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Autore: papavero radioattivo    12/09/2015    0 recensioni
«Questo non è un gioco, ragazzina» la ammonì il vecchio, e lei alzò lo sguardo, allargando il sorriso.
«So benissimo che non è un gioco» gli rispose, piano, come se si fosse improvvisamente ricordata della ragazza che dormiva nel letto lì vicino e non volesse svegliarla, «Non è mai stato un gioco, per me».
Abbassò gli occhi sul fascicolo, leggendo alcune parole che ormai erano impresse nella sua mente con il fuoco: innocence artificiale, vittoria, compatibilità, esorcisti… le sembravano solo parti di una favola, una storiella impossibile.

Ci sono storie che non vengono mai raccontate. Le si nasconde sotto il cuscino come se fossero un segreto troppo importante da rivelare.
Hellionor si presenta davanti all’Ordine Oscuro con nient’altro se non un vecchio fascicolo, pronta a mettersi al servizio di un Dio che non conosce pur di dare un significato alla propria vita e a se stessa. Lì dentro conoscerà persone che hanno fatto la storia e persone che, per qualche motivo, sono state dimenticate e sono sparite senza lasciare traccia.
|| OC: Hellionor Paarick; Enea Fowler; Arachne Ingram ♦ Lavi/Tyki; altre coppie ||
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio, Rabi/Lavi, Un po' tutti, Yu Kanda | Coppie: Tyki/Rabi
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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La meccanica del cuore

 

 

Í LA PIETÀ NON È UN VALORE DEGLI ESORCISTI Í

quattordicesima notte

 

 

 

 

 

 

Hellionor mugolò, stringendosi i cuscini alle orecchie mentre soffocava contro il materasso. C’era un deficiente che continuava a bussare alla sua porta, le urla le arrivavano ovattate per i guanciali che impedivano a quei fastidiosi tonfi di fracassarle il cervello.

«Ho capito!» urlò poi, mettendosi a sedere mentre una botta più forte colpì l’uscio, facendo tremare anche i vetri. Chiunque fosse, era intenzionato a spaccare quella porta se lei non fosse uscita entro trenta secondi dalle coperte. «Ho capito, ho detto!» disse, alzando ancora la voce, attraversando con tre falcate la stanza per spalancare quella maledettissima porta.

«Finalmente la principessa si è degnata di mostrarsi al cospetto di noi poveri stronzi!», Enea sembrava davvero furioso. Che aveva fatto ora, lei? Hellionor si sforzò di non sbattergli la porta in faccia, coprendosi la bocca prima di sbadigliare, «E hai pure il coraggio di essere stanca!» continuò lui, agitando le braccia in aria.

Rebecca, alle sue spalle, sembrava mortificata ed imbarazzata. Qualcuno sarebbe di sicuro andato a vedere che diavolo stava succedendo.

La ragazza respirò profondamente, come se quella sull’orlo di una crisi isterica fosse lei. Si passò entrambe le mani tra i capelli scombinati e si aggiustò la maglia della divisa, tirando giù le maniche.

«Mi dispiace, ok?» disse, cercando di mantenere la calma. Litigare (di nuovo) con Enea non rientrava nei suoi piani. «Cos’è successo?» chiese, osservando la sua espressione corrucciata che, in realtà, lo rendeva più vecchio di quello che era. Avrebbe voluto dirgli «su con il morale!», ma dato che qualsiasi cosa lei facesse sembrava fargli perdere le staffe, assecondarlo le sembrava la cosa migliore.

Dopotutto, era lei la «novellina».

«Vestiti» si limitò a dirle. Non era più paonazzo dalla rabbia, e il colorito abbronzato della sua pelle gli donava molto di più rispetto alla carnagione pomodoro che aveva pochi attimi prima. «C’è stato un attacco» spiegò brevemente, appoggiando una mano sulle due spade gemelle che teneva legate in vita alla cintura – non si era accorda che nell’impugnatura ci fossero due pietre simili a degli… occhi? Che cosa strana. «A quanto pare sono sparite delle pecore mentre tu te ne stavi tra le braccia di Morfeo».

Lei non conosceva nessun Morfeo.

