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Autore: SabrinaSala    15/09/2015    19 recensioni
André l’aveva penetrata con quel suo sguardo irriverente e sornione, annientandola, spazzando via in un battito di ciglia la sua ostentata sicurezza, fragile come il più sottile bicchiere di cristallo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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N.B. Questa storia, nata come ONE SHOT, si è appena trasformata in una "LONG". Ringrazio chi mi ha invitata a continuarla e a mettermi ulteriormente alla prova! Di seguito, trovate inalterata la nota introduttiva e il testo del primo capitolo: "Lo avevo promesso, a chi legge i miei soliti "MISSING MOMENT" che nulla tolgono e nulla aggiungono alla trama originale, che ci avrei riprovato... avrei riprovato con un "WHAT IF" e così è stato! Dopo SOLDATO BLU e NON FERMARTI... Ecco questa prova, più difficile del previsto perché AMO Oscar nella sua femminile mascolinità, nella fase dell'uniforme BLU. Qui entrano in gioco altri fattori..." 
Buona lettura e grazie ad AMANTEA che mi ha spronata a provarci!


"Non posso... Proprio non posso..." 



La carrozza procedeva a sobbalzi, togliendole il fiato. Il corpetto troppo stretto le disegnava spietatamente ossa e forme che non si era mai nemmeno accorta di avere. Ma niente era paragonabile al groppo che le serrava la gola… Inutile cercare di distrarsi fissando lo sguardo sulle ombre che sfilavano davanti al finestrino, come informi soldati in parata.
La pelle esposta, profumata e candida, gli orli fastidiosi dell’abito scollato, il collo scoperto e il peso di quel fermaglio che le fissava i capelli in alto, sulla nuca, celebravano sfacciatamente quel momento e la decisione presa. Deprecabile, forse.
Oscar piegò le labbra in un sorriso di scherno rivolto esclusivamente a se stessa, mentre le guance si imporporavano involontariamente.
Sciocca ragazzina! Pensò, denigrandosi.
Batté le palpebre un paio di volte. Sorprendendosi di quel gesto così naturale ma  che non le apparteneva. Un’ombra di imbarazzata timidezza trasformò il suo sorriso in un’espressione incredula. Dov’era finita la sua cara, vecchia Oscar, quella sera? L’inflessibile e razionale comandante delle Guardie Reali? Giocò un poco con la cucitura di un guanto, tormentando la punta di un dito. Poi sollevò lo sguardo e lo rivolse al finestrino, sfiorando con la fronte il panneggio morbido della piccola tenda di damasco.
Concentrandosi, riuscì a cogliere il proprio riflesso nel vetro. Fissò quegli occhi trasfigurati da un’eccitazione febbrile. Occhi di donna, constatò caustica. Occhi desiderosi e ansiosi di vederlo. Di piacergli. Di conquistarlo. A discapito di lei… la Regina.  
Quel pensiero la turbò, poi una sensazione nuova e sconosciuta le scaldò le viscere e gustò il piacere intenso della competizione, quella femminile, e il suo riflesso vibrò di una luce nuova. Una sicurezza insolita mista ad un moto di ribellione.
Scacciò con irritazione il pensiero di lei, della sua Regina. Lei che non si sarebbe presentata quella sera. Lei che non avrebbe dovuto indugiare in quella relazione clandestina, mettendo a repentaglio non solo la propria famiglia ma l’intera Francia…
Aveva deciso di non pensare, Oscar. Di non pensare a lei, quella sera e al giuramento prestato per servirla, sempre e comunque, con onore, fedeltà e rispetto. Quale rispetto aveva Oscar, quella sera, per la sua Regina? Quale fedeltà, se vigliaccamente aveva deciso di prendere il suo posto nel cuore dell’unico uomo che pensava avrebbe mai potuto amare? Quale onore poteva esserci in tutto questo?
Distolse lo sguardo dal volto pallido della sconosciuta che la fissava impunemente. Strinse le mani abbandonate in grembo. Serrò le labbra.
Perché sentirsi in colpa? Maria Antonietta non avrebbe dovuto amarlo… lei sì. Lei avrebbe potuto…
Perché non prendersi quel poco di felicità, allora? Una sera, una soltanto… Perché reprimersi e nascondersi ai suoi occhi, a quegli occhi color del  mare in tempesta? Un nuovo sobbalzo accompagnò il languore, dolorosamente piacevole, che la investì nel rievocare il suo sguardo. Abbassò le palpebre. Sorrise. In fondo, cosa stava facendo di male?
Eppure l’imbarazzo si profuse su tutta quella sua pelle esposta, colorandola di un rosso intenso. Decise ancora una volta di non pensare... e forse sarebbe passato tutto.
Si volse di scatto, ancora verso il finestrino. Evitò di mettere a fuoco il riflesso di quell’estranea bionda. Contò le ombre. Ascoltò la cantilena cigolante delle ruote che macinavano la strada. Poi un sobbalzo, l’ennesimo, e la carrozza si fermò.
