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Autore: Shirokuro    09/09/2015    1 recensioni
{ brett centric; brett/neil | one-shot di 2910 parole circa | introspettivo }
«Quando si muore, si diventa stelle? E dopo che anche le stelle muoiono, che succede?» domandò il rosso.
«Si diventa desideri, poi draghi, poi si muore, poi si diventa fiamme e poi... poi basta, la fiamma si spegne» rispose quindi Neil.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una piccola fiamma nera e l'aveva accettato
   Guardava verso una finestra scura, Brett. Vedeva il cielo di una notte buia e senza stelle, senza nuvole, senza Luna, senza nessuno che accendesse una torcia nel tentativo di illuminare la propria via, senza finestre calde all’orizzonte. Era tutto silenzioso e nero, una ragnatela fatta di ombre che danzavano vivaci, anche se nessuno poteva vederle muoversi, confuse tra loro stesse, come fossero acqua che attraversava una mano aperta tra le dita distanziate. Lui le distingueva, apprezzava quello spettacolo cupo nella sua monotonia e magari, sì, anche se era difficile dirlo in quell’oscurità, riusciva a strappargli un sorriso. Si univa in quella silenziosa manifestazione di esistenza candida e viva; solo fuggendo, solo così facendo, col favore delle tenebre poteva definirsi un essere completo. Lo diceva sempre anche il Capitano Neil, che la sua capacità – drago essendo – lo rendeva qualcosa, che gli dava uno scopo in quella vita apparentemente vuota. Inizialmente non capiva il senso di dover trovare quell’obiettivo che tutti parevano avere. Fu solo quando entrò in confidenza con il drago immortale che pensò di comprenderlo.
   Lui, ad esempio, aveva come motivo d’esistenza "vivere". Per qualche tempo si disse che già respirando lo stesse facendo e quando espose questo pensiero, Neil gli rise in faccia. Non la smetteva più, semplicemente. Rideva, si ritrovò piegato in due tanto rideva. Brett distolse lo sguardo perplesso aspettando che quella che sembrava una crisi isterica finisse. Dato che era immortale, per qualche secondo si preoccupò del fatto che sarebbe potuto andare avanti per ore senza avvertire la mancanza di aria. Quando il Capitano finalmente smise, dopo qualche minuto di imbarazzante e silenziosa osservazione, espirò accennando ancora un sorriso pronto a scoppiare. «Brett,» lo chiamò poi, avvicinandolo e poggiando una mano sulla sua spalla dell’allora tredicenne – sebbene fosse alto come lo era a diciassette anni –, «il vivere che mi ha donato mia Madre è qualcosa di più platonico». Il drago d’ombra fece eco all’ultima parola, confuso, guardandolo di sottecchi. Era molto scettico riguardo il modo di vedere del più grande. Era raro trovare Brett così curioso, come lo era assistere ad un Neil così scomposto. «Non capisco» sussurrò soltanto, realizzando l’innocenza che doveva lasciar intuire.
   «Quello che pensi, è che io voglia solamente esistere, che debba restare in vita, che questo mi renderebbe felice, che così farei quello per cui sono nato, vero?» Il rosso annuì, sincero. Neil abbandonò la sua spalla e chiuse gli occhi. Dava l’impressione di essere una persona molto empatica in quel momento; no, si sbagliava, sembrava solo saggia e comprensiva. «Credo sarebbe inutile spiegartelo».
   «Voglio trovarlo anch’io» ribatté.
   «Cosa?»
   «Il mio motivo, la ragione per cui dovrei vivere» rispose, alzando di poco la voce, credendo che forse era troppo poco chiaro il concetto. «Capendo quelli degli altri, magari saprò cosa devo fare». Nell’unico occhio scoperto di Neil vide stupore, prima di riconoscere quel personaggio malinconico che fin’allora l’aveva accompagnato. Quindi prima, ridendo, mi ha solo ritenuto ingenuo.
