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Autore: Cladzky    10/09/2015    2 recensioni
Vorrei specificare che la storia è inserita nella sezione di opere originali, ma questo perché la mia storia non utilizza ambientazioni, citazioni e personaggi da una sola opera ma diverse.
Chi non ha mai posseduto un avatar in EFP? La risposta giusta è: IO! E così dunque, perché non creare Cladzky, un viaggiatore a metà tra un eroe giapponese e un classico sfigato da road movie americano?
Genere: Avventura, Comico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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VIAGGIANDO IN UN DISCO
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EPISODIO PILOTA

IL PIANETA DEI TRIFIDI
 
-Mark0, Distanza? – Chiesi, sorreggendomi la faccia stanca con la mano.
-Da quale pianeta, galassia, o universo parallelo desidera? – Chiese elettronicamente il computer di bordo, forse con intento provocatorio, ma difficilmente intuibile giacché era un macchinario.
-Terra, imbecille! – risposi irritato e senza la minima intenzione di continuare a discutere con lui –Che vuoi che me ne freghi che so io, di Marte, Giove o qualche altro pianeta inabitale?
-Marte è abitato – Mi canzonò.
-Questo non cambia che se esplodesse non me ne importerebbe un fico secco! Alla malora lui e i suoi ridicoli scaldabagno a tre gambe che chiamano Tripodi.1
-Circa 2 milioni e trecentomila chilometri.
-Prego? – Chiesi accigliato e visibilmente perso.
-Me lo aveva chiesto lei. La distanza dalla Terra.
-Ah, bene – risposi frettolosamente e tornai a guardare le stelle.
Ormai l’universo non mi stupiva più. Tutte quelle lucine lontane a essere sinceri non mi stupivano né sulla Terra e figurarsi adesso nello spazio, con le sue infinite, e non più meraviglie, ai miei occhi almeno, di comete, Lune, pianeti, buchi neri, e gigantesche polveri spaziali multicolori che si estendevano per miliardi di chilometri, in cui la Terra se mai ci entrasse, neanche se ne accorgerebbe, tanto è minuscola al confronto.
-Sarei dovuto rimanere sulla Terra – Mi lamentai.
-Lo dice sempre signor Cladzky – Entrò in risposta il Mark0, come sempre –E come sempre io le rispondo che si perderebbe queste meraviglie.
-E come sempre – controbattei io –Me le potevo vedere anche in foto, se erano così noiose.
-Eppure io mi stupisco ogni volta.
-Sei una macchina – risposi con incredibile freddezza, che si poteva dire che fra noi due la macchina ero io –non puoi stupirti.
-Eppure questa parola è nel mio vocabolario.
-Questo non ti da il diritto di usarla, se non la provi veramente.
-Signor Cladzky – rispose con eco sempre metallico, ma quasi stesse trattenendo delle risate –Se sta provando ad avere l’ultima parola la avverto che la mia memoria ha più di trentasettemila e cinquecento diverse frasi escluse varianti per rispondere alle sue domande ed affermazioni. Ha circa la 0,001½% di centrare una frase a cui non posso rispondere.
Stavolta ci pensai su prima di ribadire.
-Un giorno – promisi – Vedrai che la troverò quella frase!
Rimasi in attesa di una risposta che mi sarebbe stata fornita nel 99,98½% dei casi. Stranamente Mark0 rimase in silenzio. Poi, dopo una lunga pausa in cui provai a chiamarlo e bacchettare sullo schermo della console davanti al sedile di comando, come se questo potesse farlo tornare, con mio sommo sollievo risuonò quell’indimenticabile voce, e se fino a poco fa credevo che niente potesse stupirmi, evidentemente non avevo calcolato tutte le possibilità di sorpresa.
-Penso che la abbia già trovata- Ammise con rassegnazione.
-Eh!? Davvero? Toh, fottuto! – Dissi eccitato e soddisfatto, alzandomi dal sedile e facendo gesti abbastanza sconsiderati d’esultanza.
-No, stavo scherzando- mi interruppe nell’esatto istante in cui stavo per calare i pantaloni e mostrargli le chiappe –La stavo prendendo in giro. Toh! Fottuto! –Esclamò infine.
Rimasi pietrificato sul posto, mentre fissavo lo schermo su cui si era formata una faccina a pixel che sorrideva.
-Allora? –Si vantò ancora Mark0 -Un bel vantaggio possedere trentasettemila e cinquecento diverse frasi escluse varianti per rispondere alle sue domande, vero?
Non ero certo in vena di scherzi allora, dunque collerico e offeso per la presa in giro, lo mutai con l’apposito tasto. La faccina sullo schermo elettronico cambiò dunque espressione da sghignazzante a sorpresa di trovarsi una cerniera comparsa dal nulla sulla bocca.
Sorrisi compiaciuto e anche un po’ divertito, dunque assicurandomi che il pilota automatico del disco volante fosse attivo, appoggiai le gambe munite di stivali in pelle sul cruscotto e tentai di farmi un bel sonnellino, con la nuca appoggiata nella comoda imbottitura del casco, mentre mi godevo il sacrosanto silenzio.
-Pezzente!!
-Cosa? Che succede? Dove è quel bastardo di uno Starscream?2 – gridai cadendo dal sedile per l’improvvisa interruzione nella microscopica porzione di pavimento rimasta libera nel mio microscopico disco volante.
-Mark0? Ma io ti ho spento! – Osservai dubbioso, chiedendomi se Mark0 avesse trovato un modo per bypassare i comandi manuali, mentre mi massaggiavo la testa, che nonostante il casco non aveva attutito più di tanto la batosta.
-Ma quale Mark0! –Rispose in modo gradasso una voce gracchiando con qualche inevitabile interferenza dalla radio –Tanto se ti sei comprato quel maggiolino spaziale significa che i soldi per un computer di bordo mica ce li avevi.
-Chi parla? Dove sei maledetto bullo di periferia cosmica? – Sbraitai furioso per quelle accuse e dicerie sul mio conto da parte di quel tizio che neanche si mostrava. Strinsi i pugni e con gli occhi iniettati di sangue mi guardai attorno scrutando oltre il vetro alla ricerca della sua nave spaziale.
