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Autore: Black Swan    08/02/2009    2 recensioni
Junayd Kamil Alifahaar McGregory ha tutto.
E’ l’unico punto di contatto fra due delle più potenti famiglie del paese, ha ricchezza, bellezza, intelligenza, una posizione di prestigio.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory ha le idee chiare.
Sa cosa deve o non deve fare, ha imparato molto presto come far girare il mondo nel verso che gli fa più comodo, ha preso la decisione di condurre una doppia vita a soli quindici anni e custodisce segreti che i suoi genitori neanche immaginano lui possa conoscere.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory è convinto di avere già tutto quello di cui ha bisogno: i pilastri della sua vita sono già stati piantati, i confini già marcati. Si renderà conto che anche lui può sbagliare.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory non ha mai fatto i conti con il suo cuore. Si accorgerà quanto prima dell’errore commesso.
Junayd Kamil Alifahaar McGregory non ha mai realmente ascoltato il suo cuore. Scoprirà che non è mai troppo tardi per cominciare…
Genere: Avventura, Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 20

Non E’ Mai Troppo Tardi

20

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel giro di due settimane la voce della missione segreta era arrivata alla Casa Bianca, essenzialmente perché aveva portato all’arresto degli Estrada, e anche il Presidente degli Stati Uniti aveva voluto conoscerli.

Ufficialmente, la situazione era stata gestita dall’F.B.I., da tempo sulle tracce degli Estrada.

Matthew, che dopo quell’ultima tortura sarebbe definitivamente diventato Aaron, li aveva accompagnati in quanto loro superiore.

Durante l’incontro si erano annoiati a morte.

Anche il Presidente le aveva provate tutte per convincerli a restare nell’F.B.I..

Cortesemente ma con la testardaggine per cui erano famosi, erano rimasti fermi nelle loro posizioni: Darkness e Falcon erano già andati in pensione.

Richard aveva insistito perché tenessero i cellulari che aveva dato loro. Un piccolo ricordo.

Beh, ovviamente il giorno che avessero deciso di comprarne di nuovi, avrebbero dovuto consegnarli a Matthew per lo… smaltimento.

Diego Estrada, Migũel Estrada e Pablo Scontria erano stati processati per direttissima a New York e condannati a morte, fino all’esecuzione sarebbero stati tenuti in isolamento.

Era stato dato il colpo di grazia alla famiglia Estrada e al traffico di droga ad essa collegato: il padre di Diego e Migũel, che non era riuscito a muovere un dito vista la velocità dello svolgersi della situazione, non aveva retto al colpo della notizia della condanna dei figli.

Matthew aveva promesso loro che avrebbe protetto il loro anonimato con tutti i mezzi e lo stava facendo: il Presidente stesso aveva dovuto impegnarsi a non dire mai ad anima viva di averli visti in faccia.

Atterrarono a Boston nel tardo pomeriggio e si separarono all’aeroporto.

Sharon era venuta a prendere il padre e il fidanzato, ad attendere lui c’era suo padre.

Con Sharon era già d’accordo che si sarebbero ritagliati una giornata tutta per loro… probabilmente ad intervalli regolari, e sarebbero andati a segnarsi a psicologia, fra le altre cose.

Il fatto del trapianto di occhi era stato solo l’ennesima conferma: lui e Sharon si erano subito riconosciuti. Alla fine aveva trovato una sorellina.

E Drake aveva pensato bene di innamorarsi di lei.

La vita era strana.

«Allora, com’è andata?» chiese suo padre dopo aver detto a Kyle di partire.

«Farò il vice presidente della compagnia a tempo pieno papà… o per meglio dire, fra una laurea e l’altra.»

Nel frattempo i suoi nonni avevano dato il via alla fusione e nonno Mansur avrebbe lavorato “in differita” con loro.

«Credo che vedremo spesso Sharon, suo padre e sua madre.»

«Credo anche io. Si chiama Aaron, papà, rammenti?»

«Lo chiamerete così anche tu e Drake?»

«Sicuro. Adesso facciamo parte della sua vita privata.»

Suo padre annuì voltandosi a guardare fuori dal finestrino.

La settimana prima suo nonno e l’intera tribù Alifahaar era tornata a Los Angeles, due giorni prima la famiglia Flalagan era tornata a casa.

Villa McGregory gli sembrava stranamente vuota… e se voleva essere onesto almeno con se stesso, era la mancanza di una sola persona a dargli quell’improvvisa sensazione.

«Hai da fare domani?» chiese improvvisamente suo padre.

«Ho un impegno con il presidente della compagnia nella quale lavoro e la sua gentile consorte, credo.»

Suo padre sorrise, «Credi bene. Andiamo nell’appartamento che ci ha regalato tuo nonno. Potremo parlare tranquillamente.»

«Ok.»

Ancora non riusciva a capire se i suoi avessero superato lo shock di vederlo uccidere una persona a sangue freddo.

Probabilmente il fatto che questa persona gli avesse sparato era stato preso come una grossa attenuante.

«Juna…»

«Dimmi.»

«Una cosa devo saperla subito. Non ci dormo la notte. Quando hai saputo di Jawad?»

«Avevo appena quattro anni… e me lo avete detto proprio tu e mamma. Quel giorno la mamma ebbe una crisi e pianse tutto il pomeriggio. Tu, quando tornasti dall’ufficio, la raggiungesti in camera. Ero nascosto sotto il letto e ascoltai tutto.»

Suo padre rimase immobile per qualche secondo, immaginava cosa stesse pensando: questo implicava che, all’epoca, suo figlio di quattro anni non fosse stato visto per un intero pomeriggio e nessuno si era posto il problema di sapere che fine avesse fatto. Alla fine scosse la testa, «Non ci hai mai odiato per questo?»

«No. Ho dato per scontato che se volevate nascondermi una cosa del genere ci doveva essere una spiegazione valida.»

«E non hai mai avuto voglia di chiedercela?»

«C’era qualcuno al quale potevo fare domande senza che voi lo sapeste? Papà, andiamo. Gli unici che sapevano la verità eravate tu, mamma e Larry. Informandomi sui parti gemellari omozigoti mi sono fatto da solo un’idea di quello che è successo. Ho ucciso mio fratello per sopravvivere, vero?»