   «Va bene Brett». Avvicinò una sedia e si ci sedette, al contrario, appoggiando le braccia conserte sullo schienale alto, invitando l’altro a fare lo stesso. Iniziò a raccontare, mentre il giovane ancora si stava accomodando – lui per dritto –, strisciando con i stivali sul pavimento mentre ascoltava con interesse ma svogliatezza le parole basse del Capitano. All’inizio non capiva perché quello che sentiva era una strana storia di contadini; episodi abbastanza usuali, doveva ammettere. Passava di generazione in generazione, con calma. Dedicava anche minuti interi su piccoli dettagli apparentemente inutili. Non aveva assistito a quegli eventi, ma sembrava stesse semplicemente ricordando ciò che aveva visto con i suoi occhi, come se avesse sentito i discorsi di quei protagonisti poco convincenti con le sue orecchie. Piano piano, comunque, scoprì che il tutto effettivamente aveva una sua logica, perché seguendo una strana linea cronologica, era riuscito a raccontare le motivazioni di colei che desiderò la sua nascita – quindi anche chi esprimeva il volere che genera il drago doveva avere motivi. Poi divenne più saltuario, qualche piccolo aneddoto sui trascorsi con lei e null’altro; non gli disse nemmeno che aspetto aveva. Alla fine, Neil incastrò la testa fra le braccia, stanco. La gola veniva accarezzata da anomalo calore; aveva parlato troppo. Respirò lentamente, riempiendo di silenzio la stanza e chiudendo gli occhi.
   «Però» disse il drago dai capelli rossi, distruggendo quella che sembrava una bolla di quiete e gentile concessione di riposo, «ancora non ho capito».
   «Ti sei divertito ad ascoltarmi?» domandò, invece di chiarire altro.
   «Abbastanza».
   «Allora la prossima volta, ti racconterò qualcos’altro» disse lentamente.
   «Qualcosa di utile?»
   Accennò una risata, forse deluso. «Sì, credo di sì» e poi non sentì più null’altro.
   In realtà, non accadde più che si sedessero nella luce di una sola lampadina a parlare di ragioni e cose simili, dopo che si addormentò quella volta accanto all’uomo. La mattina dopo si svegliò riscaldato da una coperta di fortuna, la testa prima appoggiata alle gambe di Neil ora sulla superficie della sedia. Da allora, era capitato solo che gli raccontasse qualche episodio durante brevi chiacchierate. Forse non sembrava, ma Brett aveva capito che gli era difficile parlarne, di quella donna. Poteva sembrare un ragazzino totalmente insensibile, senza interesse nei sentimenti delle persone che lo circondavano, rigido e serio, però non lo era affatto, il drago rosso. Nelle ombre che si creavano mentre abbassavano il capo a disagio, quelle che nascevano con il favore del tramonto, tra quelle tra le dita strette sul palmo della mano, quelle piccole nell’incavo degli occhi si nascondevano tanti piccoli dettagli che gli permettevano di capire cosa pensassero le persone. Erano i più piccoli gesti a distruggere e rinnovare le ombre sul loro corpo ed attorno – che lui carpiva, Brett poteva e ne approfittava. Grazie a quelle capì quel strano disaccordo che si nascondeva in Neil. Non l’avrebbe aiutato, né spinto ad aprirsi. Non era di suo interesse fare nulla del genere. Abbandonò le tenebre notturne e tornò ad osservare per un poco la finestra, prima di dirigersi verso la porta ed uscire dalla propria camera senza far rumore. A lui piaceva il silenzio; anche le parole erano solo superfluo mezzo di comunicazione che lui non necessitava. Lui aveva solo bisogno di isolarsi in un luogo dove poteva lasciarsi cullare dall’aria, come quando si abbandonava nelle ombre e lì non faceva altro che concentrarsi sul proprio respiro inesistente, semplice abitudine della quale necessitava per non ricordare. C’erano delle cose che non voleva rivivere – anche se solo col pensiero –, ma altre avrebbe voluto saperle analizzare meglio e con calma. Alcuni aspetti lo incuriosivano, del rapporto instaurato col Capitano.
   Qualche volta si erano baciati, poteva scorgere immagini nella sua testa, ma forse non era nulla di importante. La sua mente, con quei frammenti di memoria, si comportava come con azioni quotidiane come il lavarsi i denti, il vestirsi, il mangiare... Sapeva che era accaduto, ma non vedeva chiaramente. Nel tempo, anche quelle azioni che ad occhi altrui sarebbero potuti una volta sembrare rilevanti, erano potute divenire consuetudine. Lo trovava fastidioso per certi versi. Era come sgridare Iris per il suo spirito d’iniziativa – avveniva sistematicamente, non passava un giorno senza che ne combinasse una e Brett, essendo colui incaricato a tenerla d’occhio, doveva riprenderla. Continuò a camminare per il corridoio ampio, verso l’uscita.