A dire il vero il difficile non era trovarlo: era non riuscire quantomeno a scorgerlo. Bastava sollevare lo sguardo ed eccolo lì!
Gigantesco e solenne, si muoveva lentamente, con la grande prua rappresentata da una titanica testa cornuta, un gigantesco disco spaziale, rosso, bianco e nero. Imponente, neanche qualcuno gli stesse scattando una foto, si poneva fra me ed un vicino sole, proiettando una grossa ombra sul mio velivolo e ricoprendo di una maestosa aurea il suo.
Era una grossa astronave classe Ufo Robot, modello Goldrake. Superava ampiamente i trenta metri di lunghezza e disponeva di un armamento non vistoso ma particolarmente efficace, come due lame rotanti montate sui fianchi e fori dai quali fuoriuscivano dei potenti raggi disintegratori.
Ne avevo visti in tutta la mia vita solo due o tre ed esclusivamente alle fiere aereonautiche.
Cosa guidavo io di così scassone da farmi prendere in giro?
Una economica astronave classe Disco Volante, modello TFO, munito di un’apertura singola per lanciarazzi di media gittata e dal basso potenziale esplosivo. Il tutto abbellito da mie personali decorazioni dipinte a mano e un alettone bianco sulla sommità.
-Allora barbone! – Mi chiese sprezzante il pilota dell’Ufo Robot –Dove vai, all’ufficio di collocamento?
-Io… - Balbettai mentre spiazzato osservavo il colosso vanto della tecnica davanti a me provando anche un briciolo di vergogna a dir la verità.
Una furiosa rabbia mi crebbe in corpo e con tutta la più sincera convinzione di cui disponevo, mi difesi a spada tratta, catapultandomi in un duello verbale, di insulti ed elogi, di critiche e lodi.
-Pensi che sia un barbone, eh?- Gridai stringendo nel palmo sudato il microfono e guardando con astio e rabbia l’imponente nave girare con straordinaria leggerezza intorno al mio umile disco –Beh, senti questo allora! Meglio povero che un gradasso figlio di papà, che va a vantarsi con tutte le mezze cartucce in giro per la galassia, e rimorchiare donne solo perché c’ha il bell’Ufo Borot3, che poi ch’ha pure uno sguardo da minchione!
Soddisfatto aspettai le risposte con il cuore che mi martellava nel petto per l’emozione, mentre un sorriso di sfida si formava sul mio volto. Ma scomparve presto quando la risposta del mio avversario mi lasciò spiazzato.
-Ah! ah! Stai rosicando eh? Già ti immagino a rosicare con i tuoi dentini da latte! Ma vatti a nascondere col tuo maggiolino raffazzonato, che almeno io ho spostato il culo dalla sedia e mi sono dato da fare per arrivare a questo, dai vai a dimenticare tutto alcolizzandoti!
Sgranai gli occhi. Stava lottando con le mie stesse carte e sembrava che le mie parole non avessero scalfito il suo ego. Poi pensandosi meglio sorrisi e mi resi conto che la situazione stava diventando fin troppo infantile perché io potessi partecipare ancora a questa pagliacciata.
Imbracciai il microfono e sorridendo sadicamente gli dimostrai che ero ben più maturo di quanto avrebbero potuto esserlo tutti gli idioti che aveva incontrato prima di me.
-Molto bene – Dissi facendo una lunga pausa dal tono paterno, per quanto mi fu difficile non esprimere il mio parere tutto d’un fiato, con il cuore che incessantemente batteva forte – Vedo che parlare con una testa dura come te è inutile. Ti saluto!
E stavolta senza attendere risposta alcuna, misi giù il microfono e disattivando il pilota automatico, che nel frattempo aveva stabilizzato il disco volante per evitare scontri con l’Ufo Robot, presi la cloche con tutta la tranquillità di questo mondo e con una elementare manovra mi portai fuori dalla sua morsa.
-Fermo lì! – Gracchiò alla radio il pilota del Goldrake. Troppo tardi capì il significato, quando l’immensa faccia inespressiva della sua astronave mi si parò davanti, costringendomi ad un brusca frenata, con il risultato che mi fermai a pochi metri dal suo occhio, mentre il mio disco volante si cimentava in una non proprio gloriosa giravolta su sé stesso.
Quando riuscì a fermarlo ed essermi ripreso dallo stordimento, ciò che tolse i freni alla mia rabbia fu la sghignazzante e fastidiosa risata che riempiva il mio abitacolo passando per la cassa audio della radio.
Stavolta stavo rosicando sul serio e dopo un concerto di insulti a padre, madre e animale domestico ripresi un attimo di lucidità, e alzando il pugno al cielo (sbattendolo dolorosamente sul parabrezza), gli chiesi usando tutto il fiato che ancora mi rimaneva.
-Ma insomma chi sei!?
-Ah! Ah! Ah! Come sei patetico! Hai avuto l’onore di conoscere il grande viaggiatore di Alpha Centauri, Koryo Habati, sai sono famoso da quelle parti.
-Bene e tu hai di fronte un Cladzky particolarmente incazzato e ora togliti dai piedi se non vuoi che ti riduca in Positroni!
Ne avevo abbastanza di lui, e per togliermelo di mezzo avrei ricorso a tutti i mezzi a mia disposizione. Quindi presi probabilmente la scelta più sbagliata e azzardata che ebbi mai preso in vita mia.
Con lo scopo di intimorirlo aprii lo sportello del lanciarazzi, tenendo il dito sollevato e tremante per l’indecisione sul pulsante di fuoco. Ancora con il dito sul bottone presi il microfono e con voce spezzata e affannata inviai il messaggio audio.
-Io ti do… ti do tre se-secondi. Non costringermi a… spar-sparare.
