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Autore: liberty_dream    11/09/2015    1 recensioni
Lyam-soggetto 14- a quasi 20 non ha nessun ricordo del mondo esterno; cosa siano il sole la luna, le stelle, il mare e le montagne, i fiori e gli alberi, non ne ha idea.
Conosce una sola cosa: i volti dei suoi carcerieri.
"Il soggetto 14 è un'evoluzione del genere umano. Lo stiamo studiando per capire le nuove capacità che avremo tutti nel giro di trecento anni."
Per un esperimento sul Soggetto 14, Nemesi è costretta a vivere sotto il suo stesso tetto, rinchiusa tra le sue stesse mura.
"Com'è il sole?"
"E' caldo."
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Il processo era appena iniziato.


Il Sistema aveva trovato i testimoni e identificato il colpevole dell’omicidio; era impossibile non essere a conoscenza della morte di Barrett Callaway, il Presidente della comunità: nei cieli, sulle tela dei dirigibili veniva trasmesso in continuazione il notiziario che ritraeva la sua salma; sulle pareti dei grattacieli, le pubblicità erano state sostituite da programmi televisivi che intervistavano i parenti e gli amici più vicini, i più danneggiati dalla perdita in termini affettivi e di immagine: erano loro i maggiori indiziati per la prematura scomparsa dell’uomo.
All’interno del cargo volante, l’aula di tribunale stava ascoltando i testimoni dando una parvenza di legalità al processo mentre davanti al banco, con occhi spaesati, la figlia del morto non aveva nemmeno gli occhi lucidi; tutti sapevano chi sarebbe stato condannata. Il Sistema presenziava in veste di giudice penale.
 






Si dice che trecentocinquanta anni prima ci fu una guerra, una delle più grandi e temibili manifestazioni di crudeltà e aberrazioni che l’uomo fosse mai stato in grado di compiere. Non ci furono vincitori, solo sconfitti. L’uso del nucleare e di bombe batteriologiche aveva decimato la popolazione, reso sterili le donne, modificato i genomi degli esseri umani. Non c’erano case a cui tornare, né famiglie da riabbracciare.

I capi di stato delle nazioni si riunirono e discussero a lungo su come procedere per ottenere un mondo che non scontentasse nessuno e che riuscisse a lungo termine a rendere ciascuno soddisfatto della propria condizione. Radunarono i migliori scienziati del paese, sociologi, psicologi, antropologi per creare qualcosa che servisse a tale scopo.
Idearono una macchina e la chiamarono “Sistema”. La sua precisione era assoluta, lavorava con processori ad altissima potenza ed era in grado di eseguire correttamente il lavoro di tre-quattro team di lavoratori. Le impiantarono i database di tutti i servizi segreti, lei rielaborò le informazioni e iniziò ad agire.

Divenne il principale punto di riferimento per la politica, i casi giudiziari e l’economia, legiferava con giustizia e puniva i crimini in modo equilibrato. Aveva fondato due prigioni: l’una per i crimini di minore importanza e la cui colpa ricadeva sul Sistema stesso, per i sacrifici che le sue scelte avevano portato, come il furto o la rapina, si chimava Prigione; l’altra era per le aberrazioni: coloro che divergevano dall’orientamento comune, ostacolando il corretto svolgimento delle operazioni, era il Carcere. Vi vivevamo mutati, assassini  di consanguinei ma anche mercenari e terroristi. Una volta entrati in questo secondo luogo di detenzione, si  usciva solo da morti; ma non v’erano alternative alle sue scelte. Il suo giudizio era certo e assoluto.
 





Ed ora era lì, si stringeva le spalle tremando per la paura mentre con voce veemente la donna, un tempo la sua insegnante privata, parlava dei suoi rapporti turbolenti con il padre. Le mani che erano tenute salde a delle manette si strinsero convulsamente; non lontano da lei due poliziotti la guardavano con in mano i loro dissuasori elettrici con un voltaggio che poteva far svenire o paralizzare. Le loro braccia con i nervi a vista erano tese, mentre con gli occhi fissavano lo schermo da dove il Sistema raccoglieva i dati trasmessili.

