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Autore: Mannu    08/02/2009    0 recensioni
Gambrath e Lerea finalmente godono un meritato riposo. Ma i loro animi restano inquieti: cessata la spossatezza del viaggio, dimenticate le ristrettezze della vita all'aperto, cosa li manterrà uniti?
Estratto da una storia più ampia per partecipare al concorso "Rosa shocking".
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Danza per me
Come ogni giorno Gambrath si destò alle prime luci dell'alba, quando questa gli carezzò il viso attraverso la pesante finestra di legno massiccio, ottone e vetri colorati. Istintivamente si grattò la barba: non ve n'era alcuna necessità poiché il giorno precedente una fanciulla l'aveva regolata con cura usando con dita abili ed esperte rasoio e forbici affilati a dovere. Ogni sgradevole prurito era sparito. La stessa sorte era toccata ai suoi capelli, che erano stati lavati, profumati e accorciati a dovere. Lerea, la fronte corrugata dalla gelosia, aveva ammesso che era molto migliorato. Era da così tanto tempo che non incontrava un barbiere così abile e preciso che il mercante aveva potuto mettere con gioia la mano alla borsa. Ma con sua grande sorpresa la giovane rossa in viso aveva rifiutato il denaro e se n'era andata via di corsa senza una parola di spiegazione. Aveva così intuito che il loro ospite, Leandro Magen, l'aveva già pagata. Gettò ai piedi del morbido letto le calde coperte e le lenzuola, affrettandosi subito dopo a coprire il corpo di Lerea. Non si era nemmeno mossa: il suo ultimo capriccio, prendere lezioni di danza dalle ballerine dello spettacolo allestito da Magen, evidentemente la stava stancando e non volle disturbarla. Poi il letto era così grande che potevano dormirci comodamente entrambi senza stare per forza addossati l'uno all'altra.
La servitù aveva già preparato il necessario per il bagno e Gambrath ne approfittò: lavarsi il viso e il torace con l'acqua calda, insaponarsi e poi asciugarsi con morbidi panni candidi e profumati era una gioia che aveva provato raramente. Non faceva affatto freddo nella stanza che era stata messa a loro disposizione dal mercante più ricco di Leradan all'interno della sua grande casa così simile a un castello. Fu tentato di aprire la finestra per dare uno sguardo fuori: il chiarore dell'alba era destinato a durare molto poco. Pesanti nuvole viola e blu incombevano come un tetto troppo basso: nuvole gravide di pioggia. Un soffio dell'aria umida e fredda che le sospingeva entrò dalla finestra e lo fece rabbrividire ma lui non si ritirò, memore di tutte le notti passate all'addiaccio riparato solo dai teli della tenda e da pesanti coperte da viaggio. Due mani tiepide scivolarono lungo i suoi fianchi. Morbide braccia avvolte in un fresco tessuto azzurro solleticarono la sua pelle sospingendo in alto quelle mani dalle dita pallide che affondarono nei peli crespi del suo petto. La pelle della schiena accolse il morbido, caldo tocco del corpo di Lerea attraverso il tessuto della camicia da notte e sulla spalla sinistra sentì posarsi il viso di lei.
- Senti che freddo, chiudi.
Gambrath sentì le labbra caldissime di lei posarsi sulla sua pelle sensibile. Chiuse la finestra e Lerea lo strinse di più a sé.
- Temo che stasera avremo problemi: sta per piovere.
- E quindi? - Lerea non accennava a sciogliere il suo abbraccio e la sua voce era un sospiro, morbida e calda come le coperte che lui aveva appena abbandonato.
- Non verrà nessuno. Non potremo ripagare il debito con Magen.
- Pensi sempre al denaro... - ora lei gli stava stuzzicando il torace nudo. Lui cercò di fermare quelle due furbe mani dispettose sotto le proprie, ma lei non lo permise.
- Io credo che dovremmo... - iniziò Gambrath sorridente, ma non ebbe modo di terminare la frase.
