Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Amor31    14/09/2015    5 recensioni
Il peso delle parole di Erwin è insostenibile.
Levi cerca di non pensarci, ma l’angoscia e il rimpianto esplodono quando sente Eren, Armin e Mikasa chiedersi se tutto potrà tornare alla normalità una volta vinta l’ultima battaglia.
Il dubbio che tormenta il Capitano, però, è un altro: riusciranno davvero a debellare la piaga dei Titani?
Oppure tutto finirà come allora?
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- ATTENZIONE! SPOILER PER CHI NON HA LETTO/VISTO "A CHOICE WITH NO REGRETS" -
- ATTENZIONE! MISSING MOMENT DEL CAPITOLO 72 -
*Storia classificatasi seconda al "Flash contest di fine estate - Affidatevi alla fortuna" indetto da Stareem sul Forum di EFP*
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Isabel Magnolia, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Al sorgere del sole

 

Il corridoio era deserto.
Levi constatò quel dato di fatto con noncuranza e s’incamminò verso sinistra. Si era appena richiuso alle spalle la porta della sala riunioni, ma al suo interno aveva lasciato una porzione del suo cuore. Sì, perché ascoltare le parole per nulla rassicuranti di un Erwin pronto a tutto pur di scoprire la verità sui maledetti Titani non faceva altro che impensierirlo e agitarlo. Cosa ne sarebbe stato di loro – tutti loro – se la missione non fosse andata a buon fine?
Era inutile rispondersi. Conosceva perfettamente quale sarebbe stato il loro destino in caso di disfatta e non aveva alcuna intenzione di rovinarsi ulteriormente la cena continuando a rimuginarci sopra. Non dopo aver inutilmente discusso con il proprio Comandante.
Quando raggiunse il capannone della mensa, fu accolto da un inaspettato clamore. Sorreggendosi sulle punte dei piedi, cercò di sbirciare oltre le schiene degli altri soldati, troppo impegnati ad osservare qualcosa per accorgersi del suo arrivo, e finalmente, facendosi strada, poté assistere allo spettacolo che stava riscuotendo tanto successo.
Eren e Jean stavano litigando. Non che fosse una novità, d’altra parte, ma questa volta erano giunti alle mani. Levi li guardò per poco meno di un minuto, tenendo un sopracciglio alzato; si domandò se al mondo esistessero due ragazzi più stupidi di quelli che si stavano picchiando davanti ai suoi occhi e scosse la testa. Un secondo dopo, aveva mandato al tappeto entrambi i contendenti, che adesso rotolavano per terra cingendosi l’addome con le braccia.
-Pulite questo casino-, disse a denti stretti, scoccando un’occhiataccia anche a chi non si era preso la briga di separare i due compagni di Squadra. -E andate a dormire-.
Ci fu un fuggi fuggi generale e l’uomo represse un sorriso di soddisfazione. Non poteva ammetterlo ad alta voce, ma era sempre felice di sapere che i suoi sottoposti lo temevano abbastanza da obbedire ad ogni suo ordine, anche il più assurdo. Si avvicinò al tavolo degli altri Capi Squadra e sedette di fronte ad Hanji, intenta a gustare la prima delle due fette di carne che le erano state servite.
-Ci sei andato giù pesante, eh?-, gli disse, versandogli dell’acqua nel bicchiere ancora vuoto.
-Non quanto mi sarebbe piaciuto-.
-Ah, sei il solito. Mangia, piuttosto; ci siamo impegnati parecchio per avere questa carne-.
-Immagino-, annuì lui, senza ascoltarla davvero. Le parole risolute di Erwin continuavano a echeggiare nella sua testa e aveva completamente perso l’appetito. Si costrinse a bere e a masticare qualche boccone, ma non ne percepì nemmeno il sapore.
-Qualcosa non va?-, gli domandò Hanji, osservandolo con attenzione. Aveva poggiato i gomiti sul tavolo e aveva incrociato le mani sotto il mento nella tipica posa di chi ha intuito qualcosa e aspetta di sapere se ha colto nel segno; Levi ricambiò il suo sguardo indagatore, ma non rispose subito.