Hellionor schiuse le labbra per chiedere informazioni sull’accaduto, ma un uomo arrivò quasi in scivolata dietro ad Enea, aggrappandosi all’esorcista, spingendolo a lato come per entrare nella conversazione.

«Nobili esorcisti!» ansimava per lo sforzo e, sebbene le guance fossero rosse per la corsa, il resto del volto era pallido e sudato, «Dovete venire subito!».

Rebecca sbucò afferrandolo gentilmente per le spalle, «Venga con me… è scosso. Se non si calma non potrà aiutare gli esorcisti e loro non potranno aiutare lei» aveva una voce tranquilla, che ispirava fiducia. L’uomo annuì, girandosi mentre scompariva assieme alla finder, lungo il corridoio e poi giù per le scale.

Hellionor sbirciò oltre la porta le due figure allontanarsi lentamente. Quando anche le loro ombre scomparvero, Enea sospirò, come per riacquistare l’attenzione dell’altra, «Tra dieci minuti ti voglio di sotto» disse severo, passando in rassegna tutta la stanza della ragazza.

Hellionor si sentì improvvisamente in imbarazzo: aveva lasciato la divisa a terra come il peggiore degli stracci e la sua valigia era stata capovolta sul tappeto, anche se non era affatto necessario. Le venne quasi da ridere quando si ricordò delle due mele mangiate sul davanzale della finestra e la bottiglia di sidro mezza vuota. Si fece forza, alzando lo sguardo verso Enea che, proprio come un padre, scuoteva la testa.

Si aspettava che le dicesse qualcosa tipo «Metti immediatamente in ordine la stanza, signorina, altrimenti niente cena!».

E invece non le disse nulla. I suoi occhi si soffermarono un attimo su qualcosa che Hellionor non riuscì a capire e poi si abbassarono, osservandola ancora un attimo. Poi, senza aggiungere nulla di più di quello che aveva detto, fece dietrofront e sparì nella stessa direzione di Rebecca e dell’uomo.

 

* * *

 

Scese le scale, stringendo la lancia nella mancina mentre con la destra si teneva al corrimano, prima di entrare nell’unica sala illuminata dal camino e dalle lampade ad olio. Appoggiò la lancia fuori dalla stanza – non voleva che quel poveraccio si spaventasse ulteriormente.

Aprì piano la porta, cercando di essere invisibile, ma i cardini la tradirono stridendo, accompagnando la sua entrata in scena con un lugubre lamento. Hellionor provò a sorridere, stringendosi nelle spalle, e si avvicinò alla poltrona su cui era seduta Rebecca che, sempre gentile, stava chinata verso l’uomo seduto accanto a lei.

«Come si chiama?» gli domandò.

L’uomo alzò il volto dalla ciotola fumante, «Senan» biascicò, «Stavo facendo rientrare le mie pecore dal loro giro vicino al Brú na Bóinne, la mia fattoria è al confine del villaggio, stavo guidando le pecore nel recinto quando la terra ha iniziato a tremare…».

Senan si bloccò, affondando il viso nel brodo caldo, singhiozzando. Hellionor non riusciva a capire se stesse piangendo per aver perso le pecore o per lo spavento. In qualche modo, si sentì davvero dispiaciuta. Avrebbe voluto avvicinarsi e poggiare una mano sulla spalla del vecchio, ma lo sguardo serio ed impassibile di Enea la congelò sul posto. Lui, a differenza di lei, non sembrava empatizzare per niente. In qualche modo, si sentì improvvisamente fuori posto.

Forse non era tagliata per fare l’esorcista. Da quanto era arrivata a Slane, non aveva fatto altro che guai e, di certo, non aveva dimostrato di essere «pronta ad agire».

Se voleva diventare una brava esorcista, se voleva diventare come Enea, allora era il caso di iniziare a muoversi. Si schiarì la gola, raddrizzando le spalle, sforzandosi di prestare attenzione al discorso.

