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Autore: Reaper_Hel    10/09/2015    0 recensioni
"Il mondo è di chi rimane, e tu non devi avere paura. Non sei solo." Questo recita la guida alla sopravvivenza del Superstite Responsabile.
Quando però Miriam si sveglia, quella mattina, non è rimasto più nessuno.
Genere: Horror, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Il ragazzo andò a sbattere contro al tavolino e protese le mani in direzione di Miriam. «No no, non mi sparare, aspetta! Non sono qui per farti del male, stavo solo...»
 «Questa è casa mia. È la mia proprietà. Se voglio posso spararti e penso che se non te ne andrai subito lo farò,» guaì Miriam con un filo di voce e gli occhi lucidi.
Il ragazzo aveva un aspetto trasandato, ma nel complesso gradevole. I capelli biondi spettinati ricadevano su un viso asciutto, dai lineamenti marcati e dal naso piccolo. Le labbra sottili esitavano su dei bei denti bianchi, mentre il fisico tonico era coperto da una t-shirt e un paio di bermuda color kaki. Dalle macchie violacee che aveva addosso, sembrava aver lottato all’ultimo sangue con una torta ai mirtilli.
 «Non te lo ripeterò un'altra volta. Adesso prendo la pistola e…»
 «Per favore, non cacciarmi! Non so dove altro andare, non sono di queste parti e non ho un posto dove andare.»
Miriam parve quasi esplodere. «Non sei delle mie parti, eh? La capisci la mia lingua o no? Ti ho detto che te ne devi andare! Non so chi sei, non so cosa vuoi ma bivaccavi nella mia proprietà senza permesso. Fuori, fuori!»
 «Aspetta, aspetta. Ti faccio vedere un documento, vuoi? Ti fidi di un documento? Dice che sono uno studente di economia. Posso prenderlo dalla mia tasca?»
Miriam fece una smorfia di terrore. «No che non puoi, e tieni le mani puntate verso di me. Non fare scherzi!»
«D’accordo, d’accordo
Si sentì tremare e svenire, ma resistette all’impulso di piangere e cercò disperatamente di aggrapparsi al bluff che in tasca avesse effettivamente una pistola. «Come ti chiami?»
«Lazarus,» mormorò il ragazzo, lanciando ripetute, preoccupate occhiate alle tasche di Miriam. «E tu?»
«Le domande le faccio io, se permetti. Cosa ci fai qui? Perché proprio qui?»
«Non lo so! Vivo a quattro isolati da qui e stamattina mi sono risvegliato completamente solo.»
Miriam tacque un secondo. «Aspetta un attimo. Non hai appena detto di non essere di queste parti?»
Lazarus sorrise. «E tu non avevi detto di avere una pistola?»
Un rapido scatto e Lazarus le fu addosso. Una scintilla di dolore le esplose nella  testa e la accecò per un attimo. Poi tutto cominciò a girare, e l’odore putrido di morte che diventava sempre, sempre più forte le diede il colpo di grazia.
 
Si risvegliò sdraiata a terra, scalza e con un mal di testa da primato. La sua bocca era impastata e incrostata, come se avesse sbavato per tutto il tempo. Quando tentò di alzarsi a sedere, si rese conto che mani e piedi erano saldamente legati tra loro, e non poteva farlo.
Davanti a lei, seduto sul divano, Lazarus stava controllando il suo cellulare. Quando si accorse che lo stava guardando, sorrise mostrando un paio di graziose fossette. «Bentornata. Stamattina hai registrato un numero. Chi è?»
 «Vai al diavolo.»
 «Risposta sbagliata. Prova di nuovo e, questa volta, metticela tutta. Non vorrei succedesse qualcosa di spiacevole ai tuoi genitori.»
Quando la vista di Miriam fu meno offuscata, realizzò che quello che aveva davanti non era ciò che sembrava. La sua pelle non era solo sporca, era incrostata di una sostanza organica simile al sangue, ma più violacea e dall’aspetto purulento. Il suo naso, sopraffatto da un odore nauseabondo, le inviò un conato di vomito. Sollevò gli occhi e capì che quell’odore era prodotto da lui.
 «I miei genitori sono spariti, minaccia quanto vuoi ma sono l’unica rimasta.»
 «Chi è, allora, che hai registrato stamattina?»
 «Un numero a caso che ho trovato in giro.»
 «Portami da quella persona.»
Miriam scalciò e ruotò i polsi nella speranza di potersi liberare. «Lasciami! Lasciami! Noi Superstiti dovremmo...»