Lerea si separò repentinamente da lui e afferratolo per le spalle con insospettabile energia lo costrinse a voltarsi verso di lei. A Gambrath mancò il fiato per un lungo istante. Lerea gli parve bella più che mai: aveva completamente sciolto i lunghissimi capelli proprio come piaceva a lui e li lasciava liberi di ondeggiare sulle spalle e intorno al corpo. Avevano già cominciato a schiarirsi. Lei stessa gli aveva detto che da sempre i suoi capelli d'inverno erano di un bel color castano ma d'estate potevano diventare tanto chiari da sembrare rossicci, come certe varietà del mogano. A Gambrath piacevano molto tutto l'anno ma li preferiva d'estate poiché a suo giudizio la carnagione pallida di Lerea ne risultava maggiormente esaltata.
Ora la giovane lo guardava con occhi grandi e brillanti, un'espressione sbarazzina ma intelligente e le labbra rosee piegate nell'accenno di un malizioso sorriso. Sembrava più giovane di quel che era davvero. Era consapevole d'aver mozzato il fiato dell'uomo e se ne compiaceva.
- Io credo che dovremmo per una buona volta pensare a noi stessi, a trarre il maggior beneficio possibile da questo incontro.
- Hai ragione. Appena possibile parlerò con Magen e gli chiederò una percentuale maggiore per i...
Una mano di Lerea si posò morbida ma decisa sulle labbra di Gambrath, impedendogli di parlare.
- Stupido... - sussurrò. Con la mano libera tirò i lacci che le tenevano la lunga veste chiusa sul petto. L'unico, debole nodo si sciolse subito e la scollatura dell'azzurra veste da notte si aprì. Leggerissima, rimase aggrappata per le spalle al corpo di Lerea. Lei con noncuranza la tirò e quella scivolò scoprendo il candore di una morbida spalla.
Gambrath reagì afferrando saldamente il polso di lei e liberandosi la bocca. Tenendola per un polso e afferratala per la spalla nuda la avvicinò a sé dolcemente ma con fermezza e la baciò sulle labbra, a lungo. Quando si separarono per riprendere fiato la lasciò andare e la veste da notte scivolò ai piedi della giovane con sericea leggerezza. Gambrath la abbracciò stringendola forte a sé, baciandola sul collo candido e profumato. Senza preavviso la sollevò da terra: era il suo turno di restare senza fiato. La sentì esclamare per la sorpresa, le braccia di lei gli si avvinghiarono intorno al collo e alle spalle, il suo morbido, pesante seno gli trasmetteva i furiosi battiti del cuore, sentiva il torace di lei dilatarsi contro il suo in cerca di aria. In pochi passi Gambrath raggiunse il letto e ve la adagiò. Immediatamente le carnose gambe di lei si allacciarono intorno ai suoi fianchi impedendogli di alzarsi. Allora lui si abbandonò su di lei, stringendola ancor di più a sé e coprendola di baci.


