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Autore: Mirella__    14/09/2015    5 recensioni
C'è stato un tempo in cui credevo che nella vita non ci fossero poi tante scelte.
Parliamoci chiaro, quando ero giovane la pensavo in questo modo: se sei nato da una meretrice non puoi diventare un re, se tuo padre fa il contadino, sono ben poche le possibilità che tu diventi un banchiere, se i tuoi legami non sono quelli giusti, non hai altre vie se non proprio quelle dove essi ti trasportano.
All'epoca viaggiavo tra mondi diversi, anzi, è più corretto dire che ci vivevo, poiché combattuta tra gli usi e costumi dei ricchi e la peste nera e la fame del popolo.
Non ero niente più che una cameriera, una di quelle che vedi tutti i giorni al mercato, una di quelle che stanno lì a spendere la vita al servizio degli altri, a pulire il buco del culo a quelli d'alto rango; se mi concedi il termine.
Se dovessi raccontarti l'inizio della mia storia, oh beh, credo inizierei dal giorno della mia nascita, quindi, se non hai niente di meglio da fare, prenditi una sedia.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Catrina



Nothing ever lasts forever

 

“Cosa significa?” Urlò Sakeena lanciando un bicchiere contro la parete con il risultato di farlo finire in mille pezzi. Aveva perso il lume della ragione, strillava e sbraitava contro tutto e tutti. Solo quando calmò la sua furia riuscì a sedersi e per la prima volta da quando la vedevo portò indietro i suoi lunghi capelli neri, mostrando una mostruosa cicatrice incastonata sulla parte destra del suo viso che partiva dalla mascella e arrivava alla fronte, tranciando di netto l'occhio destro.

“Cosa significa sparito?” Sussurrò con un filo di voce. Sentii i gemelli dietro di me irrigidirsi, la paura li avvolgeva da capo a piedi, quasi ne sentivo l'odore.

“L'uomo...”

“Si chiama Riccardo.” M'interruppe alzando un dito. “È un italiano. Cos'ha detto?”

Strinsi le labbra, non ricordavo esattamente parola per parola, quindi prima di parlare cercai il senso di quella frase. “Sembrava un indovinello”. Sussurrai guardando la piuma della penna posata nel calamaio. “Era qualcosa come... gli angeli cantano alla luce della luna; no, anzi, era dove... dove gli angeli cantano alla luce della luna,” mi concentrai di più, cercando di ricordare il seguito della frase. “La falce della morte... no, non era della morte”.

“La falce del mietitore prende la vita dell'infante”. Concluse lei annuendo, poi un sorriso le illuminò il viso. “Che razza di stronzo”.

Perché adesso sorrideva? Sakeena sembrava quasi felice delle parole di quell'uomo, per lei avevano evidentemente un significato.

“Sai cosa vuol dire tutto ciò?” Chiesi confusa e con una certa rabbia in corpo. Se aveva delle spiegazioni me le doveva! Sapeva che avevo un conto in sospeso con quel tizio, volevo che mi dicesse tutto quello che c'era da sapere sul suo conto! Invece lei mi dava informazioni sporadiche. Il nome di quel maledetto lo avevo scoperto solo in quel momento, lei era a conoscenza di tante cose che per un motivo o per l'altro teneva nascoste.

Ero abituata agli sbalzi d'umore della donna: capitava che Sakeena di tanto in tanto fosse arrabbiata e un attimo dopo fresca come una rosa, pronta alla battuta. Quando si arrabbiava era capace di spaventare chiunque, quando era tranquilla di divertire chiunque. Adesso, però, il sorriso che le vedevo dipinto sul viso mi dava soltanto fastidio.

“So dov'era, me lo hai appena detto tu, ma non so dove andrà”. Disse appoggiandosi meglio sulla sedia. “Stasera vi lascio liberi. Potete fare quello che volte.” Prese tre sacchetti d'oro e li diede a me e ai gemelli. “Divertitevi, fate divertire tutto l'esercito. Voglio birra a litri, danzatrici e meretrici, sia uomini che donne, per me e te, tesoro”. Rise guardandomi. “Diamoci da fare per i preparativi del banchetto, anzi, datevi. Io ho delle questioni da sbrigare”. Guardò fuori dalla finestra, dove il sole del mezzogiorno seccava i campi, rendendoli aspri, quasi incoltivabili.

