Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Ricorda la storia  |      
Autore: 9Pepe4    09/09/2015    11 recensioni
«Elrond?» domandò. «Che succede?»
Il ragazzino si bloccò, perdendo all’istante l’uso della lingua. Forse non era stata una buona idea. Forse avrebbe dovuto aspettare che Maglor rientrasse.
«Ebbene?» incalzò Maedhros, inarcando un sopracciglio.
Elrond raccolse il proprio coraggio e si fece avanti, depositando il plico davanti all’Elfo. «Perché su queste lettere non c’è scritto niente?»
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elrond, Elros, Maedhros, Maglor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Rune lunari

Su Amon Ereb, una collina del Beleriand orientale, si erano ritirati i rimanenti figli di Fëanor dopo la Battaglia delle Innumerevoli Lacrime.
Dimoravano in un’ampia fortezza con molte stanze, i cui corridoi e scalinate erano rischiarati da lampade azzurrine. C’era anche una sala di lettura, che ospitava qualche tavolo ed alcuni scaffali. A dire il vero, non conteneva moltissimi libri, poiché gran parte dei volumi appartenuti ai Fëanoriani era andata perduta.
Elrond pensava fosse comprensibile, ma lo trovava comunque un po’ avvilente. Da quando Maglor aveva insegnato a lui e ad Elros a leggere e scrivere in Quenya e in Sindarin, infatti, il ragazzino si era trovato a fare i conti con una sete insaziabile di nuove letture.
Purtroppo, tanti tomi trattavano di argomenti troppo complicati – o troppo noiosi – per i suoi gusti, ed Elrond era alla continua ricerca di qualcosa che fosse alla sua portata e potesse soddisfarlo.
Quel giorno, era salito su una sedia per raggiungere i ripiani più alti. Le sue dita si stavano tendendo verso un volume, quando la sua attenzione venne catturata da un plico di fogli infilato tra due libri.
Incuriosito, Elrond si spinse in punta di piedi, la lingua tra i denti, e riuscì ad afferrarlo, per poi scendere con attenzione dalla sedia e rigirarselo tra le mani. I fogli erano di diverse dimensioni e spessore, ed erano tenuti insieme da un nastro di stoffa… ma il dettaglio strano era un altro.
Elrond li voltò da una parte e dall’altra per assicurarsi di non essersi ingannato, e il suo cipiglio si approfondì.
Avrebbe voluto correre subito da Maglor, che era sempre disponibile a spiegargli i passaggi dei libri che erano troppo difficili per lui. Purtroppo, al momento, Maglor era a caccia con un paio di soldati, e probabilmente sarebbe rientrato solo quella sera.
Elros si trovava nelle scuderie, sicuramente intento a viziare i cavalli con qualche bocconcino… E in ogni caso, Elrond dubitava che il fratello ne avrebbe saputo più di lui.
In effetti, era probabile che solo una persona, tra coloro che al momento si trovavano in Amon Ereb, avrebbe saputo dargli una risposta soddisfacente.
Iniziando a mordicchiarsi il labbro inferiore, Elrond si strinse i fogli al petto e si sporse da dietro gli scaffali.
Maedhros, il fratello maggiore di Maglor, sedeva ad uno dei tavoli, intento a leggere chissà quale trattato. Un ciuffo di capelli ramati gli ricadeva sul volto pallido, ma lui non ne sembrava infastidito. O forse non lo ricacciava indietro per il semplice fatto che la sua mano sinistra, la sola che avesse, era impegnata a voltar pagina e a tenere aperto il libro.
Elrond esitò. Di solito era Maglor che si occupava di lui ed Elros; con Maedhros aveva avuto ben poche interazioni.
Non che avesse paura di lui – ne aveva avuta, certo, così come aveva avuto paura di Maglor, ma pensava che quel tempo fosse ormai passato. Si erano spesso trovati nella stessa stanza, o incrociati lungo i corridoi, e in nessuna di quelle occasioni Maedhros si era mostrato incline a fargli del male. Anzi, una volta aveva impedito ad Elros di fare un bel capitombolo giù dalle scale, afferrandolo per il colletto e frenandolo dal cadere.