Come era stato facile prevedere, quel giorno aveva rovesciato su Leradan pioggia in grande quantità. Dalle prime, timide gocce cadute a metà mattina al violento rovescio abbattutosi all'ora del pranzo e fino al costante assedio umido durato fino al tramonto, non v'era stata sosta. Fortunatamente la maggioranza delle strade di Leradan erano lastricate e i suoi architetti avevano previsto un sistema per far scolare via l'acqua piovana. La leggera pendenza del terreno aveva agevolato il loro lavoro. Le ville dei più ricchi avevano addirittura dei sistemi di tubi che impedivano lo scrosciare della pioggia dal tetto giù in strada. In questo modo e grazie anche alla presenza di molti portici, il mercato poteva avere luogo ugualmente, anche se con minor agio, e il commercio non era paralizzato. Gambrath aveva poi visto con piacere come il coraggio dei mercanti veniva ugualmente premiato. Non avendo a disposizione uno spazio al riparo di un portico sostenuto da snelle colonne di mattoni decorate con indicazioni del commercio che vi si svolgeva nei pressi, riparati come meglio potevano esponevano ugualmente la loro merce. Molte donne e uomini con mantelli e cappucci sfidavano il maltempo e ottenevano prezzi vantaggiosi rivolgendosi ai poveri mercanti intirizziti e comprando la loro merce. Gambrath sarebbe stato lì con loro, in piedi sul suo carro a due ruote aggiogato al suo bue grigio Oslob, fradicio dalla testa ai piedi. Invece aveva osservato la piazza del mercato, il cielo che si apriva in cascate d'acqua o che sgocciolava imperterrito a lungo stando comodo e asciutto sulla veranda panoramica della favolosa casa del suo ospite, Leandro Magen. Non che avesse tenuto le mani in mano tutto il tempo, anzi. Dalla collaborazione con Magen Gambrath stava ricavando molte monete in modo relativamente facile. Kem: ecco il nome che la buona fortuna aveva scelto per abbracciarlo, finalmente. Stentava ancora a crederlo ma era proprio così: dalle sassate alla fama. In soli sette giorni era diventato ricco, o quasi: Magen gli dava una percentuale sulle monete che chiedeva ai suoi concittadini per permettere loro di sentir cantare Kem e veder danzare qualche ballerina mezza nuda. La combinazione si era rivelata vincente: da un lato le danzatrici di Magen erano uno spettacolo sempre gradito ma ormai ben noto agli abitanti di Leradan. Secondo quanto lo stesso Magen gli aveva detto, col tempo questi s'erano assuefatti al punto che le se danzatrici si fossero esibite coperte dalle sole collane colorate se ne sarebbero accorti appena. Dall'altro la presenza di Kem era la vera attrazione. Sebbene Gambrath sentisse il sangue bollirgli nelle vene quando udiva la gente chiamarla ancora “il demone che canta”, il peso della borsa che ogni sera Magen gli metteva in mano soffocava ogni impulso di rabbia. Durante lo spettacolo nella piazza principale del paese, quella davanti alla villa di Magen, veniva venduto molto vino e birra per bagnare le gole arse dal cibo speziato appositamente per indurre la sete e venduto a metà prezzo.
Gambrath si alzò dalla comoda poltrona di legno e tela dove aveva riposato a lungo quel pomeriggio, conversando con Magen e parlando di affari confortato dal calore di un vicino braciere. La mattina trascorsa con Lerea era stata davvero molto impegnativa e si sentiva ancora stanco. Andò ad appoggiarsi al parapetto di legno lavorato e lasciò vagare lo sguardo sulle figure incappucciate che si attardavano intorno ai pochi venditori rimasti nella piazza. Cadeva una pioggerella debole ma insistente e faceva un po' freddo. La luce era stata livida e poca per tutto il giorno; in quel momento le tenebre si stavano impadronendo della città prima che il cielo avesse perduto del tutto la sua grigia luce. Leradan di notte era gradevolmente illuminata ma solo al centro: la veranda di Magen era alta abbastanza da permettere al mercante di vedere le file di torce sfrigolanti che venivano accese al tramonto interrompersi molto prima di raggiungere i quartieri più poveri. Laggiù regnava il buio, punteggiato qua e là dalla luce malata delle lampade a olio che venivano accese e spente secondo la necessità all'interno delle abitazioni più misere. Non tutti potevano permettersi il combustibile.
Magen si era assentato subito dopo la cena, adducendo questioni che richiedevano la sua presenza di persona. Gambrath si chiese quanto stesse guadagnando in realtà il furbo mercante di Leradan: tutti i suoi averi non si erano certo accumulati da soli e, ripensando al lungo mercanteggiare per stabilire come ripartire i guadagni ottenuti grazie alle capacità di Kem, si chiese se davvero avesse ceduto con tanta difficoltà quel denaro. S'era lamentato continuamente delle spese, ma Gambrath aveva constatato di persona che birra e vino erano allungati con molta acqua e che il cibo era fortemente speziato non solo per indurre la sete e aumentare le vendite di bevande. Non era riuscito a scoprire quanto pagasse musici e danzatrici. Se dava loro del denaro, beninteso.
