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Autore: Shu    08/02/2009    14 recensioni
Da qualche parte, sotto le stelle, gente si sta radunando per un silenzioso rito.
Scena finale del cap.108. L'ennesimo ribaltamento, l'ultimo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Light/Raito
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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[Il contatore di questa storia supera, proprio in questi giorni, i due anni dalla data di inizio. E' così: sono due anni -mai detto di essere completamente normale...- che ci sto lavorando, non ininterrottamente, ovvio, ma con costanza, ritornandoci sopra mille e mille volte, e, beh, ho deciso che era davvero il momento di metterci la parola fine.
E di mettere una pietra sopra, in realtà, anche a tutto un progetto: questa doveva essere l'ultima di una serie di storie dedicate a Raito -il personaggio che, nonostante io in DN abbia amato tutti, persino le comparse, è sempre stato quello che più mi ha affascinato- per la writing community "TrueColors". Ma tra quelle scritte, tra quelle abbozzate, quelle mai abbastanza soddisfacenti e quelle che non sono riuscita a tirare fuori... direi che basta. Salvo solo questa, per il tanto lavoro e la passione che ci sono stati dietro, al di là del discutibile risultato finale; la V Minisfida del sito "Criticoni" mi è parsa una buona occasione per terminarla, e così ora questo pezzo vi partecipa.
Che dire... dopo aver aperto insieme ad Harriet questa sezione, nel lontano 2006, e non aver più pubblicato nulla da allora, saluto la curva. ^^ Saluto il fandom di quello che è rimasto il mio manga preferito in assoluto, che da tre anni mi fa ancora pensare, e che mi ha dato tanto (un po' di spudorata pubblicità non fa mai male...); ma anche il fandom che ritengo più difficile per quanto riguarda lo scrivere, quello in cui rischi di sbagliare, di rovinare tutto, ad ogni parola. Forse non avrei dovuto nemmeno tentare di accostarmici, fin dall'inizio; ma, come già dissi, l'ho sempre fatto, spero, con reverenza e umiltà, augurandomi di rendere solo un omaggio a questa storia straordinaria.
Puntiamo in alto ringraziando i maestri Ohba e Obata; e poi infine, tornando fra noi, ringrazio Harriet che ha betato il mio lavoro, e chi avrà voglia di leggere.
Ultime note: il prompt della serie "20 places" di TrueColors a cui la storia avrebbe dovuto rifarsi era "#8. Da qualche parte, sotto le stelle". Ispirazioni, "Kyrie II", dal vol.2 dell'OST dell'anime, e naturalmente, le ultime scene di DN (la notte, la luna, e dio... i kanji del nome di Raito).]

 

 

 

 

 

 

Da qualche parte, sotto le stelle, gente si sta radunando per un silenzioso rito.

Da lontano, qualcuno li vedrebbe solo come una fila ondeggiante di luci che si arrampica sul crinale dell’altura; ma non c’è nessuno a guardare. Quel luogo è deserto, le costellazioni sono mute e neanche il vento ha nulla da dire.

Sono passi che sollevano polvere, respiri pesanti nel buio, a tratti il pianto di un bambino avvolto in un mantello, o un sospiro, ma niente di tutto questo spezza lo spessore della notte, così come le fiamme delle candele che ciascuno di loro porta in mano non possono fendere l’oscurità. E camminano, discreti, tra le cortine della sera, che si separano al loro passaggio per poi richiudersi, un istante dopo, dietro alle loro impronte. Come a custodire un segreto, gli ultimi fedeli di una divinità ormai quasi dimenticata.

Da qualche parte, sotto le stelle, la gente cammina. Chissà cosa pensano, nel loro silenzio. La luce oscillante delle candele rischiara volti dagli occhi persi verso l’alto, scava più profondamente le rughe, proietta sulle guance di chi sta a capo chino le lunghe ombre delle ciglia. Guardandoli, di tutti si potrebbe dire qualcosa, ma non abbastanza da spiegare perché siano lì, quale immaginazione li guidi.

Sembrano sicuri del loro cammino, la fila è ordinata, nessuno resta indietro, nessuno va troppo avanti. E nessuno parla.

Lì, da qualche parte, le stelle ci sono, sì, ma poi da dietro una cima si affaccia la luna, un’immensa falce di luna, e tutti gli astri sembrano sbiadire, ritirarsi nel buio. E lei sale, piano. Ha tutta la notte per raggiungere il sommo del cielo, non ha fretta.

La sua luce colora di pallore i sassi, e lì, su quella montagna, sembra stranamente vicina, più di quanto ciascuno degli uomini e delle donne l’abbia mai vista in città. E’ più splendente, anche, come se solo nel buio perfetto la si potesse comprendere pienamente, come se quella falce fosse il sorriso del cielo che si rivela soltanto a chi è là, in quel momento, al modo dei segreti di una religione misterica.

