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Autore: Porsche    09/09/2015    3 recensioni
*Dal testo:
Chiuse gli occhi, spossato.
Avvertì un soffio freddo attraversargli la pelle.
Lo trapassò, arrivando a sentirlo nelle ossa, in tutta la lunghezza del corpo.
Stava morendo e non aveva pronto nessun inganno per quell’occasione.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'ultimo Atto

L’ultimo Atto

 

 

Loki era stato molte cose nella sua vita.

Ci fu un tempo in cui era solo un bambino e la magnifica Asgard la sua casa.
Posava lo sguardo vispo sui colori della sua città, nutriva d’immaginazione l’innocenza della sua mente, non ancora offuscata da pensieri velenosi che avrebbero più in là cominciato a strisciare infidi in lui sotto forma di paurosi dubbi e viscide insicurezze. Già da piccolo si mostrava curioso di ciò che lo circondava, e vagava, oltre i limiti concessogli, alla costante ricerca di soddisfare quel bisogno di conoscenza, quell’insaziabile avidità di sapere, più e meglio di chiunque altro.

A quel tempo era anche stato considerato diverso, ma quello era un aggettivo che si sarebbe portato dietro come un cappio intorno al collo, pronto a stringerlo quando gli sguardi altrui si facevano troppo insistenti, troppo giudiziosi, poiché la diversità è un marchio che viene stampato sulla pelle, a dare nutrimento agli occhi ottusi di gente uguale e riempire loro la bocca di veleno fuso. Rammentava come il solo pensiero lo facesse stare male. Era all’inizio una sensazione sottile, quasi impercettibile, viveva nei meandri dei suoi sospetti, sopita, non ancora liberata. Più in là nel tempo sarebbe diventato odio puro, annebbiandogli la vista e annerendogli l’animo.

Diventò indi il Dio degli Inganni e con tale nomina fu conosciuto in tutti i Nove Regni. Poteva dire che ne andava fiero e certamente era così, ma capitavano notti in cui i suoi pensieri erano talmente oscuri, offuscati dal nero delle sue angosce, che a volte succedeva di protendersi verso il cielo, anelando una qualsiasi luce che gli facesse tornare il respiro. Perché durante il giorno il Dio degli Inganni non poteva comportarsi diversamente se non onorando il nome che gli stessi asgardiani gli avevano affibbiato. E lui aveva accettato di buon grado, rendendo loro il favore a suo modo.

Per poco tempo era anche stato Re. Di Asgard, per giunta.
Seduto sul trono della sala imperiale, lo sguardo assottigliato fisso davanti a sé, l’orgoglio dipinto sul viso asciutto. Si sentiva scoppiare di gioia nell’essere diventato colui che per diritto di nascita sarebbe divenuto un giorno. E posava gli occhi freddi su quelli stessi abitanti che una volta lo avevano fatto oggetto di scherno – additandolo, ferendolo – e non provava altro se non una malsana soddisfazione nel vederli ora inchinarsi alla sua superiorità. Adesso sì che poteva definirsi diverso, lui era il Re, il loro Re.

E se mai si fosse considerato figlio di qualcuno, sarebbe stato indubbiamente di sua madre, la Regina Frigga. Perché solo quell’amore aveva conosciuto, da quell'immensa compassione era stato allevato; il resto apparteneva ad un’ombra fredda, ad un desiderio di rivalsa pulsante nel petto, coltivato nella solitudine della sua esistenza. Madre lo guardava con occhi luminosi, gli insegnava magie di cui andava fiero, lo faceva sentire qualcuno di importante, con lei non aveva bisogno di dimostrare alcunché. Ai suoi occhi era già degno, per lei era suo figlio, lo stesso che l’aveva rinnegata nel loro ultimo incontro.

Ma tutto quello era finito, svanito in folli gesta, nelle tenebre dei suoi vagheggi, nella pazzia di una vendetta.
Era ancora un Dio, ma un Dio caduto.
Se ne accorse mentre guardava il viso disperato di Thor, chino su di lui che invece giaceva inerme sul terreno roccioso, parzialmente sollevato da due braccia possenti. Non sapeva come definire lo stato in cui si trovava, sentiva le forze scivolargli via, silenti, lasciandolo alla mercé di un fato che aveva le sembianze di una condanna eterna. Era spregevole, tremenda, era il cappio intorno al collo che stringeva con più vigore, era la sua sconfitta.
Non avrebbe visto realizzato nessun sogno, a quel punto.
Sarebbe rimasto Loki, il Dio degli Inganni, il figlio di Laufey. Un mostro.

   << Fratello?! Fratello, rispondimi! >>.

Non sono tuo fratello.

Accantonò l’oblio di quei pensieri, la nota implorante di Thor aveva risuonato fin troppo forte alla debolezza del suo udito. Lo guardò fisso, impassibile ed esausto, e si accorse delle ferite scarlatte che facevano sfoggio in viso. Avevano combattuto insieme, come in passato, come succedeva in un’immagine sbiadita di ricordi lontani, di battaglie vinte fianco a fianco – perché ci fu un tempo in cui l’uno non avrebbe mai abbandonato l’altro - e feste, boccali di idromele consumati in loro onore. Nel frattempo era successo il caos e non poteva negare il fatto che lui stesso ne fosse l’artefice. Forse era anche la causa di quel destino infausto, ma se pensava a cosa avesse provocato tutta quella rabbia, un solo viso emergeva nitido tra il fuoco ardente della sua ira: era simile a quello di Thor, solo più vecchio.