L’espressione di suo padre si contrasse. «Larry ha usato subito un solo verbo per spiegarci cosa era successo: fagocitare. Praticamente lo hai fagocitato, Juna. L’organismo di tua madre trattava gli embrioni come corpi estranei e… beh, cercava di eliminarli. Quando questo processo ha avuto inizio con te e Jawad, non solo tu hai avuto una resistenza incredibile, ma hai iniziato a usare Jawad come… come una fabbrica di ricambi. E’ stato… i medici lo hanno definito un processo di sopravvivenza. Non sarebbe mai stato possibile se non aveste avuto lo stesso DNA. Il tuo cuore era troppo debole e ti sei attaccato a quello di tuo fratello, inglobandolo. Avevi carenza di ossigeno al cervello e hai inglobato la massa celebrale di Jawad. Però posso dirti questo: senza di te neanche Jawad sarebbe sopravvissuto per più di due mesi. Per assurdo, sei stato proprio tu a tenere in vita anche lui, da subito. E’ stato come se prendendo parti di lui gli trasmettessi la tua forza e la tua determinazione di vivere. Quando siete venuti al mondo eravate attaccati dalla testa al torace, ma Jawad era praticamente…» si fermò.

«… un sacchetto dove erano rimasti solo i pezzi che non mi erano serviti a sopravvivere?» gli andò incontro ringraziando Matthew per la licenza poetica.

Suo padre annuì, deglutendo. «Quando vi hanno separato Jawad è morto all’istante. Per trenta lunghissimi secondi anche il tuo cuore ha smesso di battere. Larry ci ha detto che è stato il tempo durante il quale tu hai deciso se vivere o meno senza tuo fratello. Ho ancora i brividi quando ci penso. Per trenta secondi vi abbiamo persi entrambi. Per i primi mesi di vita, Larry ci ha raccomandato di non lasciarti dormire da solo, di darti un orsacchiotto. Non ho mai permesso che ti facessero foto con quell’orsacchiotto Juna… lo attiravi a te come se cercassi di fonderti con lui. Testa e torace. Tua madre per la disperazione più di una volta te l’ha strappato dalle mani e quando finalmente, a quasi un anno di vita, hai smesso di cercarlo… beh, ricordi di aver mai avuto bambolotti, pupazzi o affini in vita tua?»

Scosse la testa, «No. Se devo essere sincero papà, neanche mi piacciono.»

«Tua madre ha distrutto sistematicamente tutti quelli che ti hanno regalato. Solo verso i due anni, due anni e mezzo ha smesso di sobbalzare tutte le volte che la abbracciavi e appoggiavi la testolina contro la sua.»

«Adesso capisco cosa è quel senso di… vuoto che ho sempre percepito. Neanche Drake è riuscito a colmarlo del tutto.»

«Purtroppo ciò che hai perso con Jawad nessun altro essere vivente potrà restituirtelo.»

Seguì un breve silenzio.

«Che mi dici del fatto di avere due cervelli?» riprese.

«Come ti senti riguardo a questo?» chiese di rimando suo padre.

«Beh, c’è gente pronta a considerarmi una specie di mostro solo perché sono molto intelligente. Francamente non mi interessa papà. Sono quello che sono. Nel bene e nel male. Chi mi vuole mi prende così.»

«Sono felice di sentirti parlare così.»

«Adesso mi sento un po’ in colpa sai? Il mal di testa era diventato una specie di diversivo per me… non sapevo a cosa lo collegavate tu e mamma.»

«E quando lo hai avuto davvero sei stato zitto.»

«Beh, in qualche modo dovevo bilanciare no?»

Suo padre scoppiò a ridere, «Sei tutto quello che puoi essere, figlio mio!»

Seguì suo padre nella risata.

«Che posso dirti?» riprese poi più rilassato «Larry ci avvertì che questa cosa avrebbe potuto farti diventare un ritardato mentale» disse tornando serio, «immagina la reazione di tua madre, se puoi. Giurò che si sarebbe fatta sterilizzare.»

«Cosa?»

Suo padre annuì. «Arrivò a pensare che fosse destino che non dovesse diventare madre perché non ne era capace. Pensai che fosse uscita di cervello, Juna.»

Tornò a guardare fuori dal finestrino. «Parlò con qualcuno?»

«Con la dottoressa Horgan.»

«Ah, è la psicologa ufficiale dei McGregory allora.»

«Qualcosa del genere. Questa fase passò nel preciso istante in cui tu cominciasti a chiamarla mamma. Era chiaro come la luce del Sole che eri sveglio e vivace, attento e curioso come un gatto. Hai cominciato a parlare speditamente prima dei due anni. Forse questa cosa avrebbe dovuto mettermi sull’avviso. Larry ci rimase di sasso quando, mentre tua madre ti cambiava, dicesti mamma è troppo stretto così. Scandendolo. Larry si voltò verso di me e mi chiese sbalordito quando avevi iniziato a parlare. Cominciasti di botto. Neanche ricordo quale è stata la prima frase che hai detto. Ero così felice di sentirti parlare senza problemi che non mi soffermai sul fatto che avevi diciotto mesi di vita.» Sospirò, «Ne parleremo meglio domani con la mamma. Ti faremo vedere anche gli esami e le radiografie.»

Arrivarono a casa.

La situazione era cambiata radicalmente dopo la nottata passata alla villa.

Melissa era andata a giocare a casa di una compagna di classe. Sembrava essersi improvvisamente resa conto che il cugino non poteva pensare esclusivamente a lei perché il mondo era pieno di potenziali pericoli anche per la persona che lei credeva indistruttibile.

Vedergli sparare addosso le aveva cambiato la vita.

Beh, non l’aveva cambiata solo a lei, a dirla tutta.

Era convinto che Jennifer, passata l’ondata emozionale che l’aveva portata a saltargli al collo, non lo avrebbe più guardato in faccia. Invece, già da quando si erano svegliati dopo un sonno di quasi ventiquattro ore, era iniziato un discorso tutto nuovo.

Un discorso che avrebbero ripreso quando lei sarebbe uscita da casa sua, testuali parole della ragazza, dette per di più guardandolo dritto negli occhi.

Il discorso era di per sé abbastanza chiaro, ma aveva imparato a non dare niente per scontato quando si trattava di Jennifer Flalagan.

Il suo aspetto da bambolina nascondeva più decisione e testardaggine di quanto avesse immaginato, il modo stesso in cui aveva affrontato la situazione lo aveva meravigliato… ma gli piaceva anche per quello.