La divinità della notte osserva dall’alto i suoi seguaci.

Ecco, il corteo si è arrestato davanti ad un baratro. La fila si apre e si disfa, perché tutti possano vedere. E tra gli ultimi viene avanti una figura. Come tutte le altre è ammantata di bianco, ma la sua veste sembra in qualche modo ancor più chiara, la fiamma che scherma con la mano ancora più radiosa.

Cammina, si china sull’orlo dello strapiombo, posa la sua candela. Chissà se è un gesto spontaneo, o se fa parte del rito, e ognuno lo stava aspettando. Poi lei si rialza, getta la testa all’indietro per guardare in alto, e allora il cappuccio le scivola giù dai capelli, ed è una giovane, splendida ragazza, dagli occhi grandi, trasparenti, come rischiarati anche dall’interno da un’altra fiamma.

Mille dita s’intrecciano, le mani si giungono, le ginocchia si piegano nella polvere, occhi levati al cielo e palpebre abbassate a trattenere le lacrime.

Da qualche parte, sotto le stelle, centinaia di persone che non ti conoscono ti pregano.

Nei loro pensieri ti chiamano con un nome che non ti sei scelto, perché il tuo, nessuno lo sa.

Nelle loro menti, non ti vedono, neppure si sforzano d’immaginarti, perché la divinità sfugge ad ogni ritratto e non deve essere cercata. Forse per loro sei solo cielo, nuvole perse nella luce, o notte di luna come questa; e già hanno dimenticato che tu eri, con ogni probabilità, un essere umano e che tanti anni fa qualcuno ti ha dato la caccia. Oppure credono che quelle fossero solo bugie, gli sforzi degli increduli per ricondurre tutto alla ragione.

Nessuno tra di loro sa niente di te. Nessuno di loro può ricordare quello sguardo obliquo e il tono basso e affascinante della tua voce, nessuno ti ha visto quando ridevi e quando portavi avanti i tuoi piani perfetti. Non c’erano nei giorni del trionfo e in quelli in salita, non erano lì a vedere la tua espressione concentrata mentre scrivevi nomi su nomi senza sbagliare un colpo, mentre mentivi e dietro la cascata dei capelli nascondevi il tuo beffardo sorriso.

Non c’erano quando ti contorcevi nel sangue e nella polvere, a urlare che non volevi morire.

Ma nonostante questo, o forse proprio per questo, per il tuo essere meravigliosamente sconosciuto, onnipotente nella tua lontananza, si rivolgono a te. Tanti di quelli che ti erano intorno non capivano, combattevano con tutta la loro ferocia l’idea del tuo mondo nuovo; e invece queste centinaia di cuori estranei battono lo stesso ritmo che batteva il tuo. Condividono il tuo progetto.

Saresti stato contento di vederli, di sentire le loro parole di adorazione, tu che hai incontrato così poche persone che credessero nel tuo disegno?

No… probabilmente no.

Desideravi essere venerato, sì, ma non t’importava da chi. Quello che t’interessava era la devozione, ma non il devoto. Certamente non avresti dedicato un minuto della tua vita a questa massa.

E così, come loro non ti conoscono, tu non hai mai conosciuto loro. E come per te non ha mai avuto importanza incontrarli, così neanche loro in fondo desiderano vederti. A loro basta il nome di Dio, ciò che c’è dietro è solo un abisso di inconoscibile; e va bene così. E’ il fondamento di ogni religione. Loro confidano semplicemente nella tua esistenza, e magari viene da pensare che è follia; ma allo stesso modo tu avevi confidato in loro, che loro ci fossero, la base di cui avevi bisogno per cambiare il mondo.

E’ un dialogo tra sordi, un dialogo tra ciechi, senza il suono di una parola.

Si parlano persone che non si sono mai incontrate, o che forse si sono sfiorate una volta nella folla di una piazza, di un supermercato, e se si sono viste, non si sono guardate, non hanno riconosciuto tra di loro il dio e il fedele.

Eppure, qualcosa in loro di te è rimasto.

A chi ha vissuto accanto a te sono restate in mano solo bugie, e la sensazione vuota e sgomenta di aver vissuto dentro ad un’immensa menzogna. A loro, è crollato il mondo addosso, e adesso forse cercano solo in tutti i modi di scacciare il pensiero di quegli anni buttati.

E invece, agli uomini e le donne che compongono questa processione, a loro che non ti hanno mai conosciuto, qualcosa di te è rimasto.

E’ rimasto il tuo desiderio, il tuo disegno, identico, parola per parola, a quello che avevi espresso quel pomeriggio al tramonto in camera tua, a diciassette anni, con addosso la tua divisa da studente e con gli occhi e il sorriso ancora limpidi.

