Disclaimer: Evangelion e i suoi personaggi non mi
appartengono. Questa fanfiction è stata scritta per puro divertimento, e non
per scopi di lucro.
Please, don’t go
Era solo.
Solo e completamente immobile sul letto
d’ospedale che da giorni, forse da settimane, ormai – non ne era sicuro, costituiva il suo giaciglio obbligato.
Intorno a lui, il ronzìo quasi incessante
delle macchine, lento e ossessivo.
La sua unica compagnia in mezzo a un
silenzio che altrimenti sarebbe stato assordante.
Qualcosa gli riecheggiava nella testa come
un’eco.
Un rumore forte. Minaccioso.
Non riusciva a capire cosa fosse.
Che si trattasse del battito del suo
cuore?
No, era qualcosa di stranamente familiare.
Si sforzò di non ascoltarlo.
Gli facevano male gli occhi.
Si concentrò su quel provvidenziale
fastidio.
Non ci riusciva.
Per quanti sforzi facesse, non riusciva a
tenerli aperti.
Forse era per via della luce azzurrina,
vivida e accecante, che entrava dalla finestra…o forse, gli dolevano perché si
era appena risvegliato dallo stato di torpore che lo aveva assalito
all’improvviso.
Ci aveva fatto l’abitudine. Si
addormentava spesso, su quel lettino d’ospedale candido e di un biancore per
nulla confortante.
Non c’era niente che gli appartenesse, in
quel luogo.
Per un attimo, desiderò di addormentarsi
nuovamente.
Voleva smettere di vedere, ascoltare,
sentire l’ambiente intorno a sé…
Voleva scomparire, annullarsi nell’oblìo
confortante del sonno senza pensare più a niente.
Del resto non c’era molto che potesse
fare, immobilizzato com’era a seguito dell’incidente.
Si sforzò di tenere gli occhi aperti, e
sospirò rassegnato, rendendosi conto che non
era stato tutto un sogno.
Purtroppo era successo davvero.
Il bianco delle lenzuola pulite e
immacolate che lo avvolgevano glielo ricordava ogni volta che permetteva al
proprio io di pensare che quella stanza non era che il frutto del suo
inconscio, nel mezzo di un sonno profondo.
Ma lui
non era a casa sua, nel suo letto.
Era un soffitto sconosciuto quello che
aveva davanti agli occhi in quel preciso istante. E lo vedeva da giorni, sempre uguale.
Per fortuna non sentiva più alcun dolore,
nonostante le ferite.
Anzi, non avvertiva nulla che si trovasse al di sotto del collo.
Gli sarebbe piaciuto alzarsi e andare via,
fuggire da quell’inferno accecante.
Fare quattro passi gli avrebbe fatto bene.
Persino l’idea di andare a scuola lo
attirava.
Lui, che non era mai stato un allievo
modello, aveva voglia di tornare in classe.
La situazione si faceva sempre più
disperata.
Magari era solo questione di pochi giorni.
Forse, presto sarebbe stato dimesso.
Se
avrebbe avuto effettivamente modo di camminare, di lì a poco.
A pensarci bene, non sapeva nemmeno se
sarebbe stato in grado di camminare per
il resto dei suoi giorni.
Chissà come stava la sua sorellina…
Ormai era da settimane che non andava a
trovarla.
Se solo qualcuno gli avesse detto che era
libero di andarsene…
Le infermiere entravano nella sua stanza
solo di tanto in tanto, per controllare le sue condizioni fisiche generali – come se fosse necessario – e per
portargli qualcosa da mangiare, ma non gli dicevano nulla riguardo a un suo
possibile rilascio dall’ospedale.
Senza contare che quello che chiamavano
cibo era disgustoso, paragonato a
quello che gli portava la capoc…
Di nuovo quel rumore.
Toji strinse gli occhi, nel tentativo di
ricacciarlo indietro, di non ascoltarlo.
Di smettere di pensare.
Ma era inutile.
Non ci riusciva.
I colpi dell’Evangelion 01 continuavano a
infrangersi inesorabili sulla corazza del suo 03, mentre lui veniva risucchiato
in un vortice di orrore e paura senza fine e pregava che presto sarebbe tutto
finito.