 «Collaborare? Ma non vedi che è già cominciato?»
 «Cominciato cosa?»
Lazarus indicò fuori dalla finestra. «La colonizzazione. La tua cooperazione risparmierà molta sofferenza a te e tutti coloro che ti conoscono.»
 «Alieni? Che stronzate! Sei solo un pazzo criminale. Prenditi quello che vuoi, in questa casa, basta che te ne vai e mi lasci in pace.»
 «Non ho bisogno di queste cose.»
 «Allora slegami e vattene via.»
 «Credi che sia così semplice? Ti sto solo facendo un favore finché riesco ancora a parlare la tua lingua. Devi ascoltarmi. Sarà solo peggio, dopo.»
Miriam fece una smorfia di disgusto mentre i pensieri le turbinavano nella testa come un urgano. Avrebbe dovuto rimanersene a Helton. Mentre i suoi occhi vagavano terrorizzati per la stanza, la ragazza notò i cocci del vetro che aveva spaccato qualche ora prima. O forse dieci anni prima? «Tu eri fuori qui attorno anche ieri sera, mi stavi spiando.»
 «Non ero io. Sono arrivato solo dopo che l’altro Esploratore mi ha informato della tua presenza.»
 Miriam si irrigidì. «L’altro… cosa?»
 «Non ha importanza. Ho bisogno di conoscere tutti i Superstiti e la loro posizione. E ora hai due possibilità: aiutarmi a trovarli, oppure lasciarti assimilare.»
La tristezza aveva ormai lasciato spazio a una paura che le inviava costanti scariche di adrenalina. Quando riuscì ad allungare la mano per afferrare un coccio di vetro, percepì un flusso di energia calda simile al dolore che la fece quasi svenire. «I miei genitori sono vivi?»
 «Sono vivi, ma non sono più i tuoi genitori. Sono stati assimilati dalla mente-alveare di Nashevania.»
La mano di Miriam afferrò saldamente il vetro e, con un movimento brusco, recise il filo del telefono che legava insieme mani e piedi. Con la mano grondante di sangue, la ragazza si appiattì contro al muro e, urlando, puntò l’arma contro Lazarus prima di caricarlo come una furia. Il ragazzo scattò istintivamente indietro, balzando in modo anatomicamente impossibile. La sua schiena fece una rotazione di 180° e i piedi toccarono terra dietro al divano. Miriam capitombolò sui cuscini a denti stretti, per poi darsi la spinta e raggiungere il bordo della finestra. Si aggrappò al davanzale con un gemito e cominciò a scavalcare aggrappandosi al muro con i piedi nudi.
Lazarus le si avventò addosso, prendendola per la vita e tirandola verso l’interno della casa. Miriam urlò, ma la puzza che le entrava nei polmoni sin dalla gola la fece tossire e quasi vomitare. Perse la forza per un attimo, e ricadde a peso morto su quell’essere che l’aveva tirata con sé sul divano.
Quando si accorse che la sua vescica stava cedendo e un getto caldo cominciò a bagnarle i pantaloni, Miriam gridò di nuovo per il terrore, l’umiliazione e la rabbia. Con il vetro conficcato nella mano, ormai sporca di sangue fino al gomito, lacerò il braccio di Lazarus che gridò a sua volta, imprecando in una lingua che non sembrava nemmeno poter provenire dalla bocca di un essere umano.
Approfittando si quell’attimo di dolore, Miriam di divincolò e riuscì a fuggire dalla finestra senza un singolo fiato.
I piedi nudi toccarono l’erba umida, e il freddo di quel buio la avvolse come un mantello mentre correva disperatamente verso l’auto. Andò praticamente a sbattervi, quando si rese conto di non avere con sé le chiavi.
Un pianto isterico si impossessò di lei facendola quasi impazzire, mentre il rumore di un ramoscello spezzato le fece capire che il suo tempo, lì, era finito.
A piedi nudi e grondante sangue, Miriam attraversò il cancello della sua casa sperando di essere capace di correre veloce abbastanza.
 
 
La notte non era mai stata buia come quando il giorno aveva smesso di esistere. Senza luce e con le lacrime che continuavano ad offuscarle la vista, l’unica cosa che poteva percepire chiaramente era il dolore della sua mano. Continuò a correre finché i polmoni le dettero fiato sufficiente per trascinarsi sulle gambe, e poi si lasciò cadere a terra e si trascinò sul bordo della enorme fontana della piazza centrale del suo paese.