E hai lasciato in eredità a loro anche quel senso di superiorità, di sapersi nel giusto, unici depositari di un’unica verità, che tu nascondevi sotto la tua calma di ghiaccio e i modi educati, e che ora questi uomini si mostrano invece l’un l’altro con orgoglio, con una gioia così pura ed esaltata da risultare tagliente come una lama.

La fiducia di chi non è sfiorato da alcun dubbio, la sicurezza di non guardarsi alle spalle, di tenere lo sguardo diritto e proteso verso il domani, verso il prossimo passo per il compimento del progetto, senza abbassarlo su ciò che ostacola il cammino. Tutte queste cose non sono scomparse con te, ma si ritrovano, con la stessa esattezza del tuo carattere, nella mente dei tuoi fedeli.

E’ un bene? E’ un male?

Ad assistere a questa scena non c’è nessuno, nessuno che possa rispondere a questo interrogativo. In alto, le stelle, la luna e il vento non si curano delle domande, stanno semplicemente a guardare.

Ma se qualcuno potesse vedere, forse verrebbe spontaneo dire che quella devozione, quella totale, sconfinata fiducia, quelle lacrime sui volti dei vecchi sono un’inestimabile tesoro. E’ qualcosa di così potente da essere riuscito davvero a smuovere il mondo. Di così potente da non poter essere ignorato.

Un tesoro… qualcosa che nient’altro era mai riuscito a suscitare… o forse un abominio, l’agghiacciante realtà di gente che invoca una divinità il cui unico potere è dare la morte?

Ma dare la morte a chi…? A chi lo merita? Perché esiste qualcuno che la morte la merita, esiste qualcuno che abbia il diritto di dispensarla?

Ah, ma non è più il momento delle discussioni. Le mille parole, gli infiniti pensieri, giustificazioni, ragioni che si rincorrevano senza posa nella tua mente, quelli sì, si sono spenti con te. E ora, mentre tu riposi, nessuno turba la processione dei tuoi fedeli e la luna e la notte vegliano sopra il silenzio, ora è il momento della preghiera.

Kyrie, eleison.

Tu che non hai mai avuto pietà di nessuno, abbi pietà di noi.

Tu che non hai mai amato, che non hai mai considerato le donne a cui facevi promesse, che in ogni momento eri pronto a disfarti di tutti quelli che avevi intorno, ad uccidere senza battere ciglio la tua famiglia, proteggi i nostri cari, i nostri amici, i nostri figli.

Kyrie, eleison.

Signore assassino e inflessibile, dio di chi vuole cancellare e non correggere, di quelli per cui la giustizia si ottiene col terrore, dio che calpesti la vita dell’uomo, veglia su di noi.

Dio ragazzo che sorridevi solo per te stesso davanti a uno specchio, che ridevi dei tuoi nemici, che ti sentivi immortale perché non avevi mai pensato di potere, di dover morire… tu sei il loro dio.

E senza il tuo piedistallo, eri solo un uomo nella polvere, ferito a morte, gli occhi iniettati di sangue e parole grondanti follia.

Ma ora non sei più tutto questo. Non sei più né il sorriso né il delirio, né la bellezza dei tuoi tratti né il nero del tuo animo, né i milioni di strade della tua intelligenza né l’unica strada, quella verso la caduta, che imboccasti quel mattino nel cortile della scuola.

Questa notte, sotto la luna, per questa folla di persone, sei nel giusto. Ma non per la perfetta oratoria delle tue spiegazioni nell’ultimo giorno, per le ragioni che davi ai tuoi uomini quando fingevi di metterti nei panni di Kira, davanti al tuo riflesso in un vetro. Ma solo per quel fondo gorgogliante dell’istinto dell’uomo, la sete della vendetta, il grido elementare dell’alba dei tempi: occhio per occhio, una vita per una vita, sofferenza in cambio della sofferenza.

Per tutto ciò che c’è di più selvaggio dentro al cuore dell’uomo, loro ti pregano. Per tutto ciò che c’è di più nobile, affinché tu protegga coloro per cui provano amore, fortissimo, assoluto amore, loro ti scongiurano.

Per tutto ciò che di più lontano c’è da quello che tu eri, ti venerano.  

Forse, anche nella processione dei tuoi fedeli, tu non esisti più.

      

 

 

 

 

 

 

 

 

“Tu sei il diavolo. […] Il diavolo non è il principe della materia, il diavolo è l’arroganza dello spirito, la fede senza sorriso, la verità che non viene mai presa dal dubbio. Il diavolo è cupo perché sa dove va, e andando va sempre da dove è venuto. Tu sei il diavolo e come il diavolo vivi nelle tenebre. Se volevi convincermi,
non ci sei riuscito.”

U. Eco, “Il nome della rosa”

 

 

   
 
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