In ogni caso, però, era difficile non sentirsi in soggezione di fronte ad una persona tanto alta ed autorevole, capace di mettere a tacere i suoi soldati con una singola occhiata.
Elrond indugiò ancora per qualche istante, ma alla fine la curiosità ebbe la meglio sul suo timore.
Anche se con passi un po’ titubanti, si diresse verso il tavolo al quale sedeva Maedhros. Quest’ultimo lo sentì avvicinarsi e sollevò lo sguardo dal libro, aggrottando la fronte.
«Elrond?» domandò. «Che succede?»
Il ragazzino si bloccò, perdendo all’istante l’uso della lingua. Forse non era stata una buona idea. Forse avrebbe dovuto aspettare che Maglor rientrasse.
«Ebbene?» incalzò Maedhros, inarcando un sopracciglio.
Elrond raccolse il proprio coraggio e si fece avanti, depositando il plico davanti all’Elfo. «Perché su queste lettere non c’è scritto niente?»
Maedhros non rispose subito, fissando quei fogli come se fosse sorpreso di vederli. O almeno, Elrond supponeva che potesse essere sorpreso – a dirla tutta, sembrava solo più accigliato del solito.
Poi Maedhros alzò repentinamente gli occhi su di lui. «Dove le hai trovate?» lo interrogò.
Elrond si sentì bruciare le guance, anche se non aveva fatto niente di male. «Erano… erano su uno scaffale» borbottò, torcendosi le mani.
«Ah» disse soltanto Maedhros, e per un momento non parlò. Poi infilò la mano sotto le lettere ed affermò: «Te lo mostrerò più tardi».
«Uhm… d’accordo» rispose Elrond, smarrito. Non capiva cosa intendesse mostrargli né perché si dovesse aspettare. Lui voleva soltanto una risposta semplice alla propria domanda.
Maedhros si alzò di colpo, e il ragazzino fece istintivamente un passo indietro, fissando ad occhi sgranati l’Elfo che torreggiava su di lui.
«Se vuoi scusarmi…» disse Maedhros, e se ne andò senza attendere una risposta.
Elrond rimase fermo a fissare la porta, cercando di dare un senso a quanto era appena accaduto. La sola cosa che riuscì a pensare, però, fu che Maedhros aveva preso con sé il plico di lettere.

Nella settimana che seguì, non gli capitò più di parlare col primogenito di Fëanor, anche se lo vide durante i pasti e lo incontrò lungo le scalinate e nel cortile.
Da parte sua, Maedhros non lo avvicinò, ed Elrond concluse che doveva essersi dimenticato della loro conversazione.
La sera dell’ottavo giorno, però, scoprì che non era così.
Si trovavano nella sala dei banchetti, seduti al tavolo centrale, decisamente troppo lungo per sole quattro persone. Una fila di candele illuminava i loro piatti ormai vuoti, gettando ombre tremolanti sugli altri tavoli deserti.
In occasione di anniversari e festività, quei posti venivano riempiti dai soldati, che altrimenti cenavano in cucina o nelle loro baracche. Del resto, quando i padroni di casa erano troppo indaffarati per un lungo pasto, poteva succedere che Elrond ed Elros mangiassero in solitudine nella propria stanza.
Elrond iniziò a tormentare con la lingua un filo di carne che gli era rimasto incastrato tra i denti, mentre Maglor – come d’abitudine – s’informava sul pomeriggio suo e di suo fratello.
Elrond ed Elros iniziarono a raccontargli del bruco che avevano trovato in cortile, e Maedhros si alzò ed uscì in silenzio dalla sala.
Elrond non se ne sarebbe neanche accorto, se Maglor non avesse distolto per un momento la sua attenzione da loro per seguire il fratello con lo sguardo.
