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Autore: Lyla    08/02/2009    2 recensioni
L'incidente con lo 03 ha lasciato in Toji delle ferite profonde anche al di là del suo fisico orribilmente mutilato. Solo, con la mente profondamente segnata dall'orrore al quale stenta a credere di essere sopravvissuto, il ragazzo giace in un letto d'ospedale e vede uno spiraglio di luce nella sua vita soltanto nell'amore sincero della capoclasse Hikari... una one-shot sulla coppia TojixHikari.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hikari Horaki, Toji Suzuhara
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Evangelion e i suoi personaggi non mi appartengono

Disclaimer: Evangelion e i suoi personaggi non mi appartengono. Questa fanfiction è stata scritta per puro divertimento, e non per scopi di lucro.

 

 

Please, don’t go

 

 

Era solo.

Solo e completamente immobile sul letto d’ospedale che da giorni, forse da settimane, ormai – non ne era sicuro, costituiva il suo giaciglio obbligato.

Intorno a lui, il ronzìo quasi incessante delle macchine, lento e ossessivo.

La sua unica compagnia in mezzo a un silenzio che altrimenti sarebbe stato assordante. 

Qualcosa gli riecheggiava nella testa come un’eco.

Un rumore forte. Minaccioso.

Non riusciva a capire cosa fosse.

Che si trattasse del battito del suo cuore?

No, era qualcosa di stranamente familiare.

Si sforzò di non ascoltarlo.

Gli facevano male gli occhi.

Si concentrò su quel provvidenziale fastidio.

Non ci riusciva.

Per quanti sforzi facesse, non riusciva a tenerli aperti.

Forse era per via della luce azzurrina, vivida e accecante, che entrava dalla finestra…o forse, gli dolevano perché si era appena risvegliato dallo stato di torpore che lo aveva assalito all’improvviso.

Ci aveva fatto l’abitudine. Si addormentava spesso, su quel lettino d’ospedale candido e di un biancore per nulla confortante.

Non c’era niente che gli appartenesse, in quel luogo.

Per un attimo, desiderò di addormentarsi nuovamente.

Voleva smettere di vedere, ascoltare, sentire l’ambiente intorno a sé…

Voleva scomparire, annullarsi nell’oblìo confortante del sonno senza pensare più a niente.

Del resto non c’era molto che potesse fare, immobilizzato com’era a seguito dell’incidente.

Si sforzò di tenere gli occhi aperti, e sospirò rassegnato, rendendosi conto che non era stato tutto un sogno.

Purtroppo era successo davvero.

Il bianco delle lenzuola pulite e immacolate che lo avvolgevano glielo ricordava ogni volta che permetteva al proprio io di pensare che quella stanza non era che il frutto del suo inconscio, nel mezzo di un sonno profondo.

Ma lui non era a casa sua, nel suo letto.

Era un soffitto sconosciuto quello che aveva davanti agli occhi in quel preciso istante.  E lo vedeva da giorni, sempre uguale.

Per fortuna non sentiva più alcun dolore, nonostante le ferite.

Anzi, non avvertiva nulla che si trovasse al di sotto del collo.

Gli sarebbe piaciuto alzarsi e andare via, fuggire da quell’inferno accecante.

Fare quattro passi gli avrebbe fatto bene.

Persino l’idea di andare a scuola lo attirava.

Lui, che non era mai stato un allievo modello, aveva voglia di tornare in classe.

La situazione si faceva sempre più disperata.

Magari era solo questione di pochi giorni.

Forse, presto sarebbe stato dimesso.

Se avrebbe avuto effettivamente modo di camminare, di lì a poco.

A pensarci bene, non sapeva nemmeno se sarebbe stato in grado di camminare per il resto dei suoi giorni. 

Chissà come stava la sua sorellina…

Ormai era da settimane che non andava a trovarla.

Se solo qualcuno gli avesse detto che era libero di andarsene…

Le infermiere entravano nella sua stanza solo di tanto in tanto, per controllare le sue condizioni fisiche generali – come se fosse necessario – e per portargli qualcosa da mangiare, ma non gli dicevano nulla riguardo a un suo possibile rilascio dall’ospedale.

