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Autore: Claa    09/09/2015    1 recensioni
POV Dorian
DLC Le Fauci di Hakkon
"Il villaggio si aprì alla nostra vista oltre uno stretto passaggio tra due scoscese pareti rocciose; il sottile squarcio di cielo azzurro si dilatò prepotentemente, e la luce del sole basso ci accecò. [...] Come lei che, di fronte al sole, si era schermata il viso col braccio, così avrebbero fatto gli Avvar di fronte alla sua magnificenza"
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, FemSlash | Personaggi: Cassandra Pentaghast, Dorian Pavus, Inquisitore, Sera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci tenevo a pubblicare entro oggi perché ieri notte ho potuto iniziare a giocare all'epilogo, ed è stato un grande, triste evento che va ricordato.
Questa storia si svolge durante le Fauci di Hakkon, che ho giocato una volta sconfitto Corypheus. Ho tratto ispirazione da "Memorie di Adriano" di Marguerite Yourcenar, uno dei miei miti incontrastati.
Buona lettura! (E vi sono vicina.)


 

A Prosperous Age




La Conca Gelida era stata percorsa in lungo e in largo, quando infine giungemmo al villaggio di Roccia Ursina. Il villaggio si aprì alla nostra vista oltre uno stretto passaggio tra due scoscese pareti rocciose; il sottile squarcio di cielo azzurro si dilatò prepotentemente, e la luce del sole basso ci accecò. Sebbene la fama di Astrid la precedesse persino in quel luogo isolato, per gli Avvar non eravamo più che forestieri, uomini dei bassopiani che dovevano provare il loro valore o avallare l'opinione diffusa, che ci voleva tutti meschini e indifferenti. Ogni società ha i suoi pregiudizi, e almeno un uomo o una donna che vi sfugga. Noi avevamo Astrid, e non ho mai dubitato che sarebbe riuscita a conquistare quel popolo schivo, i cui bisbigli ci seguivano in ogni angolo. Come lei che, di fronte al sole, si era schermata il viso col braccio, così avrebbero fatto gli Avvar di fronte alla sua magnificenza: le dolci colline dorate, le vaste secche, le grotte e gli alberi millenari della Conca Gelida avrebbero ricordato il risuonare inesorabile dei passi dell'Inquisitore.
 
Risalimmo le vie sinuose del villaggio, bussando alle porte con deferenza, attenti a evitare domande inopportune. Io ero nervoso; Sera borbottava e restituiva gli sguardi di sfida che le venivano indirizzati, compromettendo la figura seria di Astrid e i suoi sforzi: le intimai di smettere, o di allontanarsi. Optò per la seconda opzione; la rincontrammo un paio di ore dopo, al calar del buio, che si intratteneva col nug scampato al coltello del macellaio, e a cui aveva dato il nome di Pagnotta.
 
Nella dimora dello sciamano, alla comparsa di Astrid i due spiriti di fuoco gridarono il loro benvenuto. L'inquietudine di Sera e Cassandra era palpabile, premeva sulle pareti di legno e sul mio petto, ma la nostra guida era immune a quella pressione e in sintonia con quegli esseri fatui, col potere dello sciamano e il suo fumo stordente. A dire il vero, non vi era stata volta in cui la nostra guida non fosse stata in sintonia con ciò che la circondava, come se la natura si accordasse alle sue note, e non viceversa. Gli eventi volgevano sempre in suo favore, quasi desiderassero compiacerla.
 
Quella notte tornammo all'accampamento più a sud; secondo Astrid era prematuro sostare al villaggio, sebbene l’avvenente cacciatore ci avesse offerto ospitalità. Il grezzo Avvar era chiaramente rimasto affascinato dalla sua raffinatezza, e ciò provocava in Sera grugniti e ringhi cui non si poteva porre rimedio; quella testa calda di un'elfa sapeva tirare i miei nervi come la corda di un arco.
 
Un pomeriggio, dopo ore di esplorazione, riposammo sulla riva del fiume. L’aria era tiepida e odorosa di terra bagnata e di erba esile. Ero stanco di una stanchezza piacevole. Assaporavo l’esperienza del pioniere, l’idea di battere vie incontaminate, note a una manciata di anime. Lontano dal rumore degli uomini, iniziai a sentire me stesso, e la natura.
Cassandra tirò fuori il romanzo di Varric, che portava sempre con sé. Sera, stesa supina, già russava. Mi abbandonai a un sonno leggero e sereno, sorridendo di Astrid che scrutava il fiume, pronta a fulminare i ragni che si aggiravano sotto la superficie.
Al mio risveglio, Astrid e Sera, nude, giocavano nell’acqua. Cassandra, il naso incollato al libro, brontolava arcigna.
Mi invitarono, poi mi pregarono di raggiungerle; ninfe tentatrici. La mia riluttanza, dovuta alla scarsa igiene dell’acqua, non fu sufficientemente ostinata. Al volare dei miei vestiti, Cassandra si dileguò imbufalita.
 