Per un istante, il ragazzino pensò che i loro due ospiti erano davvero diversi d’aspetto, nonostante lo stretto legame di sangue… ma poi si disse che probabilmente era un’impressione dettata per lo più dal fatto che Maedhros aveva i capelli rossi mentre quelli di Maglor erano scuri.
Di certo, però, non si somigliavano quanto lui e il suo gemello. A Elros piaceva sostenere che loro due non erano poi così identici, ma talvolta Elrond lo guardava e gli sembrava di vedersi riflesso in uno specchio.
Avevano lo stesso viso dai tratti regolari, gli stessi occhi, le stesse sopracciglia decise, gli stessi capelli lucidi e scuri.
Del tutto ignaro di quei pensieri, Elros assunse un’aria supplice, ed Elrond seppe in anticipo cosa stava per dire. Era da qualche giorno, infatti, che suo fratello assillava Maglor affinché desse loro delle lezioni di equitazione.
«È il nostro sogno di sempre» affermò adesso, con fervore.
«Di sempre?» non poté fare a meno di ripetere Elrond. «Veramente non sapevo fosse anche il mio sogno… sino ad adesso».
Elros lo guardò storto, e in quel momento Maedhros fu di ritorno. Teneva un foglio tra il petto e il braccio destro, e camminò sino al tavolo per rivolgersi ad Elrond.
«Se sei ancora interessato a quelle lettere» disse, senza troppi preamboli, «vieni con me».
Il ragazzino ebbe un sussulto sorpreso e lo guardò sbattendo le palpebre. Vagamente, notò che Elros li stava fissando a bocca aperta.
Suo fratello era stato il primo a passare dalla paura all’affetto per i figli di Fëanor, ma persino lui era ancora cauto nell’avvicinare Maedhros.
Rendendosi conto che il silenzio si stava prolungando, Elrond si affrettò a rispondere: «Sì, certo. Sì, mi interessano ancora».
Era vero, ma per qualche ragione l’invito di Maedhros lo intimoriva. Alzandosi in piedi, guardò verso Maglor in cerca di aiuto, e l’uomo si schiarì la gola.
«È tutto a posto, Russandol?»
Maedhros annuì senza batter ciglio. «Elrond mi ha soltanto posto una domanda riguardante alcune lettere». Poi, siccome suo fratello continuava a fissarlo, aggiunse: «Le lettere di Azaghâl, Makalaurë».
“Azaghâl?” si chiese Elrond, confuso, ma la comprensione passò sul volto di Maglor.
«Capisco» affermò lui, e rivolse ad Elrond un gentile cenno del capo.
In qualche modo rassicurato da quel gesto, il ragazzino seguì Maedhros fuori dalla sala e lungo il corridoio. Il suo accompagnatore aveva gambe molto più lunghe delle sue, ed Elrond doveva quasi saltellare sulle mattonelle di pietra scura, ma dopo un istante Maedhros rallentò e parve adattarsi alle sue falcate con la massima naturalezza.
In quel momento, Elrond non poté fare a meno di ricordare che un tempo Maedhros era stato il maggiore di sette fratelli.
Poi l’Elfo uscì su un balcone, ed Elrond lo seguì. Fuori era già buio, e il ragazzino ebbe un brivido istintivo. Si tenne lontano dal parapetto, poiché il giorno dell’attacco alle bocche del Sirion era nata in lui una certa avversione per le altezze. Di recente aveva iniziato ad affievolirsi, ma non era ancora svanita del tutto. Così Elrond si limitò a strizzare gli occhi davanti al paesaggio piatto, cercando di individuare il fiume Gelion.
Da parte sua, Maedhros prese con la mano sinistra il foglio che teneva sotto braccio, e lo sollevò con sicurezza verso la falce perlacea che illuminava il cielo bluastro. «Guarda».
Elrond obbedì, e i suoi occhi grigi si colmarono di meraviglia quando vide che la luce della luna, filtrando attraverso la carta, faceva brillare una rete di caratteri che sino ad un momento prima era stata invisibile.