Il silenzio della notte si impadronì dell’abitacolo. Il buio le scivolò addosso, pesante. Oscar attese pazientemente che la vettura si rimettesse in movimento. Ma l’attesa fu vana. Afferrò le gonne, ingombranti e sciocche, e si sporse fino a spalancare la porta con un gesto secco e indispettito.  
«André! » richiamò sferzando l’aria con la sua particolare voce roca «André! » ripeté senza ottenere risposta.
Una pessima idea! Ecco cosa era stata. Una pessima idea, si rimproverò.
André non avrebbe dovuto accompagnarla, quella sera. La sua presenza non era affatto indispensabile.
Mostrarsi in abiti femminili ai suoi occhi, abituati a pantaloni, stivali e  camicie, era stato il primo errore!
André l’aveva penetrata con quel suo sguardo irriverente e sornione, annientandola, spazzando via in un battito di ciglia la sua ostentata sicurezza, fragile come il più sottile bicchiere di cristallo.  Ma in fondo, cosa poteva aspettarsi da lui?  Dal compagno di giochi e di bevute, da chi le era cresciuto accanto vedendo solo un amico, un soldato, l’erede perfetto della famiglia Jarjays… dimenticandosi che sotto quella maschera batteva il cuore di una donna. Una donna innamorata…
Cosa poteva saperne André? Erano cambiati, erano cresciuti… condividevano ancora quasi tutto, ma non più “tutto”… Certo non poteva aspettarsi che la comprendesse, adesso. Non poteva aspettarsi la sua complicità… Che dimenticasse il ragazzaccio sdraiato sull’erba al suo fianco, intento a  riprendere fiato dopo l’ennesima scazzottata, e si complimentasse con lei, imbarazzata statuina di gelido marmo, per la prima volta fasciata da un elegante abito da sera. Inaspettata apparizione in cima a quelle scale che tante volte avevano percorso insieme, scivolando sulla balaustra.
Imbarazzo. Ecco cosa aveva provato, Oscar, di fronte a quegli occhi. La prova più difficile. Tutto il resto, con tutti gli altri, sarebbe stato facile… non così con André. Non gli doveva spiegazioni, comunque. E non gliene diede.
Negando la propria vergogna, addebitando l’irritazione al suo comportamento, lo aveva congedato ritrovandolo poi inaspettatamente in cassetta.
«Ti accompagno io» le aveva detto, grave.
Gli aveva semplicemente lanciato un’occhiata altezzosa e quando lui aveva abbassato lo sguardo, stemperando l’atmosfera con quel suo dannato sorriso disarmante, era salita in carrozza convinta che quello sarebbe stato il secondo errore della serata.
Ora, la carrozza era ferma là dove non avrebbe dovuto trovarsi. In un punto imprecisato sulla strada che conduceva a Versailles, a ridosso di un canale placido e quasi silenzioso. E di André nessuna traccia.
Oscar lasciò l’abitacolo.  L’aria fresca della sera le sfiorò le braccia nude, scivolandole sul collo, le spalle e il seno stretto nel corsetto. Le scarpette da ballo la destabilizzarono. Ritrovò l’equilibrio e lo vide, André.  
Ammantato dall’oscurità, il suo profilo le apparì chiaro. Lo conosceva così bene che non sarebbe stato possibile confondersi. Seduto incomprensibilmente sul ciglio erboso, le gambe piegate, un braccio appoggiato al ginocchio e una mano alle labbra. Inconfondibile. Oscar credette di vedere anche il filo d’erba con il quale si divertiva a emettere un suono stridulo e familiare.
«André» mormorò rasserenata da quell’immagine, eppure sulle spine.
L’attendente si volse, lentamente, fino a sfiorare la stoffa della giacca con la guancia per guardarla.
«E’ una bella serata, vero Oscar? »
Oscar serrò le labbra. Perplessa e infastidita.
«E’ per questo che ti sei fermato, André? » lo canzonò aspramente. «Riprendi il tuo posto e andiamo. Non voglio fare tardi. Lo sai che non lo sopporto» lo esortò seccamente, voltandogli le spalle, pronta a salire in carrozza.
«No»
Oscar s’irrigidì, fermandosi. Sgranò gli occhi. Girò appena la testa.
«Cosa hai detto, André?» la sua voce roca era già vibrante di collera e la sua espressione contrastava visibilmente con l’elegante abito da sera.
André si alzò lentamente. La guardò. Fermo sul ciglio della strada. Eretto in tutta la propria possente figura d’uomo.
Un filo di luce dorata, un riverbero forse dell’acqua sottostante il viale, metteva in risalto il profilo ampio delle spalle, i fianchi snelli, le lunghe gambe tornite.
«Hai sentito bene, Oscar» confermò l’attendente. Lo sguardo fisso sulla figura sinuosa della padrona in collera. «Ho sempre obbedito a ogni tuo ordine…» scandì con fermezza. «Ma non questa sera, Oscar… Non adesso»
Oscar si volse, in tutta la sua collerica fierezza ma non fece in tempo a ribattere.