Osservò dall'alto la piazza lucida di pioggia animarsi nonostante tutti i venditori l'avessero ormai abbandonata. Le pietre umide che lastricavano la piazza riflettevano la luce delle torce e delle finestre degli edifici che vi si affacciavano. Troppa luce, pensò Gambrath. Si accorse poi che i servi di Magen brulicavano tutto intorno come ogni sera, ma invece di allestire il palco per lo spettacolo accendevano ancora torce. Li osservò e in breve fu chiaro cosa stavano facendo: due file di torce, sfrigolanti per la leggera pioggia che insisteva a cadere dal soffitto di nubi ormai invisibili nel buio, tracciavano un sentiero luminoso fino all'ingresso della villa di Magen.
Drizzò la schiena ancora dolorante lasciando le mani appoggiate al legno leggermente umido. Il vento era giunto a portare la pioggia fin dentro la veranda quel pomeriggio, ma la solerte servitù aveva predisposto dei teli che avevano tenuto gli ospiti all'asciutto e dei bracieri per combattere l'aria fredda e umida. Cessata l'emergenza i teli bagnati e odorosi erano stati subito portati via ma i bracieri erano rimasti, con soddisfazione del mercante che si stava rapidamente abituando agli agi offerti dal padrone di casa. Da quando era calato il sole però la servitù era sparita. Gambrath abbandonò la veranda e attraversò stanze e corridoi fino a discendere nel cortile interno della villa, grande poco meno della piazza antistante la villa stessa.
Ecco perché i servi erano scomparsi tutti. Gambrath contemplò il gran lavoro da essi compiuto meravigliandosi di non essersi accorto di nulla. Due alti pali erano stati issati a buona distanza uno dall'altro e trattenuti da grosse funi legate ad anelli infissi nelle pareti, nelle terrazze interne dell'edificio, alle finestre. Allo stesso modo erano fissati gli enormi teli cuciti in modo speciale che erano sostenuti dai due pali. I teli erano doppi: quello superiore poteva inzupparsi di pioggia che veniva fatta cadere ai margini grazie a delle corde apposite che toccavano terra. L'acqua scorreva lungo quella via preferenziale e difficilmente avrebbe infradiciato qualcuno mentre cercava riparo sotto la grande tenda. Il telo inferiore, un poco più piccolo, variopinto e vivace ma non per questo meno resistente o cucito approssimativamente, era illuminato da lampade a olio e da candele la cui fiamma era astutamente prigioniera di tubi di vetro. Un ingegnoso sistema fatto di corde e anelli che scendeva lungo i pali, ricavati da tronchi d'alberi lunghi e dritti, permetteva di sospendere lampade e candelabri sopra la testa della gente che si accomodava a terra, su piccoli sgabelli portati da casa, su cuscini colorati. Non c'era molta gente ma Gambrath vide che tutti si erano accomodati nei pressi del palco e che molti stavano già mangiando e bevendo. Attese Magen per complimentarsi con lui e poté constatare che alla spicciolata la gente giungeva e tolti i mantelli umidi svelava il vestito degno della serata di festa. Forse non avrebbero accolto tutta la gente che ogni sera per sette sere aveva affollato la piazza, ma certo il guadagno ci sarebbe stato, eccome.
Il padrone di casa tardava a farsi vedere e Gambrath cercò un posto da dove potesse seguire lo spettacolo. Kem era impareggiabile e i musici erano davvero bravi per quanto ne poteva capire il suo orecchio. Ma erano le danzatrici a incontrare i suoi gusti. Doveva solo stare attento a non manifestare in alcun modo il suo gradimento: la gelosia di Lerea era cresciuta molto e poteva essere paragonata alla furia di un guerriero.