-Niente di particolare, quattrocchi. Sto solo pensando al piano-.
-Cos’è che non ti convince?-.
-La testa dura del nostro Comandante-.
Hanji sorrise. Riprese coltello e forchetta e ricominciò a tagliare la carne, infilzandone un pezzetto e masticando a bocca aperta: -Conosci Erwin. Fidati di lui-.
-Non è questione di fiducia-, replicò Levi con un sibilo, -ma di sicurezza-.
-E…?-.
-Potresti guidare tu la spedizione-.
-Potrei-, concordò la donna, sollevando distrattamente gli occhi al cielo.
-Lo farai?-.
Il tono della sua voce era teso come mai prima di allora e temette che Hanji se ne potesse accorgere. Attese con ansia la sua risposta e tentò di non metterle fretta, anche se in quel momento avrebbe voluto afferrarla per il bavero della camicia e scrollarla nella speranza di sollecitare le sue parole.
-No-, si sentì dire.
-No?-, ripeté.
-Il Comandante non me lo ha ordinato. Io non sarò alla testa dell’esercito-.
La risolutezza con cui Hanji aveva sillabato quella frase lo gelò. Per alcuni istanti Levi la fissò continuare a mangiare come se nulla fosse, chiedendosi se anche lei non avesse paura di ciò che poteva accadere; si riscosse, deglutendo a sua volta un altro boccone e bevendo un ultimo sorso d’acqua.
-Te ne vai?-, gli domandò la donna, vedendolo alzarsi e fare il giro del tavolo.
-Sono stanco-, ribatté e pensò che non ci potesse essere definizione migliore per il suo stato d’animo. Stanco fisicamente, ma soprattutto mentalmente.
-Ci vediamo domani, allora-, lo salutò Hanji, sollevando la mano che brandiva la forchetta. -Riposati-.
“Se solo fosse facile…”, si disse lui, voltandole le spalle e uscendo dal refettorio con passo pesante.
L’aria fresca della sera soffiò sulle sue guance scavate, costringendolo a stringere ancor di più gli occhi. Alzò la testa e scrutò per un momento il cielo, sereno e puntinato delle prime stelle, poi si allontanò in direzione dei dormitori.
Diversamente dal solito, Levi prolungò la sua camminata passando dietro il campo utilizzato per l’addestramento quotidiano. Fiancheggiò le due costruzioni in legno che fungevano da rimesse e girò a destra, ritrovandosi tra la caserma e un piccolo bar gestito da un militare ormai in pensione. Fu sul retro del primo edificio che si bloccò.
-Sono felice che siamo riusciti ad incontrare l’Istruttore-, stava dicendo una giovane voce maschile, che Levi riconobbe subito. Insolitamente preso dalla curiosità, decise di avvicinarsi, nascondendosi dietro il porticato che circondava la caserma. Rimase nell’ombra, in ascolto, e sedette a terra per non perdersi neanche una parola.
-Ero geloso-, Eren continuava a parlare, -mi sentivo inutile perché non ero capace di essere come te, Mikasa, o il Capitano. Eppure né tu né lui potete combattere da soli. È il motivo per cui ognuno di noi deve trovare il suo ruolo. Insieme possiamo combinare le nostre abilità per essere più forti-.
Al riparo nel buio, Levi annuì con un deciso cenno della testa. Sentir parlare in quel modo il ragazzo lo rassicurò un po’ su quello che probabilmente sarebbe stato il suo comportamento nel corso della spedizione. Si era espresso come una persona matura e questo era un bene.
Ci fu uno scambio di battute tra Eren e Armin, ma avevano abbassato il tono della voce e Levi non riuscì a capire cosa si fossero detti. Comprese perfettamente, però, ciò che dopo alcuni minuti di silenzio aggiunse Mikasa: -Quando avremo riconquistato il Wall Maria e sconfitto tutti i nemici, ogni cosa tornerà come prima?-.