Sarebbe stato meglio morire piuttosto che vedersi ridurre in pezzi da una bestia simile.
Perché
era ancora vivo?
Il dolore era così forte da impedirgli di
respirare.
Tutto era diventato buio.
Era morto davvero, alla fine?
Era sopravvissuto
veramente alla furia del mostro?
Non vedeva più niente, ormai, solo
oscurità.
Era
morto!
Era…
“Suzuhara!”
Una voce familiare si fece strada nella
sua mente, celando il rumore dei colpi dell’Evangelion solo in parte,
accompagnata da un rumore di passi concitato.
“Suzuhara, tutto bene?”
Se n’era andato.
Il rumore era scomparso, per il momento.
Respirava a fatica.
Aprì gli occhi doloranti, l’unica mano che gli era rimasta sollevata sul lato
destro del volto.
Si voltò con cautela, pregando che il
terrore non lo assalisse nuovamente.
“Ah, sei tu…capoclasse” riuscì ad
articolare con una voce che non sembrava la sua.
Il suo sguardo incontrò il viso di una
ragazza che conosceva.
Era solcato da una profonda preoccupazione
mista a timore.
Non sapeva fosse già l’orario delle
visite.
Aveva la bocca asciutta. Si sforzò di
deglutire con scarso successo.
Sudava freddo.
Stava tremando.
“Suzuhara, che ti succede? Poco fa, quando
hai urlato…ecco…”
Aveva urlato?
La capoclasse doveva avere ragione.
Non era da lei, mentire.
Lui…non se n’era nemmeno reso conto.
Ecco cos’era quel dolore alla gola.
Ecco perché si era improvvisamente
ritrovato con il corpo scosso da un tremore incontrollabile…
Toji nascose il viso tra le lenzuola, la
mano stretta convulsamente su di esse.
Aveva urlato.
Non
riusciva a guardarla.
Non ci riusciva.
“Scusami, capoclasse. Non…volevo
spaventarti”
La ragazza non disse nulla, ma Toji sapeva
benissimo che genere d’espressione avesse negli occhi in quel momento.
Apprensiva.
Triste.
Non voleva che la capoclasse lo guardasse
in quel modo.
Non
riusciva a sopportarlo.
Quella ragazza si era presa il disturbo di
andare a vedere come stava per l’ennesima volta, e lui…lui le offriva uno
spettacolo del genere.
Che razza di uomo era, per mostrare a una
ragazza – a quella ragazza - un
simile attimo di debolezza?
“Ora…sì, ora va meglio” mormorò dopo
qualche secondo come se quelle parole potessero bastare a rassicurare entrambi.
Si mise a sedere sul letto, cercando di
rilassarsi, ancora incapace di guardare negli occhi la capoclasse.
Avrebbe tanto voluto che se ne andasse.
Era così imbarazzato che gli sarebbe
piaciuto scomparire, dissolversi nel nulla, pur di non sentire i suoi occhi su di sé…sul suo fisico
orribilmente mutilato.
Sapeva che lei ci aveva fatto l’abitudine,
forse.
Eppure, quel senso di imbarazzo non
accennava a scomparire.
“Non va affatto meglio!”
La voce della capoclasse fu come uno
schiaffo in pieno volto, lo costrinse a voltarsi verso di lei.
Rimase impietrito.
In piedi accanto al letto, la testa bassa,
le mani strette a pugno come se stesse trattenendosi dal colpirlo fisicamente,
la ragazza tremava senza riuscire a controllarsi. Non l’aveva mai vista così
arrabbiata, prima di allora.
“Devi smetterla di prendermi in giro,
Suzuhara!”
Alzò finalmente gli occhi, e guardandola,
Toji si sentì avvolgere da un’improvvisa sensazione di gelo.
Lacrime.
Erano pieni di lacrime.
La capoclasse stava piangendo?
“Non ne posso più di guardarti senza
riuscire a fare niente per aiutarti! Ne ho abbastanza!”
La ragazza fece per andarsene
improvvisamente così com’era venuta, scostando con la mano la sedia di fianco
al letto che occupava regolarmente, come se non potesse sopportare la sua vista
un minuto di più…
No!
“Aspetta!”