«Il cane è scappato e le pecore sono andate in panico» disse, la voce era rotta dai singhiozzi mentre la scodella ballava tra le sue dita. Hellionor trattenne il respiro, era quasi sicura che sarebbe caduta da quella presa che le sembrava debolissima. «Si stavano spargendo per tutta la fattoria, c’è stato un enorme trambusto e si è alzata della polvere…» si fermò, respirando a fondo, «mi sono coperto gli occhi, ho sentito le pecore belare e poi il silenzio. Il mio Lucky è scomparso. C’era solo quella stupida pecora nera sbucata da non so dove. Neanche l’avevo vista!», uno spasmo lo colse di sorpresa e il brodo gli finì sulle mani, ma il caldo non sembrò fargli male.

Enea mosse le spalle accanto a lei, prima di avvicinarsi a Senan e chinarsi davanti a lui. Gli prese la ciotola dalle mani, appoggiandola sul tavolino davanti alle poltrone. «Aggiusteremo tutto» lo rassicurò, accennando ad un sorriso.

Allora anche Enea sapeva sorridere.

Senan sgranò gli occhi, alzandosi di scatto. La poltrona strisciò all’indietro sul parquet malconcio.

«È stato il demonio, nobili esorcisti» disse, «Quella pecora nera è stata mandata da Lucifero! Dove c’è lei le pecore scompaiono…». Alla luce del camino, il suo volto sembrava ancora più pallido. Gli occhi, chiarissimi, assomigliavano a due biglie di vetro, contornati da rughe rese più profonde dalle ombre sul suo viso. Il fuoco che ballava vicino a loro, sembrava le fiamme dell’inferno, «Il demonio si è mangiato le mie pecore e il mio cane!» continuò, prima di coprirsi gli occhi con entrambe le mani, tentando di soffocare il pianto.

Hellionor fissò Enea, ancora chinato a terra. Si aspettava che lo calmasse, che lo rassicurasse come aveva fatto poco prima. Invece il ragazzo si limitò ad alzarsi, controllando che la cintura fosse ben salda sulla vita. Fece il giro della stanza e, arrivato alla porta, si girò a guardarla, «Non vieni, Hellionor?» le disse retorico.

Non l’aveva chiamata spesso per nome.

Si girò a guardare un’ultima volta Senan, piegato in due dal dolore e dal terrore, mentre Rebecca cercava di tranquillizzarlo e i padroni della locanda comparivano dalla porta che collegava il salotto alla cucina. «Arrivo» annuì, avvicinandosi a lui, portandosi le mani alla nuca per controllare che i capelli fossero ben stretti nell’elastico.

La pietà non era un valore che gli esorcisti coltivavano.

 

* * *

 

Il villaggio era caduto nel silenzio più totale. Le poche persone uscite all’alba dalle loro case stavano facendo immediatamente ritorno, mormorando preghiere e facendo ripetuti segni della croce. Chiudevano le finestre, lanciando loro occhiate che Hellionor non riusciva a capire.

Quando il vento si alzava, riusciva a sentire l’odore della cenere provenire da ovest. Era un profumo stranamente dolce per essere assimilato alla morte. Si girò verso Enea quando l’apertura metallica della sua tabacchiera scattò, lo osservò mentre si accendeva la sigaretta e poi ritornò a guardarsi attorno, in silenzio.

«Prima perlustreremo la zona di Brú na Bóinne, a cinque chilometri da qui» la informò lui, «Poi passeremo in rassegna tutte le fattorie e cerchiamo qualcuno che possa dirci di più su questa dannatissima pecora nera».

Sembrava stressato. Forse pensava che la missione sarebbe stata molto meno complicate di come si presentava.

«Credi che sia l’Akuma?» gli domandò senza interesse, calciando le pietrine dalla propria strada.

«Da quello che ha detto Senan, la pecora nera era presenta in tutti gli attacchi» commentò, «Nel fascicolo della missione, inoltre, è stato scritto che queste scomparse sono iniziate quando un uomo ha ceduto il suo gregge ad un vecchio amico, dato che doveva partire per l’America».

Enea si girò a guardarla. Non l’aveva mai fissata in quel modo così diretto – era uno sguardo molto diverso da quelli che aveva ricevuto nelle sue prime due settimane di permanenza all’Ordine. C’era qualcosa, in quegli occhi verdi, che la faceva sentire fuori posto. Si sentiva giudicata.