Il Capitano fremette. Le parole della ragazza avevano squarciato una ferita non ancora rimarginata e di colpo i suoi pensieri si fecero confusi. Ricordi lontani si accavallarono l’uno sull’altro in un vortice di colori, lacrime e sangue di cui l’uomo avrebbe voluto potersi liberare una volta per tutte. Chiuse gli occhi, passandosi le mani tra i capelli e stirando dolorosamente alcune ciocche, sperando di riuscire a ricacciare indietro le immagini che gli affollavano il cervello. Non ci riuscì.
Di colpo fu catapultato di nuovo a quel giorno.

 

***

 

Mancavano tre giorni alla sua prima spedizione fuori dalle Mura. Non aveva bisogno che qualcuno glielo ricordasse, ma il Capo Squadra Fragon non faceva altro che ripeterglielo, forse per intimorirlo. Che andasse al diavolo! Dopo l’inferno vissuto nella Città Sotterranea, non sarebbero stati i Titani a spaventarlo. E poi, aveva una missione da portare a termine: non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di uccidere Erwin e recuperare i documenti richiesti dal nobile Lobov.
La milizia aveva finito di cenare da circa mezz’ora e i superiori avevano ordinato che tutti andassero a dormire. Levi, però, entrato da poco nell’esercito e restio a eseguire ciò che gli veniva imposto, aveva deciso di prendere una boccata d’aria. Era una delle cose più liberatorie che poteva fare, ora che si trovava in superficie, e aveva preso l’abitudine di incontrarsi con Isabel e Farlan sul torrione della piccola fortezza utilizzata come Quartier Generale del Corpo di Ricognizione per starsene in santa pace, lontano dalle angherie degli altri soldati e dagli scherni di chi, come Fragon, si riteneva migliore di tre giovani cresciuti nel sottosuolo.
Salì la scala a chiocciola che conduceva fino alla cima della torre e si fermò di fronte alla porta che dava sull’esterno. La esaminò con attenzione e si guardò intorno: dei suoi due amici non c’era ancora traccia. Che avessero seguito gli ordini e fossero andati a letto? Ma no, glielo avrebbero detto. Il problema adesso era un altro e cioè le grigiastre macchie di muffa che costellavano il legno della porta. Lui avrebbe dovuto toccare quella cosa? Con le sue mani? Non se ne parlava!
Frugò nel taschino della giacca alla ricerca di un fazzoletto, ma non lo trovò. Fissò ancora il legno fatiscente e inspirò profondamente, tendendo le mani e afferrando il batacchio di ferro. Lo sollevò, fece scattare il meccanismo e alla fine si risolse a dare un calcio alla porta, che si spalancò con un fastidioso stridio. Immediatamente una folata di vento lo abbracciò, facendolo rabbrividire, e Levi, sfregatosi le mani nel vano tentativo di pulirle, si strinse nella giacca, muovendo i primi passi sul torrione.
-Fratellone! Ti stavo aspettando!-.
Una squillante voce femminile attirò la sua attenzione; strizzò gli occhi nel buio e distinse una figura sottile seduta sulle merlature della torre. La ragazza aveva alzato un braccio e lo stava ancora agitando, facendogli segno di avvicinarsi. Levi sbuffò.
-Perché non hai lasciato aperta la porta?-, chiese, gettando un’occhiata alle proprie spalle.
-Non volevo che qualcuno si accorgesse che sono salita di sopra. A quest’ora dovremmo già essere a dormire, no?-.
-Avresti potuto semplicemente accostarla. Sarebbe stato più facile…-. S’interruppe. Si era avvicinato alla ragazza e solo allora notò che mancava ancora qualcuno all’appello. -Dov’è Farlan?-, domandò ancora, restando in piedi accanto alla giovane.
-Oh, ha avuto un imprevisto. Tu eri già uscito dalla mensa, perciò non hai sentito: Fragon lo ha messo di guardia nel sotterraneo. Non so esattamente il perché, ma pare che fosse importante. Domani mattina gli chiederemo di cosa si trattava. Dai, vieni a sederti-, lo invitò Isabel.
