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Autore: Lilmon    13/09/2015    1 recensioni
Su un pianeta molto lontano dalla Terra, un gruppo autoctono di seguaci di una dea oscura chiamata Xanfer commette una serie di delitti che apparentemente sembrano essere del tutto scollegati. Starà al protagonista districarsi in questo groviglio di vicoli ciechi, per giungere infine a un'atroce conclusione.
Genere: Mistero, Science-fiction, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Quando tutto era ancora un nulla informe e indefinito Esperbar, l'Unico, infranse il tetraedro di cristallo viola in cui si era generato per sua stessa volontà divina. Al di fuori di esso nulla aveva alcun senso d’esistere, perciò dai frammenti del minerale presero subito forma i suoi due fratelli Ektabar, lo Spazio, e Plessofer, il Tempo. Grazie a costoro Esperbar, in quanto essere esistente, fatto di corpo e anima, materia e spirito, imparò subito a percepire la sua esteriorità nello spazio e la sua interiorità nel tempo circostanti. Non appena Esperbar riuscì così a manifestare i propri pieni poteri, i due fratelli, Ektabar e Plessofer, iniziarono a piangere, riconoscendo che la vita era stata concessa loro dal fratello Esperbar e che dunque essi erano al tempo stesso maestri, ma anche allievi. E quando la loro gratitudine cessò di manifestarsi e i loro cuori si furono svuotati di ogni pia emozione, essi si accorsero che le loro lacrime si erano fuse in un'unica sostanza purissima e trasparente, che aveva preso la forma di una sfera. Colto da una caritatevole benevolenza, Esperbar decise di fare un dono ai due fratelli che lo avevano aiutato a riconoscersi: egli si avvicinò così alla sostanza inerte e, espirata parte del suo spirito, la trasferì nella sfera inanimata. Subito si udì un crepitio nel vuoto circostante e un tremito vitale incrinò la superficie della sfera, la quale iniziò vibrare e a ondeggiare, finché, dopo alcuni istanti, prese a sgretolarsi e a rimodellarsi in turbinii burrascosi, acquistando infine le sembianze di una bellissima dea; in tal modo nacque la prima figlia di Ektabar e Plessofer, che costoro chiamarono Ellasser, la Forza, o Spirito.

Così vissero per molti giorni e molte notti i quattro dei, ma la tenerezza che fiorì tra Ektabar e Plessofer continuava ad avvicinarli e presto iniziarono a nutrire amore l’uno per l’altra. Tale sentimento alimentò a lungo il fuoco dei loro spiriti, finché essi decisero di fondere le loro anime e in una fredda notte s'amarono, giacendo e godendo l'un l'altra delle proprie virtù. Da questa unione divina si generò il loro figlio primogenito Ordubar, ovvero la Riluttanza, o Pesantezza, conosciuta anche come Materia. Ma sul destino dei due fratelli iniziò a calare l’oscurità malvagia; Ellasser infatti prese a invidiare molto suo fratello, poiché sospettava che il legame che Ordubar possedeva con i genitori Ektabar e Plessofer, essendo di sangue, fosse più legittimo di quello che essi avevano con lei e che per tale ragione costoro amassero più lui che lei. Un giorno dunque Ellasser decise di mettere alla prova tale amore e, recatasi dal fratello Ordubar, lo ammaliò con parole deliranti, velenose e dolorose. Ordubar si lasciò convincere da Ellasser e la follia oscurò i suoi occhi; egli, estratta così una costola dal proprio corpo, fabbricò un pugnale in grado di penetrare la pelle di un dio e, impugnata l’arma, i due si recarono subito al cospetto di Ektabar e Plessofer. I due genitori, spiazzati, rimasero come pietrificati alla vista dello scempio compiuto dai due fratelli davanti ai loro occhi; Ordubar infatti aveva ormai già affondato la scintillante lama nelle bianche carni della sorella e una grande pozza di sangue divino irrorava il suolo sterile. Ektabar e Plessofer corsero subito dal figlio per strappargli di mano la crudele arma, ma costui, irrigidito come un macigno, aveva già fatto cadere l’arma in terra e l’orrore del suo gesto stava invadendo la sua mente deviata; poi i due dei si inginocchiarono a fianco della figlia, non curandosi del nero sangue che risaliva le loro candide vesti. Ma il colpo di Ordubar non recise completamente la vita della sorella, che agonizzante si stava crogiolando nella buona riuscita del suo piano malefico; e quando Esperbar giunse per riportare l’ordine ella fu la prima a tendere debolmente il suo dito verso il fratello. Ma come fu la prima a incolpare Ordubar, ella fu anche l’unica: i due genitori Ektabar e Plessofer si inginocchiarono dinnanzi al dio padre, implorandolo di risparmiare la vita al figlio Ordubar, il quale non sembrava più essere del tutto cosciente. Così Esperbar, dall’alto della sua magnificenza, ascoltò i suoi due fratelli e decise di non annientare Ordubar, ma di infliggergli una severa punizione, un supplizio: egli decise di incatenarlo per l’eternità.