Spostò lo sguardo, osservando la fila di finestre chiuse.

«Se l’Akuma è la pecora, ucciderlo non sarà difficile» commentò, «Anche se dubito che quella sia la sua vera forma».

«Suppongo che bisogna essere sempre pronti a tutto…» borbottò lei.

«Vedo che inizi ad entrare nella logica dell’esorcista».

Evidentemente, nella testa di Enea, quello doveva essere un complimento.

«Non ho altra scelta» scherzò lei, spostandosi la lancia da una mano all’altra, prima di aumentare il passo ed uscire dai confini del villaggio.  

 

* * *

 

Hellionor si lasciò cadere a terra, appoggiando le spalle al recinto vuoto. Sospirò, passandosi le mani sulla fronte imperlata di sudore, nonostante le temperature iniziassero a calare. Il freddo le stava congelando le orecchi e il naso e respirare sembrava diventare sempre più difficile.

Stupida lei che aveva acconsentito a badare tutta la notte all’ultimo gregge di Slane! Sospirò, osservando Enea mentre buttava a terra la cicca e la spegneva con il tacco degli stivali. Contro ogni sua previsione, lo osservò mentre estraeva le sue due sciabole, puntando le pietre verso il basso, mentre i polsi erano rivolti verso il cielo del tramonto, tinto di arancione e viola. Sentì un fischio leggero, osservando le labbra increspate di Enea, era ovvio che fosse lui ad intonare quelle due note – risuonavano nella landa infinita di quella contea. Un brivido le attraversò la schiena, aveva l’impressione di essere la spettatrice di un rito celtico e assolutamente personale, come se Enea stesse offrendo la sua vita al cielo e alla terra. Avrebbe voluto alzarsi ed avvicinarsi, cercare di capire meglio che cosa stesse facendo.

Le due sciabole iniziarono a deformarsi, allungandosi all’indietro, prendendo velocemente la forma di un quadrupede. Erano più grandi di qualsiasi animale lei avesse mai visto e, doveva ammetterlo, di una bellezza che non apparteneva a quel mondo. Osservò mentre acquistavano forma e colore, uno bianco e l’altro nero, diversi nei dettagli ma, in qualche modo, simili. Li guardò mentre mugolavano come fossero dei cani, chinando il capo per appoggiare il muso sui polsi di Enea. Le sembrò che il ragazzo ridesse, mentre alzava le mani per lasciare delle carezze al capo dei due animali.

Poi, d’improvviso, quello nero si alzò su due zampe, appoggiandosi sulle spalle di Enea che dovette piantare bene i piedi a terra per non cadere all’indietro. L’animale strusciò ripetutamente il volto a quello del padrone, e la risata di Enea si diffuse per tutta la pianura.

Hellionor sorrise. C’era qualcosa di magnifico in quella scena, e il contatto delicato con cui i due animali avevano sfiorato i polsi di Enea la fece di nuovo rabbrividire. Era come se lui avesse lasciato la propria vita in mano a quella che, ormai era chiaro, fosse la sua Innocence. Non poteva nemmeno immaginare che legame ci potesse essere con l’Innocence –  quella vera – e si sentì improvvisamente una ladra ad aver assistito a tutto quello.

I due animali si sedettero davanti ad Enea, le code lunghissime si agitavano, sfiorando l’erba come una carezza. L’esorcista mormorò qualcosa a bassa voce, continuando ad accarezzare i musi dei due animali, prima di fischiare nuovamente ed osservarli girarsi e correre, sparendo dietro la fattoria.

Enea si girò verso di lei, raggiungendola poi a terra, liberando una nuvoletta bianca dalle labbra.

«Era la tua Innocence?» domandò Hellionor, stringendosi le ginocchia al petto, cercando di scaldarsi.

«Sorrow e Severance» rispose, infilando le mani sotto la giacca, «Sono degli spiriti animati dall’Innocence, diciamo» in qualche modo, le sembrava che Enea stesse cercando di spiegarle le cose nel modo più semplice possibile, «Le mie sciabole sono state forgiate nella sede Asiatica tantissimi anni fa, e sono un po’ combinate con la magia… non è una cosa così inusuale, alla fine».