«Juna, tesoro, ti va un po’ di tea?» chiese sua madre dopo averlo abbracciato e affogato di baci.

Lei probabilmente ci avrebbe messo qualche anno a cancellare l’immagine di suo figlio usato come bersaglio mobile.

«Sì mamma, grazie. Salgo in camera a posare la roba e a cambiarmi.»

Arrivato in camera, prese il cellulare e fece partire la chiamata.

Jennifer rispose al secondo squillo. «Ciao, sei già a casa?»

«Sono arrivato adesso. Come stai?»

«Bene. Tu? Com’è il Presidente visto da vicino?»

«Tremendamente noioso.»

Rise, «La stessa cosa che pensa mio padre! Quindi sei tremendamente annoiato?»

«Esatto. Che fai di bello?»

«Shasha e Drake sono passati a trovarmi.»

«Allora ti rendo alla compagnia.»

«Juna…»

«Cosa?»

Pausa. «Ti saluta Micky.»

Sorrise, Michael era con Melissa da questa compagna di classe!

Quindi anche Jennifer stava prendendo tempo per tenerlo al telefono!

Era lecito pensare che volesse riprendere il discorso!

«Risalutalo. Senti, pensavo una cosa…»

Silenzio, poi… «Cosa?»

«Io e te abbiamo un discorso a metà se non ricordo male.»

Altro silenzio, «Sì.»

Decisamente un’affermazione.

«Ok, domani non posso, possiamo vederci domani l’altro? Passo a prenderti quando vuoi.»

«Dove vuoi andare?»

«Ti ricordi lo chalet delle rose?»

Altro silenzio, smise anche di respirare per la frazione di un secondo. Probabilmente non pensava che lui ricordasse come lo aveva battezzato lei.

La verità era che aveva memorizzato tutto di lei, fin da quella vacanza passata insieme… ma aveva capito di amarla solo quando si era trovato davanti la possibilità di perderla.

«Sì, lo ricordo. E’ una vita che non ci vado.»

«Siamo in due. Pensavo di venire a prenderti in mattinata e passare la giornata lì. Che ne dici?»

«Ok. Vieni in macchina?»

Non riuscì a evitare di sorridere, «Veramente se il tempo lo permette pensavo di venire in moto. La moto risparmia silenzi imbarazzanti ed evita il traffico.»

«Hai sempre dei pensieri così carini…»

«Tutto puoi dire di me tranne che non sono pieno di attenzioni» concordò. «Allora siamo d’accordo? Domani l’altro mattina… diciamo alle nove e mezzo a casa tua?»

«Ok, preparo qualcosa da portare via così non dobbiamo stare a fare la spesa arrivati allo chalet.»

«Ok. Penso io al casco per te. Ci vediamo dopo domani.»

«A dopo domani.»

Riattaccò e si cambiò… senza scordarsi del piccolo regalo per Howard.

Tornò in salotto che Howard aveva appena finito di preparare le tazze. «Buonasera signorino, bentornato.»

«Buonasera Howard.» Gli porse il foglietto «Questo è per te.»

Il maggiordomo posò la teiera e prese il biglietto. Lo aprì e rimase a bocca aperta. «Oh signorino! … Ma non doveva preoccuparsi di…! Oh grazie!»

Uscì dalla sala senza inchinarsi!!

Suo nonno lo guardò stralunato, «Cosa gli hai dato?»

«Un autografo del Presidente con dedica personalizzata.»

Tutti scoppiarono a ridere.

Visto che doveva lanciare una bomba, tanto valeva lanciarla subito. «Nonno, mi servono le chiavi dello chalet.»

«Per quando?» chiese subito sua madre.

«Domani l’altro mamma. Domani sono già impegnato con i miei genitori.»

Sua madre sorrise appena, «Posso sapere con chi ci vai?»

«Vuoi darmi veramente ad intendere che non lo sai?»

«Vorrei che tu lo dicessi a chiare note.»

Bella forza.

«Con Jennifer.»

Suo nonno spalancò la bocca sbalordito, poi scattò in piedi, «Te le porto subito!»

«Hai un appuntamento con Jennifer?» chiese sua nonna come a voler essere sicura di aver capito bene.

Stava per chiudersi un cappio al collo…

«Credo si possa definire così.»

Chiuso.

«Ehm, cugino, credo che l’ultima volta ci sono stato io» disse Justin, «mi sembra un secolo fa. Occorrerà fare la spesa.»

«Jennifer ha detto che ci pensa lei. Porteremo qualcosa di già pronto.»

«Cioè non rimanete lì per la notte» tradusse Georgie.

«Ottima deduzione cugina.» Si voltò verso suo zio Paul, «Tu hai qualche domanda, deduzione o aggiunta da fare?»

Suo zio scosse la testa, «No. Sono semplicemente senza parole nipote.»

«Mi impegno a far sì che mia madre non sappia niente fino a tuo ordine» disse Diana.

Non sapeva cosa Justin avesse detto alla fidanzata, ma Diana non aveva fatto un commento.

«E’ la ragazza che era con noi al compleanno di Diana, vero?» chiese Gary alla fidanzata.

Georgie annuì sorridendo deliziata.

«Nel frattempo le è passata un po’ di paura» disse rivolto al fidanzato della cugina vedendolo perplesso.

«Ah ecco» fu il commento di Gary.

Risero.

«Lo diciamo a Melissa?» chiese Justin.

«Appena ci sarà qualcosa da dire, Just.»

Suo cugino lo guardò con un’espressione che tradusse senza problemi con un io lo sapevo, che decise di ignorare.

«Hai voluto chiudere la storia con l’F.B.I. prima, vero?» chiese sua nonna.

Sì, poteva dare per scontato che tutti fossero stati informati della cosa, o sua nonna non avrebbe mai affrontato così il discorso.

«L’F.B.I. è una signora che non tollera concorrenti» ammise. «A parte questo era troppo pericoloso nonna. Non ero sicuro di uscirne vivo.»

Sua madre distolse lo sguardo puntandolo fuori dal finestrone.

«Ne sei fuori adesso, vero?» chiese suo zio.

«Sì zio, io e Drake siamo tornati ad essere semplici civili.»

«Così, finalmente, potrete cominciare a vivere come due ragazzi della vostra età» disse suo nonno rientrando nella stanza.

Gli passò le chiavi e tornò a sedere.

Giocherellò un po’ con le chiavi, poi sorrise, «Già, e non vedo l’ora nonno.»