 

 

La sera era calata presto e il rumore delle prime autovetture aveva lasciato spazio al gracidare più naturale delle cicale. L'aria era colma delle risate, del brusio di tante conversazioni sussurrate, del brindisi di boccali colmi di birra. L'esercito era rilassato, dopo tanto tempo.

Sorrisi tra me e me, l'ardore che durante la conversazione di poche ore prima mi aveva travolta era passato in secondo piano. Il mio animo era sereno, quasi cullato da quella che sembrava una scena quotidiana. Mi allontanai da lì lentamente, avevo voglia di fare una passeggiata. Non temevo briganti, o assalitori simili, avevo imparato a difendermi. Guardando la luna che svettava in alto quella notte, mi resi conto che ero diventata una persona molto più forte di quanto non fossi prima l'incontro con... Riccardo. Sì, mi aveva quasi mandata al patibolo, aveva distrutto la vita che potevo avere come cameriera, ma erano state azioni davvero brutte? Certo, non le aveva fatte per il mio bene, probabilmente quel nobil uomo doveva essere invischiato in qualche losco affare, ma la mia vita era decisamente cambiata in meglio.

Mi affascinava anche, perché mi incuteva un certo timore nonostante la sua cecità. Era una menomazione importante e non capivo come riuscisse a non mostrarla.
Sentii delle voci sussurrate.

Nascosti, al margine dell'accampamento posto fuori città di Sakeena, c'erano due individui che ridevano, si tenevano per mano, accennavano passi di danza in modo goffo.

“Lo sai che non so ballare, Riri”. Sussurrava una voce femminile. Sgranai gli occhi perché la conoscevo. Era Sakeena e non l'avevo mai sentita parlare in quel modo.

L'altra figura scuoteva la testa, alcune ciocche dei lunghi capelli castani fuggivano dal codino che li raccoglieva. “Sai ballare e anche molto bene”. Disse quello che doveva essere Riri, poi avvolse i fianchi di Sakeena in un candido abbraccio e le labbra si posarono su quelle della donna in un casto bacio.

Tremai.

Alla luce della luna, dove gli angeli cantano, la falce del mietitore prende la vita dell'infante.

Riccardo aveva dato a Sakeena un appuntamento. Evidentemente quella frase doveva avere un significato per entrambi e per loro doveva essere stato un gioco utilizzare noi soldati per passarsi l'informazione.

“Sakeena,” feci un passo avanti, incapace di capire: che bisogno c'era di mentire? Di salvarmi da un luogo dove Riccardo stesso mi aveva mandata? Si facevano la guerra? Giocavano con le nostre vite alla stregua di pedine?

Le due figure si girarono con una perfetta sincronia verso di me e con la stessa andatura fiera mi si avvicinarono.

Riccardo sorrise angelicamente, Sakeena appariva calma.

“Spiegami”. Ero incredibilmente serafica. Non sentivo rabbia, nulla, come se avessi chiuso ogni emozione in un piccolo forziere: tenevo la chiave tra le mani, potevo decidere se aprirlo o meno.

“Io e Riccardo siamo amanti, ma abbiamo obiettivi diversi”. Disse Sakeena girandomi attorno, mi avrebbe assalita un brivido, se fossi stata capace di provare qualcosa. “Ci mettiamo spesso i bastoni tra le ruote a vicenda, intenzionalmente o meno”.

“E cosa sono io?”

Riccardo si avvicinò e sorrise amorevolmente. “Una mia scoperta, giù di lì. Un elemento che potrebbe essere valido per...”

“Niente di quel che serve a te”. Disse acida Sakeena, posandogli una mano sul petto come a fermarlo, poi continuò a guardarmi. “Quando sei entrata nel mio esercito hai detto che non era per vendetta, intendi forse rimangiarti la parola?”

Mi morsi le labbra. Ricordavo il modo in cui l'avevo convinta a prendermi con lei, lo ricordo tutt'ora: ringraziamenti. Ma avevo sempre pensato ad un pugnale nel petto come un grazie.

“Cos'è che serve a te, Riccardo?” E nonostante tutto, non potei fare altro che temerlo quando i miei occhi incontrarono i suoi privi di luce.

“A me serve l'avventura”. Rise stringendo a sé Sakeena, l'immagine di lui come uomo irraggiungibile si stava lentamente sgretolando davanti ai miei occhi. “I nostri obiettivi spesso cozzano, perché alcuni uomini che lei vorrebbe senza testa, per me sono indispensabili”.