Su richiesta di Chioma Solare rintracciammo Storvacker, l'orsa sacra tenuta prigioniera dagli Hakkoniti. Combattere al fianco di quella bestia, udire il sibilo delle sue terribili zampate, mi trasmise un fervore quasi selvaggio; e persino Astrid dovette provare la stessa eccitazione, poiché al culmine dello scontro alzò una mano verso il cielo e uno squarcio lacerò l'aria con un tuono; delle braccia spettrali scivolarono fino ai nemici, e risucchiarono le loro energie orribilmente. Oltrepassando i corpi inerti, gettai un'occhiata a Sera: stava tremando.
 
Notti insonni passarono sulla pista delle Fauci di Hakkon, assetate del sangue dei nostri soldati. Li salvammo tutti in nome dell’esploratore Grandin, l’unico per il quale eravamo arrivati troppo tardi.
Montai la guardia al bivacco allestito in fretta. Fissavo le fiamme come un indovino la sua sfera di vetro, interrogandole sui misteri del futuro e sulla sorte di chi mi è caro. Astrid dormiva tranquilla alla mia sinistra, innocentemente abbandonata; priva di ogni maschera, di ogni ansia. Mi soffermai a osservare la curva della sua fronte, chiara come i suoi sogni; le lunghe dita rilassate, agili nello stringere il bastone; e il suo petto disarmato, accogliente come l’entrata di un tempio. Un filo di saliva le luccicava al lato della bocca.
Spero ancora, con tutto me stesso, che nessuno, dio o uomo che sia, rovini questa bellissima, prodigiosa, fragile esistenza, che è mia amica.
 
Un poco a disagio, assistemmo alle cerimonie Avvar, alle danze tribali; sedemmo con loro, ci abbandonammo ai deliri collettivi, indotti dagli infusi: dimenticammo intere notti. Sera improvvisamente si affezionò al villaggio, e incominciò a frequentarlo per conto proprio. Astrid le lasciò ampio raggio d’azione, almeno finché un mattino, all’alba, non la vedemmo arrancare per le paludi sola e spaesata. Corremmo da lei; Astrid la strinse per le spalle, e la paura si insinuò in quel viso impenetrabile. Sera non la riconosceva, biascicava frasi sconnesse, e avrebbe continuato a camminare sino a morire congelata, se il caso non fosse stato benevolo. Quell’incidente non le fu perdonato. L’Inquisitore l’ammonì duramente, le interdisse l’accesso a Roccia Ursina e le vietò qualsiasi contatto con gli indigeni; mi impressionò molto quanto la rabbia e il potere possano ingigantire qualcuno, e l’avvilimento rimpicciolirlo.
Benché visibilmente turbata, la nostra guida non trascurò i suoi doveri, nemmeno nei confronti degli Avvar, cui facemmo visita la sera seguente e regolarmente nei giorni a venire. “La fiducia si coltiva con cura e pazienza, Dorian” mi disse, in risposta alla mia apprensione. Presi così coscienza del fatto che il mestiere di capo comprendeva forse sacrifici che non avevo considerato.
Ma il sollievo arrivò a cena, mentre gli Avvar ci servivano con orgoglio la carne da loro procacciata e i bambini giocavano tutt’intorno; mi volsi verso Astrid, e, per qualche ragione, anche lei si volse verso di me; al barlume del falò mi sorrise, un sorriso da scaldare il cuore; gliene fui intimamente grato.
 
In occasione delle Prove di Hakkon, cui la nostra guida aveva acconsentito a partecipare - anche con un certo divertimento -, venne permesso a Sera di rimettere piede nel villaggio, all’interno del quale era situata l’arena. Risolvemmo di imboccare una strada secondaria, cosicché Sera, fino all’ultimo, ignorasse quale destinazione ci attendeva.
Quando riconobbe le statue, il terreno sassoso e l’odore pungente dei fumi, eruppe in un gridolino di gioia, e, saltando e ridendo, si catapultò con le braccia aperte in direzione della piazza. I bambini, che l’adoravano, si unirono al suo giubilo, seguendola come tanti pulcini affamati di affetto.
Astrid discese il sentiero. Sera, attorniata dai bambini urlanti e da Pagnotta, gettò le braccia attorno al collo dell’amata e scoppiò a piangere.
Un altro giorno stava per concludersi. Ho stampati a fuoco nella memoria l’intensità di quel tramonto e la forza di quell’abbraccio.
Vincemmo le Prove, e festeggiammo allegramente in compagnia degli Avvar. Io, uomo del Tevinter, mi sentii a casa.
 