 

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L’aria nell’appartamento, che poi era un attico di quasi duecento metri quadri a conferma che le mezze misure avevano completamente mancato suo nonno Mansur, era fresca e frizzante.

Tutto avrebbe detto tranne che quelle stanze fossero abitate sì e no per un mese l’anno: i suoi genitori praticamente organizzavano una Luna di Miele all’anno, lontano da tutti.

«Anne e Gwen vengono a pulire e aerare una volta alla settimana» disse suo padre. «Sapendo che oggi saremmo venuti lo hanno fatto ieri.»

Annuì.

«Da quanto non vieni qui?» chiese sua madre.

«Una vita mamma. Non me lo ricordavo così… colorato. Non si direbbe che è abitato un mese l’anno.»

Seguì un breve silenzio che lo fece voltare verso i suoi genitori.

«Quando le cose hanno cominciato a precipitare io e tuo padre lo abbiamo sistemato in tempo record per poterlo abitare da un momento all’altro» ammise sua madre.

«Eravamo a questo punto?»

Sua madre annuì, «Mi ero stancata di vedere te e tuo padre in perenne assetto di guerra. Quando esplodesti prima del fine settimana» lo disse con un tono che gli fece capire che per sua madre era diventato l’inizio di una nuova era «ero pronta a fare le valige. E tuo padre lo sapeva.» Scosse le spalle, «Anche Patrick ha riconosciuto di essersi fatto prendere la mano.»

Quello che conta è che siamo una famiglia, io, te e papà.

Ecco cosa aveva voluto dire.

«Davvero vuoi darmi ad intendere che non hai mai preso in considerazione l’ipotesi di andartene da villa McGregory?» chiese suo padre.

Scosse la spalle, «Non ho mai finto di ignorarli papà, per me era davvero come se non esistessero. Era il loro comportamento verso la mamma che mi faceva andare in bestia, ma erano fuori dalla mia vita.»

«Vi va un bel caffè?» propose sua madre.

«Poi ci mettiamo comodi in poltrona» asserì suo padre. «Nel frattempo, vado a prendere la documentazione medica.»

Si voltò verso suo padre, «La tenete qui?» chiese meravigliato.

Suo padre annuì. «Abbiamo provato a tenerla alla villa, ma non eravamo per niente tranquilli. Portarla qui è stato come metterla in cassaforte.»

Seguì sua madre in cucina.

«Come stai?» gli chiese cominciando a tirare giù le tazze «E che mi risponda mio figlio, intesi?»

«L’agente è andato definitivamente in pensione mamma. Posso risponderti solo io adesso. Sto bene. Mi sento più leggero di una tonnellata. Ancora non riesco a credere che si sia risolto tutto così bene.»

La vide mordersi il labbro inferiore, «Come è successo, me lo spieghi, per favore? Per quanto mi sforzi non riesco ad immaginare come tu possa esserti imbarcato in una cosa del genere.»

Respirò profondamente, «Onestamente mamma? All’inizio era un gioco. Io e Drake riuscivamo senza il minimo sforzo a superare le prove e gli addestramenti. Quando Richard o Matthew ci contattavano era come se iniziasse un nuovo gioco. Ci siamo resi conto di aver preso l’F.B.I. come una specie di cilindro magico… alla fine il cilindro ci è scoppiato fra le mani. Per fortuna senza morti o feriti gravi.»

«Quanti… quanti anni avevi quando hai ucciso la prima volta?»

Ok, se voleva chiudere quella storia, doveva essere sincero. Fino alla fine.

«Quindici e mezzo.»

«Chi?»

«Un killer a pagamento che lavorava per la parte sbagliata.»

Posò il barattolo del caffè sul ripiano e si voltò verso di lui. «Hai tolto la vita a delle persone Juna. Di questo sei cosciente?»

«Manaar…» disse la voce di suo padre alle sue spalle.

«Siediti papà. Mamma, ho ucciso delle persone. Una proprio davanti ai tuoi occhi» le ricordò. «Non sono in cerca di giustificazioni o attenuanti, ti spiegherò semplicemente il mio punto di vista e come ho vissuto questa situazione, ok? Erano persone che se non avessi ucciso io ci avrebbe pensato qualcun altro a farlo; erano persone che, per soldi, non si ponevano il problema di uccidere donne o bambini… e anche peggio. Io non sono così. Non lo sono mai stato. Uccidere non è mai stata la prima soluzione tanto per semplificare la situazione. Quando ho ucciso Carlos Estrada, oltre ad ubbidire ad un ordine ben preciso, ho agito con la consapevolezza di togliere dalla faccia della Terra un essere che non aveva scrupoli. Nei loro piani originali volevano rapire Jennifer, riesci ad immaginare il perché? Li ho sentiti con queste orecchie. Ho ucciso quella gente e lo rifarei. Senza pensarci due volte. Se questo fa di me una persona cattiva, allora sono orgoglioso di esserlo.»

Sua madre abbassò un attimo lo sguardo.

Quando lo rialzò su di lui, aveva un’espressione seria. «Ho detto a tuo padre, e lo ripeto anche a te, che sono disposta a perdonarti qualsiasi cosa. Ti ho visto uccidere una persona, è vero… ma quell’uomo ti ha sparato, dannazione. Voleva ucciderti a sua volta. Non sei cattivo Juna e non lo dico solo perché sono tua madre. So come ti ho cresciuto e so che hai imparato bene ciò che ti ho insegnato. Il primo istinto è stato di cancellare questa cosa dell’F.B.I. e far finta che non sia mai avvenuta… ma non posso fare come lo struzzo, non se ci sei di mezzo tu che sei mio figlio. Voglio capire. Ne ho parlato anche con Jessica, ovviamente, e tu e Drake siete cambiati come il giorno e la notte da quando siamo tornati da quella villa. Era una situazione che vi pesava addosso, avete una coscienza e questa coscienza è sveglia e vigile. Chi uccide meccanicamente non ha coscienza.»

«Juna, cerca di metterti nei nostri panni» intervenne suo padre. «A caldo la nostra unica preoccupazione era la tua sicurezza… che tu ne uscissi vivo. Adesso non possiamo fare a meno di porci domande.»

«E’ naturale papà. Non sto biasimandovi per questo. E’ vero. La situazione ha cominciato ad andarmi davvero stretta.»

«Quando?» chiese sua madre.

