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Autore: darkrin    09/02/2009    2 recensioni
- È proprio per questo che dovrebbe trovare una moglie. - celiò una voce alle loro spalle; - Il matrimonio è la miglior arma contro la solitudine e l’omicidio è l’arma migliore contro il matrimonio. -
- Lady Miriam. - salutò Lord Cornelius con un sorriso la nuova arrivata. - Dove siete stata fino ad ora? -
- A pelare patate. È davvero molto rilassante e… quante volte te lo devo dire Cornelius? Niente Lady. - rispose la ragazza.
[ Perché i punti oscuri sono terribilmente affascinanti. :3 ][INCOMPLETA E ABBANDONATA]
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3
In cui il destino si mette in moto e manda, volutamente, tutto in pezzi
 
 
 
Il sole era alto, molto alto e molto caldo, quel giorno.
Due uomini stavano lavorando in giardino: tagliavano, potavano, davano forma ai cespugli, raccoglievano i frutti.
Lavoravano, insomma.
Miriam trovava faticoso solo guardarli. Con quel caldo, poi…
Sbuffando attirò uno dei due con un gesto della mano. Non era mica andata fino a lì solo per guardare due uomini nerboruti lavorare.
Il pensiero del motivo del suo spostamento la fece rabbrividire; Miriam non “lavorava” mai vicino al palazzo reale, troppe guardie, troppi rischi, poco guadagno.
Il fatto che lì abitasse sua altezza aveva fatto moltiplicare la sorveglianza e non solo quella. A Miriam, poi, non piaceva affatto il Re; trovava che fosse un’idiota che voleva comportarsi da Eroe nella vita reale.
Aveva avuto i suoi mesi d’avventura e ora cercava in tutti i modi di riviverli o di sognarli. Era un’idiota.
Il comportamento che aveva tenuto in quella situazione gli faceva prudere le mani dalla voglia di prenderlo a schiaffi. Al diavolo le guardie, la sorveglianza e anche i giardinieri nerboruti!
Sbuffò, il sole la faceva sudare e la lunga gonna beige dell’abito che indossava si appiccicava alla pelle.
Niente corpetti e trine e merletti, non era una nobile lei e più i suoi vestiti erano sciupati e incolori meno la notavano, e questo era un bene.
A raggiungerla fu un omino piccolo e basso che le disse con fermezza:
<< Sua Altezza non può riceverla. Non ha tempo da perdere con tutti i plebei che vengono a chiedere l’elemosina alla sua porta. >>
Il palazzo reale era cinto da una grande muraglia che culminava in un ponte levatoio dotato di una possente grata. Un tempo, il cortile interno era un semplice spiazzo di pietra scura e dura ora era costeggiato, oltre che dalle postazioni per gli arcieri, anche da rigogliosi alberi da frutto e cespugli a cui Lord Cornelius aveva imposto di crescere per conto del Re.
Miriam diede un’ultima occhiata a quel luogo, prima di girare sui tacchi e tornare per la sua strada che la portò lungo stradine buie, giù, verso la parte bassa della città.
La parte che, in caso di attacco sarebbe stata la prima ad essere colpita e messa a ferro e fuoco dai nemici.
Ovviamente a cadere per primi erano sempre i migliori.
 
 
 
Sarleon si strusciò delicatamente contro Eleanor, che stava seduta su una delle mura della città con le gambe nel vuoto.
Indossava un leggero abito azzurro e i capelli scuri erano acconciati in una treccia morbida.
Strappò l’ennesimo petalo alla margherita che stringeva tra le mani e lo lanciò nel vuoto; il petalo si unì ai fratelli che volteggiavano leggiadri nell’aria, ondeggiando verso il suolo, metri e metri più in basso.
Tirò su con il naso, come i bambini, e carezzò la schiena del gatto che fece un vero di apprezzamento salvo poi, storcere il naso subito dopo per il suo comportamento da animale.
<< Eleanor, tesoro, ti senti meglio? >> chiese.
<< No. >> si lamentò lei con gli occhi arrossati.
  
Assolutamente no.
 
 
 
La notte buia era arricchita dalla presenza di centinaia di stelle, piccoli astri che rilucevano impreziosendo il manto celeste.
Una persona con un animo anche solo vagamente più romantico del suo avrebbe di certo apprezzato la vista dei torrioni e dei baluardi del palazzo reale illuminati dalla luna.
Lei non ci fece neanche caso, scivolando, ombra tra le ombre, lungo le possenti mura e poi oltre le sentinelle poco vigili del cancello secondario, destinato al passaggio delle vivande e dei servitori.
Era una porticina piccola – in confronto alle imponenti dimensioni del cancello ufficiale – che immetteva nel cortile antistante alle cucine.
Nelle cucine c’era un forte odore di carne e spezie e tanto, tanto rumore, oltre a un gran calore di forni e corpi umani.
Un calore quasi fastidioso, pensò Miriam, in mezzo a quella folla che le chiuse lo stomaco: odiava non essere libera di muoversi come voleva e lì doveva fare attenzione a non farsi notare e a non creare incidenti.
Anni o anche solo mesi dopo, avrebbe pensato a quella sera come all’inizio di tutto: della sua dannazione e di qualcos’altro ma in quello momento i suoi pensieri erano tutti concentrati sul suo obbiettivo.
Non c’era tempo per gli indugi – non che Miriam fosse abituata ad indugiare, o anche solo a pensare, prima di agire.
  