“I suoi sono i sogni di un bambino”. Lo interruppe Sakeena, appoggiando la schiena al petto di lui. “Io ho in mente un disegno più grande. Lui... Riccardo si diverte a cercare la verità nelle fandonie”.

“Cos'è che cerca?” Le mie erano domande vuote, prive di vera e propria curiosità, stavo cercando il motivo per il quale non avrei dovuto uccidere Sakeena.

“Sena dice che sono fantasticherie, le ha sempre definite così”. La donna guardò male Riccardo, non doveva essere di suo gradimento quel nomignolo. “Ma voglio cercare il tempo”.

Risi, non era una risata di gioia, anzi, era quasi isterica. Mi piegai sulle ginocchia e risi ancora, fino a quando non sentii dolere le costole. Poi mi fermai.

“Questo è incredibile” dissi sentendo finalmente tutta le delusione che provavo nei confronti di Sakeena, aprendo la scatola nella quale avevo nascosto tutto. “Tu...” dissi indicando la donna, “tu sei una che cerca di far cadere l'Europa nell'anarchia mentre tu... tu vai dietro delle favole per bambini!” Indietreggiai; quei due erano pazzi! Dovevano essersi bevuti il cervello e io mi ero comportata ancora da stupida, seguendo Sakeena nonostante avessi intuito che qualcosa in lei non andava.

“Il tempo non è che un luogo che può essere vero solo nella mente di un pazzo!” Dissi beffandomi delle idee di Riccardo, trovandole stupide, da mentecatti!

“Ma io non sono affatto pazzo. Il tempo ha dei testimoni. Molta gente ha attraversato la porta, poi è tornata, ma in modo diverso, era cambiata. Aveva oggetti unici nel loro genere, occhiali che permettevano di vedere colori non percepibili dall'occhio umano, attrezzi capaci di curare mali considerati dalla nostra medicina come mortali e le loro conoscenze sono state trascritte in tomi presenti nel nostro mondo da più di duemila anni”.

“Pugnali gemelli, capaci di riconciliare due persone lontane”. Dissi prendendo la lama dalla quale non mi separavo mai. Riccardo puntò gli occhi su di essa, come se riuscisse a vederla davvero.

“Sì, anche”. Affermò l'uomo.

“Quindi non mi hai condannata a morte, quando hai ucciso quel nobile davanti a me. Speravi di scomparire, addossandomi la colpa, questo è vero, ma Sakeena ti cercava. Evidentemente Ser Brandeis era uno dei vostri obiettivi in comune. Lo volevi morto e hai colto l'occasione. Di me non ti importava, ero stata un mezzo mediante il quale hai raggiunto lo scopo”.

Riccardo nel mentre annuiva alle mie parole, poi prese degli occhialini in legno dalla tasca e li indossò per fissarmi. I vetri erano strani, i riflessi su di essi girarono vorticosamente, prima erano viola, poi blu, si scurivano ancora e tornavano neri. Senza dire una parola, l'uomo li tolse.

“Cos'erano?” Chiesi incerta.

“Ser Lucas Brandeis,” disse lui scuotendo la testa, e ignorando la mia domanda, “era avaro, privo di scrupoli. È stato uno degli ultimi uomini ad aver varcato la soglia della porta ed era intenzionato a vendere i segreti del luogo al quale portava: Il tempo. Era un obiettivo da prendere vivo, per Sena, a causa di alcune sue... conoscenze; io lo volevo morto, in quanto non aveva mantenuto la parola”.

 

“Cosa ti aveva promesso?”

 

“Di portarmi con lui oltre la soglia, verso Il tempo. Sakeena ti ha salvata, ero sicuro che lo avrebbe fatto – non è solita togliere la vita agli innocenti – e sapevo che avrebbe visto quello che sei davvero”.


“Vale a dire?”

 

“Una cittadina proveniente da lì, una donna del Tempo”. Disse Riccardo.

 

Sakeena sbuffò. “Come ho già detto, io non credo a queste cose”.