Ci mise qualche secondo ad ammetterlo anche con se stesso «Quando ho visto l’espressione di Jennifer al pensiero che potessero esistere persone come me.»

«Definiscimi persone come te» chiese suo padre.

«Killers a sangue freddo. Papà… ero un killer. Inutile girarci intorno. Mi davano ordini e io li eseguivo. Matthew non mi ha mai dato limiti. Mi forniva sempre informazioni di tutti i generi, ma il concetto base era la missione deve riuscire. Era a mia discrezione il come. Ho fatto anche del bene… anche prima del ritrovamento di Michael, ma…»

Sua madre annuì, «La lista degli agenti in incognito. Lewing ce ne ha parlato.»

Ah fantastico… quindi anche Jennifer lo sapeva.

«Fra le altre cose» asserì.

Al silenzio dei suoi riprese, «Ho iniziato ad avere problemi a nascondere quello che provavo. Ci sono state altre situazioni molto… pesanti, credetemi sulla parola perché non c’è bisogno che sappiate i particolari, ma la mamma non mi è mai piombata in ufficio a caccia di spiegazioni. In ultimo mi sono sentito male… e non sono abituato a stare male. Anche Drake se l’è vista veramente brutta. Ha telefonato a Matt per informarlo delle nostre dimissioni il giorno stesso che sono svenuto.»

«Ecco perché non mi hai voluto con te quella notte» disse sua madre. «Temevi ti uscissero di bocca le parole sbagliate.»

«Ah mamma, quello sarebbe stato il minimo. Ancora non riesco a perdonarmi per aver messo le mani addosso a papà. Se avessi fatto del male a te…»

«No Juna, non sentirti in colpa per questo» lo interruppe suo padre, «non eri in te. Coscientemente non ti sogneresti mai di fare una cosa simile. Coscientemente mi hai protetto a costo della tua vita. Mi sono trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato… e comunque meglio io che tua madre, su questo siamo d’accordo. Stavi malissimo ma eri sempre un agente addestrato… ti ha calmato la voce di Drake.»

Sua madre stava annuendo, «Certo. L’unica persona della quale sapevi di poterti fidare in caso di pericolo. Probabilmente non avevi neanche coscienza che ci fossimo noi nella stanza.» La vide scuotere la testa, «Quanto sono stata cieca.»

«No mamma. Non cieca. Ragionevole. E una mamma ragionevole non può neanche immaginare il proprio figlio nei panni di un killer… specie se il figlio in questione ha appena diciannove anni.»

«Questa cosa di sentire le persone e…» cominciò suo padre, «cioè, lo stare sempre in guardia… ti resterà per tutta la vita?»

«Non lo so papà. L’addestramento a cui mi hanno sottoposto non ha solo rafforzato il mio lato fisico, ma anche quello mentale e psicologico. Ci sono lati di questa storia che mi porterò dietro per tutta la vita.»

«L’uso delle armi?»

«Papà, non è una levetta on-off che posso azionare a piacimento. Ciò che ho imparato sull’autodifesa, sull’attacco e sull’uso delle armi non lo scorderò. Semplicemente… non mi servirà più.»

Sua madre si voltò verso il piano cucina e con pochi gesti preparò le tazze. «Su, andiamo in salotto» disse porgendo loro le tazze fumanti.

Suo padre sorrise appena, «Ti daremo delle nuove basi per quando comincerai a studiare per la laurea in medicina.»

 

A Paul cadde il giornale dalle mani mentre lo piegava.

Rimase a fissare per qualche secondo il mucchio di fogli ai suoi piedi, poi si chinò a raccattarli.

«Tesoro, cosa c’è?» chiese Lennie.

«Lennie, sopportami» rispose avvilito suo figlio. «Fino a quando non vedrò rientrare Connor, Manaar e Juna con il sorriso sulle labbra…» si interruppe.

Lennie si avvicinò al marito e gli accarezzò una guancia, «Non scusarti. Il senso di colpa ti sta mangiando vivo da quando abbiamo capito l’enormità di questa cosa. Forse hai ragione: se la famiglia non fosse stata in guerra, Juna non avrebbe avuto una tale ampiezza di manovra e di seguito non sarebbe stato avvicinato dai servizi segreti, ma pensarci adesso non serve a niente.»

«Paul, santo cielo, tua moglie ha ragione» disse sua moglie.

Paul scosse la testa, «Nei panni di Connor non so se avrei avuto un perdono così facile, mamma. L’ho lasciato da solo contro tutti… e alla fine a pagarne le conseguenze è stato mio nipote. Non riesco a non pensarci.»

«Paul, l’unico da biasimare sono io» si decise ad entrare nel discorso.

«No papà. Sono sposato, ho due figli maggiorenni… ho un cervello qui dentro» si toccò una tempia, «e l’ho tenuto in naftalina per quasi trent’anni. Addirittura Ryan ci ha bacchettato mesi fa, ricordi? Non sapeva più come giustificarci agli occhi di sua figlia. Sono cose che non posso accantonare solo perché ho un nipote genio pienamente responsabile delle sue scelte! Mi sono ripromesso di parlare a quattr’occhi con Connor e non lo farò per sentirmi rassicurare. Ho delle colpe, e sono tante.»

Con la coda dell’occhio vide Justin fermo sulla porta.

Guardava il padre sbalordito.

«Papà?»

Paul si voltò verso il figlio. «Dimmi Just.»

«Mi hai detto di voler essere presente a un mio esame.»

«E non ho cambiato idea nel frattempo, mi sai dire una data?»

«Fra venti giorni.»

«Ottimo. Lennie, vieni anche tu?»

«Sicuro.»

Justin alzò scherzosamente gli occhi al soffitto, «Gli esami da passare saranno come minimo due!»

Era incredibile come fossero cambiate le cose da quando erano tornati da quella villetta.

Stentava a riconoscere la propria famiglia.

Se pensava che sarebbe potuta essere così dall’inizio…

Sorrise fra sé… non era mai troppo tardi.

 

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Michael si catapultò alla porta appena sentì il rumore della moto.

Sua madre scosse la testa divertita ma non commentò.

Prese lo zaino e se lo mise in spalla. «Ci vediamo stasera mamma.»

Uscì e il suo fratellino era seduto sul serbatoio della moto, intento a parlare con Juna, che si era tolto il casco.

Ne aveva un secondo al braccio.

«Buongiorno Flalagan» la salutò.

«Buongiorno.»