Ma le suppliche che Ektabar e Plessofer fecero a Esperbar affinché Ordubar avesse salva la vita, sgretolarono l’animo già incrinato di Ellasser, la quale si sentì tradita un’ultima volta dai due genitori, che, ai suoi occhi, parevano curarsi solo del fratello. Così, pazza d'odio, per tutta la durata del processo di guarigione i suoi pensieri deviati aumentarono e affollarono sempre più la sua mente persa nel dolore, ed ella continuò così a maturare e a progettare trame sanguinose contro gli dei padri. Ciò che Ellasser ignorava però era di possedere parte dello spirito vitale di Esperbar, il quale per tale ragione riusciva a intuire debolmente i pensieri della dea. Da dopo il misfatto costui aveva iniziato a sondare la mente della nipote e quando infine si convinse che la parte del suo spirito che risiedeva in lei si era ormai corrotta e logorata, abbandonandosi totalmente all’oscurità, il dolore e il sangue erano ormai giunti alle porte. Egli decise perciò di riprendere possesso della sua piena forza, ma ormai Ellasser, ripreso il vigore di un tempo, aveva già concluso la sua prima mossa; giunta dal fratello Ordubar, con l’aiuto del pugnale recise le catene che da tempo immemore ormai stavano lacerando le sue carni e, liberatolo da quell’eterno supplizio, aveva condotto la sua mente a perdersi definitivamente nell’oscurità come la sua. Così, quando il possente Esperbar si presentò al cospetto dei due fratelli con l'intento di uccidere la dea, mentre ella, strisciando in terra come una nera serpe ricolma di veleno, lo supplicava di avere pietà e lasciarla in vita, suo fratello Ordubar, estratta la scintillante lama dal fodero maledetto, pugnalò il dio padre alle spalle. Esperbar dunque cadde in ginocchio, ma nessuna arma divina avrebbe mai potuto annientare la sua vita imperitura, perciò dopo pochi istanti, ripresosi dal vile volpo, si rialzò in piedi e, accecato dall’ira, vibrò un colpo poderoso verso Ordubar; l'oscurità perenne calò sugli occhi di ghiaccio del dio, il quale esplose in mille frammenti che si misero a vagare a grande velocità nell'universo. Quando poi Esperbar si volse alla dea per porre fine alla sua misera vita, ella era già fuggita alla sua vista e molto spazio ormai intercorreva tra i due nemici.

            Dall’unione del sangue traboccante d’ira di Esperbar e dell’arma maledetta prese forma una creatura del male, chiamata Xanfer, ovvero la Rovina, anche spesso detta Morte. Costei riuscì col passare del tempo a non far spegnere nell’animo di Esperbar quella stessa ira che aveva permesso la sua nascita, ma anzi ad alimentarla tanto da accecare la vista imparziale del dio. Esperbar quindi, sotto il rovinoso consiglio di Xanfer, decise di dare la caccia alla dea che aveva oltraggiato la sua figura di creatore e mantenitore della pace e che aveva portato morte e distruzione alle porte dei cieli delle divinità. Il dio decise perciò di servirsi dei grandi poteri dei fratelli Ektabar e Plessofer ma, rifiutandosi essi di collaborare all’uccisione della loro propria figlia, egli li incatenò ai piedi di Xanfer e impose loro il suo doloroso dominio. Così partirono i quattro dei alla ricerca della traditrice che tanto aveva osato contro di loro e Xanfer, sotto la severa sorveglianza di Esperbar, costringeva Ektabar e Plessofer a piegare lo spazio e il tempo al proprio volere al fine di rintracciare la fuggitiva. Ma il piano malvagio di Ellasser non era certo ancora giunto a conclusione; nessuno degli dei infatti sapeva che ella fosse incinta del fratello Ordubar e che nel suo grembo si stava sviluppando la più orrenda delle creature, una bestia nata dall'odio e non dall'amore, un mostro che, se avesse visto la luce del mondo, avrebbe minato alla sopravvivenza e alla stessa esistenza degli dei padri. Passò dunque molto tempo dall’atto sanguinoso di Ellasser a quando gli dei padri decisero la loro contromossa e giunse perciò anche il momento per la dea di partorire l'orrore che giaceva ormai da tempo immemore nel suo grembo e che rappresentava il culmine delle sue trame; esso si presentò sotto le candide sembianze di un’esile bambina che ella volle chiamare Arwafer, la Vita.

