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Autore: Hermaiony    14/09/2015    0 recensioni
-dimenticate il mondo che conoscete;la terra è profondamente cambiate e i suoi abitanti con essa.- Questa è the selection come l'avrei scritta io, Hermaiony. non aspettatevi grandi stravolgimenti:qualcosa è uguale al racconto originale, qualcosa è diverso; ma forse una storia può avere più risvolti, forse nella vita si può anche scegliere qale realtà ci piace di più e come la racconteremmo noi. io l'ho fatto, voi?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Dimenticate il mondo così come lo avete sempre conosciuto; il cielo, l’ambiente, le nazioni sono cambiati molto negli ultimi secoli ed anche gli abitanti con essa. La terra sulla quale vo vivevate nel XXI secolo è stata spazzata completamente via da guerre e pestilenze: un virus in provetta, uscito fuori da chissà quale laboratorio genetico ha decimato la popolazione mondiale infettando a poco a poco il DNA umano e, così, i pochi sopravvissuti, oltre a dover ricostruire un intero mondo, hanno finito anche per farsi guerra tra loro pur di eliminare i portatori della mutazione genetica e appropriarsi delle poche tecnologie residue necessarie alla sopravvivenza . Il risultato di tutto questo è stato, nel giro di alcuni secoli, un mondo diviso in pochi agglomerati urbani, formati da centinaia di migliaia di persone, sparsi in tutto il mondo e pronti a tutto pur di difendere se stessi fino ad arrivare ad isolarsi sempre più dagli altri. Io e la mia famiglia vivevamo in uno di questi posti. Il nostro territorio, Ilea, era come un enorme metropoli circondata di mura altissime, tanto alte che l’orizzonte era visibile solo da alcuni vecchi edifici fatiscenti grossi come grattacieli su cui era vietato salire.. La nostra società, se così poteva essere chiamato il sistema in cui ci trovavamo a vivere, era divisa in caste: ogni casta era rappresentata da un numero più o meno elevato di persone disposte tutte verso un compito preciso prestabilito utile per la sopravvivenza dell’intera società. Alla fondazione di Ilea, avvenuta secoli prima della mia nascita, il sistema delle caste era sembrato il migliore da adottare, almeno temporaneamente, per imprimere un ordine nella società e così, dopo tanti secoli, i governanti non avevano ancora abolito questo sistema e avevano continuato a servirsi delle caste per dividerci in base al gradino sociale che noi componenti occupavamo. Al vertice della piramide risiedevano i discendenti del gruppo dirigente che, alla fondazione della città, si era appropriato delle ricchezze e aveva imposto la propria autorità ed egemonia. Questi erano considerati come una specie di famiglia reale, rappresentativa della ricchezza e dello sfarzo del nostro territorio al cospetto degli altri distretti, ma che, in sostanza, non avevano alcun tipo di potere se non quello monetario.. Subito dopo il vertice c’era la casta uno, o casta degli uno o primi: questi erano i detentori del vero potere nella società; controllavano l’andamento delle tecnologie, della ricchezza e della produzione interne; stabilivano le divisioni sociali e le regole che dividevano le caste, ed erano i detentori del potere legislativo ed esecutivo: niente accadeva senza il consenso dei primi. La differenza tra le caste erano tanto più marcate quanto più ci si avvicinava al vertice, così, tra la casta uno e la casta due vi era una sottile ma marcata differenza. La casta due, infatti, era formata dai sapienti: tecnici e scienziati specializzati, medici e specialisti, detentori del sapere e delle tecniche specifiche che erano alla base delle disposizioni dei primi. I secondi erano il supporto alla mente dei primi, dietro ogni decisione degli uno si celava la collaborazione di numerosi gruppi di studio di due, ma sostanzialmente il loro lavoro era solo subalterno. I primi avevano poi trovato nella casta dei tre il braccio destro che eseguiva le direttive. Questa casta raggruppava una nuova tipologia di poliziotti e gestori dell’ordine:questi non agivano in base ad un principio morale o secondo un’idea di giustizia, ma solamente secondo i regolamenti emanati, a volte anche settimanalmente, dagli uno. I tre, grandi e grossi, pieni di muscoli e con visi poco socievoli, erano le squadre d’assalto, le guardie, le truppe che difendevano la tranquillità della città e il corretto svolgimento della vita comunitaria. La casta quattro poi comprendeva i lavoranti, operai e tecnici, insegnanti elementari che lavoravano alle dirette dipendenze della casta due. I quattro vivevano una vita semplice e tranquilla lavorando per molte ore al giorno ma conservando una sorta di autonomia. Io e la mia famiglia, invece, appartenevamo alla casta cinque, la casta degli artisti, di coloro che non avevano un lavoro stabile ma che provvedevano ai propri fabbisogni approfittando delle innumerevoli manifestazioni pubbliche, che a Ilea erano all’ordine del giorno, in cui si guadagnavano abbastanza soldi da mandare avanti la famiglia per un paio di settimane, grazie