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Autore: hemwings    13/09/2015    9 recensioni
|Newtmas|Ospedale psichiatrico AU|
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Non sapeva perché, ma Thomas indossava sempre delle fasce colorate. Insomma, aveva intuito qualcosa, dopotutto erano in un ospedale psichiatrico e se erano lì dentro, qualcosa dovevano aver pur fatto. Ma perché coprire quei segni, perché vergognarsene?
Ogni volta che Newt gli chiedeva di quelle fasce, Thomas le guardava, scrollava le spalle e diceva: “Non lo so, mi piacciono”
Genere: Angst, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cancelliera Ava Paige, Newt, Thomas
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Playlist.
I Found – Amber Run
Say Something – A Great Big World & Christina Aguilera
Down – Jason Waker
In My Veins – Andrew Belle
 


«Vedrai Newton, qui risolveranno il tuo problema»
I suoi genitori lo avevano lasciato lì così, con quella frase.
Sua madre torturava il suo fazzoletto di stoffa bianca piangendo e Newt ancora non capiva il perché delle sue lacrime. Era triste perché avrebbe dovuto lasciare il suo primogenito lì, in una gabbia di matti, o perché ormai aveva rovinato il buon nome di famiglia? Sapeva di aver condannato la sua famiglia alle derisioni dei loro concittadini. Sua sorella Sonya sarebbe stata lo zimbello dei suoi compagni di scuola, i colleghi di suo padre lo avrebbero guardato come si guardava un fenomeno da baraccone. E sua madre, la sua amata madre? Le donne pettegole della città le avrebbero parlato dietro le spalle, e solo perché suo figlio era matto.
Ma lui non era fuori di testa, no. Lui aveva solo quello che i suoi genitori definivano “un piccolo problema
Avevano varcato i cancelli dell’ospedale psichiatrico WCKD con estrema lentezza e i suoi genitori avevano parlato con la dottoressa Paige, poi suo padre gli aveva messo una mano sulla spalla e lo aveva salutato con un sorriso quasi di scuse.
“Vedrai Newton, qui risolveranno il tuo problema”
Si ma quale problema? Quello che vedeva, quello che sentiva, non era quello che lui avrebbe definito un problema. 
Anche lui aveva parlato con la dottoressa. Le aveva spiegato tutto quello che gli era successo in diciotto anni di vita, ciò che lo affliggeva, ciò che vedeva nella sua mente.
La dottoressa Paige lo aveva guardato negli occhi per tutto il tempo, mentre lui preferiva guardare quello che la donna aveva sulla scrivania. Fermacarte, fotografie incorniciate, vecchie cartelle aperte di pazienti, ormai usciti o deceduti. Ava Paige aveva ascoltato e aveva sorriso, poi, alla fine, lo aveva fatto accompagnare nella sua camera. Gli infermieri gli avevano fatto fare una doccia e gli avevano fatto cambiare i vestiti, perché alcuni di quelli che lui indossava lì non erano permessi.
Era lì da due settimane ormai, si ricordò. Due fottute settimane fatte di colazioni, pranzi e cene in solitudine, di incontri con la dottoressa Paige e con il dottor Janson, di infermieri che cercavano di fargli fare amicizia con gli altri pazienti, di scritte sui muri della stanza. Da quando era lì solo una paziente si era fatta avanti. Lei aveva i lunghi capelli neri e spettinati e gli occhi azzurri spenti. Si era seduta al suo tavolo e aveva detto: «Ciao, sono Teresa e sono pazza».
Newt aveva alzato lo sguardo dal suo toast e l’aveva guardata attentamente. «Non mi interessa» aveva detto e lei si era alzata, portandosi dietro il suo vassoio pieno di ciotole di latte e cereali. Cosa ci facesse con tutte quelle ciotole, per Newt era ancora un mistero.
Comunque, oltre a Teresa, nessun altro si era avvicinato a lui.
E a lui andava bene così.
 