Smisi di registrare e attesi la risposta ansioso. Saremmo giunti davvero ad uno scontro per una così piccola scaramuccia fra viaggiatori? Come ero stato sciocco e precipitoso. Mi sentivo così piccolo di fronte al suo gigantesco modello Goldrake, che avrebbe potuto ridurmi in pulviscolo in pochi secondi, a giudicare dal vasto armamentario di cui disponeva.
C’era solo da sperare che non accettasse lo scontro.
-Forza spara pure! – Urlò sfacciatamente Koryo, facendomi cascare dalle nuvole –Ti concedo il primo colpo, vedremo i danni dei tuoi razzetti paragonati ai miei disintegratori paralleli!
Aveva accettato la sfida. Ero nel panico, ciò che non doveva succedere era successo e con che faccia avrei declinato l’offerta? Per fortuna ci pensò il mio rivale a togliermi dall’imbarazzo, anche se a modo suo.
-Hai paura eh? – Ringhiò –E allora comincio io! FUOCO!
Il mio cuore si arrestò per un secondo alla vista di uno dei fori che riversava un raggio verdognolo al di fuori nella mia direzione. Chiusi gli occhi distinto, attendendo impazzito di paura il colpo. Dopo poco li riaprì notando che non vi era stato nessun impatto. Doveva avermi mancato di striscio, forse intenzionalmente. A fugare ogni dubbio ci pensò lo stesso Habati, attraverso la sua fastidiosissima voce per radio.
-Peccato, non è divertente giocare al tiro al bersaglio se quest’ultimo è immobile, vedi di ritenerti fortunato Cladzky!
E senza lasciarmi il tempo di dire niente si dileguò a velocità supersonica, sparendo in un attimo. Sbigottito, lo cercai vanamente con lo sguardo, allucinato.
Mi ripresi e dopo aver scosso la testa, me la afferrai con le mani per non farla esplodere, digrignando i denti.
-Mamma mia che figura di merda! Quanto mi sta sulle balle quel Keroro, Kyashan… Insomma com’era?
Un bip attirò la mia attenzione, proveniente dallo schermo della console. A grossi caratteri era impressa la scritta “Koryo”.
-Già… Koryo…- Ammisi debolmente, ricordandomi di disinserire il muto al computer di bordo.
Dopo una breve ricerca, trovai il tasto sperduto in mezzo a molti tutti uguali, e con uno sbuffo lo premetti.
-Grazie signore. Mi creda che le sarei stata d’aiuto durante la lite- Mi consolò il cervello elettronico omettendo il fatto che fossi stato io a mutarlo, forse solo per non farmi sentire più male di quanto già non fossi.
-Non ne dubito – Risposi io poco convinto.
-Vuole una tazza di tè? – Chiese ubbidiente facendo comparire una tazza fumante sul monitor a pixel.
Sì, buona idea – risposi con un accenno in più di serenità –Al limone grazie.
Nell’abitacolo si sparse il suono di una vibrazione, proveniente da un grosso macchinario posto dietro il mio sedile. Mi lasciai affondare fra le imbottiture di cuoio, respirando lentamente e dimenticando la figuraccia passata, ricreando di nuovo un sacrosanto silenzio, quasi totale se non fosse per il macchinario alle spalle. Socchiusi gli occhi e scacciai dalla mia mente ogni pensiero negativo, contemplando in silenzio la tranquillità dello spazio.
Il ronzio della macchina cessò, segno che il tè era pronto ed istinto alzai il braccio destro in attesa della tazza che mi fu prontamente consegnata delicatamente da una piccola pinza idraulica.
-Alla tua salute Mark0! – Esclamai sereno e rilassato, alzando per un brindisi la tazza (ma non troppo da farla sbattere sul parabrezza).
-Alla sua salute signor Cladzky.
-Oh, Mark… Chiamami solo Cladzky.
-Come vuoi.
Quanto era bello quando le cose andavano come dovevano andare…
-MARK0! MARK0! Che diavolo è quell’affare orribile!? – Esclamai disgustato e stupefatto.
-Quale dei seimila e settecentotrentacinque astri celesti di fronte a noi intendi?
-Quello schifo verdognolo lì, accidenti! – Indicai con vigorosi gesti il pianeta di fronte a noi.
-Ad una analisi superficiale sembra un mondo ricoperto interamente di vegetazione, ma non rilevo alcuna traccia di terreno.
Il pianeta in questione era davvero particolare, forse anche spaventoso. Era completamente verde, che andava a formare diverse sfumature lungo la superficie irregolare e forse neanche solida. Piante che si elevavano su per l’atmosfera, formando bizzarri bitorzoli; strane radici gigantesche come l’Europa che si ergevano ricurve e minacciose sulla punta dell’emisfero Meridionale.
Ma la sua particolarità maggiore era una grossa protuberanza in cima per così dire al pianeta. Aveva una forma allungata e stretta, quasi compressa e sulla sommità svettavano quelli che oserei dire peli irsuti e corti, in continua vibrazione.
Per qualche ragione non sembrava orbitare intorno a nessun Sole e parevano non essercene altri per diversi anni luce.
Posai poi lo sguardo sulla sua Luna. Era un satellite naturale molto piccolo per la verità, su cui notavo molte macchie in movimento, che attirarono presto la mia attenzione, dunque incapacitato a riconoscerle ad occhio, chiesi aiuto al cervello elettronico.
-Trifidi.4 – Mi rispose questo –Se mi permetti è la prima volta che ho il piacere di osservare delle forme di vita su un satellite- Terminò la frase con uno spicchio di sorpresa.
-Trifidi!? - Impallidì io, ingoiando un groppo di saliva, per poi lamentarmi – Quelle maledette piante antropofaghe dovevano rompere le scatole anche qui! Ma giuro sulle divinità di Venere che ne farò carneficina!
-Vuole che prepari il lanciarazzi? – Chiese Mark0.
-No, voglio divertirmi con le mie mani. Atterra su quella Luna e prepara il mio fucile mitragliatore e la tuta spaziale.
-Ma Cladzky, tu sei Triphidophobico – Obbiettò Mark0.