Non voleva!
Non voleva che se ne andasse!
Non voleva restare solo!
Non voleva stare senza di lei…di nuovo.
Doveva fare qualcosa.
“Hikari,
aspetta!”
La ragazza si fermò di colpo, impietrita.
Era la prima volta che la chiamava per
nome, e Toji si accorse con stupore che gli era venuto del tutto naturale.
La capoclasse rimase ferma lì per alcuni
istanti, come se volesse conservare nella memoria il suono del suo nome
pronunciato dal ragazzo, poi si voltò lentamente verso di lui.
Sapeva benissimo di non essere un bello
spettacolo.
Nella foga, nella voglia – o era piuttosto una necessità? - di
trattenerla con sé ancora per un po’, aveva lasciato che le lenzuola
scoprissero il suo corpo solitamente nascosto alla sua vista.
Il vuoto al posto della gamba sinistra era
visibile alla perfezione, così come quello che sostituiva il braccio sinistro
del ragazzo…
Si
era sporto verso di lei con tutto il suo essere, pur di non lasciarla andare.
Il suo cuore batteva con così tanta
frenesia che aveva paura che Hikari potesse sentirlo.
La capoclasse lo stava guardando con
un’espressione indescrivibile sul viso.
Orrore misto a compassione.
Tristezza.
Stupore.
Dolore.
C’era anche qualcos’altro negli occhi di Hikari.
Era forse affetto? Pietà?
Toji non riusciva a distinguerlo
bene.
Era come se il tempo si fosse fermato.
Il silenzio era così pesante che non
riuscì a tollerarlo un secondo di più.
“Aspetta un attimo…per favore” disse in un
sussurro, senza staccare gli occhi da quelli della ragazza.
Le si stavano nuovamente riempiendo di
lacrime.
Odiava vederla
piangere.
Distolse lo sguardo, cercando dentro di sé
le parole giuste per fare in modo che smettesse, sperando che contribuissero a
calmarla e a farla tornare quella di sempre.
“Scusami tanto, Hikari. Non volevo
spaventarti. Tu e Soryu avete ragione. Sono davvero
uno stupido” mormorò Toji coprendosi il corpo mutilato con il lenzuolo.
Un improvviso spostamento d’aria lo fece
voltare quanto bastava perché si rendesse conto che la capoclasse non si
trovava più in piedi a qualche metro da lui.
Era molto
più vicina.
Si sentì investire da un profumo delicato
e familiare, mentre due braccia si stringevano a lui con dolcezza e una macchia
di capelli castani gli oscurava parte della visuale.
La capoclasse.
Lo stava.
Abbracciando.
Non riusciva a pensare più a niente.
Persino i colpi dell’Evangelion 01
sembravano un ricordo lontano, sbiadito in confronto a tutto il resto.
Se solo il suo cuore avesse smesso di
battere così freneticamente…
Doveva dipendere dalla vicinanza di
Hikari.
“Non dire mai più una cosa del genere. Non
sei uno stupido…ero solo spaventata. Mi sento così inutile…Toji” mormorò la
ragazza con voce dolce e confortante, pronunciando il suo nome con lieve
imbarazzo.
Non era inutile.
Non lo era affatto.
Non sentiva più niente.
Né il ronzìo dei macchinari, né il dolore
fisico, né l’urlo bestiale dell’Evangelion che da tempo popolava i suoi incubi
e le sue veglie.
Toji rispose all’abbraccio, nascondendo il
volto nell’incavo tra la spalla e il collo della ragazza, e fu come se si
stesse aggrappando alla capoclasse con tutte le sue forze.
Sentì che lei si irrigidiva, ma non gli
importava.
Voleva solo che restasse lì con lui.
Che sentisse che aveva bisogno che
restasse accanto a lui…ancora per un po’.
“Non andartene…ti prego”
Hikari arrossì violentemente, ma in cuor
suo era contenta.
Le parole di Toji esprimevano molto più di
quello che potevano significare a prima vista, e anche se il ragazzo non le
diceva una parola riguardo al suo stato d’animo e alla sua sofferenza
interiore, per lei andava bene lo stesso.