-Perché non smetti di appollaiarti sulle merlature come un piccione?-, fece Levi, ben consapevole che la ragazza si sarebbe risentita.
-Magari fossi un piccione!-, esclamò in risposta lei, allargando le braccia. -Volerei in alto, sempre più su…-.
-Se non presti attenzione volerai giù, altro che uccelli-.
L’afferrò per un braccio e la costrinse a rimettere i piedi sulla solida pavimentazione del torrione. Isabel protestò ancora per qualche secondo, ma alla fine si calmò e sedette per terra, incrociando le gambe e fissando il cielo. Levi la imitò subito dopo.
-Certo che ne sono successe di cose, eh, fratellone?-, disse distrattamente. Lui si limitò ad annuire in silenzio e la giovane continuò: -Alla fine ce l’abbiamo fatta. Siamo passati ai piani alti-.
-E dobbiamo rimanerci, ad ogni costo. Non tornerò in quella topaia, fosse anche l’ultimo posto rimasto sulla faccia della terra-.
Strinse i pugni che teneva poggiati  sulle ginocchia e ripensò brevemente a tutto ciò che era stata la sua vita prima di essere arruolato da Erwin Smith. Quel maledetto biondino lo aveva cacciato in un bel guaio, ma in fondo non poteva non ringraziarlo per avergli permesso di salire in superficie.
-La Città Sotterranea è così diversa dal mondo di sopra-, sentì sospirare Isabel, presa a contemplare le stelle. -È tutto così buio, sporco, povero… Non c’è cibo, non c’è acqua. La gente muore agli angoli delle strade e chi sopravvive ha un cuore vinto dall’egoismo; sembra quasi che le persone abbiano dimenticato cosa significhi amare-.
Levi si voltò a guardarla. Il viso della ragazza veniva a tratti illuminato dal pallido spicchio della luna, che fino ad allora era rimasta completamente nascosta dietro una coperta di dense nuvole grigie. Forse l’indomani sarebbe arrivata la pioggia: quello sarebbe stato un bell’imprevisto per l’allestimento della spedizione. Il Capo Squadra Fragon aveva detto che, in caso di cattivo tempo, le operazioni fuori dalle Mura sarebbero state sospese e rimandate a data da destinarsi; questo significava che anche l’uccisione di Erwin sarebbe stata posticipata. Quello era l’inconveniente che più infastidiva Levi.
-Isabel, cosa ne puoi sapere tu dell’amore?-, ribatté.
-Quanto basta-, si limitò a dire la ragazza.
-Voglio proprio conoscere l’idiota che ti gironzola intorno-, affermò con tono scettico Levi.
-Non c’è nessuno!-, esclamò lei, girandosi e assestandogli una gomitata. Alla luce perlata della luna, lui notò le sue guance rotonde colorirsi della stessa sfumatura dei suoi capelli.
-Meglio così-.
-Fratellone?-.
-Uhm?-.
-Se conoscessi un ragazzo, tu daresti la tua approvazione?-.
-Che razza di domanda è questa?-, chiese, colto di sorpresa.
-Sì o no?-.
I grandi occhi verdi di Isabel erano spalancati e fissi nei suoi. Levi vi colse un pizzico di imbarazzo, ma nulla di più: -Solo se è un tipo affidabile come Farlan. Altrimenti userò la sua lingua come uno straccio per pulire il pavimento-.
La ragazza si sciolse in uno di quei grandi sorrisi che le illuminavano il viso e riprese a guardare il cielo. Levi, dal canto suo, nascose un ghigno malevolo al pensiero di pestare a sangue chiunque avesse osato ferire Isabel.