   Giusto, Iris. Quanto era vivace. Sempre in mezzo. Non stava mai ferma, rompeva oggetti, si autodichiarava archeologa ed iniziava a scavare buche nel cortile dietro l’edificio per noia, gridava invece di parlare e lasciava tutte le sue cose in giro. Un disastro: questo era l’unico modo per descriverla. Anzi, no, ne aveva trovati molti altri nel corso del suo addestramento. Un uragano senza venti a darle vita, un radar in continua azione anche senza nulla da rilevare, una penna che scriveva senza inchiostro, pane senza farina, mare senza sale, uno scrittore senza parole: riusciva sempre a combinarne una, non importava quali fossero le condizioni nelle quali la si metteva, Iris riusciva nell’impresa. Guardandola, a volte, si diceva che avrebbe preferito avere lì Teobaldo. Mettere in riga un adulto sarebbe stato più semplice, perché magari capiva fin dove poteva spingersi – sì, addirittura quel bugiardo incosciente di Teobaldo Leonhearts sarebbe riuscito a capire dove doveva fermarsi. Lei invece era una bambina abituata a giocare cogli insetti in campi aperti. Per la polizia era un membro molto utile, ma non si decideva a collaborare con la calma dovuta.
   «Perfetto, ora che ci siamo tutti acquietati, possiamo iniziare la lezione» disse mentre con la mano sinistra si sistemava i capelli, distrutti anch’essi da quella calamità naturale. Il drago analizzatore era imbronciato, teneva lo sguardo colpevole basso, dondolava le gambe impaziente e le mani si torturavano tra di loro. «Che noia, uffa, voglio giocare».
   «Mai sentito il detto "prima il dovere e poi il piacere"?» Brett s’era spazientito.
   «Di solito il mio dovere era anche il piacere! Poi arrivate voi e sconvolgete tutto!» si lamentò senza troppi peli sulla lingua. Non la biasimava. Immaginava come potesse sentirsi; per lui esisteva solo l’organizzazione per cui lavorava, solo il Capitano, solo le pratiche da evadere, non aveva avuto il tempo di abituarsi alla Banda; ma lei era abituata a correre, a scoprire gli improponibili nomi scientifici e comuni degli insetti più disparati. S’inginocchiò, alzò la testa e quando raggiunse il contatto visivo desiderato, prese brevemente fiato e le fece una serie di domande. «Come ti chiami?», «Perché?», «Sai cosa sei?», «Come hai imparato a fare ciò che sai fare?», «Chi ti ha allevata?», «Ricordi il suo volto?» e varie nozioni simili. Le chiese di descrivere paesaggi, persone, cose, di dare un nome ad ogni singolo elemento che nominava, cosa c’era scritto sui cartelli vicino alla sua abitazione, cosa rappresentavano, se sapesse disegnare. Ad alcune rispondeva sicura, ad altre fiera, ma il più delle volte tentennava ed aspettava che il rosso proseguisse. Forse, supponendo fossero state solo venti domande, aveva risposto a quattro di esse. «Ora, dopo questo, credi di sapere abbastanza?»
   «Forse» disse infine. Era riuscito a farla sentire piccola. «Tu le sai queste cose?» chiese poi spavalda, sperando di metterlo almeno sulla difensiva. Ma il drago d’ombra annuì senza batter ciglio; ora vedeva Iris sobbalzare e mordersi il labbro inferiore. Non voleva stressarla, ma a quanto pareva, era l’unico modo per convincerla a seguirlo. La più piccola gonfiò le guance, aspettando che Brett parlasse. Lui rimase in silenzio per un po’ – era da considerarsi in parte la sua vendetta per le sue marachelle e la bambina si sentiva più in colpa ogni secondo che l’orologio appeso alla parete scandiva con un regolare tic tac distorto dallo sguardo atono del rosso. Poi a sentirsi colpevole fu lui, che senza pensarci cercò di stuzzicarla; «Puoi piangere se vuoi».
   «Non ho bisogno di piangere!»
   Ci fu qualche attimo di tranquillità, dopodiché il drago si issò in piedi e sussurrò «Ora vuoi ascoltare la lezione?» Iris annuì, mordendosi l’unghia curata con delicatezza fino a quel momento. Ora che apriva la porta principale del quartier generale, realizzò che probabilmente fu in quell’occasione che nacque la diceria secondo la quale era gentile. Si maledì silenziosamente per quell’unico piccolo gesto di bontà nei confronti di quella peste. Indugiò un attimo con la mano sulla maniglia e l’uscio libero per un quinto della sua superficie; vero era che era sempre stato molto indulgente e disponibile anche nei confronti di Efina. Sì, in effetti, c’erano stati vari casi in cui era stato buono. Ma chi non lo sarebbe stato? Efina era una bambina così cara, oramai era alta quasi quanto Teobaldo Leonhearts, ma restava una bambina di sei anni. Era sbadata come quando si nascondeva nel buio con il Padre, sincera fino a sfiorare il ridicolo, ingenua e delicata. Se non fosse stata un drago affamato di bugie, sarebbe stata amata da tutti.
