando: “Eccoti, finalmente!”
Tra la gran confusione di gatti, uomini, gufi e civette, Rose temendo di perdersi, aspettò la propria famiglia, che spuntò un attimo dopo tra la nebbiolina incentivata dal fumo che usciva ad anelli dalla locomotiva.
Mentre camminavano tenendosi vicini, Hugo iniziò a guardarsi attorno allungando il collo: “Dove saranno?”
“Un attimo di pazienza, Hugie, vedrai che li troveremo”.
E come per magia comparve l’oggetto della loro discussione, un quadretto di cinque persone, due adulti e tre bambini, di cui una aggrappata piangente al braccio del genitore.
Il bambino dall’apparentemente indomabile chioma nera si rivolse loro chiaramente sollevato: “Ciao”.
Rose, sorridendogli di ricambio, disse: “Nervoso?”
Albus annuì, pallido in viso e aggiunse: “Non ho chiuso occhio stanotte”.
In quel momento, Ron intervenne nell’animata discussione che i due fratelli minori stavano tenendo circa la loro futura Casa: “Se non finisci in Grifondoro ti diserediamo. Ma non voglio metterti pressione”.
Se possibile, Albus divenne ancor più pallido, assumendo una strana sfumatura verdognola, mentre Hermione riprendeva suo marito.
Rose sbuffò: “Non ascoltare mio padre. In qualunque Casa andrai, resterai sempre uno di noi”.
“Guarda chi c’è”.
La voce di suo padre la distrasse, portandola a seguire il suo sguardo, rivolto verso tre persone, apparentemente padre, madre e figlio, vestite di tutto punto e due dei quali dai caratteri somatici simili ad albini.
“E così quello è il piccolo Scorpius” stava commentando sottovoce suo padre “Cerca di batterlo in tutti gli esami, Rosie. Per fortuna, hai il cervello di tua madre”.
Mentre la bambina gonfiava il petto lusingata ma alzava gli occhi al cielo infastidita, sua madre rimproverò Ronald, che si corresse: “Hai ragione, scusa” e rivolgendosi nuovamente alla figlia “Non dargli troppa confidenza, Rosie. Nonno Arthur non ti perdonerebbe mai se sposassi un Purosangue”.
Mentre Hermione si schiaffava un mano in fronte, comparve James, che iniziò a farneticare qualcosa circa Teddy, un bacio, Victoire, e roba di quel tipo.
Essendo poco interessata alle parole di quella testa bacata di suo cugino, Rose si volse nuovamente verso Albus tentando di rassicurarlo, ma a nulla valse quando quell’idiota di James iniziò a spaventarlo consigliando di stare attento ai Thestral.
La ragazzina, per nulla impressionata, poiché aveva letto Storia di Hogwarts e sapeva che tali animali erano invisibili a chi non avesse assistito a una morte, decise di trovarsi nel frattempo un posto in carrozza.
Si girò verso i parenti e dopo un ultimo saluto si avventurò lungo il corridoio del treno colmo di ragazzini festanti.
Aiutata da Hugo, che l’aveva seguita ufficialmente per portare il baule e ufficiosamente per dare una sbirciatina, caricò il bagaglio e si sistemò in una cabina vuota.
Mentre sulla porta di questa si accingeva a convincere il fratellino a scendere dal treno, un ragazzino che passava di lì ci si scontrò a causa di alcuni rumorosi tipi che stavano correndo per il corridoio.
Rose li seguì con lo sguardo infastidita e attratta dalle loro cravatte colorate, indice che erano almeno del secondo anno, mentre Hugo gli chiese scusa e domandó familiarmente se fosse il suo primo anno.
Seguì qualche istante di silenzio, in cui la bambina si girò e riconobbe il biondino indicatogli da suo padre.
Questo, che stava guardando Hugo come incuriosito o forse indeciso su cosa dire, mormorò un semplice: “Sì” e si allontanò.
“Strano tipo” disse suo fratello.
Sembra innocuo, pensò lei.
E dopo aver sudato sette camicie per farlo scendere, Rose si affacciò al finestrino e iniziò a sventolare la mano in direzione dei suoi numerosi parenti.
Albus era intento in una discussione con zio Harry, quando il treno fischiò, indice che stava per partire.
Il ragazzino si accommiatò dai suoi e balzò sul treno, raggiungendola nella cabina e cercando di nasconderle gli occhi lucidi prese ad agitare anche lui la mano verso le numerose teste rosse davanti al treno.
Si accorse di qualcosa e chiese “Cos’hanno tutti da guardare?”
In effetti, notò Rose, un gran numero di facce, sia sul treno sia sul binario, erano rivolte verso Harry.
“Non farci caso” rispose Ron “è per me. Sono estremamente famoso”.
I bambini risero.
In quel momento il treno si mosse, ed Albus e Rose, l’emozione tangibile sui loro volti, scossero ancor più forsennati le manine, guardando i genitori e i fratelli allontanarsi sempre di più.
“Siamo in viaggio” esclamò Rose allegramente.
I due si scambiarono uno sguardo d’intesa, gli occhi brillanti propri di ogni nuovo inizio.

 Remus
 
 
 
  
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