«Jennie, Juna ha detto che mi farà fare un giro quando sarò più grande!» la informò Michael felice.

Juna le tese il casco che si era sfilato dal braccio. «Vediamo se ho davvero occhio: provalo.»

Lo prese e se lo mise. «E’ strettissimo» mugolò riuscendo appena a muovere la bocca per quanto il casco le stringeva la faccia.

Juna le fece segno di avvicinarsi muovendo due dita.

Quando gli fu vicino il ragazzo cercò di toglierle il casco tirandolo verso l’alto tenendolo all’altezza della nuca.

Non ci riuscì, ovviamente.

«Va benissimo così» la informò. «Un casco non deve essere comodo, se è largo un possibile impatto potrebbe fartelo volare via, e sarebbe inutile metterlo.»

Fu lui ad agganciarlo sotto la sua gola e le fece segno di salire dietro di lui. Nel frattempo prese Michael e lo riposò a terra.

«Quando la riporti a casa?» chiese suo fratello… spiazzandola completamente.

Juna esplose in una fragorosa risata, «Ah, ecco perché Jeremy e Sarah non ci sono: sei tu che ti occupi della sicurezza di Jennie!!»

Il suo fratellino sorrise, «Lo so che con te è al sicuro…»

«Te la riporto per cena» sembrò promettere Juna. Si voltò appena verso di lei, «Appoggia i piedi sopra quelle alette, sono lì per questo.»

«Ah, grazie.»

«E andate piano» disse Michael.

«Mh. Altro?» s’informò Juna divertito.

«Mia sorella non è mai andata in moto.»

«Questo lo aveva già intuito» disse Juna. «Ma non preoccuparti: ci penso io ad ovviare a questo problema.»

Suo fratello annuì «Ok, allora io vado! A stasera!»

Partì spedito verso la porta e se la chiuse alle spalle.

Juna si rimise il casco… lo sentiva ridacchiare.

Non le diceva niente riguardo la postura, dove doveva tenersi per mantenersi in equilibrio e cose simili?

Gli diede una leggera pacca sulla spalla e Juna si voltò appena, sollevando la visiera.

«Cosa?»

«Dove devo tenermi per…?»

«E’ evidente Jennie: a me.»

«Davvero?» chiese dopo un attimo di vuoto totale.

«In realtà ci sono altre due opzioni: tenere le mani sopra il serbatoio o tenere le due maniglie che sono alle tue spalle. Il problema, tesoro, è che tu non sai andare in moto. Se ti reggi a me sentirai meglio i movimenti e capirai come assecondarli. Fra qualche mese potrai azzardarti a comportarti come una consumata centaura.»

Non riuscì ad evitare di sorridere, anche se cercò di impedirselo con tutte le sue forze. «Ragionevole» concesse.

«Oh grazie. Si parte?»

Annuì.

Il viaggio fu tranquillo, anche perché Juna mantenne una velocità stabile e per niente sostenuta.

Finì con il divertirsi.

Era bello quando la moto si piegava per eseguire una curva… capì anche cosa aveva voluto dire Juna: essendo abbracciata a lui sentiva un attimo prima che direzione seguire per assecondare l’assetto della moto.

Quando si fermarono davanti allo chalet si meravigliò che fossero già arrivati.

E un po’ le dispiacque anche.

Appena mise piede in terra sentì un leggero indolenzimento… come se le gambe si fossero addormentate. Si fermò perplessa.

«Le prime volte capita: non sei abituata» disse Juna seguendola e togliendosi il casco.

Se lo tolse… ed ebbe l’impressione di liberarsi di una morsa.

Aprì la bocca e la richiuse per un paio di volte e mosse la mascella in tutte le direzioni possibili.

Le arrivò la risatina di Juna.

«E’ veramente stretto» si giustificò.

«Andremo a comprarne uno per te… ma dovrai avere ben chiaro il concetto iniziale» l’avvisò.

«Non deve essere comodo?»

«Esatto.»

Lo seguì verso la porta e si guardò intorno.

«E’ esattamente come me lo ricordavo» disse.

Il roseto che lo circondava era al massimo dello splendore.

Il profumo era quasi stordente.

«Sono dieci anni che non ci metto piede» ammise Juna aprendo la porta.

Entrarono e… beh, sembrava tutto fuorché disabitato per la maggior parte dell’anno.

«Avverti i tuoi che siamo arrivati» disse Juna togliendosi il giubbotto.

Annuì e compose l’sms.

Anche Juna ne compose uno… e come arrivò la risposta scoppiò a ridere.

«Cosa c’è?» chiese curiosa.

Juna girò il display verso di lei.

Vale la stessa regola dell’attico: Anne e Gwen hanno fatto un bel lavoro?

«Che significa?» chiese perplessa.

«Che Anne e Gwen, ieri, sono state qui a mettere a posto ed aerare» rispose Juna divertito. «Mi ostino a sottovalutare mio nonno e mia nonna.»

Rispose anche suo padre. Buona giornata bambina mia, saluta Juna.

«Ti saluta mio padre.»

Juna le sorrise, ma non commentò.

«Hai sete?» chiese invece.

«Sì. Ho portato anche…»

«Se conosco Anne come penso di conoscerla…» cominciò sparendo dentro una stanza.

Lo seguì di riflesso. «Juna?»

Si trovò in cucina e Juna stava curiosando dentro il frigorifero. «Acqua, aranciata o coca cola?» chiese soddisfatto.

«Hanno fatto la spesa?» chiese incredula.

«Lo stretto indispensabile per farci trovare qualcosa di fresco all’arrivo» rispose Juna. «Allora, che preferisci?»

«Aranciata, grazie.»

Lo vide muoversi sicuro e a proprio agio.

Era sempre così sicuro di sé.

«Potresti toglierti lo zaino dalle spalle e il giubbotto» le disse.

Gli annuì ed eseguì tornando nell’ingresso.

Quando si voltò se lo trovò davanti con il bicchiere pronto.

Lo accettò. «Grazie.»

«Veramente sono io che devo ringraziare te.»

Bevve per prendere tempo.

«Quel bicchiere non durerà in eterno» le fece notare.

Lo staccò dalle labbra ormai vuoto e sospirò, «Lo so.»

Juna le lo tolse dalle mani con dolcezza e lo appoggiò vicino al suo sul tavolino lì vicino.

«Cominciamo da un punto fermo?» propose.

«Quale?»