 

La rabbia passò, non aveva senso tenerla ancora. La lasciai libera di fluire e si dissolse con la stessa facilità in cui terminava un respiro. Riccardo aveva detto che era interessato a quel luogo immaginario a causa della sua tecnologia. Non era interessato alla lotta, alla dura realtà, come invece lo era Sakeena. Come un bambino, viveva nelle sue piccole convinzioni e la donna, da quel che mi era sembrato, pareva incoraggiarlo, nonostante le sue parole fossero canzonatorie. Curava i mali, Il tempo.

 

Se la cecità del mio amante fosse dovuta a una malattia e lui fosse stato convinto della possibilità dell'esistenza di una cura, allora chi ero io per sminuire le sue speranze?

Capisci, tesoro? È tutto qui, spesso l'amore gioca con al ragione e ottenebra la nostra logica.

 

“Perché dici che io sono una cittadina del Tempo?” Chiesi sull'attenti. “E come sei entrato in possesso di quegli occhiali? E vuoi dirmi cosa sono?”

 

Sakeena rise e si sedett sul ceppo di quello che in passato aveva dovuto essere un albero forte e robusto, sono sicura tutt'ora che percepiva anche lei la tensione sciogliersi lentamente. “È curiosa, Riri, te lo avevo detto ed è anche molto combattiva, dalle quello che vuole. Ormai non ti costa più niente, no?”
 

Riccardo sorrise tra sé e sospirò: “Questi occhialini sono un lascito di mio fratello e di sua moglie. Loro hanno varcato la soglia tre volte. Lei è arrivata e mio fratello è andato con lei; sono tornati, una volta e poi sono andati ancora. Con questi occhialini posso vedere se c'è qualcun altro come lei, come la moglie di mio fratello, persa in questo mondo. La gente del Tempo ha un suo colore. Arriva qui, nel nostro mondo, come umana e poi è destinata a tornare nel suo mondo, diventando qualcos'altro. Un uomo, per entrare nel vostro mondo, ha bisogno di qualcuno come te, Catrina. Sei preziosa”.

 

“Per me è un bel mentecatto”. Disse Sakeena accarezzando il mento del suo uomo. “Abile nel combattimento quanto basta per sedurmi. Il resto di quel che va cianciando non m'importa”.

 

Guardai Sakeena, come poteva stare accanto ad un uomo se non aveva fiducia in lui? Se le sue parole le sembravano semplicemente quelle di un folle? E se invece, in fondo, ci credesse?

Se quel che Riccardo diceva era vero, se fosse riuscito ad andare al Tempo sarebbero stati divisi per un tempo imprecisato.

Sakeena mi guardava e sorrideva. “Vedo curiosità nei tuoi occhi, anzi no”.

La donna si alzò dal suo tronco e mi si avvicinò con passo lento. “Non sai se credergli o meno. Dirti d'accordo con lui ti farebbe diventare una pazza ai miei occhi, ma suppongo che nulla duri per sempre, nemmeno la sanità mentale”.

Riuscii a sorriderle, il rancore c'era, ma era sopito. “Mettiamola così, se riuscirai a farmi vedere la soglia, Riccardo, allora non ti taglierò la gola”.

 

Lui rise e l'aura di mistero che mi sembrava avvolgerlo si diradò, facendomi scoprire un uomo sì affascinante, ma sempre umano.

Non credevo davvero d'essere una donna del Tempo. Non mi sentivo diversa dagli altri, né tantomeno credevo alle speranze di un uomo malato, eppure Riccardo non sembrava semplicemente uno dei tanti pazzi in circolazione, nei suoi occhi aleggiava la certezza di chi sapeva cosa diceva. Quegli occhialini sembravano davvero essere saltati fuori da un racconto di quel luogo misterioso.

In quel momento decisi: niente dura per sempre, aveva ragione Sakeena e non sarebbe durata per sempre nemmeno la mia carriera nel suo esercito.

 

Riccardo guardò la sua amante. “Sena, ti ho rubato un pezzo importante, a quanto pare per adesso sono in vantaggio”.

 

Lei fece spallucce e calciò via un sassolino. “Hai detto bene, per adesso. Lei mi ama, tornerà”. Detto ciò mi fece l'occhiolino. Io scossi la testa. Il vuoto che stavolta il futuro mi prometteva era colmo di aspettative.



Angolo dell'autrice
Siamo ad una svolta nella storia.
Grazie a tutti coloro che leggono!
Se la storia vi piace lasciate un commento, se invece vi sembra sia scritta male o abbia delle incongruenze, ditelo comunque, cercherò di migliorare.
Alla prossima!
  
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