-Appunto – risposi, nascondendo sotto un’aria di spavalderia la mia fifa più nera – Devo combattere le mie paure! Giusto Mark?
Dunque senza ulteriori indugi, scendemmo sul satellite bianco. Dal parabrezza potevo già intravedere trifidi in lontananza che dondolando con movenze goffe sui robusti steli che li sorreggevano, attratti dal rumore si diressero in molti nella mia direzione.
Una volta atterrati sulla roccia indaco, stavo meditando se non urlare la ritirata, ma non potevo certo tirarmi indietro così all’improvviso.
Quindi, esitante, ordinai a Mark0 di alzare la cupola del disco e tremando nella mia ingombrante tuta spaziale rossa, uscita direttamente dal film “Il pianeta degli uomini spenti”, sollevai cercando di apparire minaccioso il mitra, puntandolo uno ad uno ai trifidi che continuavano ad avvicinarsi. Ero terribilmente spaventato, perché lo stavo facendo? perché non scappavo? Che dovevo fare?
Dunque chiusi gli occhi e lasciai decidere al grilletto. E il grilletto decretò morte.
Sparai una raffica incessante, che continuò anche quando riaprì gli occhi, accecandomeli subito dopo con le fiammate della canna. Ma il gioco valeva la candela e pur di diventare non-vedente volevo godermi quello spettacolo di morte vegetale.
Uno ad uno come li avevo puntati, uno ad uno cadevano a terra, chi decapitato del fusto, chi azzoppato, chi ancora solo bucherellato.
Ero un uomo e lo stavo dimostrando fino in fondo all’ora. Era questa la differenza fra noi umani e i trifidi. Noi avevamo i fucili, loro no.
-Chistu è ppe tuttì chelli poverì ciechi ca’ avit uccisò, stronzi! – Gridai, fiero mostrando le origini Napoletane della mia stirpe.
Quando si interruppe la raffica, rimasi sbalordito dal massacro di vegetali senzienti che avevo compiuto. Una moltitudine di corpi indistinguibili l’uno dall’altro si trovavano immobili a terra, o per lo meno quel poco che ne restava, immersi nella loro stessa linfa smeraldo, che per la bassissima gravità di quella Luna, ancora era intenta a cadere a terra ad una velocità impressionantemente lenta.
Cominciai a ridere in modo nervoso, lasciando cadere il mitra sul sedile e raggiante di gioia feci un salto mortale di sei metri, catapultandomi fuori dal disco, atterrando in piedi.
-Mark0! – Chiamai il mio computer di bordo – E’ bellissimo riavere i nervi distesi! Mi sono sfogato finalmente!
Per la grande gioia che provavo cominciai a ballare intorno al disco, cantando gasato tutte le sigle che conoscevo, da God Sigma a Daitarn36, ovviamente chiedendo a Mark0 di accendere lo stereo a palla.
Extraterrestre via, da questa terra mia, togli le zampe o ce le lascerai!
Ti spacca in quattro lui, ci fa una croce su, e tu non ci sei più!
Per Daltanious, bim bum bam e… eh?
Immobile fissavo perplesso il germoglio di un trifido davanti a me. Era alto poco più di trenta centimetri e il pungiglione velenoso non era del tutto sviluppato. Tornai sui miei passi di fretta e raccolsi il fucile per porre fine alla sua esistenza, ma fortunatamente mi soffermai su un importante dettaglio. Le sue radici erano ancora salde nel terreno, segno che non aveva ancora imparato a camminare. Irrigidito ero combattuto se crivellarlo di piombo o lasciar proseguire la sua crescita. Come potevo così brutalmente uccidere un essere vivente così giovane e innocuo, ma che d’altra parte, una volta adulto avrebbe costituito un altro di quegli immondi esseri in più in questo Universo? Il mio indice tremava sul grilletto dell’arma da fuoco, mentre i miei occhi si inumidivano di pianto e le mie gambe sembravano non potermi sorreggere.
Infine preso dalla compassione e conscio che non avrei mai avuto il coraggio di sparare sul quel legnoso, orrido, polveroso, ma ancora sporco di latte fusto, caddi in ginocchio buttando via il fucile, in un pianto isterico che mi bagnò la visiera del casco.
-Sei contento diavolo? Ecco, forza cresci! Cresci maledizione! Ti do salva la vita, cosicché tu crescerai e spargerai i tuoi dannati semi di piante antropofaghe nell’universo! Se solo ci fosse una soluzione a tutto questo che salvi entrambe le nostre vite!
-Potresti farlo crescere in cattività – Mi suggerì Mark0 spegnendo lo stereo.
-Taci tu – lo rimproverai adirato –Lasciami solo col mio dolore e smettila con queste tue balzane, ignobili, demenziali… Genialate!
Mi si illuminarono gli occhi, e con un salto all’indietro, atterrai sicuro nell’abitacolo del disco volante, per prendere gli attrezzi necessari all’operazione dal comodo cassettino sotto il sedile da pilota. Giusto qualche vanga e piccone.
Estrai il trifido dal terreno lunare per poi riporlo in una cassettina con terriccio, sistemandolo nell’unica area di pavimento libera del piccolo velivolo, sacrificando così buona parte del mio spazio vitale. Ma era un sacrificio che facevo volentieri, pur di avere una compagno di viaggio. Sì avevo anche Mark0, ma uno che non sappia parlare mi è molto più simpatico. E poi in cuor mio ho sempre voluto allevare un giovane trifido, nonostante la mia phobia.
Stavo sistemando gli ultimi preparativi per ripartire da quella felice sosta, quando un’improvvisa sirena mi fece saltare per la sorpresa, facendomi sbattere la testa sul tettuccio dell’abitacolo e ricadendo a gambe all’aria sul sedile. Ovviamente il tutto era accaduto appena mi ero tolto il casco.
-Mark0, accidenti a te! Che diavolo è successo? – Gli sbraitai contro, massaggiandomi la testa dolorante e rimettendomi seduto.
-Cladzky – Mi gridò lui di rimando, stranamente preoccupato – Dobbiamo andarcene da questo Sole, o quel trifido potrebbe distruggerci!
