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Autore: Alfred il sanguinario    10/09/2015    1 recensioni
Periferia di Bolzano, settembre 2015.
Nella località di Corticelle, la tensione fra italiani e austriaci è palpabile, e l'odio reciproco viene insegnato sin dalla tenera età. E' questo che hanno sempre appreso Daniele Serrau e l'amica Beatrice.
Il fragile equilibrio fra le famiglie rivali è destinato a spezzarsi, e questo avviene quando Daniele e Beatrice oltrepassano il limite del consentito, innescando una serie di incessanti vendette, fra cui la più vile, commessa da uno dei 'rivali', che cambierà la vita dei giovani protagonisti.
Ma l'atto che commetteranno Daniele e Beatrice, per vendicarsi ancora una volta, sarà il più imperdonabile fra i delitti. E, in un luogo dove regna indiscussa l'omertà, un crimine simile non potrà passare inosservato alle forze dell'ordine.
Genere: Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
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N.B.: Nella storia la situazione di tensione nel territorio descritto è stata volontariamente esaltata in modo non indifferente. Mi sembrava doveroso dirvelo. Detto questo, buona lettura. 

Era un pomeriggio di sole. Una delle ultime giornate soleggiate dell'anno, secondo mia nonna, perché era settembre e ben presto avremmo dovuto salutare per lungo tempo i tepori nelle ore centrali e il ciel sereno, per lasciare posto all'autunno, con il suo freddo pungente, il suo cielo sempre grigio e i primi fiocchi. 
L'aria che tirava era fresca, quasi pungente: arrivava direttamente dai monti, e lasciava presagire che probabilmente il tempo sarebbe cambiato la sera stessa. 
Bolzano, o Bozen per i tedeschi, è quella grande conca stretta fra le Alpi tanto contesa e più volte insanguinata per via della difficile convivenza fra italiani e austriaci. La sua periferia si estende più o meno sino a Merano, seconda città dell'Alto Adige, inglobandola e formando l'hinterland più grande della regione. Uno di quei tanti paesini, 10 km a nord di Bolzano, diede i miei natali, il  12 Agosto 1998, una giornata afosa e soffocante come solo quelle delle estati altoatesine sanno essere. Io sono italiano. A casa mia, si era sempre e solo parlato l'italiano. Io non so il tedesco. I miei genitori, i miei nonni, tutta la mia famiglia concordava nel dire e nell'insegnare alla prole che il tedesco è male. Che chi lo parla rinnega la sovranità italiana sulla nostra città. Così sono sempre cresciuto con questa convinzione. 
Quando cominciai ad uscire di casa, ad avventurarmi da solo per il paese, incontrai per caso un bambino dai capelli biondissimi, la pelle diafana e gli occhi a fessura. Non parlava la mia lingua, non capiva una parola di italiano. Lo sentii parlare in tedesco, e inorridii. 
Fu così che la campana di vetro accuratamente riposta attorno a me e mia sorella che fino a quel momento era rimasta intatta, si sgretolò in mille pezzi. E io appresi che i tedeschi, ovvero i nemici, vivevano nel nostro stesso paese, frequentavano una scuola tutta loro e facevano spesa solo nei loro negozi. 
Anni dopo averlo appreso, mi ritrovavo davanti alla soglia di casa ad aspettare Beatrice, quella che potrei definire la mai migliore amica. Era proprio quel pomeriggio di settembre, quello che avrebbe stravolto per sempre la mia vita. 
Ripensandoci, era l'inizio di un incubo. Ma anche di un sogno. 
Avevo gli auricolari nelle orecchie, e come da copione ascoltavo 'Blue Neighborhood'. Avevo sempre pensato che, quelle poche parole che riuscivo a capire di quella canzone, rappresentassero in modo egregio la situazione di Corticelle, quella sorta di girone infernale in cui vivevo. 
La porta bussò. Interruppi bruscamente l'ascolto per aprire. Statura media, capelli neri e ricci, e intensi occhi color ambra. Beatrice. 
“Saluto tutti e arrivo.” dissi, e mi fiondai ad accomiatarmi da mia nonna, costretta su una sedia a rotelle, i miei genitori, e tornando verso la porta di casa rivolsi un distratto “Ciao” a mia sorella gemella, accasciata sul divano. “Più tardi esco anch'io.” rispose. 
“La Eugenia è malata, e Sandro è giù a Bolzano a far spese.” mi disse Beatrice, non appena la raggiunsi. Mi richiusi alle spalle la porta, senza troppa attenzione. 
“Quindi siamo solo noi due.” risposi, incamminandomi verso le biciclette, maldestramente appoggiate alla ringhiera di legno che segnava il confine con il bosco. 
Annuì. 
Salimmo sulle bici e cominciammo a pedalare. Imboccammo la stradina principale. La luce era rossastra, tipica del tramonto. Il vento che tirava mi faceva rabbrividire, ma ne ero contento, dopo il caldo torrido che c'era stato per tutta l'estate e che si era patito ancora nelle ore centrali di quel giorno. Le casette che attorniavano la strada erano piuttosto carine, con giardini che sarebbero stati deliziosi, se solo qualcuno avesse avuto tempo e soldi per dedicarsene. 
Passammo dal campo da calcio, e più o meno lì iniziava la zona della cittadina dove ci raccomandavano di non metter piede, quella 'pericolosa': quella frequentata e abitata dai crucchi. Li vidi, mentre sfrecciavamo con le biciclette sentendoci i padroni della situazione. Giocavano a calcio, e non appena ci intravidero in lontananza si fermarono e ci fissarono con odio. Senza pensare alle conseguenze, probabilmente inebriata dalla sensazione del momento, Beatrice strillò: “La tua fidanzata sembra un cane da riporto!”. Fu tutto molto rapido. Il suo grido, il rumore delle bici che procedevano in discesa a grande velocità, e lo sguardo del più grande di loro, che sembrava aver capito e che ora si sentiva ferito nell'orgoglio. Io risi, di gusto. 
Al ritorno prendemmo un'altra strada, laterale, e non li incontrammo più. Rabbrividivamo; un po' per il freddo che era venuto, un po' per l'idea di aver offeso i pezzi grossi dei crucchi, un po' perché se li avessimo incontrati sarebbe stata la nostra fine. 
Ma accadde di peggio. 
  
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