  
  
Obbiettivo che, in quel preciso istante, era seduto nella stanza di Lord Cornelius con un calice, vuoto, in una mano e l’altra posata sulla fronte che pulsava dolorosamente.
Aveva un mal di testa lancinante che l’aveva colto quella mattina, appena si era alzato dal letto e l’aveva torturato per tutto il giorno, impedendogli di svolgere i suoi incarichi come avrebbe dovuto.
<< Ecco, sua altezza, prendete questo, andate a coricarvi e domani vedrete che starete meglio. >> affermò Cornelius passando a Caspian Decimo un bollente infuso di erbe.
<< Ti ringrazio. >> mormorò questi, disperato.
<< Questo e altro per il mio Sire. >>
Caspian fece un sorriso tirato, alzandosi dalla sedia su cui si era abbandonato per dirigersi, faticosamente nella sua stanza.
Quella era stata, decisamente, una giornata da dimenticare e l’unica cosa che voleva era chiudere gli occhi il prima possibile.
Ancora non sapeva che la sua giornata era lungi dall’essersi conclusa e che il peggio non era ancora passato.
Mentre lo guardava uscire e avventurarsi per i corridoi bui Lord Cornelius sorrise tristemente.
A guardare quel giovane, da solo in quell’oscurità, sembrava che laddove lo zio e la guerra avevano fallito, la solitudine, che si portava addosso come un vanto, sarebbe riuscita.
Tornato in camera Caspian si accasciò sul pavimento: d’un tratto il letto a baldacchino gli sembrava troppo lontano e troppo grande e troppo caldo, soffocante.
E poi, improvvisamente, quel rumore.
Il rumore di qualcosa – il destino? La quotidianità? Il suo cuore? – che va in frantumi: un sonoro Crack che spezzò il pesante silenzio della stanza.
Per capire, però, cos’è stato a spezzarsi, davvero, bisogna fare un passo indietro e tornare a dov’era stata lasciata Miriam.
 
 
 