Senza contare che quello che chiamavano cibo era disgustoso, paragonato a quello che gli portava la capoc…

Di nuovo quel rumore.

Toji strinse gli occhi, nel tentativo di ricacciarlo indietro, di non ascoltarlo.

Di smettere di pensare.

Ma era inutile.

Non ci riusciva.

I colpi dell’Evangelion 01 continuavano a infrangersi inesorabili sulla corazza del suo 03, mentre lui veniva risucchiato in un vortice di orrore e paura senza fine e pregava che presto sarebbe tutto finito.

Sarebbe stato meglio morire piuttosto che vedersi ridurre in pezzi da una bestia simile.

Perché era ancora vivo?

Il dolore era così forte da impedirgli di respirare.

Tutto era diventato buio.

Era morto davvero, alla fine?

Era sopravvissuto veramente alla furia del mostro?

Non vedeva più niente, ormai, solo oscurità.

Era morto!

Era…

“Suzuhara!”

Una voce familiare si fece strada nella sua mente, celando il rumore dei colpi dell’Evangelion solo in parte, accompagnata da un rumore di passi concitato.

“Suzuhara, tutto bene?”

Se n’era andato.

Il rumore era scomparso, per il momento.

Respirava a fatica.

Aprì gli occhi doloranti, l’unica mano che gli era rimasta sollevata sul lato destro del volto.

Si voltò con cautela, pregando che il terrore non lo assalisse nuovamente.

“Ah, sei tu…capoclasse” riuscì ad articolare con una voce che non sembrava la sua.

Il suo sguardo incontrò il viso di una ragazza che conosceva.

Era solcato da una profonda preoccupazione mista a timore.

Non sapeva fosse già l’orario delle visite.

Aveva la bocca asciutta. Si sforzò di deglutire con scarso successo.

Sudava freddo.

Stava tremando.

“Suzuhara, che ti succede? Poco fa, quando hai urlato…ecco…”

Aveva urlato?

La capoclasse doveva avere ragione.

Non era da lei, mentire.

Lui…non se n’era nemmeno reso conto.

Ecco cos’era quel dolore alla gola.

Ecco perché si era improvvisamente ritrovato con il corpo scosso da un tremore incontrollabile…

Toji nascose il viso tra le lenzuola, la mano stretta convulsamente su di esse.

Aveva urlato.

Non riusciva a guardarla.

Non ci riusciva.

“Scusami, capoclasse. Non…volevo spaventarti”

La ragazza non disse nulla, ma Toji sapeva benissimo che genere d’espressione avesse negli occhi in quel momento.

Apprensiva.

Triste.

Non voleva che la capoclasse lo guardasse in quel modo.

Non riusciva a sopportarlo.

Quella ragazza si era presa il disturbo di andare a vedere come stava per l’ennesima volta, e lui…lui le offriva uno spettacolo del genere.

Che razza di uomo era, per mostrare a una ragazza – a quella ragazza - un simile attimo di debolezza?

“Ora…sì, ora va meglio” mormorò dopo qualche secondo come se quelle parole potessero bastare  a rassicurare entrambi.

Si mise a sedere sul letto, cercando di rilassarsi, ancora incapace di guardare negli occhi la capoclasse.

Avrebbe tanto voluto che se ne andasse.

Era così imbarazzato che gli sarebbe piaciuto scomparire, dissolversi nel nulla, pur di non sentire i suoi occhi su di sé…sul suo fisico orribilmente mutilato.

Sapeva che lei ci aveva fatto l’abitudine, forse.

Eppure, quel senso di imbarazzo non accennava a scomparire.

“Non va affatto meglio!”

La voce della capoclasse fu come uno schiaffo in pieno volto, lo costrinse a voltarsi verso di lei.

Rimase impietrito.

In piedi accanto al letto, la testa bassa, le mani strette a pugno come se stesse trattenendosi dal colpirlo fisicamente, la ragazza tremava senza riuscire a controllarsi. Non l’aveva mai vista così arrabbiata, prima di allora.

“Devi smetterla di prendermi in giro, Suzuhara!”

Alzò finalmente gli occhi, e guardandola, Toji si sentì avvolgere da un’improvvisa sensazione di gelo.

Lacrime.