Solo all’inizio della terza settimana lo vide per la prima volta.
Aveva lo sguardo perso, come se non conoscesse la maggior parte delle persone lì dentro e torturava le fasce nere che portava ai polsi.
Quello, si disse Newt, era il tipo di persona che lui non avrebbe mai voluto essere.
Il ragazzo doveva essere nuovo, anche se nessuno lo guardava con strano interesse e nessun infermiere lo scortava ad un tavolo. Aveva dei vestiti diversi dai suoi e da quelli degli altri pazienti e a Newt sembrò strano ma non disse niente.
I suoi occhi da cerbiatto vagarono per la stanza, poi si posarono su di lui. Newt lo guardò mentre avanzava verso di lui, stringendo i pugni.
«Questo è il mio tavolo» disse, sedendosi davanti a lui. «Chi ti ha detto che potevi stare qui?»
«C’è per caso scritto il tuo nome, scusa?» replicò il biondo, guardandolo con sfida.
Il ragazzo controllò il tavolo attentamente, finché non puntò il dito contro un angolo e sorrise beffardo. «Eccolo lì, quello è proprio il mio nome»
Anche Newt guardò quel punto. In grafia attenta e precisa era stato inciso “Thomas”.
«Non ci credo che ti chiami Thomas» disse Newt. «È stato solo un caso»
«Invece ti dico di no» ribatté l’altro.
Newt scrollò le spalle, guardandosi attorno. «Comunque sia non ci sono altri tavoli liberi, posso stare qui?»
Thomas lo guardò a lungo negli occhi, prima di schioccare la lingua contro il palato e sorridere. «Va bene, basta che non mi dai fastidio»
Newt riprese a mangiare il pollo nel suo piatto, mandando di tanto in tanto qualche occhiata a Thomas. Il ragazzo dai capelli scuri era troppo magro e pallido e gli sembrò davvero strano che nessuno lo controllasse.
«Ma tu non mangi?» decise di chiedergli dopo un po’.
Thomas sorrise, stirando le gambe sulla panca vuota. «Io faccio quello che voglio» rispose. «Se decido di non mangiare, non mangio»
«E nessuno ti controlla?» domandò allora il biondo.
«Fanno sempre come se non esistessi» replicò Thomas. «A me va bene, non mi piace quando gli altri vogliono controllarmi»
Newt moriva dalla voglia di fargli altre mille domande ma aveva paura di essere troppo ficcanaso. Voleva sapere delle fasce nere che gli coprivano i polsi, della sua camicia verde che non assomigliava per niente ai vestiti che indossavano gli altri, voleva sapere da quanto tempo fosse lì e perché lui non lo avesse mai visto.
«Posso vedere dalla tua faccia che muori dalla voglia di farmi l’interrogatorio» sentì Thomas ridacchiare, mentre gli rubava una carota dal piatto e faceva finta di fumarla.
«Questa roba è fantastica» disse, buttando fuori il fumo inesistente. «Sai perché le tagliano in questo modo?»
«No, non lo so»
Thomas rise, quasi a prenderlo in giro, e prese un’altra finta boccata. «Mi pare ovvio» cominciò, tirando lo stecchino arancione in terra. «Le tagliano così perché le carote fanno schifo»
«Non mi pare una risposta sensata» ribatté Newt, inarcando le sopracciglia.
Thomas lo guardò, poi si alzò e prese a camminare verso l’uscita.
Newt non ci rimase male. Dopotutto neanche lo conosceva, era solo un ragazzino petulante e fastidioso che non gli aveva neanche chiesto il nome. Secondo lui neanche si chiamava Thomas, aveva trovato quel nome scritto lì e aveva fatto finta che fosse il suo per appropriarsi del tavolo.
Ma Newt non era stupido, no. Non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da un ragazzino qualsiasi, neanche se era carino e aveva gli occhi da cerbiatto.
Scommise che con quegli occhi riusciva ad ammaliare tutti; forse era per quello che aveva vestiti diversi dagli altri e nessuno lo controllava. O forse era il cocco di tutti e gli infermieri sapevano che non avrebbe combinato niente; magari era lì da così tanto tempo che aveva una stanza lussuosa tutta per lui.
Quei pensieri lo accompagnarono per tutto il pomeriggio, aiutandolo a superare la giornata.
Thomas era la persona più strana che avesse mai conosciuto. Più strano di Teresa con le sue ciotole di latte e cereali, di Minho e i suoi labirinti e di Gally e le sue sopracciglia.
Non aveva fatto assolutamente niente per essere etichettato come “strano” ma Newt gliela vedeva negli occhi, quella scintilla di follia che lo aveva portato ad essere ricoverato lì.
«Allora, perché sei qui?» gli chiese Thomas tre settimane dopo il loro primo incontro.
«Non te lo dico» rispose Newt, mollando sul vassoio il secondo toast. «Tu perché sei qui?»
«Secondo te?» domandò l’altro, alzando le braccia per mostrare i polsi, quella mattina fasciati di verde.
Non sapeva perché, ma Thomas indossava sempre delle fasce colorate. Insomma, aveva intuito qualcosa, dopotutto erano in un ospedale psichiatrico e se erano lì dentro, qualcosa dovevano aver pur fatto. Ma perché coprire quei segni, perché vergognarsene?
Ogni volta che Newt gli chiedeva di quelle fasce, Thomas le guardava, scrollava le spalle e diceva: «Non lo so, mi piacciono»
Newt sapeva che quella non era una risposta sincera. Lui non era abbastanza degno di sapere il perché di quelle fasce colorate.
«Qual è il tuo colore preferito?» la voce di Thomas interruppe i suoi pensieri.
«Il blu scuro»
«Vuoi dire il nero»
«Voglio dire il blu scuro, come la notte. E il tuo?»
«L’arancione»
Newt aggrottò le sopracciglia e Thomas si mise a ridere. «Perché proprio l’arancione? A nessuno piace l’arancione»
«Perché l’arancione è il colore delle carote» rispose Thomas. «Mi piacciono le carote»
Newt nascose un sorrisetto ironico. «Tre settimane fa hai detto che le carote fanno schifo»
Thomas rimase qualche secondo in silenzio e Newt si rese conto di quello che aveva detto. Davvero si ricordava cosa aveva detto tre settimane prima, quando ancora pensava che fosse un ragazzino fastidioso? Di solito non ricordava neanche cosa aveva mangiato il giorno prima, figurarsi ciò che diceva qualcuno. Lui non prestava mai attenzione a quello che dicevano gli altri.
«Questo è quello che pensano gli altri» ribatté il moro. «Sai Newt, dovresti proprio far amicizia con altra gente, io tra poco me ne andrò e tu che farai qui, tutto solo?»
Perché era passato dalle carote a quello? Lui non voleva fare amicizia con qualcun altro. Thomas bastava e avanzava.
«Scusa devo andare a parlare con la dottoressa Paige»
 