Prima che lei potesse fargli altre domande, Enea si alzo, stiracchiandosi con le mani a sorreggersi la base della schiena, «Cerchiamo un posto dove poter sorvegliare le pecore senza morire di freddo» le suggerì, indicandole il fienile. Hellionor si alzò, pulendosi il sedere dalla terra e dall’erba umida mentre lo seguiva, cercando di formulare una domanda sensata, «Quindi l’Innocence può dare un corpo a degli spiriti?».

«Può anche dare vita a delle bambole» ribatté lui, «Far muovere o scomparire gli oggetti, dominare gli elementi naturali, il tempo» fece una pausa, come se dovesse preparasi a rivelarle qualcosa di veramente importante, «Si dice anche che possa far ritornare in vita le persone» sul suo viso c’era un sorriso triste.

«Davvero?».

Enea alzò le spalle, prima di spalancare la porta del fienile, tenendola aperta per farla entrare, «Il Signore opera per vie misteriose» le disse, accendendo le lampade ad olio appese vicino all’entrata, prima di chiudere la porta.

L’idea di passare la notte a guardare delle pecore recintate dalla finestra di un fienile non le piaceva. Ma di certo non si sarebbe lamentata. Le era già capitato di dormire in una fattoria, in Francia, e il fieno, nonostante pungesse, rimaneva comunque abbastanza comodo e caldo.

«La tua, invece?» la domanda le arrivò di sorpresa. Hellionor si pietrificò sul posto e il fieno quasi le cadde dalle mani.

«La mia Innocence, dici?» appoggiò a terra le balle di fieno, ritornando indietro a riprendersi la lancia, abbandonata contro il muro «È parassita» si limitò a spiegare, sedendosi poi sul cumulo di fieno, piantando gli occhi verso la finestra. Se si dimostrava attenta a fare il suo lavoro da esorcista, forse avrebbe smesso di farle domande.

Enea si avvicinò, l’odore di sigaretta ed erba che si era depositato sulla sua divisa le impregnava le narici. La sua presenza, in qualche modo, ora sembrava soffocarla. «Capisco…» le disse, facendo morire lì in discorso.

Il pastore stava rientrando, mettendo le sue pecore nel recinto. Non era successo niente, a differenza di quanto Senan avesse raccontato, e anche per le due ore successive non c’erano state anomalie. Hellionor sospirò, alzandosi e sbadigliando. La moglie del contadino era entrata nel fienile, offrendo loro del sidro per scaldarsi durante la loro permanenza. Li ringraziò per quello che stavano facendo anche se, mentre usciva, borbottava preghiere e divagava su come il diavolo fosse impossibile da scacciare senza il diretto intervento divino.

«Vado in bagno» sentenziò Hellionor, sciogliendosi i capelli per rilegarli nuovamente, stringendo il laccio.

«Non c’è un bagno nel fienile».

«Lo so, avevo intenzione di andare dietro al cespuglio qui fuori, in realtà» sorrise lei, incamminandosi verso la porta, «Vuoi controllare?».

Enea si girò nuovamente verso la finestra ed Hellionor sorrise, aprendo la porta quel che bastava per sgusciare via. Non aveva visto molte donne nell’Ordine e, in realtà, aveva iniziato ad avere seri dubbi che Enea conoscesse qualcuno del sesso femminile al di fuori di Rebecca e la certa Lenalee Lee con cui aveva fatto il viaggio verso la Sede Centrale. Lei era cresciuta in un Orfanotrofio fatiscente e poi per strada – se aveva avuto buone maniere da sua madre, di certo le aveva dimenticate. Avrebbe dovuto seguire anche tutte quelle imposizioni che la società dava per le donne? Essere sempre educate e gentili? Sospirò, facendo ritorno al fienile: non ce l’avrebbe mai fatta. Piuttosto che imparare tutto quello che non aveva imparato in diciotto anni di vita, avrebbe di certo preferito cambiare sesso.

«Come mai indossi quella cosa?» chiese Enea, osservandola mentre si stringeva la fascia in vita.