-Sole? Trifido? – Chiesi inarcando un sopracciglio e dubbioso di ciò che farfugliava –Ma che stai vanverando? Siamo su una Luna e l’unico Trifido che vedo è questo qui!
-Desidera che mi esprima meglio? – chiese improvvisamente calmo, con la sua solita voce dal timbro impassibile.
-Sì, mi faresti un favore – Dissi riflettendoci sopra.
-Ho analizzato l’ambiente mentre voi eravate via – Gridò di nuovo frettoloso e preoccupato –E posso affermare che questa Luna non è una Luna! E quel pianeta verde non è un pianeta!
-Come!? – Chiesi visibilmente colpito, ma anche scettico al riguardo.
-Voglio dire – riprese Mark0 –Che questa Luna era una piccola stella in passato, ma qualcosa deve avergli come estratto l’energia termica, lasciandola un freddo ammasso di detriti. E quel qualcosa è quel pianeta!
-Ah! – Mi limitai a dire leggermente sorpreso –E cosa centrano i Trifidi?
-Quel pianeta è un trifido!
-Che cosa!? – Dissi afferrando i braccioli del sedile e voltandomi di scatto spaventato verso quella poltiglia verde – Mi stai dicendo che quella roba è un trifido versione Unicron!?5
-Non ho idea di cosa sia Unicron, ma temo che sia anche peggio. E’ in grado di assorbire l’energia di una stella e nutrirsene. Ecco perché non incontravamo soli in questa zona dello spazio.
Dovevo scappare di lì, più in fretta possibile prima che quell’abominio si risvegliasse. E prima di giudicarmi ero pur sempre Triphidophobico! E poi con che armi avrei combattuto un bestione tanto enorme?
Ma un sentimento di rabbia irrefrenabile mi cresceva dentro, scatenato dal mio odio profondo per i Trifidi. Doveva morire quella feccia dell’ l’Universo, come tutti quelli della sua razza. A parte il mio piccolo cucciolo ovviamente.
-Mark0 – Lo chiamai, con voce fredda –Prepara il lanciarazzi. Andiamo a prendere a calci in culo quella patata siderale.
-Il nostro tubo di lancio – Obbiettò il computer con aria di chi ti stava prendendo per pazzo –Non ha il calibro sufficiente per perforare il suo strato vegetale e distruggere il bulbo.
-Hai idee migliori?
-Sì, due per la precisione.
-Elencamele.
-La prima è scappare.
-E la seconda?
-Hai mai visto Guerre Stellari?
***
-Hai caricato i razzi teleguidati? – Chiesi emozionato e conscio del pericolo che stavo correndo.
-Certo Cladzky, a doppia carica detonante, come desideravi.
-Grazie – Dissi sollevato del fatto che per lo meno stava andando tutto come previsto. Ma il difficile veniva adesso e dubitavo delle mie capacità giudicandole insufficienti per la missione.
-Dovremo svegliarlo dal suo letargo, prima di mettere in azione il piano. Cerca di infastidirlo con qualche colpo al busto.
Misi il dito d’istinto sul pulsante e dopo una piccola pausa premetti il tasto, facendo partire un primo proiettile.
Il colpo partì e sembrava essere sul punto di schiantarsi sulla superficie del gigantesco Trifido, ma era solo un’illusione ottica, costatando che la pianta era anche più grossa e lontana di quanto pensassi. Dopo un minuto buono finalmente intravidi una piccola fiammata rossa su quel mare di vegetazione.
-Gli stiamo facendo il solletico – Ammisi con rassegnazione.
-Continua a colpire nello stesso punto – mi suggerì Mark0 –Forse dopo una salva riusciremo a scalfire la superficie.
Così feci continuando a pensare a come fossi ancora in tempo per tornare indietro. Provai a discuterne anche con Mark0.
-Non ti preoccupare – mi rispose fiducioso -ho un asso nella manica.
Nel frattempo rincuorato e speranzoso che il cervello elettronico non mi stesse dando false speranze, continuavo a premere ritmicamente il pulsante di fuoco, lanciando i razzi uno dietro l’altro, in un tran tran che stava andando avanti da troppo tempo per contarlo.
Ormai sembrava ovvio che i miei razzi fossero completamente inefficaci, e non stavo facendo altro che bruciacchiare la sua superficie vegetale.
Poi improvvisamente senza che me ne rendessi conto subito, il gigantesco Trifido si ridestò dal suo sonno disturbato dalle mie innocue salve, alzando lentamente e maestosamente il suo lungo fusto terminante in un finto fiore, con tanto steli al suo interno che simulavano il nettare, ma che nascondevano soltanto il gigantesco pungiglione velenoso, che a occhio e croce era lungo circa cinquecento metri. Tutto ciò non era altro che la strana protuberanza che avevo scorto prima e le radici al polo sud del pianeta, erano gli steli con cui avrebbe potuto camminare, se mai avesse avuto un terreno abbastanza vasto su cui appoggiarli.
Scorsi questo movimento da parte del trifido solo dopo qualche minuto, mentre ero ancora intento a bombardare quella minuscola porzione di busto come idiota, e alzando lo sguardo appena, fui colto di sorpresa, allontanandomi con una veloce manovra evasiva, spaventato.
-Il razzo! – Mi gridò Mark0, ricordandomi il mio obbiettivo –Avvicinati e spara il razzo nel tubo digerente! Dobbiamo centrare lo stomaco e farlo collassare su sé stesso!
Eseguì l’ordine e feci una rapida inversione a U. Il mio coraggio però venne meno, osservando le dimensioni di quel colosso di fibre vegetali. Allentai la presa sulla cloche rallentando un attimo per osservare i suoi movimenti. Sembrava non avermi scorto e dondolava il suo lungo fusto dotato di fiore qua e là cercando di individuare nervosamente chi lo avesse colpito.