   «Papà è un cretino!»
   «Ti pare il modo di parlare?» domandò Teo sentendosi nominare.
   «Non ha tutti i torti» commentò Brett. «Per fortuna i draghi non ereditano i tratti dei loro creatori» aggiunse.
   «Perché sarei un cretino?» si impuntò l’uomo, ignorando totalmente l’ospite.
   «Perché continui a premettermi che andremo a visitare William e Olivia, ma non tieni mai fede alla parola data!» si lamentò Efina. Brett le posò una mano sulla testa, accarezzandola.
   «Sappiamo tutti che non ti ci porterà mai, faresti prima a volarci» propose. Teobaldo sbiancò. Brett glielo leggeva, nelle piccole ombre dei suoi occhi spalancati  e quelle della bocca socchiusa, che davvero non voleva la piccolina andasse a trovare il suo amico.
   «Neil... Neil finisci con questi stramaledettissimi controlli e porta via da qui la tua dolce metà!» urlò, dirigendosi verso la stanza della ragazza dove il Capitano stava effettuando la visita periodica per controllare il suo stato. Brett ed Efina rimasero da soli.
   «Allora? Come va con i poteri? Oramai sei diventata un drago maturo, se impari a controllarli potresti addirittura considerarti adulta» iniziò il rosso.
   «Bene, però vorrei poter mangiare le bugie di Papà...» Lui riprese a passare la propria mano trai capelli di Efina. La sua ragione, apparentemente, era liberare Teobaldo dalle sue bugie. Addietro di anni, ci era riuscita, quando era diventato una Bugiardo in quella città colorata di rosa e tinta di un passato rosso e nero, coperto dell’oro che non poteva possedere. Quel giorno, quando Efina aveva mangiato l’orrore che ricopriva Teobaldo, quel giorno, in via del tutto teorica, quel giorno, era riuscita ad adempiere al suo dovere, era davvero stata capace di liberare quel pervertito. Ma a lei, quel giorno, non parve veramente di aver vinto nella vita, di aver vinto Teo. Da quel giorno, il suo unico desiderio era di poter mangiare fisicamente le bugie del Padre, come faceva con tutti quanti. «Credi che un giorno potrò farcela?» Brett chiuse gli occhi.
   «No, non ci credo, è impossibile, Teobaldo non può essere salvato, nemmeno da te». Comparvero una, due, tre, quattro e cinque bugie. «Nel caso avessi fame».
   Si maledì una seconda volta, perché gesti di gentilezza, in realtà, ne aveva compiuti proprio tanti. Aprì il portone ed uscì, scoprendo come il Capitano fosse fuori nell’oscurità di quella notte senza Luna, probabilmente a cercare le stelle. Gli si avvicinò lentamente, seguendo la figura alta, senza usufruire delle sue capacità. Camminare era davvero comodo a volte, avvisare invece di cogliere di sorpresa, essere a due passi dal proprio obiettivo, ma fermarsi, aspettando che si accorgesse da solo della presenza prima assente. Neil non lo degnò di uno sguardo, ma lo trasse a sé tirandogli un braccio delicato. Brett non oppose resistenza e si ritrovò fianco a fianco col Capitano.
   «Ti ricordi» iniziò sorridendo il più alto, con lo sguardo fisso sul buio infinito «quando mi chiesi se respirando io non stessi adempiendo al mio dovere, al mero vivere fisico?» Il drago d’ombra, osservando il viso senza rughe del drago immortale e finora centenario, annuì spaesato. «Forse avevi ragione, io respirando vivo, io respirando, come drago, sono su questa Terra e vivo. Avevi ragione. Ma vivendo, per sempre, posso provare sulla mia pelle tutte le esperienze che si possono fare, anche da semplice Capitano». Si prese qualche istante di pausa e cinse le spalle del giovane con il braccio sinistro, gli toccò la testa con il corno ed alzando l’arto destro, indicò il cielo con l’indice.
   «Lassù, la vedi? È piccola, insignificante, ma se osservi attentamente, c’è una stella, minuscola; sforzati un poco, la vedi?» Brett osservò attentamente quell’angolo di buio ma non vide nulla. Allora cercò con il proprio potere un luogo illuminato in cui non potesse immergersi. E la trovò, la minuscola stella, con i suoi occhi scuri di notte. «Lei, quella stellina senza emozioni, lei è mia Madre. E da qualche altra parte ci sono le persone che mi hanno educato, quelle con le quali ho instaurato rapporti di amicizia e quelle che ho odiato. Sono tutte, tutte quante, tutte lassù. Loro, come esseri umani, ma come ogni drago al mondo, sono morti. Le persone che sono morte sotto i miei occhi, quelle delle quali sono venuto a sapere la scomparsa solo anni dopo, sono tutte lì, ed ora non possono provare quello che vivo io, che respiro al tuo fianco.