«Mi aiuta a tenere dritta la schiena» disse lei, stringendo il nodo di quella specie di cintura arrangiata. Era sincera – ma a quanto pare Enea non l’aveva presa sul serio e rideva sotto i baffi, «Guarda che dico sul serio!» ribatté lei, allungandosi verso di lui, «Ogni tanto ho mal di schiena e mi hanno sempre detto di provare almeno a tenere la schiena dritta, dato che ho i piedi che vanno in dentro e le spalle un po’ chiuse» borbottò, incrociando le braccia.

Le pecore iniziarono a belare, agitandosi nel recinto mentre la terra sembrava davvero tremare. I cardini dell’entrata della staccionata saltarono giù e le pecore si sparsero per la pianura, mentre le scosse diventavano sempre più forti. Hellionor afferrò la propria arma mentre Enea correva verso l’entrata, uscendo dalla fattoria.

Sembrava uno scherzo del destino. Le pecore sparivano una ad una, come ingoiate dalla terra, e di loro non rimaneva altro se non cenere e polvere. Dalla casa, i due contadini uscirono in vesti da notte mentre la donna iniziava ad urlare, disperandosi nel vedere la loro fonte di sostentamento sfuggire davanti ai loro occhi. Immediatamente Sorrow e Severance fecero la loro comparsa, correndo verso le poche pecore rimaste.

Il silenzio accompagnò la polvere mentre si depositava a terra, e i due spiriti mugolavano grattando a terra, con il muso nella cenere.

In lontananza, la pecora nera brucava in solitudine, scuotendo il campanello che teneva attaccato al collo.

Enea guardò la sua innocence correre nel prato, sembrava confusa, continuava a scavare con le zampe e ad uggiolare mentre lui ed Hellionor se ne stavano lì, cercando di capire che diavolo stessero facendo.

«Grattano la cenere» gli disse Hellionor, e la frase lo infastidì quanto il non riuscire a richiamare e ad acquietare i suoi animali.

«Non è quello che dovrebbero fare, dato che sanno fiutare gli akuma» le rispose tendendo il braccio con il palmo verso l’alto, fischiando una melodia diversa per ordinare a una sola delle due armi di disattivarsi.

Hellionor avrebbe voluto dirgli che forse funzionavano un po’ male, e che invece dell’akuma stessero fiutando il suo veleno, ma mentre la voce del pastore urlava che la pecora era una creatura di satana, una grossa voragine si aprì sotto di questa, trascinandoli in un turbinio di terra e polvere che li separò dalla fattoria.

Sentì la voce di Enea chiamarla, l’ululato di Sorrow riecheggiare attorno a loro mentre la terra sotto i loro piedi vibrava e si crepava in grosse zolle d’erba, e poi una figura grande e scura comparve dal sottosuolo, seguita da un’altra identica a questa. Il grosso naso a trivella spazzava via tutto quanto, lasciando intatta solo la parte che circondava la pecora nera, avvolta da un alone pallido e fluorescente.

«La pecora è l’innocence!» l’affermazione di Enea le arrivò lontana sebbene avesse urlato per farsi sentire, coperta dal suono metallico della trivella che picchiava contro la corazza che proteggeva quell’ammasso di lana nera deforme. Ci mise un attimo per ingranare, il tempo di guardare Enea sul dorso di Sorrow con la lama sguainata, e poi si lanciò nella mischia, stringendo la lancia fra le dita. La scagliò con tutta la forza che aveva in corpo, colpendo senza nemmeno scalfire  il primo akuma, riuscendo però a distogliere la sua attenzione dal frammento di innocence.

Riusciva chiaramente a vedere quel grosso mostro metallico venire verso di lei: gli mancavano gli occhi, e dal momento che il suo naso non poteva essere utilizzato per sentire gli odori non aveva idea di come facesse ad orientarsi.

Corse veloce verso uno degli alberi che costeggiavano il prato, cercando un momentaneo riparo per riuscire a formare una nuova arma, magari più efficace, quando qualcosa le afferrò l’uniforme con i denti, scaraventandola su un letto di soffice pelo bianco e morbido. Strinse la presa attorno alla criniera folta che arrivava fino alla schiena dell’animale, e poi si girò cercando Enea con lo sguardo, trovandolo alle sue spalle, a cavallo di Sorrow con la pecora che belava e scalciava fra le braccia.