Approdammo all’isola in un tardo e fosco pomeriggio d’autunno. Spiriti inquieti vagavano per quelle lande bruciate, aggrappandosi ai vivi come ciechi spaventati.
Cassandra insisteva perché facessimo presto, ma l’Inquisitore era immersa in un mondo a noi occulto: lo capii dal suo avanzare circospetto, e dal moto agitato del suo sguardo; era come se una folla di estranei l’avesse accerchiata a un tratto. Poi, udii la sua voce chiamare: “Solas”. Più in là mi avrebbe spiegato di aver camminato in un mare sconfinato, il mare del tempo, ma non avrebbe mai saputo dirmi perché avesse pronunciato quel nome. “Ma mi sono accorta di quanto mi manchi” mi avrebbe confidato, non senza una vena di tristezza.
Creammo un canale con lo spirito dell’amante di Ameridan, ancora in pena per la sorte di lui dopo ottocento anni; da ottocento anni, la sua voce tremolante invocava aiuto, instancabile.
Difficile non ravvisare doti divine in colei che benedisse quella povera anima, e la liberò dalla sua gabbia con la formula di una gentile promessa.
Cassandra singhiozzava al mio fianco; non aveva più urgenza d’andar via.
 
Fuori delle mastodontiche mura dietro cui si erano barricati gli Hakkoniti, attendevamo il segnale degli Avvar. Una nuova alleanza stava per essere sugellata sul sangue di un nemico comune, in nome della pace e della conoscenza. Inevitabilmente, se l'anima di un pover'uomo era assimilabile a una farfalla, quella di un grand'uomo era assimilabile a un corvo: le nere ali di Astrid sarebbero calate come una scure su molte vite, quella notte.
E tuttavia, le mie preoccupazioni non concernevano che lei sola. Una pesante tristezza mi irrigidiva le membra al pensiero che il destino potesse divenirle avverso, e la sua storia potesse perdersi negli ingranaggi del tempo, come era accaduto ad Ameridan.
Ma prima di questo, rifuggivo il pensiero del cambiamento stesso, del degrado, intrinseco delle regole del gioco. Immaginavo di vedere Astrid invecchiare, lo splendore di quest’era sbiadire, e mi vergognavo di non riuscire a concepire un mondo in cui noi non c’eravamo.
Sollevai gli occhi: Astrid, accucciata davanti a Sera, le sussurrava le ultime raccomandazioni; a Cassandra, che passeggiava avanti e indietro, nervosa, Astrid  poggiò una mano sulla spalla e sorrise; poi venne da me. “Niente gesta eroiche” mi disse, e sorrisi anche io.
 
Lo spirito di Hakkon Wintersbreath abbandonò il corpo del drago, levandosi fiero nel cielo fulgido d’autunno. Contemplammo lo spettacolo in religioso silenzio.
Astrid si accostò alla testa del drago e l’accarezzò. In un istante, la potenza simbolica di un gesto può fare del linguaggio un mezzo volgare.
Trovarmi faccia a faccia con l’Inquisitore Ameridan mi aveva scombussolato. Troppo era stato dimenticato. Mi sentivo tradito; da chi o da cosa non sapevo dirlo. Ma i tasselli mancanti erano stati recuperati, e ciò mi conferiva nuova fiducia.
Non volevo che il nostro tempo finisse, perché sapevo sarebbe finito; ma almeno, non sarebbe finito ora.
La nostra eredità sarebbe sopravvissuta: le nostre tracce erano in ogni terra calpestata, in ogni persona incontrata; nelle parole umanità e giustizia, che avevamo plasmato; e nel nome di Andraste, cui sarebbe stato per sempre associato il nome di una donna e non la sua ombra, bensì il suo Araldo: Astrid, forza divina, amore divino. Un unico atto di gentilezza, e nessun’esistenza può dirsi vana.
Non abbiamo mai voluto in cambio la gloria, questa fredda venerazione, che muta la pelle in roccia. In cambio vogliamo la speranza, che si accende e brilla come una candela, e si diffonde e vibra come un grandioso canto.
“Sai,” mi disse Astrid “un’antica civiltà credeva che il tempo si sviluppasse su tre linee, e non su una sola: la linea del passato, del presente e del futuro, parallele tra loro, che in qualsiasi momento si influenzano vicendevolmente” mi sorrise “Non è affascinante?”
 
 
 
  
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