Lo spazio protetto dalle due tende affiancate era ormai quasi esaurito quando finalmente vide del movimento dietro il palco. Dei paravento erano stati posti per creare le quinte dietro le quali le danzatrici preparavano la loro entrata in scena. Gambrath sperò che quella sera fosse il turno di una graziosa, leggiadra fanciulla dai capelli neri e dalla pelle pallida come la luna, capace di muoversi come priva di peso e di contorcersi come un serpente. Aguzzò la vista, ma gli parve di distinguere le vesti di Magen. Sospirando per la delusione si alzò da terra e scavalcando con molte scuse le persone sedute intorno a lui si diresse deciso dietro il palco. Il muscoloso servitore, messo lì per proteggere le danzatrici da eventuali entusiasti dello spettacolo eccessivamente ebbri per comportarsi bene, si scostò con un inchino. Lo aveva riconosciuto e Gambrath lo superò certo che nessuno del pubblico avrebbe osato tentare di seguirlo dietro le quinte. Magen sembrava agitato, preoccupato.
- Amico mio! - esclamò quando lo vide. Gambrath non ricordava d'aver stretto patti d'amicizia con quell'uomo ma egli se ne vantava da quando avevano entrambi portato la pelle sana e salva all'interno delle mura di Leradan.
- Che accade, nobile Magen? Sembri preoccupato...
- La cattiva sorte, mio caro! Era destino... quante monete sprecate!
- Non credo: il cortile della tua casa è gremito. Hai il tuo guadagno nonostante la pioggia – gli fece notare Gambrath.
- Tu non sai! La danzatrice di stasera non può esibirsi poiché è malata.
- Chiama le altre – rispose il mercante barbuto con tono ovvio.
- Non è possibile... una ha danzato ieri e l'altra dovrà farlo domani. Porta male danzare due giorni di seguito!
- Porta male? - si meravigliò Gambrath.
- Io non lo credo, non sono superstizioso, ma le danzatrici sì. Non si esibiranno.
- Dunque fai esibire stasera quella che deve danzare domani e domani quella che ha danzato ieri – disse Gambrath, temendo la collera del suo interlocutore. Il ragionamento era così banale e ovvio che rasentava l'insulto.
- Credi forse che io sia un despota o un re tra queste mura? Non lo sono... devo rispettare le regole della Gilda delle Arti. Due giorni di riposo spettano a ciascuna danzatrice. Quella di ieri riposa oggi e domani e via dicendo! Capisci ora?
- Beh, non si può chiamare un'altra danzatrice? Sono solo tre in tutta Leradan?
Le spalle di Leandro Magen si abbassarono come oppresse da qualche peso invisibile.
- Ahimé, i miei rapporti con la Gilda delle Arti non sono dei migliori...
- Per quale motivo?
Magen sospirò e si guardò i piedi.
- Perché pago solo le danzatrici più giovani e carine disposte a esibirsi... beh, tu hai visto come. Esse sono solo tre. Le altre si sono indispettite e per questo non verranno se le chiamo.
- Danzerò io.
I due sobbalzarono nello stesso modo, nello stesso istante. Da dietro un paravento era sbucata Lerea, avvolta nel suo solito abito da viaggio e col cappuccio sulla testa. Macchie umide sulla spalla testimoniavano il suo recente passaggio allo scoperto: probabilmente a causa della folla aveva dovuto girare intorno alle due grandi tende per raggiungere le quinte dietro il palco.
- Ho sentito tutto – aggiunse, vedendo entrambi perplessi.
- Ma tu non sai ballare – esclamò Gambrath.
- Tu non mi hai mai vista ballare – lo corresse Lerea.
- Non sei allenata – ribatté quello.
- È da sette giorni che mi esercito a danzare.
Era vero: dal suo primo giorno tra le mura di Leradan la giovane si era incapricciata di voler danzare dopo aver visto un'esibizione per strada. Magen non aveva perso tempo e, agevolato dal fatto d'essere lui a organizzare alcuni spettacoli, l'aveva presentata alle tre danzatrici che si esibivano di sera in piazza. Tutti i giorni Lerea trascorreva molto tempo con le tre ragazze, ballando.