La domanda più stupida da quando aveva cominciato a parlare.

Juna neanche le rispose a parole: le cinse la vita e la baciò.

Si trovò avvinghiata a lui senza neanche averlo deciso.

Era tutta la vita che aspettava quel momento.

 

Jennifer si rilassò all’istante.

Abbracciandolo.

Come inizio era promettente.

Quando si separò da lei, si trovò a guardare in due oceani acquamarina.

«Hai un’idea della paura che mi hai fatto prendere?» mormorò guardandolo.

Distolse un attimo lo sguardo. «No…» ammise «so solo che è stata talmente devastante che dopo mi sei saltata al collo.»

La vide sorridere, «Riesci a sdrammatizzare qualsiasi cosa… è un tuo lato che apprezzo. Il fatto stesso che tu abbia distolto lo sguardo mi dice che ti rendi conto di quello che mi hai fatto passare.»

«Sei proprio sicura di voler fare arte?»

«Perché?»

«Niente, va benissimo così.»

Non le avrebbe certo detto che era già ben avviata come psicologa.

Jennifer appoggiò la fronte contro il suo torace, «A volte credo di averti capito, altre mi sembra di vederti per la prima volta.»

L’abbracciò.

«Un esempio della prima parte?» chiese posando le labbra sulla sommità della sua testa.

«Posso darti un solo esempio per tutta la frase: al gazebo. Quando mi facesti quel discorsino su quanto era difficile fingere. Ricordo che pensai mi sta dicendo che lui è abituato a mentire e fingere? Non riuscivo a credere alle mie stesse orecchie. Con il senno di poi… maledizione, praticamente mi hai detto tutto quel giorno.»

«Già» ammise ricordando l’episodio. «E’ cominciato tutto quando ci siamo rivisti a casa tua. Fino ad allora lavorare per l’F.B.I. era una specie di gioco.»

«Devo chiederti scusa» mormorò Jennifer. «Ho scambiato per freddezza…»

Scosse la testa, «In quel momento ero freddo Jennie» ammise. «Dovevo esserlo.»

«Hai protetto mio padre facendogli da scudo. Ti sei esposto per farti riconoscere da Michael. Hai rischiato grosso Juna. Mio fratello ha solo quattro anni… avrebbe potuto mandare all’aria tutto. Quando ripenso a questi ultimi mesi mi… mi sembra incredibile. Era tutto sotto il mio naso e io non ho visto niente. Ho capito tante cose due settimane fa… la più importante è che sei un ragazzo profondamente buono. E’ vero: hai ucciso delle persone… ma erano persone cattive. Quando hai avuto la possibilità, e anche motivazioni, per uccidere il generale o Aaron non lo hai fatto e hai messo in secondo piano la tua vita più di una volta per proteggere altre persone. Ascoltavo Lewing parlare e non riuscivo a crederci… dai una nuova dimensione al concetto di luci ed ombre Juna… ma mi sono innamorata di te a undici anni e ho avuto il coraggio di ammetterlo solo due settimane fa… non sono disposta a perderti.»

Sorrise. «Beh, io l’ho ammesso solo con me stesso praticamente ieri.»

Jennifer alzò lo sguardo fino al suo. «Cosa?» chiese in soffio.

«Che ti amo.»

Wow, non avrebbe mai creduto che sarebbe stato così facile se qualcuno glielo avesse detto!!!

Gli occhi di Jennifer si riempirono di lacrime. «Davvero?» chiese.

«Davvero. Dovrei essere io a chiederti se davvero sei innamorata di me, ragazza mia.»

«La risposta sarebbe sì.»

La baciò di nuovo.

«Che ne dici di fare una passeggiata? Continuiamo a parlare fuori» le propose.

Jennifer annuì con un sorriso.

Uscirono abbracciati.

La giornata era splendida e faceva caldo, anche se tirava un piacevole venticello.

«Sei cambiato molto» riprese Jennifer. «La tua espressione è cambiata.»

«Se fossi meno realista ti chiederei cosa intendi… ma so perfettamente a cosa ti riferisci. Ero convinto che nella mia vita tutto fosse al posto giusto. Avevo indossato una maschera che era diventata l’unica faccia che riconoscevo come mia. Poi improvvisamente tutto ha cominciato a crollare… a starmi stretto. L’F.B.I., il lavoro, la situazione familiare… è cominciato pochi giorni prima di rivederti a casa tua: sono sbottato così malamente con mio zio Paul e il nonno che i miei si sono visti di fare le valigie e lasciare Villa McGregory. Poi la certezza di essere stati traditi… il sapere Drake in pericolo è stata una mazzata… non riuscivo ad accettare di non poter far niente. Di seguito la missione, il ritrovamento di Michy… tu che hai incrinato seriamente la mia convinzione che stavo facendo la cosa giusta…»

Jennifer serrò la stretta intorno alla sua vita, «La stavi facendo, Juna. I fatti parlano chiaro. Ero io che vedevo il mondo in bianco e nero. Ho tirato tante conclusioni affrettate.»

Le rese il gesto stringendole le spalle per attirarla a sé. «Non sono mai stato così male in vita mia. Ho lasciato andare tutto alla deriva e alla fine è stato il mio organismo a richiamarmi all’ordine. Proprio quando almeno un lato della situazione stava andando a posto: il rapporto con i miei familiari.»

Jennifer annuì, «Adesso riesco a vedere il tuo comportamento nella giusta ottica. Eri tu il primo a non capire cosa stava succedendo. Sì, era chiaro che il crollo fosse dovuto alla mancanza degli esercizi… ma il contesto in generale ti confondeva. Perché proprio in quel momento? Avevi già troppo a cui star dietro. Dio, se ripenso all’espressione terrorizzata di mio fratello quando seppe che stavi male. Come ha fatto di tutto per far arrivare Drake il prima possibile.»

Si trovò ad annuire. «Sapendo tutto la situazione è chiara. Adesso. E’ come se il mio cervello avesse messo in standby il mio cuore. Quando il cuore ha ricominciato a funzionare di botto ha mandato in tilt il cervello.»

Sentì la risatina di Jennifer e si voltò a guardarla.

«Meglio tardi che mai» fu il suo commento. «Riuscirai ad orchestrarli Juna, è questione di pratica.»

«Sto cominciando a pensare che per essere felici non è mai troppo tardi, Flalagan.»

Jennifer inchiodò abbracciandolo e nascondendo il viso contro il suo torace.