Suzuhara, il ragazzo di cui era innamorata
e al quale aveva cercato di avvicinarsi più volte inutilmente al di là del
rapporto tra compagni di classe, il ragazzo che aveva rischiato di morire e che
Hikari sognava da tempo…la stava abbracciando. Come se non volesse più lasciarla andare.
Non piangeva. Non più.
Non c’era più motivo di piangere, ora che
Toji la stava stringendo a sé con il viso nascosto tra i suoi capelli.
“Odori di buono…capoclasse”
Hikari trasalì, tornando improvvisamente
in sé, e sciolse l’abbraccio, incapace di guardarlo, e lui credette di sapere
cosa le passava per la testa in quel momento.
Non
era da lei cedere così alle sue emozioni.
“Grazie, Suzuhar…Toji”
Quel rossore le donava davvero.
Non ci aveva mai fatto caso, prima.
Di nuovo silenzio.
Toji guardò un punto imprecisato delle
lenzuola davanti a sé, sperando che il suo imbarazzo non si notasse.
Aveva avuto l’ennesimo attimo di
debolezza.
E gli succedeva sempre in presenza di quella ragazza.
Se solo non fosse stato così debole…
Però la vicinanza della capoclasse…l’aveva
fatto sentire decisamente meglio.
Per un attimo, era stato come se il mondo
intero avesse smesso di esistere.
Come se loro due fossero i suoi unici
abitanti.
Come se niente – l’arruolamento come
pilota, l’incidente, il dolore, la paura - fosse mai esistito veramente.
Come se fosse soltanto appartenuto a un
sogno.
“Bè…l’orario delle visite è passato da un
pezzo”
La voce della capoclasse lo riportò
bruscamente alla realtà.
Non voleva sentire il resto.
Sapeva benissimo quello che stava per
dirgli.
Toji guardò in alto, verso il soffitto
sconosciuto, ricadendo sui cuscini.
“Devo andare”
Hikari esitò un attimo, nell’accorgersi
dello sguardo rassegnato e carico di qualcosa di simile alla delusione del
ragazzo.
Sapeva che era ancora lì in piedi di
fianco al letto.
Evidentemente, attendeva una sua risposta.
Toji però non aveva nessuna voglia di
parlare.
“A…a domani!”
La voce della capoclasse lo raggiungeva
come da lontano, mentre un torpore fin troppo familiare si impadroniva del suo
essere e la ragazza si allontanava velocemente, sparendo in un attimo dalla sua
vista.
Faceva caldo, e non riusciva a capire che
ora fosse.
L’orario delle visite sembrava comunque un
miraggio lontano, per il ragazzo disteso sul letto d’ospedale in preda alla
noia e alla solitudine.
Sembravano passati giorni dall’ultima
volta che la capoclasse si era fatta viva, eppure lei era stata lì meno di
ventiquattro ore prima…forse non aveva più la concezione del tempo che passava,
o forse era tutto frutto della sua immaginazione.
Forse, anche
la presenza di Hikari nella sua stanza era stato tutto un sogno.
No.
Il giorno prima, quando lei era andata a
trovarlo, lo aveva visto nel bel mezzo di una crisi di panico. Non riusciva a
dimenticare il suo profumo, le sue lacrime, il suo tenero abbraccio e il suono
confortante della sua voce.
Non poteva essere stato un sogno.
Non
voleva che lo fosse.
Si mise a sedere sul letto, contento di
non avere più bisogno di una maschera per l’ossigeno. Sospirò profondamente, con
l’esatta consapevolezza di essere ancora vivo. Era vivo, nonostante le ferite. Se avesse chiuso gli occhi in quel
momento, avrebbe creduto di possedere ancora il braccio e la gamba di cui era
stato privato selvaggiamente dalla bestia.
Eppure era lì, costretto in un letto
d’ospedale, senza la minima idea di quando ne sarebbe uscito.
Un’altra volta. Se l’era chiesto ancora una volta.
Ogni giorno era uguale al precedente.
Era così da settimane, ormai.
L’unico evento degno di nota erano le
visite della capoclasse.
Quando varcava la soglia della stanza, era
come se il tempo scorresse più velocemente,
per Toji: un attimo prima era con lui, un attimo dopo si preparava ad andarsene
con la promessa che sarebbe tornata il giorno successivo dopo la scuola.