Dunque respirando affannosamente mi avvicinai terrificato all’apertura circondata di una membrana richiudibile che fungeva da petali. Mi soffermai particolarmente a osservare il lungo pungiglione mortifero, acquattato in un angolo e il cui verticillo a cui era collegato, ripiegato su sé stesso. Ero a pochi chilometri dall’entrata del tubo digerente e tenevo il dito saldo sul pulsante di sparo.
Poi sentì un ticchettio. Era il classico suono che emettevano i trifidi per comunicare fra loro. Inizialmente pensai fosse quel titano di greca memoria a produrlo, ma riflettendoci meglio come era possibile se nello spazio non esisteva modo per le onde sonore di viaggiare?
Mi accorsi solo dopo un attento ascolto che il suono non proveniva nientemeno che alla mia sinistra, dal piccolo trifido, che dimenandosi faceva battere i suoi verticilli e rametti sul busto come a richiamare qualcuno.
Inizialmente non capì cosa intendesse fare. Per un attimo addirittura credetti volesse pungermi e mi ritrassi un poco da lui, spaventato. Poi guardando prima lui, poi il pianetoide-trifido e ancora il germoglio, intuì che quella piantina stava cercando di comunicare con il gigante.
Chissà che stava dicendo? Poteva darsi qualunque cosa, magari cercava anche di avvertirlo che volevo ucciderlo. Poteva darsi qualunque cosa. Ma non riuscivo ad odiarlo per questo. Lui era come tutti gli altri trifidi: uccide, si nutre di carne umana ed acceca le sue vittime. Ma non riuscivo ancora ad odiarlo per questo.
E ora mi domandavo seriamente chi fosse in realtà il mostro fra noi due.
-Cladzky attento!
Mi voltai spaesato verso il vetro, giusto in tempo per vedere il pungiglione volarmi contro, sparato a velocità supersonica e alzare in fretta la cloche, per sollevare il disco e spostarlo in tempo per non finire perforato da cinquecento metri di puro veleno.
-Mark0! Come cazzo ha fatto a trovarmi se non può sentirmi né vedermi? Come!?
-Probabilmente è un’ esemplare anomalo- Fu la spiegazione che mi venne fornita dall’interpellato -Altrimenti non si spiega neanche come possa essere cresciuto in modo così esponenziale.
-Sì? E allora lascia che ti spieghi come lo sgonfierò. A forza di bombe!
Mi abbassai fino a rasentare la superficie del trifido e cominciai a scaricare su di essa il mio carico di distruzione.
Nel frattempo il pungiglione ritornò dentro il fiore e puntandolo contro il mio disco, che si era allontanato per rieseguire una nuova incursione nella stessa zona precedentemente bombardata, e con un altro micidiale tiro d’aculeo che mi mancò per poco, mi fece desistere dai miei intenti.
Nel frattempo il trifido al mio fianco continuava imperterrito e vigoroso a battersi il busto per tentare vanamente di comunicare col suo simile. Lo guardai per qualche istante e sembrava quasi disperato, dondolando violentemente il suo fusto a destra e sinistra.
Sono sempre stato uno che si impietosiva facilmente e assistere a quella scena mi struggeva il cuore. Una volta finito tutto questo mi promisi che avrei lasciato quella pianta insieme ai suoi simili, non era destino che mi seguisse se mi fossi macchiato dell’atto di uccidere quella che forse era sua madre.
-Aculeo in arrivo!
A quel segnale quasi meccanicamente sollevai la cloche per evitare l’arma gigantesca, ma con mio grande stupore e disappunto non era stata puntata dove mi trovavo, ma bensì dove mi sarei trovato. Mentre eseguivo la schivata a parabola, mi trovai impreparato quando il pungiglione fu scagliato davanti a me, atto a farmi schiantare contro di esso.
Forzai ancora di più la cloche per cercare di evitarlo, ma malauguratamente non riuscì nel mio intento, facendo sbattere il muso del disco contro l’indistruttibile struttura del temibile aculeo. Per la violenza dell’impatto sbattei la fronte sulla console, riducendomi in mille pezzi la visiera. Mi portai le mani al naso sanguinante, imprecando per il dolore e in preda all’ira mi sganciai il casco lanciandolo via contro una parete.
Riafferrai saldamente i comandi e tentai di stabilizzare il disco, catapultato in una serie di infinite piroette alla deriva. Fu allora che mi sentì tradito, quando con il suo ancora giovane aculeo privo di veleno il trifido al mio fianco perforò la mia spalla sinistra, facendomi trasalire.
-Ma… maledetto! Questo non dovevi farlo… - balbettai furioso, dimenticandomi della sua tenerezza e squadrandolo come un trifido come tanti altri. Ora i suoi lineamenti non mi parevano più timidi e simpatici, ma terribili e abominevoli, come quelli di ogni altro trifido.
Aprì in fretta un cruscotto con il braccio sano e ne tirai fuori un coltello con cui mozzai di netto, con abile colpo di taglio, il verticillo dell’aculeo.
Terminata l’operazione buttai dentro il cruscotto il coltello e lo richiusi bruscamente, tornando al comando della situazione. Stabilizzai abbastanza facilmente il disco ed evitando un altro colpo del trifido titano, mi diressi verso il suo fiore, o meglio bocca.
-Una volta finito tutto questo – giurai ancora sanguinando –Ti butterò nello spazio, bastardo!
Ma il trifido non sembrava essere dello stesso parere, e non dandosi per vinto, con il verticillo disarmato, mi avvolse il braccio, impedendomi l’uso della cloche.
Perché stava facendo tutto questo? Era solo il fabbisogno naturale che lo costringeva a cercare di uccidermi per nutrirsi di me? O cercava con tutte le sue forze di salvare il suo compare titanico? O ancora, era il colosso ad ordinargli telepaticamente di aggredirmi?
Non lo sapevo allora e non lo saprò mai, fatto sta che quel mio scervella mento stava dando tempo allo pseudo pianeta di organizzare la sua offensiva. Ed infatti, all’ennesimo suono di impatto imminente, voltandomi terrorizzato, osservai il gigantesco aculeo sferrato verso di me. Tentai di liberarmi dalla presa del verticillo, ma era tutto inutile.