«Allora Newton, hai fatto amicizia con qualcuno?» chiese Ava Paige incrociando le mani sulla scrivania.
«Non proprio» rispose il biondo, giocando con il bordo della sua maglia. «Però c’è un ragazzo, Tommy… lui è simpatico»
Newt alzò lo sguardo solo dopo qualche secondo di silenzio. Credeva che la dottoressa stesse prendendo appunti, ma questa lo stava guardando con un cipiglio confuso.  
«Tommy?»
«Si… uhm, Thomas, non so il cognome»
Le sopracciglia della dottoressa si inarcarono in sorpresa. «Thomas»
Newt annuì.
«Capisco» disse lei, anche se sembrava ancora piuttosto confusa. «Ti dispiace terminare qui la tua seduta, Newt?»
Lui scrollò la testa, incapace di dire altro. Si alzò e si diresse verso la sala comune, dove sapeva avrebbe trovato Thomas.
Non appena entrò, Gally gli si parò davanti e ridacchiò. «Lo sai perché le mie sopracciglia sono così?» chiese, indicando sopra gli occhi. Non diede il tempo a Newt di rispondere che ridacchiò di nuovo. «Sono stati gli alieni, me le hanno tirate finché non sono rimase così»
«Io invece credo che tu sia nato così, Gally» rispose Newt. «Non si possono tirare le sopracciglia»
«Beh, gli alieni possono, a quanto pare» replicò l’altro ragazzo.
«Sì Gally, hai proprio ragione»
Gally era ovviamente matto da legare, quindi decise che assecondarlo era il miglior modo per toglierselo dalle scatole.
L’altro ragazzo si allontanò e Newt si sedette nell’angolo più lontano dal gruppo di pazienti, quello davanti al pianoforte. Era così incantato a guardare i tasti d’avorio che non si accorse della comparsa di Thomas.
«Di cosa avete parlato, tu e la Paige?»
«Io e la dottoressa Paige abbiamo parlato di quelli che i miei genitori pensano siano problemi»
Thomas annuì lentamente, guardando il gruppo di pazienti. «Avete parlato di me?» quasi urlò, allegro, con gli occhi luccicanti rivolti verso di lui.
«No»
«Oh, va bene»
Lo sguardo di Newt si abbassò sui polsi di Thomas, fasciati di rosso.
«Hai cambiato le fasce?»
«Le cambio a seconda del mio umore» rispose l’altro. «Rosso significa che sono innamorato»
«Ti sei innamorato di Teresa?» chiese Newt. «Lo so che la guardi»
Thomas lo guardò insistentemente, mordendosi il labbro. «Oh Newt, non credevo fossi così ottuso»
Newt si sentì offeso. Nessuno poteva dargli dell’ottuso. Ma chi si credeva di essere, quel Thomas?
«Newt» lo richiamò il moro. «Credi ci si possa innamorare di un’allucinazione?»  
«No, Tommy, è impossibile» replicò il ragazzo più grande. «Non puoi innamorarti di qualcosa che non è reale»
Rimasero per il tempo restante in silenzio. Newt rimuginò sulle parole di Thomas. Il suo nuovo amico si era innamorato. Si stava già preparando a perderlo per sempre, quando Thomas lo guardò, di nuovo.
«Credo di essere innamorato di te»
«Non puoi, ci conosciamo solo da tre settimane»
«No, io sono sicuro di essere innamorato di te» si corresse. «Anzi, sono più che sicuro»
Newt scosse la testa, sorridendo. «E cosa pensi di fare, ora?»
«Baciarti»
«E se io non volessi?»
Thomas accarezzò piano i tasti del pianoforte. «So che lo vuoi»
Newt scrollò le spalle. «Perché porti quelle fasce?»
«Perché ho provato a suicidarmi e non voglio che tu veda ciò che ho fatto»
«E perché sono colorate?»
«Non ne ho idea. Ce le ho e basta»
Newt non sapeva perché le sue conversazioni con Thomas finivano sempre così all’improvviso. Semplicemente, il ragazzo si alzava e se ne andava, senza saluti, senza cenni, senza sorrisi. Così come arrivava, Thomas se ne andava.
 