Hikari era fedele alla sua parola.
Non c’era mai stata una volta, da quando
si trovava lì, in cui non fosse venuta a trovarlo.
Era stata al suo fianco vicino al letto anche
quando aveva dormito per giorni subito dopo l’incidente, senza che si
accorgesse della sua presenza.
Ora che ci pensava, le visite della
ragazza erano il solo punto fermo che avesse, dall’incidente.
L’unico motivo per cui valeva la pena
essere ancora vivo.
Più pensava a Hikari, meno la violenza dei
colpi dell’Evangelion 01 sul corpo inerme dello 03 gli tornava alla mente per
sopraffarlo.
Quanto
mancava all’orario delle visite?
Non riusciva più a tollerare il vuoto
intorno a sé, la sola compagnia dei macchinari e il soffitto sulla sua testa.
Aveva bisogno
che Hikari lo riempisse con la sua sola presenza.
Proprio quando temeva di essere sul punto
di impazzire, sentì un invitante profumo aleggiare nell’aria, accompagnato da
alcune parole sussurrate a una persona che doveva essere sicuramente
un’infermiera, mentre la capoclasse prometteva che ‘avrebbe fatto presto’ e la ringraziava ‘per la sua gentilezza’.
Hikari era lì! Era venuta a trovarlo anche
questa volta.
La ragazza lo raggiunse in un attimo,
mettendo da parte la borsa scolastica con una mano e reggendo un sacchetto
nell’altra, raggiante.
“Suzuhara! Scusami se ci ho messo tanto,
ma…dovevo finire di preparare questo” disse Hikari rivelando il suo contenuto
con lieve imbarazzo.
Si trattava di un bento di quelli che gli
preparava da settimane, preparato con cura e pieno delle più gustose leccornie.
Una vera manna dal cielo, che uno fosse costretto
a letto in un ospedale o meno!
“Quando è così, sei del tutto giustificata,
capoclasse!”
Al vedere cos’aveva preparato apposta per
lui, Toji si sentì improvvisamente meglio. La ragazza gli si sedette accanto,
pronta a non perdersi un attimo della cena che si apprestava a consumare, e gli
sorrise timidamente.
“Spero che ti piaccia! Ad essere sincera,
non è venuto bene come al solito, ma…lascio giudicare a te”
“Scommetto che sarà buonissimo, anche se
non l’ho ancora assaggiato” disse Toji brusco, facendola arrossire.
“D-davvero? Grazie”
Quella ragazza doveva smetterla di sminuire
le sue capacità.
Secondo lui era un’ottima cuoca.
Doveva aver fatto pratica occupandosi
delle sue sorelle…
Chissà come stava la sua.
“Hai notizie della mia sorellina?” le
chiese improvvisamente incupito.
“Sì…a dire il vero, sono andata a trovarla
giusto ieri” rispose la ragazza tormentandosi un angolo della gonna scolastica.
“Continua a chiedere di te, ma io le ho assicurato che presto starai meglio e…”
si interruppe, cercando le parole più adatte dentro di sé. “…tu starai meglio davvero, Toji. Ne sono sicura. Magari presto ti dimetteranno, e
forse anche lei, e…”
“Va bene così, capoclasse”
Non voleva sentire altro. Aveva sentito abbastanza.
L’ombra di un sorriso apparve sul suo
volto celando la sua tristezza solo in parte.
“Grazie…grazie davvero”
La fiducia di Hikari nel futuro era
qualcosa di commovente, che lo scaldava dentro e gli dava qualche speranza di
tornare a fare la sua vecchia vita, quella risalente a prima che venisse
selezionato come pilota dell’Eva…
La ragazza non diceva niente, gli occhi
fissi in un punto imprecisato delle lenzuola, ma Toji sapeva perfettamente quale
fosse il suo stato d’animo e quali pensieri le solcassero la mente in quel
momento.
Sapeva che lei lo amava.
L’aveva sempre saputo.
E lui? Cosa provava per lei?
Era semplice gratitudine…o c’era qualcosa
di più, qualcosa che era difficile da scorgere a prima vista dentro il suo io?
