Storia scritta per il contest: “Neo Superheroes vs Badass Villains” di Myddr e Valira.
Buona lettura!
Eris
“Spesso
il piacere è un ospite passeggero,
ma
il dolore ci stringe in un crudele abbraccio.”
John Keats
Prologo
La
teiera sul fuoco sibilò richiamando la sua attenzione. Guerra scese dalle sue
gambe con un salto andando ad infastidire Morte che dormiva sul piccolo divano.
Eris Schmerz
si alzò con una smorfia nel sentire le giunture scricchiolare: non era più una
ragazzina.
“Guerra,
lascia stare tua sorella”, disse alla gatta che non si degnò nemmeno di
voltarsi a guardarla, continuando invece a punzecchiare la micia nera.
“Maledetti gattacci”, mormorò la donna smettendo di occuparsene, anche perché
il sibilo del bollitore si faceva sempre più pressante.
Tolta
l’acqua dal fuoco la versò nella tazza di porcellana bianca che attendeva di
essere riempita, poi aggiunse la bustina del the e si sedette di nuovo al
piccolo tavolo che occupava quasi tutto lo spazio della sua cucina.
Non
appena si fu seduta Fame spuntò dalla stanza attigua e la guardò con occhi
attenti.
“Non
avrai i miei biscotti”, assicurò Eris, mentre ne
inzuppava uno nel the guardando la sua terza gatta con aria provocatoria. “Ieri
hai rubato il tonno della mia insalata”,
le ricordò, “E mi ero voltata solo un attimo!”. La donna continuò a borbottare
mentre mangiava il suo biscotto.
Aveva
quattro gatti e malgrado li usasse spesso come bersaglio delle sue invettive e
del suo sarcasmo non avrebbe saputo fare a meno di loro, e non solo per la
compagnia.
Prima
di scendere nel negozio di libri, sopra al quale abitava e di cui era
proprietaria e unica commessa, diede da mangiare a tutti e quattro,
assicurandosi che anche Pestilenza ne avesse un po’, visto che era la più magra
e deboluccia delle quattro.
Il
negozio non era molto grande ma era ripieno di scafali nei quali si stipavano
libri di ogni genere e per quasi tutti i gusti, se si desiderava un classico.
Ovviamente lei non aveva accolto tra le sue mura le porcherie che si scrivevano
oggigiorno, solo i libri che erano stati testati dal tempo meritavano la sua
attenzione.
Maledicendo
il numero di scalini, che sembravano aumentare ogni giorno, raggiunse il suo
regno. Reame di cui lei era regina nonché schiava.
Accese
le luci e si dedicò alle pulizie. Erano appena le otto di mattina ma dopo
un’ora passata a togliere la polvere la sua schiena era a pezzi. Non per la
prima volta si chiese se non dovesse cercarsi un aiutante. Scosse la testa
infastidita al pensiero di qualcuno che si aggirava tra i suoi libri, già
tollerava a malapena i clienti!
Andò
alla porta e guardò fuori, la luce era grigia e il cielo nuvoloso prometteva
pioggia. Sulla panchina davanti al bar l’agente Derill
stava bevendo un caffè, nella mano una ciambella alla crema. La signorina
Crowne stava spazzando l’uscio del suo negozio di scarpe, gettando sorrisi
all’agente di polizia. Un gruppo di ragazzi semi addormentati aspettava
l’autobus per andare a scuola. Lo sguardo di Eris si
soffermò per qualche secondo sulla giovane in minigonna che fumava una
sigaretta appoggiata al muro. La ragazza la scorse e agitò la mano verso di
lei. Eris distolse lo sguardo.
“Come
se mi conoscesse!”. Mormorò tra i denti, girò il cartello attaccato alla porta
indicando che il negozio era aperto e ritornò all’interno.
Il
suo negozio non era certo un via vai di gente ma chi entrava in genere ne
usciva con un libro e questo a lei bastava. Quella mattina venne una sola
signora, niente di speciale, chiese un libro di cucina e lei le vendette Il deserto dei tartari un classico
italiano di cui la donna aveva chiaramente bisogno data la sua chiara necessità
di dare un senso alla sua vita tristemente vuota.
Passò
il resto della giornata immersa nella lettura della Montagna incantata e quando ormai si preparava a chiudere entrò
nella stanza un uomo di mezza età. Ma non era solo.
Eris
sentì la gola chiudersi mentre un brivido le scendeva lungo la schiena.
“Buona
sera”, le disse l’uomo. Appariva normale. Era normale. Ma lei poteva vedere.
Un’ombra
scura gli si era avvinghiata con forza attorno, stringendolo come un amante o
come un assassino. Sembrava impossibile che potesse ancora respirare. Eris sapeva di cosa si trattasse. Quell’uomo era afflitto
da un dolore pauroso e terribile.
“Buona
sera”, riuscì a rispondergli mentre la sua mente si preparava a quello che
avrebbe dovuto fare.
“Mi
chiedevo se avreste dei testi sulla pesca…”, disse lui guardandosi attorno
curioso.
Quel
dolore era brutto e la guardò ringhiando, sembrava sapere cosa potesse fargli.
E non lo voleva.
“No
signore, però…” Lo guardò, andando oltre il soprabito grigio spruzzato di
pioggia, il cardigan marrone, i capelli neri ormai radi, gli occhi verdi un
tempo brillanti. Guardò l’animo di quel l’uomo leggendo in lui come aveva letto
in migliaia di libri. “Ha mai letto qualcosa di Hemingway?”, chiese mentre il
dolore aggrappato all’uomo stringeva con maggiore forza.
“No…
non direi…” Era la colpa, una colpa che lo stava distruggendo. La sua anima si
stava lacerando e il dolore sarebbe stato presto insostenibile.
“Non
abbiate paura del dolore, o finirà o vi finirà”, mormorò Eris.
“Come
prego?”
“Niente,
citavo Seneca, non badateci. Dicevamo… ah sì, Hemingway… ho qui il libro che fa
per voi”, disse mentre lo prendeva dallo scafale. “Il vecchio e il mare”, affermò tendendoglielo.
Era
stato un incidente, un terribile incidente. Era in macchina e quel bambino era
sbucato dal nulla. Non aveva potuto fare niente.
“Va
bene, grazie”, disse l’uomo che aveva dato un’occhiata rapida al libro. Eris glielo mise in un sacchetto e poi gli diede il resto.
“Buona
serata signore”, gli disse.
“Grazie,
buona serata a voi”. L’uomo si voltò e lei si protese. Mani di pura luce si
allungarono e afferrarono il dolore dell’uomo strappandolo con forza da lui e tirandolo
dentro Eris.
Il
signore ansimò piegandosi verso terra.
“State
bene?”, chiese subito lei mentre lottava con forza per mantenere quel terribile
dolore nel suo petto.
“Io…
voi…”
“Avete
bisogno di un bicchiere d’acqua?”, gli chiese lei premurosa.
“No…
voi chi siete?”. L’uomo aveva le lacrime agli occhi, tremava, ma era il
sollievo a riverberare dalla sua figura.
“Io,
signore? Sono solo una commessa”.