 
Non aveva mai fatto sport: fatta eccezione per le lezioni di educazione fisica, aveva sempre dribblato con successo tutti i tentativi di un coinvolgimento in qualche squadra o attività che la mostrasse in canotta e yoga pants. Fino ad ora: e di certo non immaginava niente del genere per il suo grande ingresso nel mondo del fitness. Anche sforzandosi di trovare un motivo per non lasciarsi andare, non riusciva davvero a darsi un obiettivo o una scossa. L’unica possibilità che aveva era un vecchio nerd che stava più o meno a 20 km da Fontanelle, e che probabilmente aveva dato per scontato che lei non sarebbe più tornata. Probabilmente aveva pensato (non troppo a caso) che lei provasse disgusto solo a guardarlo, e che preferiva rimanere sola piuttosto che con un individuo del genere.
Si sentì avvampare per la vergogna di aver pesato così male di Lasher, anche se ormai, comunque, non aveva più nessuna importanza. Seduta a terra, la schiena appoggiata alla fontana, si mise a scrutare nell’oscurità circostante nella vaga speranza di poter percepire un movimento, una zaffata di quel tanfo infernale oppure il suono di persone che vivevano. Se quello era tutto un brutto sogno, era il caso di svegliarsi adesso.
Rimase immobile nell’oscurità che non rivelava nessuna forma o presenza. Quindi, stringendosi le ginocchia al petto, ricominciò a piangere.
Solo il quel momento, mentre le forze lentamente la abbandonavano e l’adrenalina cessava di pompare nelle sue vene, osservò le condizioni della sua mano: il vetro era entrato in profondità nella sua mano, e ora che il momento scemava il dolore aveva iniziato a conficcare delle punte arroventate lungo tutto il suo braccio. Si tirò a sedere sul bordo della fontana e sentì esplodere un crampo alla gamba destra. Rimase ad ascoltare quel dolore pulsante e affondò la mano sana nell’acqua fredda della fontana.
Quando aveva quattordici anni, una notte, ci aveva fatto il bagno con il suo primo ragazzo. Era appena finita la scuola e, dopo la cena di classe, avevano trovato una mezza bottiglia di birra appoggiata sul muretto del ristorante. Dopo averla adeguatamente annusata ed essersi sfidati ad assaggiarla, avevano raggiunto la conclusione che era buona. Non avendo mai bevuto prima, ritennero di comune accordo di essere “sfasciati dall’alcool”, e decisero di festeggiare con un bagno che gli sarebbe costato duecentocinquanta dollari e una denuncia per atti osceni e vandalismo. E pensare che erano vestiti.
Passò le mani fra i capelli rossi e mossi, raccolti da una coda di cavallo, e sempre meno convinta tastò la ferita sulla sua mano, poiché la luce non era sufficiente per vederla. Il solo sfiorare quel vetro la fece tremare dall’orrore. Quanto tempo le ci sarebbe voluto per guarire, senza dottori? Aveva bisogno di una farmacia e, prima ancora, di un posto sicuro.
Dopo aver bevuto lunghe sorsate d’acqua ed essersi sciacquata la faccia, Miriam non volle rimanere in un posto dov’era così vulnerabile un istante di più. Poteva andare a Helton: ma doveva trovare una macchina che fosse aperta e avesse le chiavi nel cruscotto. Ricordò di averne vista una con le portiere aperte sulla statale, ma non aveva davvero la certezza che funzionasse ancora. E poi, quanti chilometri distava? Si sforzò di ricordare, ma il silenzio attorno a lei divenne quasi assordante. Scacciò un ennesimo attacco di panico inspirando ed espirando.
All’improvviso, l’odore di pesce marciò le zaffò addosso. Non c’era più tempo. Zoppicando a causa del crampo, Miriam attraversò la piazza e raggiunse quella che, secondo i suoi calcoli, doveva essere la farmacia. La saracinesca era abbassata e le finestre avevano le sbarre. La porta secondaria era di ferro. Rimase davanti ad essa per qualche istante, riflettendo su come fare per entrare.
La guida per il Superstite Responsabile non prevedeva un caso di completa solitudine in cui il S.R. era ferito gravemente e, in generale, scoraggiava severamente ogni tentativo di effrazione. Tuttavia, non c’era altro modo.
O così, o presto avrebbe perso i sensi.
 
Si guardò intorno con aria afflitta e bussò disperatamente alla porta. Forse al drugstore vedevano un po’ di aspirina e dell’acqua ossigenata. Ma quante speranze c’erano di trovarlo aperto?