Erano pieni di lacrime.

La capoclasse stava piangendo?

“Non ne posso più di guardarti senza riuscire a fare niente per aiutarti! Ne ho abbastanza!”

La ragazza fece per andarsene improvvisamente così com’era venuta, scostando con la mano la sedia di fianco al letto che occupava regolarmente, come se non potesse sopportare la sua vista un minuto di più…

No!

“Aspetta!”

Non voleva!

Non voleva che se ne andasse!

Non voleva restare solo!

Non voleva stare senza di lei…di nuovo.

Doveva fare qualcosa.

Hikari, aspetta!”

La ragazza si fermò di colpo, impietrita.

Era la prima volta che la chiamava per nome, e Toji si accorse con stupore che gli era venuto del tutto naturale. 

La capoclasse rimase ferma lì per alcuni istanti, come se volesse conservare nella memoria il suono del suo nome pronunciato dal ragazzo, poi si voltò lentamente verso di lui.

Sapeva benissimo di non essere un bello spettacolo.

Nella foga, nella voglia – o era piuttosto una necessità? - di trattenerla con sé ancora per un po’, aveva lasciato che le lenzuola scoprissero il suo corpo solitamente nascosto alla sua vista.

Il vuoto al posto della gamba sinistra era visibile alla perfezione, così come quello che sostituiva il braccio sinistro del ragazzo…

Si era sporto verso di lei con tutto il suo essere, pur di non lasciarla andare.

Il suo cuore batteva con così tanta frenesia che aveva paura che Hikari potesse sentirlo.

La capoclasse lo stava guardando con un’espressione indescrivibile sul viso.

Orrore misto a compassione.

Tristezza.

Stupore.

Dolore.

C’era anche qualcos’altro negli occhi di Hikari.

Era forse affetto? Pietà?

Toji non riusciva a distinguerlo bene. 

Era come se il tempo si fosse fermato.

Il silenzio era così pesante che non riuscì a tollerarlo un secondo di più.

“Aspetta un attimo…per favore” disse in un sussurro, senza staccare gli occhi da quelli della ragazza.

Le si stavano nuovamente riempiendo di lacrime.

Odiava vederla piangere.

Distolse lo sguardo, cercando dentro di sé le parole giuste per fare in modo che smettesse, sperando che contribuissero a calmarla e a farla tornare quella di sempre.

“Scusami tanto, Hikari. Non volevo spaventarti. Tu e Soryu avete ragione. Sono davvero uno stupido” mormorò Toji coprendosi il corpo mutilato con il lenzuolo.

Un improvviso spostamento d’aria lo fece voltare quanto bastava perché si rendesse conto che la capoclasse non si trovava più in piedi a qualche metro da lui.

Era molto più vicina.

Si sentì investire da un profumo delicato e familiare, mentre due braccia si stringevano a lui con dolcezza e una macchia di capelli castani gli oscurava parte della visuale.

La capoclasse.

Lo stava.

Abbracciando.

Non riusciva a pensare più a niente.

Persino i colpi dell’Evangelion 01 sembravano un ricordo lontano, sbiadito in confronto a tutto il resto.

Se solo il suo cuore avesse smesso di battere così freneticamente…

Doveva dipendere dalla vicinanza di Hikari.

“Non dire mai più una cosa del genere. Non sei uno stupido…ero solo spaventata. Mi sento così inutile…Toji” mormorò la ragazza con voce dolce e confortante, pronunciando il suo nome con lieve imbarazzo.

Non era inutile.

Non lo era affatto.

Non sentiva più niente.

Né il ronzìo dei macchinari, né il dolore fisico, né l’urlo bestiale dell’Evangelion che da tempo popolava i suoi incubi e le sue veglie.

Toji rispose all’abbraccio, nascondendo il volto nell’incavo tra la spalla e il collo della ragazza, e fu come se si stesse aggrappando alla capoclasse con tutte le sue forze.

Sentì che lei si irrigidiva, ma non gli importava.

Voleva solo che restasse lì con lui.

Che sentisse che aveva bisogno che restasse accanto a lui…ancora per un po’.

“Non andartene…ti prego

Hikari arrossì violentemente, ma in cuor suo era contenta.