La ladruncola in questione stava vagando per la cucina con lo stomaco chiuso e la voglia di scappare da tutto quel calore che l’avvolgeva e la soffocava.
Voleva l’aria fredda della notte, la libertà di movimento e desiderava, sempre di più, prendere a calci il suo beneamato sovrano Caspian Decimo.
Oh, non desiderava altro.
Solo per quello si stava sottoponendo a tutte quelle torture.
Solo per quello.
Continuò a ripetersi per sconfiggere quello che, lei non poteva saperlo, era un attacco di claustrofobia.
Quando finalmente riuscì ad uscire dalle cucine si accasciò contro la parete di pietra del gelido corridoio in cui si era trovata, cercando di riprendere fiato.
Quando sentì il cuore smettere di martellarle in petto si rimise eretta, come una regina.
Miriam era così, neanche se ne accorgeva, ma nascosto sotto strati d’indecenza di abiti sformati le sue spalle il suo portamento era quello di una nobildonna. Decaduta, ma pur sempre una nobildonna.
Era stato il nonno ad insegnarglielo: “Miriam, schiena dritta, testa alta, pancia in dentro. Così. Brava bambina. Cammina così.”.
Questo, come tante altre cose, Miriam non se le ricordava più, Sarleon a volte nominava persone scomparse per farle tornare la memoria e lei lo cacciava con un calcio ben assestato e con un: “Stupido. Non ho tempo per pensare al passato. Ho troppo da fare con il presente!
Come in quel momento, la sua mente era, totalmente, catturata da un pensiero fisso: la sua meta.
Per questo avanzava con la testa alta e guardandosi intorno in modo quasi febbrile.
Miriam detestava cordialmente le cameriere di palazzo, trovava che il loro lavoro fosse terribilmente ingrato e che non avrebbero dovuto accettarlo, eppure quella sera si ritrovò a ringraziare due cameriere più civettuole della media che, ridacchiavano, poco più avanti di dove si trovava lei, nell’oscurità.
<< Questa è la camera di Sire Caspian. >> mormorò una; << Sai, una volta sono entrata mentre si stava vestendo… >> uno scoppiò d’ilarità imbarazzata le mozzò la frase.
<< E non ti ha cacciata? >>
<< Oh, no. E’ un Sire buono, lui. Oltre che un bell’uomo. >>
<< Sai, pare che a volte vada a trovare alcune delle ragazze delle cucine. >>
<< Nooo! Che invidia! >> esclamò l’altra, sconcertata.
Miriam storse il naso erano idiote, oltre che sfortunate, ma almeno aveva trovato la camera del re.
Si piazzò davanti alla porta di legno, cercando di calmarsi e aspettando che le due civette sparissero dietro l’angolo.
Si chinò e prese in mano lo stiletto che portava sempre legato alla coscia destra, per ogni eventualità.
Prese un ultimo respiro profondo e spalancò la porta: per sua fortuna il sovrano di Narnia non era ancora tornato dalla sua visita a Lord Cornelius o, molto probabilmente, Miriam gli sarebbe caduta addosso, ma questo lei non poteva certo saperlo.
Si chiuse la porta alle spalle, senza far rumore e, dopo essersi abituata all’oscurità; si guardò intorno alla ricerca di Caspian.
L’ampia finestra era priva di tende e la luce della luna che filtrava dall’ampia finestra illuminava l’ampia stanza da letto, riccamente adornata.
In attesa della sua vittima Miriam cominciò a curiosare per la stanza, toccando gli oggetti, soppesandoli, scrutandoli, accarezzando la stoffa delle poltrone o del baldacchino rosso, strusciando i piedi sui tappeti che coprivano l’intero pavimento, come una bambina curiosa. E, stranamente, non era in cerca di nulla da rubare. Voleva solo… capire quel re racchiuso in un dolore che lei non riusciva a concepire.
Chiaramente questo non le avrebbe impedito di pestarlo a sangue, dopo.
Posò lo stiletto sopra al camino accesso, e quello rimase lì, beffardo, in attesa del momento giusto per entrare in azione.
Infine, scivolò accanto alle tende strappate e appallottolate sul pavimento. Chissà se era stato Caspian …
Si chinò a carezzare la scura stoffa ruvida con le mani piccole e svelte, mordicchiandosi il labbro inferiore. Si scostò una ciocca biricchina di capelli e si rialzò, colta, improvvisamente da un orrendo dubbio.
<< E se è andato a trovare una delle ragazze delle cucine? >> domandò alla stanza, prendendo in mano una strana sfera di vetro e giocherellandoci.
<< Io lo uccido. Ma che modo è questo? Mandare così a monte i piani della gente! Ma chi si crede di essere? Ho pure perso una serata di onesto lavoro per venire qui, oggi! >> si lamentò con sé stessa.
In quel preciso istante sentì il rumore della maniglia che si piegava e della porta che cominciava ad aprirsi, rapida come non mai, si ranicchiò dietro l’alto schienale di un’elegante poltrona e attese.
Se Caspian gli si fosse avvicinato avrebbe potuto lanciargli la palla di vetro in testa, visto che non aveva con sé il suo stiletto.
Dannazione, però!
Ma Caspian non si mosse, Miriam aveva sentito distintamente la porta chiudersi ma non c’era più nessun rumore, se non quello di un respiro pesante e affannato, lontano da lei.
Chiuse gli occhi e si ingiunse la calma.
Poi, lentamente, si mise in ginocchio e spiò oltre lo schienale della poltrona.
C’era una figura, accasciata, contro la porta, con la testa abbandonata contro il legno e le ginocchia piegate.
La ragazza sibilò un’imprecazione e si abbassò, di nuovo, per non farsi vedere, così facendo, diede però un colpo a un mobiletto accanto a lei, dove si trovava in bilico una porcellana che, a causa dell’urto, cadde dal sostegno e rotolò fino a terra.
Dove si infranse.
Con un crack.
  
Crack.
 
Oh merda!
 
 
  
  
 
~oOo~
  
   
Perdonate il ritardo. Però almeno dovete riconoscere che il capitolo è un pò più lungo del solito. Lo so che è ben poca cosa ma qui si fa il possibile, nonostante i vari (ed eventuali) impegni. Quindi perdonatemi. <3
Passando ai commenti (quando vi amerò io, eh? Quanto vi amerò? <3):
Sakuragi92: è vero che ho detto che la storia non seguirà i fatti reali ma dubito fortemente di far tornare Susan, non per altro, ma perché mi sembra un fatto troppo ireale, forzato. Ed è vero che la canzone The Call dice quello che dire, ma il sottotitolo della storia è proprio: "A volte bisogna saper dire addio", non a caso.
FragoIsContagious: grazie mille, cara. XD Sapere che i personaggi, risultino simpatici ai lettori è davvero molto importante, per me.
carlottina: grazie mille. ^^ Per il tenero, staremo a vedere. Per ora l'istinto è più quello di ammazzarsi a vicenda, ma tutto è possibile, no? XD
giulia90: ciao Giulia, grazie mille per il commento. ^^ Io tutto questo successo di Miriam non lo capisco – anche se mi fa davvero molto piacere <3. Però, gente, la fanciulla è da ricovero, vi avverto. E andrà anche peggiorando. XD
 
- darkrin <3
   
   
 
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