-Dicevo…-, continuò lei, senza staccare gli occhi dalle stelle. -Ci sono molte differenza con il mondo in superficie. Qui c’è il sole, la pioggia, la vita. Il soffitto che abbiamo sulla testa è questo splendido cielo, non terra e roccia; c’è il vento che ti scompiglia i capelli, il profumo dell’erba e tanti, tantissimi colori. Le persone sono felici e hanno a disposizione tutto ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere. L’aria aperta è libertà. Chissà com’è il mondo oltre le Mura?-.
Levi rimase in silenzio. Ascoltò la voce della brezza, improvvisamente fattasi più impetuosa, e spinse lontano lo sguardo, fino ad incontrare il limite di cui parlava anche Isabel. Scrollò le spalle: -Mancano appena tre giorni-, le disse. -L’esterno ci aspetta-.
-Vinceremo, non è vero? Insieme sconfiggeremo tutti i Titani e poi ce ne andremo via da qui!-.
La ragazza scattò in piedi, gli occhi che sprizzavano fiamme di puro entusiasmo, e lo guardò: -Non credi anche tu che ce la faremo?-.
Levi rispose a quell’occhiata reclinando appena la testa, come per dire che non gli interessava poi tanto: -Mi preme di più vedere Erwin Smith affogare nel suo stesso sangue, sinceramente-.
-Ma fratellone-, protestò Isabel, tornando a sedere e avvicinandosi di più all’amico, -sei proprio convinto che il momento più propizio sia durante la spedizione? Daremo nell’occhio, se ci dovessimo separare dal resto del gruppo a cui ci hanno assegnati. E non sappiamo ancora se effettivamente porta sempre con sé i documenti. Magari Farlan non ha cercato bene…-.
-Mi ha assicurato di aver messo a soqquadro l’intera stanza-, la fermò Levi, stavolta con tono spazientito, -eppure non sono saltati fuori. Deve nasconderli nella giacca, quel maledetto bastardo-.
Scosse la testa e si passò una mano sul viso. Isabel seguì ogni suo gesto con lo sguardo.
-A me basta che siamo insieme-, disse lei con sincerità. -E che, quando torneremo dalla missione, potremo di nuovo guardare queste magnifiche stelle. Ora che siamo in superficie, non voglio rinunciarci per nessuna ragione al mondo-.
Levi evitò di commentare il desiderio della ragazza; non aveva alcuna voglia di prenderla in giro, neanche per il solo piacere di stuzzicarla, visto che condivideva il suo stesso pensiero. Si limitò a restarsene zitto, osservando a sua volta il cielo. E proprio mentre contemplava decine di costellazioni di cui ignorava il nome, sentì una piccola, calda mano posarsi spontaneamente sulla sua, a contatto con la fredda pavimentazione del torrione.
Senza scomporsi, ma percependo un tuffo al cuore, sbirciò in basso con la coda dell’occhio e notò le dita di Isabel sfiorargli le nocche. Un barlume di disagio lo fece sussultare e pian piano mosse la mano fino a ritrarla.
Lei lo lasciò fare, per nulla stupita: lo fissò dritto negli occhi, rinvenendo sul suo viso un’espressione a metà tra il sorpreso – e lo era, lo era davvero – e l’infastidito, poi scoppiò a ridere. Rise così tanto da stringersi la pancia con le braccia, mentre Levi ricambiò lo sguardo senza riuscire a capire cosa fosse esattamente successo.
-Fratellone, sta’ tranquillo!-, esclamò Isabel, soffocando una nuova ondata di risa. -Non temere, mi sono lavata le mani. Non contrarrai nessuna malattia-.
Nonostante fosse buio, eccezion fatta per i deboli raggi lunari che faticavano a trapelare tra le nuvole, le pupille di Levi si dilatarono. Ascoltare la battuta della ragazza ebbe su di lui uno strano effetto: si sentì quasi ferito nell’orgoglio. Per alcuni secondi aspettò che le risate della giovane si placassero, poi finì per borbottare qualcosa che l’amica non riuscì a cogliere.
-Come, scusa?-, gli domandò, asciugandosi le lacrime che le avevano irritato gli occhi.