La donna terminò l’orazione e fu brevemente congedata. Fu la volta di Sophie, una ragazza della sua età con cui era cresciuta. Aprì la bocca e le orecchie dei presenti ascoltarono un elogio magistralmente compiuto della devozione affettiva paterna, di come risultava maniacale talvolta e oppressiva, ma comprensibile essendo stata lasciata ben presto orfana di madre. Chiuse gli occhi cercando distrarsi e di non ascoltare; tanto meno avesse udito, tanto inferiore sarebbe stato il numero di ricordi che quei racconti le avrebbero riportato alla memoria.

Le tornò alla mente una canzoncina e iniziò a canticchiarla. Parlava di un regno lontano dove una principessa era scappata al marito crudele facendosi credere morta e di come, dalle fondamenta, aveva scatenato una rivolta contro il tiranno. Era dolce, con una nenia che ricordava terre antiche e esotiche, con un ritmo cadenzato che portava da sé le parole. Gli argomenti erano dozzinali, come tutte le ballate, eppure un vago senso di sollievo le invase l’anima. Le fu intimato bruscamente di tacere.

Roteò gli occhi ricordandosi ciò che era realmente successo quella sera, non le bugie che le erano state additate. Il padre si era suicidato di fronte ai suoi occhi; l’aveva visto afferrare la lama, aveva scorto il riflesso del pugnale, ma quando aveva provato a intervenire, era troppo tardi. Le sue impronte digitali erano fisse sull’arma del delitto, il corpo del padre giaceva scomposto in una pozza di sangue, la giugulare recisa. Era stato scosso da dei tremiti, ma l’agonia era terminata subito senza che lei, dottoressa, avesse modo di fare qualcosa.

Strinse i pugni, c’erano decine di persone davanti a lei e non una che l’avrebbe ascoltata; la difesa non aveva potuto controbattere punto su punto l’istruttoria del “giudice”. Guardò lo schermo, l’udienza stava per terminare poi la sentenza sarebbe piombata sul suo capo, impietosa. Le nocche dei pugni sbiancarono, era ansiosa e aveva paura, ma già sapeva il suo destino, sapeva che sarebbe stata condannata, ma non sapeva dove sarebbe stata rinchiusa. Ed era questo che la spaventava.

Il segnale che il Sistema era in ascolto si spense, stava deliberando. Un uomo, vestito in giacca e cravatta neri con le punte delle scarpe laccate si avvicinò al computer, nel frattempo che il Sistema, quella grande macchina pensante, decideva il suo destino, osservò i bottoni lucidi e le spine e i cavi che vi sporgevano. Era immenso, eppure era solo una piccola parte del corpo elettronico del loro “maestro”.
La luce rossa, prima spenta si riaccese, si ascoltò un rumore di carta che scorreva, poi con uno sbuffo sonoro venne stampata la sentenza. L’uomo si avvicinò alla foglio che si era delicatamente appoggiato al suolo e lo raccolse.
Il Sistema non si era mai espresso con lunghe parole artificiose, ma mai era stato così lapidario.
 
"Nemesi Callaway, per aver ucciso suo padre, il signor Barrett Callaway, è condannata all’ergastolo all’interno del Carcere."
 
Sgranò gli occhi. Non era possibile. Il Carcere? Lei?
Si aspettava di essere mandata nella Prigione, non nel Carcere. Lì erano rinchiusi le aberrazioni, gli errori non voluti dal Sistema, i criminali più temibili; lì vi accadevano cose che avrebbero contaminato l’opinione pubblica se solo si fossero sapute e lei sapeva esattamente di cosa si trattasse, lavorava in quella struttura. No, doveva essere uno scherzo, un terribile e mostruoso scherzo.

Il suo volto mulatto era sbiancato visibilmente quando le due guardie che l’avevano tenuta in custodia si avvicinarono a lei con i manganelli in mano, ma lei non oppose resistenza e si lasciò guidare fino alla capsula che l’avrebbe condotta nella sua nuova dimora. In silenzio, Nemesi piangeva le lacrime che non aveva potuto versare per il padre e per il suo miserabile destino: sarebbe diventata una cavia da laboratorio. 









 
  
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