- Non basterebbero sette mesi di apprendistato... le nostre danzatrici iniziano l'addestramento da bambine! - esclamò Magen.
- Sebbene mio padre non mi ritenesse degna di nulla, ho imparato ugualmente a danzare fin da giovanissima.
Gambrath si rese conto all'improvviso che in fondo di Lerea sapeva ben poco. L'aveva comprata al mercato degli schiavi con l'intenzione di barattarla con Rama, la schiava dell'oste Cambler, ma non ci era riuscito. Venduta dal padre candriano a un mercante per via dell'abbondanza della sua carne, ritenuta una deformità imperdonabile da tutti i candriani, Lerea si era rivelata più volte una sorpresa. Era ricca di talenti nascosti. Credendola un po' bigotta era rimasto allibito vedendo con quale naturalezza e sensualità era sgusciata fuori dagli abiti in una fredda notte per attirare allo scoperto una guardia e favorire la fuga dall'accampamento militare dov'era stato imprigionato. L'aveva vista trasformarsi in una nobile e spregiudicata dama per dare la caccia alla chiave del bracciale da schiavo che gli era stato ingiustamente inflitto. Talvolta anticipava i fatti coi suoi sogni! La sapeva intelligente e furba, decisa e determinata quanto bisognosa di affetto e vicinanza. L'aveva avuta molte volte tra le braccia, calda e morbida come una gatta; aveva sperimentato in prima persona anche le sue unghie. Non si era mai pentito di averle donato la chiave del suo bracciale. Se diceva di saper ballare, era davvero così. Oppure aveva le sue valide ragioni per dirlo.
Senza sapere esattamente perché Gambrath cercò di opporsi, ma senza risultato. Non trovò in Magen un alleato poiché il capriccio di Lerea risolveva alla perfezione un problema abbastanza grave. Era sempre pericoloso scontentare la folla e quella si trovava proprio nel cortile di casa del facoltoso mercante.
Magen fece portare il costume che più si adeguava al fisico di Lerea, un po' abbondante rispetto alla media delle danzatrici del luogo. Quando lo ebbe indossato non senza sforzo, i lacci le sprofondavano nella carne evidenziando il ventre sporgente e i fianchi morbidi. Gambrath trasalì quando la vide: tutta quella pallida pelle esposta, il seno compresso che sembrava dovesse saltare fuori dalla succinta fascia che lo tratteneva, adorna di tintinnanti pendagli di ottone e rame, lucidissimi. Si era truccata in fretta e furia in modo un po' troppo pesante e il velo che le copriva il viso non era sufficiente a nascondere gli sgargianti colori usati. Rosso fuoco per le labbra, viola e porpora per occhi e gote. Centinaia di decorazioni d'ottone pendevano ovunque, sonanti: catenelle e medaglie di diverse dimensioni non facevano che sottolineare ogni minimo movimento, tintinnando e rimandando barbugli di luce raccolti da lampade e candele. Gambrath tentò di fermarla ma il pubblico mormorava già e Lerea salì decisa e veloce i pochi gradini che la portarono sul palco. Non c'era un Maestro di Cerimonie quindi lei stessa, ancora al riparo di un paravento, fece un cenno al Maestro dei musici e la danza ebbe inizio.
Quasi come se fosse stato stordito il mercante barbuto fece il giro del palco e si portò dalla parte del pubblico per assistere. Questo borbottava ed esclamava, chiaramente insoddisfatto. Ostruiva la visuale e fu strattonato per le vesti e costretto a sedere in mezzo agli altri: chi mangiava, chi beveva, chi chiacchierava col vicino.
