Quattro anni erano passati da quando le avevano tolto le catene d'oro e l'avevano fatta scendere dal piedistallo, quel trofeo era passato di moda e la plebe era stufa del solito sfarzo con cui la rossa dea gallica veniva esposta ad ogni manifestazione e cerimonia pubblica.
Roma voleva sottolineare che anche le creature più elevate e vicine al cielo potevano soccombere sotto il suo potere, gridava al popolo che poteva schiacciare le ali degli dei più luminosi e abbattere anche i cavalli divini di Apollo. Per loro Roma era tutto: la più potente, la più bella, /la più civile\.
Eppure entro le sue mura c'era avidità, lussuria, ingordigia, indifferenza, crudeltà, egoismo. Roma era un cumulo di merda con le gambe, costruito con sassi e tradimento.