«Ma come…?» boccheggiò, avanzando di un passo.
Maedhros lo guardò con la coda dell’occhio. «Rune lunari» spiegò, sempre tenendo alto il foglio. «Visibili solo quando la luna brilla dietro di esse… a patto che si trovi nella stessa stagione e nella stessa fase di quando furono scritte».
La meraviglia di Elrond si fece quasi reverenziale. Avrebbe dovuto raccontarlo ad Elros, non appena fosse rientrato.
«Grandioso» esalò, allungando una mano verso la lettera.
Maedhros gliela cedette, e il ragazzino rimase a contemplarla a lungo. Con un certo disappunto, scoprì di non essere in grado di decifrare nemmeno una parola.
«Hai detto a Maglor che queste sono le lettere di Azaghâl» ricordò improvvisamente, senza distogliere gli occhi dai caratteri luminosi. «Chi è Azaghâl?»
«Era» lo corresse Maedhros, in tono brusco.
Elrond lo fissò, lasciando ricedere il proprio braccio. «Io…» Aveva le orecchie in fiamme. «Mi dispiace».
Maedhros scosse il capo, ed una ciocca dei capelli ramati gli scivolò davanti al volto. «Non devi scusarti» disse, e sospirò.
Udendo quel sospiro, Elrond non poté che pensare alla stanchezza che tanto spesso si poteva leggere nell’espressione e nella postura di Maglor.
«Azaghâl era un Nano» disse Maedhros. «Sono stati loro ad inventare queste lettere. Sono scritte in ithildin, una sostanza derivata dal mithril, e con penne d’argento. Azaghâl me ne svelò il segreto, così che potessimo pianificare insieme senza che la nostra corrispondenza venisse intercettata dagli Orchi».
Elrond strinse la mano sul foglio, ma allentò subito la presa nel rendersi conto che lo stava stropicciando. «Ma allora… queste lettere…»
«Contengono parte dei nostri piani d’attacco» confermò Maedhros. «Su alcune dovrebbero esserci delle mappe».
Il ragazzino tornò a guardare la lettera che aveva in mano. La capovolse, cercando nuovamente – e fallendo – di interpretare quelle rune brillanti. «Che lingua è?»
«Nanico» fu la laconica risposta.
Elrond alzò lo sguardo e lo posò sul profilo di Maedhros. Per un istante, alla luce della luna, gli parve di vedere un reticolo di cicatrici che gli attraversava il volto, lunghe e sottili come i fili di una ragnatela.
Poi Maedhros si girò del tutto verso di lui, e quel momento passò. «Fu Azaghâl ad insegnarmi anche il suo linguaggio».
D’impulso, Elrond domandò: «Tu puoi insegnarlo a me?»
Stavolta, la sorpresa di Maedhros fu trasparente. Il suo volto, solitamente cupo e impenetrabile, si distese per una frazione di secondo, e le sue labbra si schiusero.
«Se non è un disturbo» aggiunse precipitosamente il ragazzino, avvampando per l’audacia appena dimostrata.
Maedhros lo guardò, ricomponendosi. «Va bene» disse, con voce quasi rude. «Ma prima dovrò parlarne con Makalaurë».
Nonostante il nervosismo, Elrond non poté fare a meno di sorridere, speranzoso. Non vedeva, infatti, alcun motivo per cui Maglor avrebbe dovuto rifiutare.
«Grazie» sussurrò, senza pensare che sino a qualche tempo prima gli si sarebbero strette le viscere a ringraziare un Fëanoriano.
Maedhros gli rivolse uno sguardo accigliato, quindi appoggiò i gomiti sul parapetto e si voltò per scrutare il nero della notte.

Come aveva previsto Elrond, Maglor non ebbe nulla da ridire. L’unica condizione che pose fu che quelle nuove lezioni non interferissero con quelle che lui già dava ai gemelli.
Oltretutto, Elros era finalmente riuscito a spuntarla, e uno stalliere fu incaricato di insegnar loro a cavalcare.