Due settimane dopo Ava Paige lo aveva chiamato nel suo ufficio.
«Parlami del tuo amico Thomas» aveva detto, dopo avergli fatto cenno di sedersi sulla sedia davanti a lui.
«Cosa dovrei dire?»
«Com’è fatto, cosa provi per lui?» rispose la dottoressa. «Come si comporta con te?»
Newt sospirò. Cosa c’era da dire di Thomas? Che era incredibilmente affascinante, anche se era fin troppo magro e pallido? Che era strano, ma chi non lo era in quel posto?
«Beh, Tommy è… Tommy» cominciò, grattandosi il mento, pensieroso. «È alto, anche se non quanto me, ha i capelli scuri e gli occhi da cerbiatto e… non so cosa provo per lui, è tutto così strano»
«Si veste sempre diversamente da noi altri e porta sempre delle fasce colorate ai polsi» continuò. «E si comporta normalmente, anche se comincia le conversazioni dal nulla e se ne va all’improvviso, senza dire nulla. A volte fa delle domande strane e fa finta di fumare le carote ma… diciamo che mi piace»
La dottoressa Paige continuava ad annuire, scribacchiando cose sul suo taccuino.
«Quindi Thomas ti fa sentire bene» concluse la donna per lui.
«Potrebbe essere» rispose il ragazzo in modo vago. «Forse qui dentro è l’unico che mi fa sentire vivo»
 