Per la seconda volta in appena due giorni,
Toji si ritrovò con la gola secca.
Non l’aveva mai fatto, ma…
Aveva voglia…sì, aveva improvvisamente
voglia di baciarla.
“Senti…Hikari. Ti avvicineresti un
momento?” chiese cautamente alla ragazza, sperando che il suo imbarazzo non si
notasse.
“C-certo!” rispose lei premurosa,
guardandolo incoraggiante mentre si sforzava di mettere a tacere il suo
crescente nervosismo, e si chinò in avanti.
“Ancora un po’…”
Hikari obbedì, arrossendo ancora di più,
forse intuendo quello che stava per fare.
Erano così vicini che il ragazzo potè
leggere chiaramente nei suoi pensieri.
Stavano provando le stesse emozioni.
Agitazione.
Paura.
Tristezza.
Curiosità.
Gratitudine.
Affetto.
Amore?
“Non è abbastanza!”
Toji si mosse quanto bastava perché le sue
labbra incontrassero brevemente quelle della ragazza senza darle il tempo di
ritrarsi. Erano più morbide di quanto avesse mai immaginato. Quando tornò a
guardarla negli occhi, pensò che non gli era mai sembrata bella come in quel
momento.
“Suzuhara…”
Le guance arrossate, Hikari lo fissava
incredula, con il volto pervaso dalla felicità. Sembrava splendere di luce propria,
mentre lui accorciava nuovamente la distanza tra i loro volti e la baciava
un’altra volta lasciandosi guidare unicamente da quello che provava quando lei
gli stava vicino.
Era amore?,
si chiedeva Toji mentre le labbra di Hikari si adattavano perfettamente alle
sue ancora una volta come se fossero fatte apposta perché lui, e lui
soltanto le baciasse, la mente confusa.
Si trattava di amore, forse?
Non lo sapeva.
Il rumore era scomparso.
Il dolore era scomparso.
La solitudine, il senso di vuoto che lo pervadeva
quando lei non c’era era scomparso.
Ne aveva appena avuto la conferma.
Tutto svaniva nel nulla, mentre la
capoclasse lo baciava a sua volta con tenerezza lasciando fluire liberamente i suoi
sentimenti e Toji si sentiva investito da forza sconosciuta.
Il suo io sembrava sul punto di scomparire…era
come se si stesse fondendo con quello della ragazza che lo amava da tempo e che
gli era sempre stata vicino…e che, forse,
anche lui aveva imparato ad amare.
“Sei così dolce, Suzuhara…” disse Hikari
non appena si separarono, guardando un punto imprecisato del pavimento. “…è per
questo che mi piaci tanto”
Davanti a quell’affermazione doveva avere
assunto un’espressione davvero buffa, visto il modo in cui la ragazza gli stava
sorridendo.
“Anche
tu mi piaci, capoclasse” ribattè Toji tutto d’un fiato.
L’aveva detto davvero?
“Sono così felice...ho sperato tanto che prima
o poi ti accorgessi di me”
Hikari lo guardò sorridendo, una mano
stretta nella sua, e Toji si rese conto che non lo avrebbe mai abbandonato.
Quella ragazza avrebbe fatto del suo
meglio per restargli accanto.
E anche lui voleva stare con lei.
Forse per sempre.
Nient’altro contava più, a parte quella
nuova consapevolezza.
Per entrambi.
FINE
**
Ciao a tutti!
Questa fan fiction non è altro che il mio
primo tentativo di accostarmi al mondo di Evangelion e soprattutto alla coppia
che preferisco in assoluto dell’anime (e dei vari manga ispirati a questa
incredibile serie, come quello che è in edicola ultimamente e che dà un
discreto spazio alla coppia).
L’ho scritta di getto, in preda
all’ispirazione che, stranamente, si fa sentire solo nei momenti in cui sono
più nervosa (come un periodo di esami), e volevo mettere in evidenza la
solitudine di Toji che, sopravvissuto per miracolo alla furia dello 01, trova
un “appiglio” nell’amore sincero di Hikari che, ne sia consapevole o meno, ha
imparato a ricambiare pur conservando la sua malcelata timidezza.
Se vi va, lasciate un commento!
Lyla