   << Loki, resisti. Ti salverò, ti porterò via da qui >>.

Dove? Rinchiuso tra quattro mura, prigioniero di me stesso?

   << No >>. Avrebbe voluto urlarlo quel diniego, ma uscì fuori come un suono flebile e spento.

Seguì interessato i tratti duri del viso di Thor contrarsi in una smorfia di dolore. Non ne era meravigliato, eppure lo lasciò in balia di una sensazione poche volte provata, una bocca dalla voce stridente che si insinuava maliziosa, e con denti aguzzi che mordevano fin dentro le viscere. Era un senso di impotenza e di repulsione. Erano i sensi di colpa. Avevano lo stesso sapore amaro delle lacrime di Thor.

   << Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace >>.

Un pazzo, un folle. Lui era questo. Lo ripeteva a se stesso mentre le parole si susseguivano in una rapida corsa. Troppo veloci per fermarle, risuonavano nell’aria gravosa di Svartalfaheimr come l’eco di una preghiera già dimenticata.

   << Sshh. Lo so, lo so. Va tutto bene, Loki. Ti perdono >>.

Oh.
Di cosa?
Di essere diverso?
Di aver vissuto in una menzogna?
O di essere stato nell’ombra della tua grandezza?

Avrebbe voluto rispondergli quello che il suo risentimento gli suggeriva, ma sapeva di avere egli stesso molte cose per cui farsi perdonare. E per una volta, accettò quelle parole come il giudizio finale di una sentenza durata troppo a lungo, dai poteri logoranti e lo sguardo minaccioso. Si sentì leggero, sollevato da un peso che rischiava di schiacciarlo.

   << Dirò a nostro padre che mi hai salvato la vita, che hai combattuto con onore. Saprà delle tue gesta, di come ti sei sacrificato senza il minimo ripensamento. Sarai celebrato come un eroe >>.

Ma non sono un eroe.
Non mi riconosci più, Thor?
Sono un traditore.

Ed un ingannatore, tesseva i fili delle sue trame, bramava poteri sconosciuti persino al Padre degli Déi e la sua mente era un luogo viscido e ambiguo, buio e in continua tempesta, macchiato e ormai fin troppo marcio per poter essere salvato.
No, non era un eroe, lui non impugnava il martello che Padre aveva donato a Thor, per lui non ne era degno.

   << Non l’ho fatto per lui >>.

Serrò le labbra, e seppe che stavolta sarebbe stato per sempre.
Anche lui aveva elargito la sentenza finale, e Thor avrebbe dovuto riportare fedelmente quelle stesse parole al Padre di Tutto, affinché sapesse che negli ultimi respiri di Loki Laufeyson, non c’era posto per il suo ricordo o per la sua tanto agognata riconoscenza. Non avrebbe permesso di concedergli quel potere anche durante la sua morte. Per lui poteva rimanere quel figlio traditore dalle tante malefatte, ma agli occhi di Thor voleva apparire differente, e il pensiero di aver salvato un po’ del suo onore, di essersi alzato di poco dal fondo della sua indegnità, lo fece sentire in pace.

Chiuse gli occhi, spossato.
Avvertì un soffio freddo attraversargli la pelle. Lo trapassò, arrivando a sentirlo nelle ossa, in tutta la lunghezza del corpo.
Stava morendo e non aveva pronto nessun inganno per quell’occasione.
Lì, tra le braccia di suo fratello – sì, volle chiamarlo suo fratello – vedeva la nebbia dissiparsi nella coltre della sua mente, fino a scomparire. Se ne andò anche il veleno che viaggiava libero nelle vene, strisciò fuori scivoloso come un serpente. Il cappio ancorato al collo allentò la presa.
Infine, era pronto.
Avvenne nell’arco di un breve spazio di tempo, si lasciò trasportare via, dopo che il mondo si trasformò in oscurità, e l’urlo assordante di suo fratello diventò un armonioso silenzio.

Poi arrivò il nulla.

 

 

Per quanto bella sia stata la commedia in tutto il resto,
l’ultimo atto è sempre sanguinoso.
Alla fine, con una vanga si getta della terra sulla testa.
Ed ecco fatto, per sempre.

- Blaise Pascal -

 

 

Nota dell’autrice:

Oh cavolo, sudo ed ho un’ansia terribile.
Prima One Shot in questo fandom, spero quindi nella clemenza della corte. XD
Non c’è bisogno di dire che Loki è il mio personaggio preferito, anche perché ancora non ho conosciuto una sola persona che non sia rimasta affascinata da questo bellissimo esemplare di superba complessità.
Come si capisce la storia si svolge durante Thor: The Dark World, ma ho voluto riportare come sarebbe andata se per Loki fosse stata davvero la fine, e non uno dei suoi soliti inganni.
Spero di leggere i vostri pareri, ma intanto grazie a chi abbia letto queste poche righe.
Un saluto,
Martina.

  
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