alle commissioni dei clienti, e di occasionali spettacoli di strada in cui, però, era difficile racimolare anche pochi spicci. Dopo di noi vi era la casta sei, attaccata alla nostra sia fisicamente, in quanto eravamo tra i distretti più vicini della città, sia socialmente, data la mancanza abbastanza frequente di mezzi; quella era la casta degli agricoltori e dei fabbricatori di beni primari come cibo e vestiti; questi lavoravano, all’occorrenza come camerieri o aiuto servitù per le caste superiori. All’ultimo gradino della scala sociale vi era la casta sette, la casta dei servitori che lavoravano da generazioni al servizio delle altre caste, tutte tranne la cinque e la sei. In realtà, anche se non era riconosciuta ufficialmente, nella nostra società esisteva un altro gruppo, gli otto, noti a tutti con questo nome ma mai ufficializzati come casta, che erano i relitti della società, criminali, viandanti, barboni, storpi; persone che non era permesso frequentare né considerare in alcun caso. Secondo le regole stabilite nella nostra società non era assolutamente permesso alle varie classi di mescolarsi; le relazioni tra di esse potevano esistere solo in ambito strettamente lavorativo e, in alcun modo, una persona di classe inferiore poteva rivolgere per primo la parola a una della classe superiore. Se qualcuno, di qualunque classe, non adempiva ai propri doveri verso la società o instaurava rapporti personali con persone di classi inferiori poteva essere declassato o addirittura, in base alla gravità del proprio reato, essere escluso dalla società. Il territorio di Ilea era diviso in distretti, nove, per la precisione, ognuno designato appositamente per una casta e rispondendo a determinati requisiti. Dei nove distretti io conoscevo il mio, dove si svolgeva la vita della mia famiglia, i distretti tre e quattro, dove ogni giorno mi recavo con la mia famiglia per i piccoli spettacoli che ci facevano guadagnare quanto bastava per poter richiedere il cibo, e il distretto uno, dove si svolgevano le manifestazioni ufficiali in cui era obbligatorio intervenire. Dal momento che ero una cinque,né a me né a qualcuno della mia casta era consentito entrare nel distretto dei sei, dei sette e degli otto. In egual modo, il distretto dei due ci era vietato perché non bisognava in alcun modo distrarre le menti della città dal loro lavoro se non per casi assolutamente urgenti come quelli di gravi malattie che, inoltre, venivano opportunamente valutati: chi non destava particolare interesse scientifico o era considerato indegno di cure, veniva riportato nel proprio distretto e doveva curarsi con le proprie capacità. L’ultimo distretto , quello dei reali, così come li chiamavamo noi perché vivevano alla stregua di una corte imperiale, era costituito da un unico enorme palazzo circondato di mura istoriate e continuamente controllato e protetto da forze speciali armate. Molto lontano da questo posto, ai margini della città vi era il posto dove io ero scesciuta; casa mia si trovava in fondo al distretto cinque , in una antichissima casa di campagna: la casa era molto grande per le quattro persone che componevano la mia famiglia, ma era così vecchia e fatiscente che alcuni locali erano stati chiusi per evitare pericoli e così ci ritrovavamo ad avere a nostra disposizione solo parte del piano terreno. Io condividevo la camera con mia sorella minore, Allison. Questo era un locale non molto grande che riusciva a contenere l’unico letto a una piazza e mezzo , che condividevamo, l’armadio di un legno grezzo completamente diverso da quello del letto,trovato in una delle stanze di sopra durante una perlustrazione, la finestra che dava sul retro, e il tavolino mezzo sbilenco che usavamo per appoggiarci gli spartiti. I nostri genitori dormivano in una camera ricavata da quello che doveva essere stato, un tempo, il locale lavanderia di questa enorme casa, separato dalla cucina da una semplice tenda. Essendo la mia una famiglia molto antica; un mio antenato era un due declassato perché si era innamorato di una cinque,noi avevamo ricevuto la possibilità di stabilirci in un posto e assicurarci che questo fosse considerato nostro. Non a tutti i sei ciò era concesso. Sul retro della nostra casa si apriva un giardino abbastanza grande che, però, la mia famiglia, nei secoli, aveva abbandonato a se stesso e , proprio in fondo, al confine tra il nostro muretto e il muro che separava il nostro distretto dal distretto sei, su un albero vecchio forse quanto era vecchia e distante la vostra realtà e la mia, un ammasso di assi mal disposte e diroccate, resti di una casa sull’albero, sulla quale io ero solita recarmi. Quelle assi che nascondevano dagli sguardi indiscreti, ma non dalla pioggia e dal brutto tempo erano per me il posto più prezioso e importante del mondo: quello era il mio rifugio, la mia oasi di pace, il posto in cui non esistevano differenze, in cui non c’era alcuna classe, l’unico posto in cui io e Aspen potevamo stare insieme.
   
 
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