Le aveva appena salvato la vita.

«Seguono le vibrazioni del terreno e l’innocence» le comunicò affiancandola, mostrandole poi la sua lancia spezzata a metà, «E penso che la tua arma si sia rotta» le comunicò tendendo una mano per passargliela, ma Hellionor l’afferrò lanciandola a terra, afferrando svelta il pugnale che teneva nella cintura.

Si tagliò il palmo della mano, prestando attenzione a non cadere dal dorso di Severance, e poi pensò intensamente a un arco, lasciando che il sangue le scorresse sul palmo e prendesse la forma dell’arma che aveva immaginato.

Sorrise soddisfatta mentre Enea la guardava basito, cercando di capire come fosse possibile quello che aveva appena fatto.

«Crei armi con il tuo sangue?» le chiese, e lei si limitò ad annuire. Per lui non era difficile immaginare che una cosa del genere fosse possibile, aveva visto così tanti esperimenti fallimentari prima dell’arrivo di Komui, alcuni peggiori di quello che probabilmente aveva davanti.

Avrebbe dovuto capirlo subito che lei non era un normale esorcista, dopotutto aveva affermato che la sua innocence fosse parassita, eppure aveva visto la lancia nella sua stanza. L’unica cosa che non quadrava era che quel genere di esperimenti non erano più legali da anni, e che Hellionor  era comunque lì al suo fianco.

Inspirò profondamente girandosi a guardare i due grossi akuma che li seguivano, ripetevano in modo inquietante le stesse tre frasi.

«Vi bucherò il cervello» sbraitò quello di destra, fermandosi di colpo e puntando la trivella sul terreno, sparendo sottoterra assieme al secondo.

Enea fischiò ordinando alla sua innocence di andare più veloce, rivolgendo poi lo sguardo verso Hellionor «Io vado avanti, tu attaccali alle spalle, se  non ti  muovi non ti sentiranno» le disse, breve e coinciso, e poi con altre due note Severance la posò sopra un grosso masso, lasciandola lì da sola.

Li osservò allontanarsi mentre con un altro comando le due innocence cambiavano forma, avvolti da piante rampicanti e fiori colorati. L’erba sotto le loro zampe si allungava e intricava in un’immensa rete che copriva il terreno mentre lei tendeva l’arco e una freccia nera si materializzava sulle sue dita, pronta ad essere scoccata.

Vide Enea fermarsi di colpo mentre l’ennesimo fischio le arriva alle orecchie, distante nel silenzio della notte, e poi la bestia sulla quale aveva galoppato fino a poco prima fu invasa da un turbinio di fiamme rosse e gialle che ondeggiavano nel vento come una criniera.

Ci fu un attimo di calma sconcertante, e poi la terra tremò di nuovo e gli akuma uscirono allo scoperto, riemergendo dal sottosuolo con un boato. Il primo rimase incastrato nella rete, si dimenava cercando di liberarsi da quella prigione di rami e foglie, ed Hellionor chiuse un occhio prendo la mira, cercando di essere precisa e di non sbagliarsi. Inspirò profondamente e poi scagliò la freccia che trapassò in fretta il petto di quella grossa talpa, senza però farla esplodere.

«Cazzo!» sibilò fra i denti tendendo di nuovo l’arco, mentre l’altro akuma forava il terreno con il suo naso, provando a colpire Enea e i suoi due grossi animali.

Hellionor scagliò un’altra freccia, e poi un’altra ancora, ma sebbene ad ogni colpo il mostro urlasse, non voleva comunque saperne di esplodere come faceva di solito. Vide il livello due afferrare con una delle sue zampe Sorrow, e poi scaraventare lontano lui ed Enea, ancora sulla sua schiena.

Doveva fare qualcosa.

Tese di nuovo l’arco mentre l’ennesima freccia si materializzava, e quanto le sue dita scoccarono il colpo, un vortice di liane e piante avvolsero entrambi gli akuma, stringendoli e strozzandoli. Il primo esplose dopo qualche secondo, come un palloncino gonfiato troppo stritolato dalle mani di un bambino, e il secondo venne trapassato dalla sua freccia all’altezza del naso, sparendo in uno scoppio secco.