   «Anche tu, respirando, hai vissuto esperienze importanti, no?»
   «Capitano».
   «Sì?»
   «È tardi per dirle che la amo?» Brett sentì il braccio del più grande irrigidirsi per qualche istante.
   «Tardi no, però...»
   «Quando si muore, si diventa stelle? E dopo che anche le stelle muoiono, che succede?» domandò il rosso.
   «Si diventa desideri, poi draghi, poi si muore, poi si diventa fiamme e poi... poi basta, la fiamma si spegne» rispose quindi Neil.
   «Quindi siamo tutti stati esseri umani?»
   «E prima ancora, eravamo piante ed animali».
   «E lei, Capitano, lei non è immortale? Lei non sarà mai fiamma?»
   «Immagino di no».
   Brett abbassò lo sguardo, osservando l’erba. Poi ricominciò a guardare il drago blu e scoprì che continuava a fissare il puntino bianco nel cielo. Adagiò la testa sul braccio di Neil ancora attorno alle sue spalle. «Capisco, cosa voleva dire, sul vivere e sull’essere vivi».
   «Davvero?» chiese sorpreso, guardandolo per la prima volta in tutta la conversazione. Lo credeva davvero così ingenuo, nonostante tutto?
   «Forse, forse però, ho... vissuto anch’io. Anche se sono nato solo per nascondermi da lei che invece mi ha insegnato tante cose, cose che probabilmente con quelli della banda non avrei mai scoperto». Il più grande sorrise e baciandolo rapidamente sulla fronte, gli diede la buonanotte, tornando nella propria camera. Chissà se il ciclo vitale dei draghi si sarebbe interrotto tra qualche generazione. Chissà se un giorno il Capitano sarebbe rimasto solo.

   Neil non aveva detto di aver visto i suoi cari morire e di odiare di essere immortale. A Neil vivere piaceva e Brett, anche da morto, da fiamma nell’oscurità dell’ombra che era, non avrebbe mai dimenticato il piacere della vita.



 
Soundtrack(s); Libera (Anna Tatangelo), Setsuna Trip (GUMI), Tempo Reale (album, Francesco Renga), Alive (Monkey Majik). Run awaaaay daremo shiranaaii get awaaaay– ok, no, è il potere di DNA che ho rispolverato dopo uno streaming a caso.
Oddio ho finito di scrivere questa one-shot. Nonostante il risultato abbastanza meh, questa cosa è stata un parto assurdo. E non solo perché per scriverla ci ho messo più o meno sette mesi ed ogni tot aggiungevo, toglievo e via, ma anche perché è un macello. Non perché è un solo paragrafo, ma perché a volte mi chiedo che senso abbia. Nasce come Brett/Neil al cento percento (una di quelle che non sarebbe mai dovuta uscire dal mio pc, nei meandri di cartelle strane assieme ad altre fic gay 8D) mA! MA! Visto che la base introspettiva che scrissi tra una scena e l'altra mi è piaciuta, ho cestinato la versione nsfw e rivisto la cosa per scrivere qualcosa sempre Brett/Neil, ma incentrata più particolarmente sul perché Brett si sia innamorato di Neil – concetto rimasto pressoché intatto nella versione finale, ovvero che Neil gli ha insegnato a vivere –, e non volevo nemmeno fosse troppo lunga. Ma scrivendo e scrivendo, tra una frase e l'altra, del pair non è rimasto quasi nulla e magari fa pure skif come sta adesso, ma toglierlo non mi piaceva, nasceva come Brett/Neil, almeno questi tranci li volevo lasciare.
È un paragrafo unico. Non ho separato le varie scene tra di loro da spazi né altro, perché sono ricordi che Brett riattraversa mentre cammina ed esce dal... non so?? bho, esce in giardino ecco (non ho idea, non so proprio, esce, basta). Inizia con Brett immerso nelle ombre, annoiato. Decide, sempre per noia, di uscire a prendere aria dove incontra Neil. La dinamica è questa. Più tutti i flashback. Alla fine, ci sono due frasi, che hintano come alla fine Brett sia morto e diventato una fiamma, come dice il titolo.
Nulla. Davvero, non ricordo nulla di particolare da segnalare. Bho. Davvero. Io-
Grazie di aver letto?? Sì, grazie.
   
 
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