«Avrò per sempre davanti agli occhi la scena di quell’uomo che ti spara Juna» mormorò. «Non riuscirò mai a spiegarti a parole cosa ho provato. Paura è solo una parola. Avrei preferito che sparasse a me.»

Le rese l’abbraccio accarezzandole dolcemente la schiena, «Non dirlo neanche per scherzo. Ho smesso di respirare quando Gerard ha ventilato l’ipotesi di sparare ai miei o a te. Se c’è stato un momento in cui ho rischiato di perdere il controllo è stato quello. Non ti troverai mai più in una situazione del genere Jennie, te lo prometto.»

La sentì annuire.

Sorrise, «Vuoi diventare la mia ragazza?»

La sentì fremere.

Serrò la stretta e… «Sì» rispose. «Sei ufficialmente mio, McGregory.»

Stavolta scoppiò a ridere. «Molto bene Jennifer Flalagan. Ti sei appena tuffata in un mare di guai!»

La ragazza lo seguì nella risata e dopo essersi scambiati un bacio, ripresero a passeggiare.

 

La mattinata passò in un lampo.

Mangiarono allegramente parlando del più e del meno… più che altro del terzo grado che li attendeva a casa.

Juna era un’altra persona. A vederlo in quel momento stentava a collegarlo al ragazzo che aveva rivisto nel salotto di casa sua.

«Jen… volevo chiederti una cosa» cominciò improvvisamente mentre lei stava rimettendo a posto i piatti.

«Cosa?»

«Che ne pensi del fatto che ho due cervelli?»

Si voltò verso di lui. «Che è un miracolo che tu sia vivo. E che sono grata a chiunque abbia il merito di aver permesso che tu sopravvivessi. Il Professor McIntyre, la sua equipe… sono grata anche a Jawad perché si è sacrificato per permetterti di vivere. Ci ho pensato molto e sono giunta ad una conclusione: eravate due embrioni Juna, tu non hai ucciso tuo fratello, nel senso in cui tutti lo hanno tradotto e inteso. Se fosse successo il contrario Jawad avrebbe ucciso te. E’ sopravvissuto il più forte ed eri tu il più forte.»

«E’ una teoria interessante.»

«Non è una teoria: ne ho parlato con Connie e anche lei mi ha detto che il verbo uccidere è semplificativo in questo caso. In primo luogo se non aveste avuto lo stesso DNA sareste morti entrambi, in secondo luogo…» si bloccò notando come Juna la stava guadando. «Perché mi guardi così?»

«Sto guardando la mia ragazza» fu la risposta. Sorrise appena, «Non hai più paura di me. E’ confortante.»

«Juna… non ho mai avuto paura di te. Ora mi è chiaro. Avevo paura di cosa provavo per te

Lo vide alzarsi con un sorriso, «Ti sei appena meritata un caffè» la informò.

Le passò accanto e le stampò un bacio in bocca.

«Hai il tempo di inviare un sms a Shasha per informarla.»

Effettivamente la sua migliore amica avrebbe potuto ucciderla.

«Tu non avverti Drake?» gli chiese.

«Ci penserà Sharon» predisse Juna rassegnato. «Drake avvertirà sua madre e Jessy avvertirà mia madre… e così lo sapranno tutti

«Questo è il piano?» chiese cominciando a digitare l’sms.

«Questo è ciò che succederà» la corresse.

«Non riesco ad immaginare cosa dirà mio padre.»

Inviò l’sms.

«Tuo padre è più il tipo di meglio tardi che mai. Un po’ come il mio.»

«Ah, e tua madre?»

«Era ora!!»

Scoppiò a ridere quasi cappottando giù dalla sedia e Juna la seguì.

Era felice.

Da quel momento cominciava una nuova vita.

Per tutti.

Il suono del cellulare di Juna attirò la loro attenzione.

Juna aprì lo sportellino e lesse l’sms. La guardò divertito, «Che ti avevo detto?» chiese girando il display verso di lei.

Era di Drake.

Mando l’sms anche a Juna, mamma… tanto per fargli sapere che le cose stanno andando esattamente come ha previsto: lui e Jennie si sono messi insieme. Non è mai troppo tardi nella vita. Brindate. Noi lo stiamo facendo.

Rise.

Le basi però erano sempre le stesse!!!!

 

 

 

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NOTE:

 

Credo di aver frantumato ogni precedente record per quanto riguarda il ritardo di pubblicazione… e se pensate che è la prima che aggiorno dallo scorso mese… sono ben lungi dalla mia peggiore prestazione!!!

Posso fare di peggio ladies & gentlemen… e lo farò!!!! *si lucida orgogliosa le unghie contro il maglione*

Sono stata a Francoforte a vedere un concerto… sì, avete letto bene: più di 1.000 km all’andata e più di 1.000 al ritorno per un concerto!

Ogni tanto una follia ci vuole nella vita!

La cosa ha richiesto settimane di preparativi e una settimana di coma dopo il ritorno…

 

Sapete qual è il problema? Adoro scrivere di notte… sono capace di tirare fino alle 5 la mattina a scrivere e visto che lavoro, è difficile che abbia la possibilità di farlo. *piange*

 

Arrivando alla ff… notato che non ho messo completa? Sì, vero? Ho in mente una specie di epilogo. Un’occhiata al futuro.

Essenzialmente per farmi perdonare da giunigiu che questa volta ho veramente fatto soffrire! Mi ha scritto in crisi di astinenza una settimana fa! Scusa piccolina!

 

Zarah: adoro i dischi incantati! XD Grazie!

 

giunigiu95: mi sono già fatta perdonare vero? Non ti prometto il matrimonio perché non ho idea di come si svolgerà l’epilogo, ma… vedremo…

Hai veramente cercato di memorizzare tutti i parenti?? Io sono andata avanti con uno schema vicino… ;D

 

eilinn: non ho bypassato niente, visto? XD Neanche io mi aspettavo che finisse tutto così… va sempre a finire come meno me lo aspetto anche io che la scrivo, pensa te. Come scrittrice ho un controllo che rasenta lo zero sui personaggi.

 

Volevo ringraziare chi mi ha aggiunto ai preferiti e, per l’ennesima volta, chi legge senza commentare, perché gli accessi sono ben superiori alle persone che usualmente commentano… non ho capito: aspettate la fine per esprimervi?

Magari a suon di mazzate? … o.O

   
 
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