«Credo di aver trovato l’amore dove non avrebbe dovuto essere» Thomas lo salutò così quella mattina, sfoggiando delle fasce color blu scuro ai polsi. «Sai che se cominci a parlare in modo sensato vai fuori di testa?»
«Quello che dici non ha senso, Tommy»
Thomas sorrise, quasi come se Newt avesse centrato il punto. «Esattamente, Newt» disse infatti. «Allora, perché sei qui?»
«Non te lo dico, è inutile che continui a chiederlo»
«Non è giusto, tu…» le sue parole furono interrotte dall’arrivo di un infermiere. «Newton, la dottoressa Paige vuole vederti»
Il biondo si alzò, guardando Thomas. «Allora ci vediamo dopo» disse il moro, schioccandogli un vero bacio sulle labbra. Newt arrossì di colpo e si allontanò, accorgendosi solo dopo che Thomas lo aveva salutato forse per la prima volta.
 
Sulla scrivania della dottoressa Paige, quella mattina, c’erano un fermacarte rosso, delle penne smangiucchiate e una vecchia cartella.
Non appena Newt entrò, la donna chiuse il fascicolo, guardandolo negli occhi.
«Accomodati» disse, sorridendo. «Newton, tu sai perché sei qui, vero?»
Newt parve confuso da quella domanda. Sapeva perché era lì? Certo, che lo sapeva, era lì perché i suoi genitori lo credevano fuori di testa. Quindi annuì, impercettibilmente.
«Prendi le tue medicine?»
«Certo, tutti i giorni, alla stessa ora»
Le labbra della dottoressa si stirarono in un piccolo sorriso. «Tu mi hai detto che Thomas ha i capelli scuri e indossa sempre fasce colorate ai polsi, giusto?»
Il ragazzo annuì nuovamente.
Ava Paige gli porse il vecchio fascicolo ingiallito. «È forse questo ragazzo?»
Newt diede solo uno sguardo alla foto, riconoscendo Thomas. «Certo, è lui, ma non è contro il regolamento mostrare le cartelle ad altri pazienti?»
La donna stirò le labbra. «Non di quelli che non ci sono più»
«Cosa vorrebbe dire?»
Con il capo gli fece cenno di leggere ciò che c’era scritto.
 
Thomas E.
nato il: 17 Maggio 1978 a: San Francisco, CA
deceduto il: 31 Ottobre 1995 a: Denver, ospedale psichiatrico WCKD
causa: suicidio
 