Un giorno però, quando Arwafer era ancora una piccola e gracile bambina, Ellasser, voltatasi all’indietro, vide in lontananza dei piccoli puntini di flebile luce che stavano costellando il nero orizzonte. Via a via che la fuga delle due dee proseguiva, queste piccole fiaccole divenivano ogni giorno più grandi, tant’è che parevano avvicinarsi a loro; e infatti dopo poco tempo, quando questi furono abbastanza vicini a loro, Ellasser e Arwafer intuirono che quella miriade di piccoli oggetti luminosi provenienti dallo spazio siderale che avevano scorto giorni addietro e che stava attraversando quelle lande desolate a una grandissima velocità, non era null'altro che un accozzaglia di porzioni del corpo del defunto Ordubar. Ellasser, colta dal panico, pensò quindi che se essi l'avevano raggiunta Esperbar, quantunque avesse preso ad inseguirla, non avrebbe dovuto trovarsi molto distante da loro; infatti ella percepiva ormai da tempo che il suo spirito si stava lentamente spegnendo e che, stilla dopo stilla, esso stava abbandonando il suo corpo per ritornare al proprietario primogenito. Dall’alto delle sue responsabilità verso la figlia Arwafer, la dea decise però di arrestare la sua corsa poiché perseverare nella sua fuga a nulla le sarebbe servito se non ad allungare la sua già lenta agonia. Ma la rabbia verso gli dei padri non si era spenta e, anzi, aveva ancora dimora nel cuore di Ellasser; perciò ella, conscia del fatto che Esperbar non avrebbe riposto la sua lama fatale nemmeno davanti alla piccola Arwafer, dopo aver trasferito nella figlia ciò che le rimaneva della forza del dio, depose costei su un frammento del fratello, affinché fosse celata alla vista di Esperbar e continuasse così, indisturbata, la sua folle corsa verso la libertà. Per l’ultima volta la madre vide così la figlia, che si stava allontanando da lei per sempre, verso l'infinità dell'universo.

Presto dunque Esperbar, furente, giunse al cospetto della dea; insieme a lui viaggiavano gli altri tre dei: mentre Xanfer, vigorosa, si ergeva potente dinnanzi alla condannata mostrando un malefico ghigno, emblema di vittoria, Ektabar e Plessofer invece nulla erano più se non pallide ombre dell'antico splendore che li aveva avvolti all’inizio dei tempi. Nemmeno quando Esperbar fu in procinto di annientare Ellasser i due vecchi genitori sembrarono curarsi di ciò che stava accadendo attorno a loro; il loro sguardo era ormai spento e vitreo e più nessuna luce riusciva a evadere dai loro occhi. Al contrario dei due fratelli Xanfer si compiaceva di quello che sarebbe stato di lì a poco il suo trionfo personale. E quando la vendetta divina fu compiuta, il nero sangue di Ellasser versato e l'ordine ristabilito, Esperbar, a braccia aperte, si eresse fiero come una statua di bianco marmo a capo degli ormai pochi dei superstiti. Ma qualcosa turbò il suo animo, che da innumerevole tempo non era saldo quanto il suo aspetto lasciava intuire che fosse; egli, dopo aver ucciso la dea, percepì infatti un chiaro segno dell’indebolimento del suo potere anticamente illimitato, sentì come una vibrazione nell'intera esistenza e solo in quel preciso istante si accorse di essere stato defraudato di una parte delle proprie forze. E proprio questa parte del suo potere risiedeva ormai in Arwafer, si era fusa con il suo spirito e dimorava nelle sue viscere, ma ella, lontana dallo sguardo di Esperbar, stava crescendo rigogliosa sugli antichi resti del padre.

Ma la natura di Arwafer sembrava essere tutt'altro che di matrice divina, ella non si crogiolava nel suo grande potere, non godeva appieno del respiro vitale di Esperbar che le avrebbe concesso di elevarsi al pari degli altri dei; Arwafer infatti non riconosceva di essere una divinità e, al contrario di quest’ultime, non provava attaccamento per il proprio potere. Ella ogni volta che incontrava quei freddi e spogli resti del venerando padre, che facevano capolino dall’infinità dell’universo, faceva dono a essi di una piccola parte del respiro di Esperbar affinché anch’essi potessero godere dei frutti della vita. Così, agli occhi degli dei padri, il disordine e il caos presero il sopravvento sull’ordine ferreo costituito da Esperbar all’inizio dei tempi, poiché Arwafer stava concedendo all’imperfetta materia inanimata quei tratti che erano puramente di carattere divino. Sembrava che non vi fosse alcuna fine a questo scellerato agire di Arwafer e Esperbar sentiva ogni giorno di più che il suo spirito si divideva in tanti piccoli frammenti sparsi per tutto l'universo, e più egli cercava di riconquistare il suo pieno potere, più questi si dividevano nuovamente, velocemente e incessantemente, divenendo una miriade di briciole sempre più piccole, innumerabile anche per un dio. Più il tempo passava e più nella mente di Esperbar si faceva strada la convinzione che non sarebbe mai riuscito a riottenere i suoi pieni poteri; nonostante, infatti, si servisse della sua amata Xanfer che, tramite la manipolazione che Ektabar e Plessofer compievano su tempo e spazio, cercava di separare e dividere, riunire e fondere i frammenti di spirito, essi, ormai plagiati da Ellasser, continuavano a sfuggire al suo controllo.

Fu dunque questo l'inizio di ogni disgrazia e di ogni patimento, l'inizio del prevalere del caos sull'ordine, della vittoria della caducità viziosa sull'eterna perfezione, ma soprattutto la storia di come la vita si sia dispersa nell'universo, sfuggendo al controllo del grande Esperbar.

 

  
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