-Dannazione! Questa è la fine! –Gridai a pieni polmoni fuori di me, parandomi il volto bagnato di sangue e lacrime col braccio libero.
-Tuono spaziale!
Riaprì gli occhi meravigliato, guardando una potentissima folgore abbattersi sull’aculeo e deviarlo dalla sua rotta originaria, mancandomi di diversi metri.
-Chi è stato? – Mi chiesi sbalordito guardandomi intorno. Ed eccolo lì, il mio improbabile salvatore, passarmi davanti agli occhi, in tutta la maestosità che il suo velivolo classe Ufo Robot emanava.
-Ehi mezza cartuccia! – Mi richiamò dalla radio Koryo –Non credi che questa bestia sia un pane troppo duro per i tuoi dentini?
Il tono della sua voce era ben diverso, quasi affettuoso, sebbene i termini erano i suoi soliti. Stupito, dopo una pausa di confusione, sorrisi. Ripresi con la mano libera il mio coltello dal cruscotto e non avendo spazio per una mossa di taglio netta, appoggiai la lama sul verticillo e facendo pressione, riuscì a spezzarlo.
Presi energicamente e con gesti teatrali il microfono e risposi.
-Grazie per avermi salvato, ma come hai fatto a sapere che ero nei guai?
-Ma come – mi disse di rimando lui confuso –Non mi hai mandato tu stesso una richiesta d’aiuto?
-Io? – Dissi sbigottito e sicuro che mi stesse prendendo in giro –Io non ho mai mandato una… Mark0!
-Sì – confessò il computer –Era il mio asso nella manica.
-Oh, Mark! –esclamai felice –Non so se odiarti o ringraziarti!
-Non perdiamo tempo ora – Intervenì Koryo –Tu scappa, ci penso io a questa lattuga vivente!
-Cosa? - Controbattei contrariato –Questa è la mia preda!
-Che vuoi che gli facciano i tuoi microscopici missili? Vai via ora!
-Avrei una soluzione – S’intromise Mark0 –Signor Habati, sarebbe così cortese da fungere da esca?
-Io da esca? – Chiese incuriosito – E perché?
Appena terminata la frase l’aculeo tentò di colpire il suo Goldrake, mancandolo per un soffio grazie alla bravura del pilota.
-Perché mi sembra il candidato ideale.
-E io? – Chiesi indicandomi col pollice.
-Tu farai quello che ci eravamo già accordati: Lancerai il razzo nel tubo digerente del trifido.
-Questi sono i piani che mi piacciono! – Esultai schioccando le dita.
L’aculeo partì ancora, tentando di colpire Koryo, che lo respinse con i raggi disintegranti, per poi dirigersi verso il mega-trifido e colpirlo al busto col tuono spaziale, un raggio elettrico generato dalle corna della prua.
Io approfittando della situazione, mi diressi verso l’apertura del condotto digerente, da cui vedevo l’aculeo che ritmicamente veniva lanciato fuori e ritirato all’interno. Dando un’occhiata al mio rivale notavo che non se la stava cavando affatto male. Con abili manovre a zigzag, riusciva ad evitare ogni colpo di pungiglione del mostro vegetale e contrattaccare, infierendo contro di lui con raggi e fulmini sulla sua superficie.
In un modo o nell’altro, il gigantesco colosso riuscì a percepire anche la mia presenza, richiudendo la gigantesca membrana, anche se questo significava lasciare modo a Koryo di colpirlo.
-Cladzky! – Mi avvertì Mark0 –Rallenta o finirai per farci schiantare!
-Oh, Mark – Dissi tranquillamente io –Dovresti sapere che non sei il solo ad avere assi nella manica.
Quella che stavo mettendo in atto era la più grande pazzia che uomo avesse mai concepito, e mi sentivo fiero di essere il primo a testarla.
-Motori a tutta forza! –Urlai.
-Trottola Perforante!
Cominciai a far compiere al disco volante un movimento rotatorio sempre più veloce e i bordi appuntiti del mio velivolo mi garantivano certezza di riuscita.
La velocità di rotazione raggiunse in pochi secondi un tale livello che a occhio nudo ora l’astronave pareva un arcobaleno in centrifuga.
Ed ecco, raggiunsi finalmente il famigerato contatto col trifido e il risultato fu strabiliante. Perforai con estrema facilità la membrana passando all’interno del fusto. Dunque, dopo aver fermato la rotazione, accesi i fari, poiché per il buio non riuscivo a vedere oltre il muso del disco. Era un condotto enorme, largo diversi chilometri, dalle pareti verdi striate di nero.
Scovata la direzione in cui proseguiva il condotto, mi rivolsi a Mark0.
-Sono dentro Mark. Non ci posso credere che abbia funzionato! Ora devo solo lanciare il razzo teleguidato no?
-Temo che dovremo rivedere i nostri piani –Osservò il cervello elettronico.
-Che intendi dire?
-Ora, analizzandolo meglio dall’interno, ho scoperto che questo trifido ha un sistema digestivo molto diverso da quello di un normale Triphidus Celestus. Non potrei pilotare il razzo se rimanessi fuori dalla pianta. Dovremo sparare il razzo a distanza ravvicinata ed allontanarci in fretta dallo stomaco.
-Cosa? Devo scendere fino allo stomaco? Non ci penso nemmeno!
-Abbiamo altre opzioni?
-D’accordo – Mi arresi sbuffando –Vediamo di raggiungere la sua pancia.
Dunque cominciò la mia discesa giù per il tubo digerente dell’enorme Trifido. Percorrerlo in silenzio oltretutto lo rendeva ancora più noioso. Infine, mi ritrovai davanti qualcosa di inaspettato, che mi costrinse ad una frenata brusca.
-Mark0, puoi analizzare quel liquame? – Chiesi disgustato, indicando un liquido schiumoso verde acqua che mi bloccava la via al sistema digestivo.
-Subito Cladzky. Posso confermare che è una strana variante degli acidi gastrici.