Maedhros era spesso impegnato; trascorreva molto tempo nel proprio studio, o nella sala di lettura, o in compagnia dei soldati, o fuori a caccia, ma almeno una volta alla settimana riusciva a trovare un’ora da dedicare ad Elrond.
Era un insegnante piuttosto diverso da suo fratello. Durante le proprie lezioni, Maglor trovava sempre qualche attimo per rilassarsi e fare un’osservazione leggera. Maedhros, invece, era più esigente e distaccato, come se volesse mantenere una certa distanza tra sé e il suo giovane allievo.
Elrond trovò difficile imparare quel nuovo linguaggio, così diverso dal Quenya e dal Sindarin, ma non si perse d’animo e memorizzò avidamente le regole che gli venivano insegnate.
Gli piaceva imparare cose nuove. Gli piaceva per il gusto del sapere, e forse anche per soddisfare il bisogno di riempirsi la mente, di lasciare sempre meno spazio per il ricordo dell’attacco alle bocche del Sirion.
Maedhros era parco di lodi, un’altra cosa che lo distingueva dal fratello, ma un giorno Elrond lo sentì parlare con Maglor ed ammettere di essere stato sorpreso dall’intelligenza del ragazzino.
«E non c’è alcun bisogno di sorridere in quel modo, Makalaurë» aggiunse subito dopo, in una rara manifestazione di irritabilità.
Maglor replicò prontamente, ma Elrond stava già sgattaiolando via con un sorriso, e non riuscì a distinguere le sue parole.
Nei pomeriggi che seguirono, mostrò ad Elros quel che aveva imparato. Era la prima volta che rivestiva così il ruolo di insegnante, ma gli piacque, e provò un’enorme soddisfazione nel vedere i progressi del fratello.
I due ragazzini non avevano ithildin a loro disposizione, ma per divertirsi iniziarono a scambiarsi dei biglietti nel linguaggio dei Nani, ridendo dei rispettivi errori.
Un giorno che Maglor assegnò loro un testo in Quenya da tradurre in Sindarin, Elrond ed Elros aggiunsero anche la traduzione in Khuzdul.
Maglor elogiò la loro grammatica, quindi chiamò Maedhros per mostrargli il lavoro dei gemelli. L’Elfo dai capelli ramati si stava massaggiando il moncherino destro con fare assente – tra loro, Elrond ed Elros pensavano fosse il segno di dolori fantasma – ma mentre leggeva la sua mano si fermò.
Elrond non ne era sicuro, ma per un istante gli parve di vedere un sorriso, per quanto breve, sottile, e appena accennato, che gli increspava le labbra.














Note:
Prima fanfiction sul Silmarillion, e sono terrorizzata e non poteva che essere sulla famiglia disfunzionale del mio cuore.
Grazie mille a leila91 per l’incoraggiamento (senza di lei, è probabile che avrei pubblicato questa one-shot il mese del poi dell’anno del mai).

Per quanto riguarda il fatto che i Fëanoriani si siano rifugiati su Amon Ereb dopo la Battaglia delle Innumerevoli Lacrime… non ricordavo più se fosse un mio headcanon o meno, ma sul Silmarillion non ho trovato niente in proposito, quindi suppongo che lo sia (e spero non contraddica alcuna informazione canonica). Comunque, visto che mi immagino che siano lì ormai da tempo (senza contare che Caranthir e i gemelli/il gemello rimasto vi avevano già stabilito una guarnigione dopo la Battaglia della Fiamma Improvvisa) ne consegue che tendo a pensare che vi abbiano radunato un seguito abbastanza numeroso (relativamente parlando), non solo soldati, ma anche una manciata di servitori. Mi auguro che abbia almeno un minimo senso come ragionamento.

Confesso di non essere del tutto soddisfatta del risultato, spero soltanto non sia una grande offesa all’opera di Tolkien ._.
  
Leggi le 11 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: 9Pepe4