«Fu uno dei miei primi pazienti» disse, quando fu sicura che Newt avesse letto tutto.
«Vuole dirmi che Tommy è un fantasma?» chiese Newt, paonazzo.
Le lacrime avevano già cominciato a scendere. Thomas, il ragazzo con cui aveva passato le ultime cinque settimane, le settimane che dovevano essere le peggiori della sua vita, era morto. E da ben diciannove anni per giunta.
«No, Newton» rispose la donna. «Thomas è solo frutto della tua immaginazione»
«Non è vero»
«Tu soffri di una forma di schizofrenia che ti porta ad avere allucinazioni» ribatté lei. «Quando sei arrivato qui il fascicolo di Thomas era aperto sulla mia scrivania; tu devi aver visto la foto ed essertelo immaginato»
«Ma…» Newt ormai non riusciva più a contenere le lacrime. «Ma tutto quello che fa, tutto quello che dice. Come ho potuto immaginarmelo?»
«Lui diceva solo quello che avresti voluto dire tu»
«Ci si può innamorare di un’allucinazione?» ripeté Newt in un sussurro. «Cosa risponderebbe lei a questa domanda?»
«Che è impossibile, Newton»
«E se io mi fossi innamorato di lui? Di ciò che dice, di ciò che fa?»
La dottoressa lo guardò con serietà, chiudendo gli occhi per un attimo. «Allora ti sei innamorato di ciò che pensi tu»
Newt scosse la testa, le lacrime ancora scendevano sulle sue guance e andavano a posarsi sul fascicolo di Thomas, ancora aperto sulle sue gambe.
«Lui portava veramente le fasce colorate?»
«Si»
«E perché lo faceva?»
«Per non ricordarsi del gesto orribile che aveva fatto» rispose la donna. «I colori accesi lo rendevano molto allegro»
«E l’arancione era il suo colore preferito, vero?»
La donna annuì, sorpresa. «Già, perché è il colore delle-»
«-delle carote» la interruppe il biondo. «Vede? Lo conosco bene, non può essere tutto frutto della mia immaginazione!» esclamò. Non aveva intenzione di credere a quella donna. Doveva essere tutto uno stupido test, di quelli che facevano per vedere se eri fuori di testa o no.
«Io non le credo»
«Newton, il documento parla chiaro» disse decisa la donna. «Thomas non esiste più da diciannove anni»
Fu in quel momento che Newt lasciò uscire tutti i singhiozzi che cercava di trattenere. Pianse a lungo, guardando la foto di Thomas ancora appoggiata alle sue gambe, lo maledisse, come se tutta quella fosse colpa sua. Era tutta colpa sua, anche se lui era morto diciannove anni prima e non lo aveva mai conosciuto. Era tutta colpa sua, perché Newt si era innamorato di lui senza accorgersene. E lo odiava, perché non esisteva. Lo odiava, perché era tutto frutto della sua immaginazione.
E soprattutto lo odiava per averlo fatto andare del tutto fuori di testa.
 
 

 
Buonsalve!
Oh, si sono tornata. Era da secoli che avevo in mente questa idea ma non sono mai riuscita a trovare i personaggi giusti ma finalmente ieri mi è venuto il lampo di genio e sono riuscita a trascriverla. Che dire, ho sempre voluto scrivere di qualcuno che fa finta di fumare carote AAAAAH
Alla fine di questa storia vi sarete chiesti: ma quello di fuori di testa è Newt o hemwings? Ebbene, vi do la risposta giusta: IO. Io sono fuori di testa per avere delle idee così. E mi dispiace tanto, ma qualcuno una volta mi ha detto “perché fate tutti morire Newt? Fate morire Thomas ogni tanto!” E io l’ho fatto. In un modo tutto mio, ma l’ho fatto.
A proposito: non so molto bene come funzionino gli ospedali psichiatrici, né qui in Italia né in America, quindi molte cose me le sono inventate di sana pianta. Forse avrei dovuto informarmi di più, ma ieri ho scritto davvero tutto di getto, colpita da così tanta ispirazione che probabilmente non scriverò più niente per tre mesi.
Quiiiindi. Spero tanto che vi sia piaciuta e che non mi odierete.
Ringrazio soprattutto mia sorella EaterOfCarrots che mi ha consigliato, shezza, infintemoretz e tutto il #TeamCulopesche, anche se praticamente è come se non esistessi su quel gruppo, ma ogni tanto mi faccio sentire.
Spero lasciate qualche recensione e mi facciate sapere cosa ne pensate. È la prima volta che scrivo di tematiche delicate, quindi spero proprio non ne sia uscita una schifezza!
Ovviamente mi faccio pubblicità da sola, se avete voglia di passare da altre mie storie, ci sono 5 steps to make Thomas understand he is in love e Sing me to sleep.
Tornerò, non so quando, ma tornerò. Invaderò con così tante fanfiction questo posto che ad un certo punto mi chiederete di andarmene.
Un bacio,
-hemwings ♥
 
p.s. come al solito, i link dei miei social sono nella bio del profilo! 
  
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