-Non è quello, il problema-, ripeté più forte, tenendo lo sguardo puntato a terra. -Sei una sciocca se pensi che mi sono scostato a causa di un motivo tanto idiota-.
Non notò il mezzo sorriso che aveva increspato le labbra di Isabel. Non prestò attenzione neppure alle occhiate di sottecchi che lei gli rivolse. Si concentrò solo sul silenzio che era tornato a regnare nell’aria.
-Prendi la mia mano-.
Il respiro di Levi si bloccò. Sentì la schiena irrigidirsi e un brivido solleticargli spiacevolmente il viso, prima di girarsi a guardarla.
-Cosa…?-.
-Prendi la mia mano-, disse ancora la ragazza, mostrandogli la sinistra che poco prima si era posata su di lui. -Ho bisogno di sentirti accanto a me. Perché quando il fratellone mi è vicino, ho la certezza che tutto andrà bene-.
Si spostò verso Levi e con un briciolo di esitazione poggiò la testa sulla sua spalla, aspettandosi che si ritraesse di nuovo. Stavolta, però, non fu così.
-Resteresti con me, stanotte?-, aggiunse. -Vorrei guardare la notte che lascia spazio al giorno. Non ho mai visto l’alba-.
Seppur scosso, Levi annuì a quella richiesta. Lasciò che Isabel si accoccolasse contro di lui e la ragazza gli si aggrappò al braccio destro, trovando tepore e riparo dall’aria fresca della sera. Rimasero in quella posizione per un tempo che nessuno dei due avrebbe saputo determinare, senza osar parlare. Sopra di loro, le stelle sembravano brillare con più forza e le nubi si erano finalmente diradate, lasciando posto anche al sorriso sbilenco della luna.
Quando Levi si decise a voltarsi lievemente verso la ragazza, prestando attenzione a non disturbarla, si accorse che si era addormentata. La bocca di Isabel era socchiusa e il suo respiro si condensava in piccole nuvolette di vapore; le palpebre, gonfie per la stanchezza accumulata nel corso della giornata, si erano rilassate, dando così a Levi la possibilità di soffermarsi sulle lunghe ciglia nere. Sentì il corpo della giovane venir scosso da un tremito che gli fu trasmesso attraverso il contatto tra le loro braccia e con una naturalezza che non gli parve da lui si arrischiò a cingerle le spalle, accarezzandole la schiena nella speranza di riscaldarla un po’.
Lui e Isabel non erano mai stati tanto vicini. Al contrario di quanto si aspettasse, non se ne crucciò affatto, anzi: teneva stretta a sé la persona a cui più teneva al mondo e per un istante si illuse che quella nottata di pace potesse durare per sempre. Osservò l’espressione rasserenata della sorella – la sua sorellina minore, come adorava definirla nei suoi pensieri – e non riuscì a nascondere un sorriso che lasciava trasparire vera tenerezza: reclinò la propria testa su quella di Isabel e fu in grado di inspirare l’odore dei suoi bei capelli rossi, finalmente puliti e lucenti dopo anni in cui la giovane era stata costretta a lavarli con l’acqua piovana che gli abitanti della Città Sotterranea raccoglievano in grandi cisterne putrescenti; notò un ciuffo ricaderle fin sugli occhi e con gentilezza glielo spostò dietro l’orecchio, attento a non svegliarla.
In un secondo gli venne naturale pensare che Isabel era davvero bella. Bella e allo stesso tempo così piccola, bisognosa di protezione come in occasione del loro primo incontro. Era inutile che la ragazza cercasse sempre di fare la voce grossa per sembrare grande e forte: la verità era che si sarebbe sentita sperduta se non avesse avuto al proprio fianco i due ragazzi che ormai considerava propri fratelli. E Levi, dal canto suo, la adorava, anche se non gliel’aveva mai detto esplicitamente; preferiva tenere quella considerazione per sé, nel timore di poter apparire uno sciocco sentimentale ammettendolo ad alta voce.