Hellionor abbassò l’arco saltando giù dalla roccia sulla quale l’avevano abbandonata, osservando Enea venire verso di lei con la pecora in braccio, seguito da Sorrow e Severance, tornanti nuovamente uno bianco e uno nero. Scodinzolavano felici, come dei cani che avevano appena ricevuto un biscotto, smuovendo appena l’erba sotto i loro piedi.

Sorrise osservandolo mentre zoppicava appena, probabilmente per colpa del volo che l’akuma gli aveva fatto fare, e quando le fu vicino lasciò la pecora sull’erba, estraendo la tabacchiera dalla tasca.

«Sei stata brava» le disse accendendosi la sigaretta, posandole una mano sulla spalla prima di fischiare, richiamando gli animali che poggiarono i musi sui suoi polsi, dissolvendosi e prendendo nuovamente la forma di due sciabole fra le sue dita.

 

* * *

 

Enea si stiracchiò infilandosi la maglia scura, uscendo dalla stanza della locanda per raggiungere Hellionor al piano di sotto.

Si passò una mano fra i capelli ancora umidi, e poi scese le scale, osservando la ragazza seduta sul tappeto, avvolta nel maglione. Accarezzava il pelo della pecora che belava e ruminava il fieno che Hellionor le dava.

«Dobbiamo ucciderla per recuperare l’innocence» le disse, cercando di non darle false speranze. Così com’era non sarebbe servita a nulla, e Hebraska non avrebbe di certo potuto custodirla assieme alle altre. «Io non ho intenzione di farlo, quindi…».

«Mi stai dicendo che vuoi che uccida Dolly?» la sua espressione era sconvolta, ma non tanto quella di Enea.

«Dolly? Hai dato un nome alla pecora?» le domandò incredulo, ridacchiando istericamente mentre si passava le dita fra i capelli, «Non si danno i nomi alle cose, poi ci si affeziona e noi dobbiamo ammazzarla!» continuò a rimproverarla, lasciandosi poi cadere con un sospiro su una delle poltrone.

Silenzio.

Hellionor continuava ad accarezzare la pecora, mentre lui pensava ad un modo per recuperare l’innocence senza che fosse lui a doversi sporcare le mani con il sangue di un animale innocente.

«Potremmo darla al macellaio del posto» suggerì, ma Hellionor lo guardò come se avesse appena dichiarato di essere un assassino seriale.

«No! Ci dev’essere un altro modo» brontolò come una bambina, affondando le dita nella lana scura dell’animale, ed Enea sospirò, arrendendosi al fatto che sarebbe toccato a lui l’infausto compito di sventrare quella povera pecora nera.

 

 

 

 

 

                    

 

 

 

 

Note d’Autrici; do you wanna see my Mugen?

 

Prima di tutto, ci scusiamo immensamente per il ritardo con chiunque stia leggendo la storia! È stato un periodo molto… “intenso” per entrambe e, diciamo, che abbiamo cercato di fare un po’ di vacanze anche dalle fanfiction (tutti ne hanno bisogno, eh!). Ora, però, è il momento di riprendere il giro, e quindi la pubblicazione e la scrittura.

Il capitolo in questione è stato scritto ancora a luglio, ma almeno ci siamo “portate avanti”… cosa dire? In realtà, niente di speciale, la missione in Irlanda ha fatto il suo corso, Hellionor ed Enea si sono “conosciuti” un po’ di più e i lettori hanno conosciuto un po’ meglio Hellionor… a questo proposito, ribadiamo che il suo personaggio è stato ideato prima ancora di venire a conoscenza dell’Innocence di tipo cristallo, e che la somiglianza tra le due cose è totalmente non voluta! ;; In tutti i casi ci saranno degli sviluppi riguardo il suo personaggio e la sua Innocence, e speriamo che la piega che prenderà la storia (assieme a tutti i personaggi presenti e futuri) sia comunque di vostro gradimento.

 

Al prossimo aggiornamento!

papavero radioattivo

   
 
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