-Come strana?
-perché non sembra intaccare minimamente gli oggetti solidi, ma ha la particolare capacità di assorbire l’energia, come combustibili fossili e rinnovabili.
-Mmmh… -Meditai –Questo è un bel problema. Ha la capacità anche di assorbire l’energia derivata dall’antimateria del nostro motore?
-Se questo trifido non è andato troppo avanti nell’evoluzione direi di no.
-E allora andiamo, sperando che la fortuna ci assista ancora.
Ci immergemmo dunque nelle acque digestive e studiai la console per qualche secondo, accertandomi così che la pianta non era in grado di assorbire anche l’antimateria.
L’immersione durò molto meno della discesa precedente, trovandomi subito dopo un breve tragitto, nell’immenso stomaco della pianta.
Era un’enorme camera mezza piena di liquido digerente, in cui galleggiavano diverse grosse sfere rocciose simili a Lune, sicuramente un tempo gloriosi Soli.
-Allora Mark0, dove sparo il razzo?
-Ti consiglio contro il fondale, dovresti così provocare una falla nel sistema vegetale.
-Una falla dovrebbe ucciderlo? – Osservai io dubbioso.
-Vedrai. Sarà più di una semplice falla.
Poco convinto, sentendo che mi nascondeva qualcosa puntai il lanciarazzi contro il fondale, aprii il portellone e… Fuoco!
Letteralmente.
Improvvisamente il liquido verde acqua intorno al disco volante prese fuoco, propagandosi rapidamente.
-Mark0! Mark0! Che è successo? Qui prende tutto fuoco!
-Tutto calcolato. Non temere, il disco può sopportare alte temperature.
-Come sarebbe a dire “Tutto calcolato?” Tu sapevi che mi sarei incenerito da solo?
-Se te lo avessi detto tu avresti sparato comunque?
-Oh, basta! Piuttosto è meglio se mi levo da qui!
Detto fatto, partì a motori a piena potenza verso l’uscita. Ripercorsi i miei passi, e finalmente dopo poco uscì dal sistema digerente, o meglio, Inferno.
Ripercorsi il tratto del fusto e mi ritrovai di nuovo dentro il finto fiore, ancora con la membrana chiusa. Dunque senza perdere tempo, spinsi i motori al massimo delle capacità e ripresi il movimento rotatorio.
-Trottola perforante, via!
Successo anche stavolta, membrana strappata e potei rivedere la luce dell’esterno. Mi allontanai rapidamente dal colossale trifido, che già sentivo carbonizzarsi dietro di me. Raggiunsi Koryo, fermo ad attendermi.
Considerai la distanza e pensandola sufficientemente sicura, mi voltai a godermi lo spettacolo.
Il fuoco non potendo propagarsi anche all’esterno per mancanza d’ossigeno, si limitava a far collassare il sistema dall’interno, facendo accartocciare il terribile trifido come un foglio di carta.
Il trifido dondolò il suo fusto un’ultima volta prima di afflosciarsi e smettere di muoversi, ponendo fine alla sua esistenza, mentre l’area del busto cominciò ad annerirsi come per magia.
Questa fu la fine del divoratore di stelle. Il suo corpo non fu più spostato, vista la mancanza di soli intorno a cui orbitare, rimanendo immobile sempre nello stesso punto, e probabilmente rimanendoci in eterno.
Koryo fischiò sorpreso.
-Hai combinato un bel casino là dentro. Mi devo ricredere amico, hai fegato da vendere.
Mi voltai stupito verso il suo Ufo Robot.
-E io invece non sospettavo che anche tu avessi un po’ di umanità.
-Scoppiammo a ridere entrambi, certo non per la mia battuta, ma per qualcos’altro. Sentivo che c’era qualcosa che ci univa. Qualcosa che…
NO, QUESTA NON E’ L’INIZIO DI UNA YAOI!
Dunque diedi un’occhiata al trifido di fianco a me. Rimasi stupefatto quando mi accorsi che la pianta antropofaga era inspiegabilmente morta appassita.
-Mark0! Che è successo al trifido?
-Quale dei due?
-Questo maledizione!
-Non ne ho la più pallida idea.
Alzai la testa verso la Luna, dove tutte quelle macchioline si erano fermate, arrestando così il loro vortice continuo. Tutti i trifidi nei paraggi erano morti sul colpo insieme al colosso.
***
Immobile, fermo a guardare l’orizzonte, tenevo fra le braccia il corpo esanime del piccolo trifido. Non avrei mai potuto rifiutarmi di lasciarlo insieme ai suoi simili, che come lui giacevano morti sul terreno, colti impreparati da una rapida quanto ingiusta fine.
E con le lacrime che mi solcavano il viso nascoste dalla visiera del casco, lo lasciai cadere a terra dolcemente.
Gli avevo perdonato il suo attentato alla mia vita, stava solo cercando di salvare la sua e quella dei suoi compagni.
Addio piccolo germoglio. Addio piccolo esempio di coraggio.
 
FINE
 

Le citazioni di Cladzky
 
  1. I Tripodi sono macchine da guerra aliene a tre gambe comparse nel romanzo di Wells La guerra dei mondi, dove vengono illustrati con un aspetto abbastanza insolito e paragonati spesso a scaldabagno alti trenta metri.
  2. Starscream è un transformer della serie G1. Infido e machiavellico, orde spesso piani per usurpare il trono dei Decepticon, spodestando Megatron. In Italia è conosciuto anche come Astrum.
  3. Borot è un gioco di parole che in giapponese è sinonimo di ferraglia.
  4. Creature del libro appunto intitolato Il giorno dei trifidi. Sono piante antropofaghe, cieche, ma con un ottimo udito. Nel libro approfittano della cecità quasi totale della popolazione per fare piazza pulita di non-vedenti.
  5. Unicron è un altro transformer G1, comparsi nel film animato e nella terza stagione. E’ un gigantesco pianeta artificiale mangia-mondi.
  6. God Sigma e Daitarn 3 sono famose serie robotiche giapponesi.
   
 
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