In quella notte sempre più fredda, continuò a tenere stretta sua sorella, mentre sentiva gli occhi farsi più pesanti a causa del sonno che stava cercando di scacciare. Si assicurò che Isabel avesse smesso di tremare e poi, in un sussurro che non fu certo di essersi davvero lasciato scappare, prestò un giuramento che la ragazza non udì mai: -Farò di tutto per proteggerti. Ti prometto che saremo liberi: porteremo a termine la nostra missione e ce ne andremo via da qui, lontano da tutti. Saremo solo tu, io e Farlan. Liberi come non lo siamo mai stati-.
Le sue parole vennero soffocate dalla stanchezza, che alla fine ebbe la meglio. Levi si rifugiò in un sonno senza sogni che durò per quelli che, al risveglio, gli parvero essere stati solo una manciata di minuti. Dischiuse con fatica le palpebre, sentendo la schiena scricchiolare per colpa della posizione scomoda a cui si era costretto, e distinse poco per volta il panorama che aveva davanti.
La notte si stava ritirando, lasciando posto ad un nuovo giorno. Il sole non era ancora sorto, ma all’alba non doveva mancare poi molto. Rimase in attesa, godendosi la pace che lo circondava; qualche minuto più tardi, finalmente, decise di svegliare Isabel.
-Ehi!-, la chiamò, scuotendola dolcemente. -Apri gli occhi. Non vorrai perderti lo spettacolo!-.
La ragazza non reagì prontamente. Emerse dal sonno con calma, prendendosi tutto il tempo necessario: sul suo viso, segnato dal torpore, si susseguirono prima espressioni di smarrimento, poi di sorpresa.
-Siamo davvero rimasti qui fuori per tutta la notte?-, chiese, mentre la domanda si trasformava in un sonoro sbadiglio.
-Pare proprio di sì-, annuì Levi. -Vedremo se ne è valsa la pena-, aggiunse, indicando un punto lontano con un semplice cenno della testa.
Isabel si alzò, si sgranchì le gambe camminando sul posto e si sfregò energicamente le braccia infreddolite; quando si sentì meglio, tornò a sedersi.
-Sono un po’ emozionata-, ammise, portandosi le mani alla bocca e riscaldandole con il proprio fiato. -L’alba deve essere un momento speciale-.
-Come una rinascita-, Levi completò la frase. -E noi siamo qui, pronti ad assistere all’evento. Ma ti prego, niente strepiti-, la ammonì bonariamente, scompigliandole i capelli già disordinati.
-Va bene, va bene-, fece lei. Incrociò le braccia sul petto e aspettò ancora, osservando il cielo.
Le stelle si stavano spegnendo poco per volta. I due ragazzi le potevano contare sulla punta delle dita. L’unico astro che continuava a brillare con la stessa, immutata intensità si presentava ai loro occhi come un minuscolo puntino che, sovrastando le Mura ad est, aveva la forza di risaltare nel cielo nonostante questo si stesse schiarendo sempre di più.
-Guarda!-, esclamò di colpo Isabel, puntando l’indice verso l’orizzonte. -Fratellone, guarda!-.
L’attenzione di Levi non aveva bisogno di essere richiamata: era impossibile distrarsi, quando si era in presenza di uno spettacolo tanto magnifico.
Di fronte a loro, i raggi del sole stavano provando a superare la barriera costituita dal Wall Sina; dietro quei cinquanta metri di pietra, la luce doveva aver già svegliato ogni angolo della terra. Tra poco avrebbe raggiunto anche il torrione su cui si trovavano e finalmente avrebbero potuto contemplare una nuova sfaccettatura del mondo.
-Sta arrivando-, disse Isabel, la voce impastata della stessa emozione che poco prima aveva provato a descrivere. Levi, immobile alla sua sinistra, spostò lo sguardo dall’orizzonte alla ragazza e notò i suoi occhi sgranarsi di secondo in secondo: si rallegrò dello stupore che addolciva i tratti del suo viso, ma ancor di più fu felice di osservare la luce dorata del sole riflettersi in quelle iridi di giada. E avrebbe ammirato il panorama proprio attraverso lo specchio dei suoi occhi, se la ragazza non lo avesse richiamato di nuovo, costringendolo a voltarsi.