Le parole di Toji esprimevano molto più di quello che potevano significare a prima vista, e anche se il ragazzo non le diceva una parola riguardo al suo stato d’animo e alla sua sofferenza interiore, per lei andava bene lo stesso.

Suzuhara, il ragazzo di cui era innamorata e al quale aveva cercato di avvicinarsi più volte inutilmente al di là del rapporto tra compagni di classe, il ragazzo che aveva rischiato di morire e che Hikari sognava da tempo…la stava abbracciando. Come se non volesse più lasciarla andare.

Non piangeva. Non più.

Non c’era più motivo di piangere, ora che Toji la stava stringendo a sé con il viso nascosto tra i suoi capelli.

“Odori di buono…capoclasse”

Hikari trasalì, tornando improvvisamente in sé, e sciolse l’abbraccio, incapace di guardarlo, e lui credette di sapere cosa le passava per la testa in quel momento.

Non era da lei cedere così alle sue emozioni.

“Grazie, Suzuhar…Toji”

Quel rossore le donava davvero.

Non ci aveva mai fatto caso, prima.

Di nuovo silenzio.

Toji guardò un punto imprecisato delle lenzuola davanti a sé, sperando che il suo imbarazzo non si notasse.

Aveva avuto l’ennesimo attimo di debolezza.

E gli succedeva sempre in presenza di quella ragazza.

Se solo non fosse stato così debole…

Però la vicinanza della capoclasse…l’aveva fatto sentire decisamente meglio.

Per un attimo, era stato come se il mondo intero avesse smesso di esistere.

Come se loro due fossero i suoi unici abitanti.

Come se nientel’arruolamento come pilota, l’incidente, il dolore, la paura - fosse mai esistito veramente.

Come se fosse soltanto appartenuto a un sogno.

“Bè…l’orario delle visite è passato da un pezzo”

La voce della capoclasse lo riportò bruscamente alla realtà.

Non voleva sentire il resto.

Sapeva benissimo quello che stava per dirgli.

Toji guardò in alto, verso il soffitto sconosciuto, ricadendo sui cuscini.

“Devo andare”

Hikari esitò un attimo, nell’accorgersi dello sguardo rassegnato e carico di qualcosa di simile alla delusione del ragazzo.

Sapeva che era ancora lì in piedi di fianco al letto.

Evidentemente, attendeva una sua risposta.

Toji però non aveva nessuna voglia di parlare.

“A…a domani!”

La voce della capoclasse lo raggiungeva come da lontano, mentre un torpore fin troppo familiare si impadroniva del suo essere e la ragazza si allontanava velocemente, sparendo in un attimo dalla sua vista.

 

 

Faceva caldo, e non riusciva a capire che ora fosse.

L’orario delle visite sembrava comunque un miraggio lontano, per il ragazzo disteso sul letto d’ospedale in preda alla noia e alla solitudine.

Sembravano passati giorni dall’ultima volta che la capoclasse si era fatta viva, eppure lei era stata lì meno di ventiquattro ore prima…forse non aveva più la concezione del tempo che passava, o forse era tutto frutto della sua immaginazione.

Forse, anche la presenza di Hikari nella sua stanza era stato tutto un sogno.

No.

Il giorno prima, quando lei era andata a trovarlo, lo aveva visto nel bel mezzo di una crisi di panico. Non riusciva a dimenticare il suo profumo, le sue lacrime, il suo tenero abbraccio e il suono confortante della sua voce.

Non poteva essere stato un sogno.

Non voleva che lo fosse.

Si mise a sedere sul letto, contento di non avere più bisogno di una maschera per l’ossigeno. Sospirò profondamente, con l’esatta consapevolezza di essere ancora vivo. Era vivo, nonostante le ferite. Se avesse chiuso gli occhi in quel momento, avrebbe creduto di possedere ancora il braccio e la gamba di cui era stato privato selvaggiamente dalla bestia.

Eppure era lì, costretto in un letto d’ospedale, senza la minima idea di quando ne sarebbe uscito.

Un’altra volta. Se l’era chiesto ancora una volta.

Ogni giorno era uguale al precedente.

Era così da settimane, ormai.

L’unico evento degno di nota erano le visite della capoclasse.