 «Cerchi qualcosa?» la voce di Lazarus le fece serrare i denti come un maglio. Si voltò di scatto e, senza vedere o capire più niente, andò a sbattergli addosso. Lazarus l’afferrò saldamente per i polsi, e quando Miriam fu costretta a guardarlo in faccia si rese conto che i suoi occhi luccicavano come quelli di un gatto. Ebbe la netta sensazione che lui, nell’oscurità, ci vedesse più che bene.
Tentò di divincolarsi, ma le sue mani erano agganciate saldamente. Flettendo le ginocchia sperò ardentemente di ritrovarsi in grado di sbilanciarlo in qualche modo, ma fu inutile.
Lazarus la trascinò per qualche metro verso la strada e mormorò un’altra volta qualcosa in quella lingua che non poteva provenire dalla sua bocca. Simile ad un ronzio gutturale, era come se in quel suono si potessero distinguere varie intonazioni simili a parole.
Miriam piagnucolò, valutando le sue possibilità con gli ultimi rimasugli di pensiero logico che le erano rimasti. La forza non sembrava avere successo: lui era infinitamente più alto, più forte e in condizioni fisiche migliori. Doveva trovare un altro modo. «Cosa devo fare perché tu mi lasci stare? Vuoi che ti dica dov’è l’altro?»
 «Quindi c’è effettivamente un’altra persona, in questa zona.»
 «Magari non c’è più. Potrebbe già essere sparito.»
 «Impossibile.»
Miriam strattonò forte le mani di Lazarus, che questa volta sembravano fatte di acciaio. Quando si abbassò per guardarle, notò che il braccio che aveva ferito era incrostato. «Come fai a saperlo, sei rimasto qui tutto il tempo a rompermi le scatole!»
 «Non ho bisogno di spostarmi per sapere. Ho bisogno della tua cooperazione.»
 «Vuoi uccidermi, vero? Vuoi uccidermi e poi uccidere anche qualcun altro!»
Lazarus scosse il capo. «Io non sono autorizzato ad uccidere o usare la forza, se non per difendermi. Sono solo un Esploratore.»
 «Un che?»
 «Non sono autorizzato a parlare con gli Ospiti di informazioni riservate.»
 «Ospiti? E se non puoi uccidermi, significa che se faccio quello che dici potrò andarmene? Vuoi che ti consegni l’altra persona?»
 «Non è consigliabile andarsene da soli. Presto gli Esploratori lasceranno il posto ai Guerrieri, e a quel punto non potrai più essere assimilata, ma sarai considerata un pericolo. Finché ho questa forma, posso aiutarti e aiutare chi ancora non è stato assimilato.»
 Miriam fu sconvolta, ma per la prima volta riuscì a non mettersi a piangere. Dentro di lei si diffuse una tiepida sensazione di rassegnazione. Qualunque cosa stesse dicendo Lazarus, forse aveva ragione: lottare era inutile. «Cosa sei? Un alieno?»
 «Penso che Nashevania possa essere chiamato così. Ma non credo ci sia una parola in questa vostra lingua che dia un-»
Dall’angolo sul municipio giunse il rumore di un motore. Le luci di una coppia di fanali attraversarono tutta la piazza, illuminandola per un momento, per poi rivolgersi direttamente ai due in mezzo al marciapiede.
La luce che li investì fu forte al punto che Miriam non vide più niente per un attimo. Anche Lazarus sembrò vacillare, e la sua presa allentò.
Il suono squillante del clacson riecheggiò fortissimo lungo le pareti inerti del centro città. Lazarus sussultò e Miriam sentì che era la sua ultima occasione. Lo strattone che diede facendo peso con tutto il corpo le liberò le braccia, mentre senza pensarci più del necessario la mano in cui era ancora conficcato il vetro affondò nella carotide. Un rumore soffocato, gorgogliante, attraversò la bocca di Lazarus mentre con le mani la afferrava di nuovo per buttarla per terra. Mentre la luce e le lacrime trasformavano quella scena in un caleidoscopio delirante, portò istintivamente la mano sana al polso e capì che il vetro era ancora conficcato nella sua mano, e quel movimento aveva peggiorato la situazione in maniera forse critica. Ora il coccio di vetro la passava da parte a parte, e quando vide quello spettacolo atroce Miriam non trattenne un urlo isterico prima che il mondo attorno a lei lentamente si sfaldasse, e i suoi pensieri diventassero rarefatti e privi di importanza.
   
 
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