Quando si girò, lo vide: il sole stava facendo capolino oltre le Mura, allungando sul terreno l’ombra della barriera. Si stava sollevando lentamente, superbo, fiero della propria bellezza, come se volesse farsi un vanto degli sguardi che i due ragazzi gli rivolgevano; illuminò i tetti della capitale, filtrò nelle finestre e diede il buongiorno ai cittadini, svegliandoli con il tiepido bacio dei suoi raggi. Scaldò l’aria e spazzò via il blu della notte, lasciando posto ad un cielo tinto d’oro, rosso e rosa. Infine, si lasciò abbracciare dalle esili braccia che Isabel aveva spalancato nella speranza di poter trattenere quella luce che sapeva di magia.
-Il mondo è ancora più bello prima che sorga il sole-, mormorò lei. Il sorriso che si era aperto sulle sue labbra non l’avrebbe più abbandonata.
Levi non sarebbe potuto essere più d’accordo: l’alba portava davvero con sé qualcosa di speciale. E tutto, sotto quei vividi raggi aranciati, sembrava acquistare un nuovo valore.
-Un giorno lo vedremo nascere direttamente dall’orizzonte-, aggiunse Isabel dopo un minuto di estatico silenzio. -Non ci saranno più le Mura ad ostacolarci la vista e non avremo più nemici da combattere. Fratellone, mettiamocela tutta durante la spedizione!-, disse, scattando in piedi e sollevando in alto il pugno destro in segno di trionfo.
Levi la osservò e sentì l’angolo della bocca piegarsi in un piccolo sorriso. Annuì con un battito di ciglia, senza proferire una singola sillaba. Voleva godere di quel momento e seppe di averlo vissuto appieno in compagnia di sua sorella.
Tre giorni più tardi avrebbe assistito ad una nuova alba, ma sarebbe stato completamente diverso. Perché le sfumature del cielo non avrebbero simboleggiato un preludio alla vittoria, ma gli avrebbero ricordato il colore del sangue che Isabel e Farlan avevano perso in una battaglia vana come le tante altre a cui lui, invece, avrebbe continuato a prendere parte.

 

***

 

Levi sussultò. Il discorso tra Eren, Armin e Mikasa aveva innescato memorie di un passato non troppo lontano che ancora faceva male. Le parole di sua sorella e la fiducia con cui le aveva pronunciate tornarono ad echeggiare nella sua testa, martellando ritmicamente come un tamburo.
Quante cose erano cambiate da allora?
Adesso Levi era uno dei capi dell’esercito, con una Squadra specializzata al suo comando, ma non aveva più accanto a sé la sua famiglia, Isabel e Farlan. Era tornato vivo da tutte le spedizioni a cui aveva partecipato, ma i Titani continuavano ad essere la più grande minaccia per il genere umano. Infine, era cambiata una cosa fondamentale: non sperava più di vedere Erwin steso in una pozza del suo stesso sangue, ma pregava il Dio in cui non aveva mai creduto affinché l’uomo non morisse nel corso dell’ultima battaglia che si apprestavano ad affrontare. Perché, se fosse morto, se ne sarebbe andato anche l’ultimo briciolo di umanità depositato nel cuore di Levi.
Ancora nascosto nell’ombra, aspettò che i suoi tre sottoposti se ne andassero. Colse solo vaghe frasi del loro discorso, ma non se ne curò affatto. Sentiva la testa andare a fuoco, presa com’era da pensieri, preoccupazioni, ansie, rimpianti. In particolare, stava cercando in tutti i modi di dissipare il ricordo di quella notte d’attesa passata con sua sorella.
-Al tramonto-, disse tra sé e sé, rialzandosi da terra e ripetendo le parole di Erwin, -partiremo dopodomani. E forse stavolta, al sorgere del sole, il mondo sarà davvero diverso. Proprio come volevi tu, Isabel-.

   
 
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