Quando varcava la soglia della stanza, era come se il tempo scorresse più  velocemente, per Toji: un attimo prima era con lui, un attimo dopo si preparava ad andarsene con la promessa che sarebbe tornata il giorno successivo dopo la scuola.

Hikari era fedele alla sua parola.

Non c’era mai stata una volta, da quando si trovava lì, in cui non fosse venuta a trovarlo.

Era stata al suo fianco vicino al letto anche quando aveva dormito per giorni subito dopo l’incidente, senza che si accorgesse della sua presenza.

Ora che ci pensava, le visite della ragazza erano il solo punto fermo che avesse, dall’incidente.

L’unico motivo per cui valeva la pena essere ancora vivo.

Più pensava a Hikari, meno la violenza dei colpi dell’Evangelion 01 sul corpo inerme dello 03 gli tornava alla mente per sopraffarlo.

Quanto mancava all’orario delle visite?

Non riusciva più a tollerare il vuoto intorno a sé, la sola compagnia dei macchinari e il soffitto sulla sua testa.

Aveva bisogno che Hikari lo riempisse con la sua sola presenza.

Proprio quando temeva di essere sul punto di impazzire, sentì un invitante profumo aleggiare nell’aria, accompagnato da alcune parole sussurrate a una persona che doveva essere sicuramente un’infermiera, mentre la capoclasse prometteva che ‘avrebbe fatto presto’ e la ringraziava ‘per la sua gentilezza’.

Hikari era lì! Era venuta a trovarlo anche questa volta.

La ragazza lo raggiunse in un attimo, mettendo da parte la borsa scolastica con una mano e reggendo un sacchetto nell’altra, raggiante.

“Suzuhara! Scusami se ci ho messo tanto, ma…dovevo finire di preparare questo” disse Hikari rivelando il suo contenuto con lieve imbarazzo.

Si trattava di un bento di quelli che gli preparava da settimane, preparato con cura e pieno delle più gustose leccornie.

Una vera manna dal cielo, che uno fosse costretto a letto in un ospedale o meno!

“Quando è così, sei del tutto giustificata, capoclasse!”

Al vedere cos’aveva preparato apposta per lui, Toji si sentì improvvisamente meglio. La ragazza gli si sedette accanto, pronta a non perdersi un attimo della cena che si apprestava a consumare, e gli sorrise timidamente.

“Spero che ti piaccia! Ad essere sincera, non è venuto bene come al solito, ma…lascio giudicare a te”

“Scommetto che sarà buonissimo, anche se non l’ho ancora assaggiato” disse Toji brusco, facendola arrossire.

“D-davvero? Grazie”

Quella ragazza doveva smetterla di sminuire le sue capacità.

Secondo lui era un’ottima cuoca.

Doveva aver fatto pratica occupandosi delle sue sorelle…

Chissà come stava la sua.

“Hai notizie della mia sorellina?” le chiese improvvisamente incupito.

“Sì…a dire il vero, sono andata a trovarla giusto ieri” rispose la ragazza tormentandosi un angolo della gonna scolastica. “Continua a chiedere di te, ma io le ho assicurato che presto starai meglio e…” si interruppe, cercando le parole più adatte dentro di sé. “…tu starai meglio davvero, Toji. Ne sono sicura. Magari presto ti dimetteranno, e forse anche lei, e…”

“Va bene così, capoclasse”

Non voleva sentire altro. Aveva sentito abbastanza.

L’ombra di un sorriso apparve sul suo volto celando la sua tristezza solo in parte.

“Grazie…grazie davvero”

La fiducia di Hikari nel futuro era qualcosa di commovente, che lo scaldava dentro e gli dava qualche speranza di tornare a fare la sua vecchia vita, quella risalente a prima che venisse selezionato come pilota dell’Eva…

La ragazza non diceva niente, gli occhi fissi in un punto imprecisato delle lenzuola, ma Toji sapeva perfettamente quale fosse il suo stato d’animo e quali  pensieri le solcassero la mente in quel momento.

Sapeva che lei lo amava.

L’aveva sempre saputo.

E lui? Cosa provava per lei?

Era semplice gratitudine…o c’era qualcosa di più, qualcosa che era difficile da scorgere a prima vista dentro il suo io?