Lerea sul palco stava danzando come Gambrath non avrebbe mai sospettato fosse in grado di fare. Certo, c'era una grande differenza tra lei e le danzatrici provette che aveva visto esibirsi fino al giorno prima. Di qui l'insoddisfazione che serpeggiava tra gli spettatori che come lui si aspettavano di poter ammirare la sinuosa brunetta attesa per quella sera. Fu però sorpreso dalla passione che la giovane stava mettendo nella sua esibizione, un canone tra i più facili eseguito con maestria dai musici di Leandro Magen. Col tempo se ne accorsero anche gli spettatori: il brusio sotto la tenda non aumentò e si potevano distintamente udire i calici di terracotta che contenevano le bevande sbattere contro le brocche ogni volta che una moneta passava di mano.
I lunghi capelli sciolti sotto il velo, il viso celato, le sfuggenti trasparenze del costume, la pelle bianca che splendeva alla luce delle molte lampade a olio accese dai servi intorno al palco: Gambrath sentiva montare sempre più dentro di sé la grande onda calda della gelosia. La donna che danzava sul palco, un po' appesantita dal suo fisico non proprio snello e muscoloso, sembrava sempre più colei la quale si era a lungo dimenata nel letto quella mattina, quando lo chiamava per nome mentre la stringeva tra le braccia, che si donava interamente a lui mentre la copriva di baci e intime carezze. Il corpo morbido, le rotondità sode sussultanti a ogni movimento, la pelle brillante per il sudore: non poteva continuare. Là su quel palco si stava esibendo ciò che lui credeva solo i suoi occhi potessero vedere. Lerea stava mettendo in scena l'intimità della loro camera da letto semplicemente danzando. Si portò il dorso della mano destra alla bocca e la trovò umida di sudore. Tutto questo deve finire, pensò tormentandosi. Ma la fine giunse solo quando accompagnata dall'ultimo decrescente rullo di tamburo Lerea si afflosciò su se stessa con una certa grazia. La danza era terminata. Lerea ansimava vistosamente; Gambrath vide chiaramente alcune gocce di sudore scivolare dalle braccia candide ornate da monili che le affondavano nei muscoli. Il tamburello di uscita suonò freneticamente e Lerea, non senza sforzo, si rianimò e corse via salutando con un grazioso inchino prima di scomparire dietro i paravento. Anche i musici si alzarono dai molti tappeti stesi per loro sul palco e se ne andarono. La prossima a esibirsi era Kem, non c'era bisogno di loro. Il pubblico lo sapeva e ora rumoreggiava poiché non voleva più attendere. Gambrath si recò nuovamente dietro le quinte, quasi tremante, un nodo dolente nel petto. Non sapeva che fare: abbracciare Lerea o rimproverarla aspramente? La trovò seduta a terra così come aveva danzato, il costume ora bagnato dal sudore, i veli che le si appiccicavano addosso, i piedi scalzi. Kem era china su di lei e le stava offrendo un boccale di coccio. Non aveva nemmeno alzato il velo dal viso: era intenta solo a respirare. Il mercante barbuto le fu subito vicino e si inginocchiò vicino a lei. Lerea alzò il viso lucido e gli sorrise.
- Come ho danzato? - chiese respirando affannosamente.
- Sei stata bravissima – intervenne Kem col suo strano accento. Gambrath la guardò: Leandro Magen l'aveva voluta vestita di bianco e l'aveva coperta di ornamenti di ottone lucidissimo, dicendo che sarebbe sembrata una regina. Aveva ragione: quella pelle nera come la pece fermava il fiato per la paura, i capelli come serpenti, incoronati da uno spesso cerchio di rame lucido e lavorato, risaltavano sull'abito candido privo di maniche. Ma le braccia e le gambe nude, le impronte dei seni e dei capezzoli erti contro la fine stoffa la tramutavano di nuovo da demone in donna.
- È merito tuo, sai? - disse la giovane candriana a Gambrath.
- Sì, ho visto.
Si tolse il mantello e avvolse bene Lerea per non farle prendere freddo. Qualsiasi cosa gli si fosse annodata dentro il petto si sciolse e scomparve mentre l'abbracciava.
   
 
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