Per la seconda volta in appena due giorni, Toji si ritrovò con la gola secca.

Non l’aveva mai fatto, ma…

Aveva voglia…sì, aveva improvvisamente voglia di baciarla.

“Senti…Hikari. Ti avvicineresti un momento?” chiese cautamente alla ragazza, sperando che il suo imbarazzo non si notasse.

“C-certo!” rispose lei premurosa, guardandolo incoraggiante mentre si sforzava di mettere a tacere il suo crescente nervosismo, e si chinò in avanti. 

“Ancora un po’…”

Hikari obbedì, arrossendo ancora di più, forse intuendo quello che stava per fare.

Erano così vicini che il ragazzo potè leggere chiaramente nei suoi pensieri.

Stavano provando le stesse emozioni.

Agitazione.

Paura.

Tristezza.

Curiosità.

Gratitudine.

Affetto.

Amore?

“Non è abbastanza!”

Toji si mosse quanto bastava perché le sue labbra incontrassero brevemente quelle della ragazza senza darle il tempo di ritrarsi. Erano più morbide di quanto avesse mai immaginato. Quando tornò a guardarla negli occhi, pensò che non gli era mai sembrata bella come in quel momento.

“Suzuhara…”

Le guance arrossate, Hikari lo fissava incredula, con il volto pervaso dalla felicità. Sembrava splendere di luce propria, mentre lui accorciava nuovamente la distanza tra i loro volti e la baciava un’altra volta lasciandosi guidare unicamente da quello che provava quando lei gli stava vicino.

Era amore?, si chiedeva Toji mentre le labbra di Hikari si adattavano perfettamente alle sue ancora una volta come se fossero fatte apposta perché lui,  e lui soltanto le baciasse, la mente confusa.

Si trattava di amore, forse?

Non lo sapeva.

Il rumore era scomparso.

Il dolore era scomparso.

La solitudine, il senso di vuoto che lo pervadeva quando lei non c’era era scomparso.

Ne aveva appena avuto la conferma.

Tutto svaniva nel nulla, mentre la capoclasse lo baciava a sua volta con tenerezza lasciando fluire liberamente i suoi sentimenti e Toji si sentiva investito da forza sconosciuta.

Il suo io sembrava sul punto di scomparire…era come se si stesse fondendo con quello della ragazza che lo amava da tempo e che gli era sempre stata vicino…e che, forse, anche lui aveva imparato ad amare.

“Sei così dolce, Suzuhara…” disse Hikari non appena si separarono, guardando un punto imprecisato del pavimento. “…è per questo che mi piaci tanto”

Davanti a quell’affermazione doveva avere assunto un’espressione davvero buffa, visto il modo in cui la ragazza gli stava sorridendo.

Anche tu mi piaci, capoclasse” ribattè Toji tutto d’un fiato.

L’aveva detto davvero?

“Sono così felice...ho sperato tanto che prima o poi ti accorgessi di me”

Hikari lo guardò sorridendo, una mano stretta nella sua, e Toji si rese conto che non lo avrebbe mai abbandonato.

Quella ragazza avrebbe fatto del suo meglio per restargli accanto.

E anche lui voleva stare con lei.

Forse per sempre.

Nient’altro contava più, a parte quella nuova consapevolezza.

Per entrambi. 

 

 

FINE

 

 

**

 

Ciao a tutti!

Questa fan fiction non è altro che il mio primo tentativo di accostarmi al mondo di Evangelion e soprattutto alla coppia che preferisco in assoluto dell’anime (e dei vari manga ispirati a questa incredibile serie, come quello che è in edicola ultimamente e che dà un discreto spazio alla coppia).

L’ho scritta di getto, in preda all’ispirazione che, stranamente, si fa sentire solo nei momenti in cui sono più nervosa (come un periodo di esami), e volevo mettere in evidenza la solitudine di Toji che, sopravvissuto per miracolo alla furia dello 01, trova un “appiglio” nell’amore sincero di Hikari che, ne sia consapevole o meno, ha imparato a ricambiare pur conservando la sua malcelata timidezza.

Se vi va, lasciate un commento!

Lyla

 

 

  
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