André le afferrò prima un polso poi l’altro. Stringendoli entrambi e trascinandola verso di sé, ottenne di ritrovarsela addosso.
«Non  posso portarti da lui, proprio non posso…» mormorò dolorosamente, sfiorandole i seni con il fiato caldo. «Non chiedermi questo» gemette fissandola negli occhi, abbassando leggermente le palpebre sulle iridi verdi, torbide di desiderio inespresso «Non farlo, Oscar…». Lasciò libero uno di quei polsi sottili e portò la mano alla sua nuca, cingendola con la più dolce e più ferma delle carezze.
Oscar fu percorsa da un brivido. Tentò istintivamente di ritrarsi. Ma lui la trattenne. Forte. Certo che si sarebbe pentito di quel che stava facendo. Deciso a non perderla. Cercò e sigillò le sue labbra con un bacio ardente. Incredulo e pago. Mentre un gemito e un fremito passavano dalle sua bocca affamata a quella di lei, così tenera e dolce. Inaspettatamente docile e poi pronta a irrigidirsi e a respingerlo, solo un attimo dopo. Allargò le dita che le trattenevano la nuca e assicurando meglio la presa le impedì di scacciarlo. Le portò il braccio dietro la schiena e la cinse tenendola stretta. Impedendole di fuggire. Perché sarebbe fuggita, Oscar. La conosceva…
Inebriato dal suo profumo, vinto da quella pelle morbida e vellutata, soggiogato da quelle labbra desiderate fino allo spasimo, faticò a frenarsi. Eppure lo fece.
Soffocò un gemito e lasciò la sua bocca. Sollevò il mento e si portò Oscar sul cuore. Indugiò in quella stretta, respirando il profumo dei suoi capelli, poi posandovi le labbra in un bacio leggero.
La sentì fremere, la sua Oscar. Recalcitrante e furiosa.
Aumentò l’intensità di quell’abbraccio, aderendo al suo corpo perfetto.
«Voglio che tu sappia una cosa, Oscar…» le mormorò tra i capelli «Io non ho bisogno di un vestito per amarti»
Si staccò da lei, lentamente, calcolando ogni mossa, ogni passo. Fino a mettere tra loro la giusta distanza. Non lo avrebbe raggiunto, se avesse deciso di colpirlo, si disse. Ma non sarebbe stata così lontana da non poterla riprendere, se fosse fuggita.
«Adesso, se vuoi, possiamo andare» mormorò, sogguardandola calmo, incredibilmente calmo.
Oscar abbassò repentinamente lo sguardo. Il respiro corto. Le labbra dischiuse. Immobile dove lui l’aveva lasciata. Poi gli voltò le spalle. Raggiunse la carrozza e svanì al suo interno.
André inspirò profondamente. Serrò le mascella e la seguì, passando accanto alla porta rimasta aperta.
Afferrò lo sportello, pronto ad assolvere al proprio compito di servitore attendente.
«Portami a casa» fu il roco bisbiglio di lei. Inatteso e incolore. Capace di fargli esplodere il cuore di entusiasmo e terrore.
Annuì. Assicurò lo sportello e salì incespicando in cassetta.
Non sapeva cosa sarebbe successo, una vola a Palazzo Jarjayes, ma non gli importava.  Euforico, avrebbe voluto tornare a terra, entrare in quella carrozza e baciarla. Ancora e ancora. E poi stringerla e assaporarla come desiderava da sempre. E farlo ora, che priva della sua corazza si offriva ai suoi occhi come la donna che era.  Ma non lo avrebbe fatto. Non si sarebbe azzardato, pago al solo pensiero di ricondurla a casa.
Nell’abitacolo di quella stessa carrozza, immersa nel silenzio e nel buio di quella notte strana, Oscar avvertiva una spossatezza irreale mentre tutto, attorno a lei, girava e le offuscava la vista. Si arrese, lasciandosi andare contro lo schienale morbido della seduta. Le palpebre socchiuse, le labbra serrate, il respiro accelerato. Una grossa lacrima calda si impigliò tra le ciglia. La sentiva, la accusava.
Piangere… A cosa sarebbe servito, piangere? E perché poi?
La ragazza, incosciente e sfacciata di pochi istanti prima, si era infranta inaspettatamente sulle labbra di un uomo che non aveva mai nemmeno considerato tale.
Con un gesto secco, si liberò dell’acconciatura e i capelli le ricaddero rassicuranti sulle spalle. Sfilò i guanti e li gettò contro la parete di fronte, in un gesto di stizza che voleva dire tutto e niente. Guardò con astio le pieghe dell’abito da sera. Si alzò, mantenendosi faticosamente in piedi, sollevò i pugni e li abbatté contro la parete, innocente barriera tra lei e l’uomo in cassetta, tempestandola violentemente una, due, tre volte.  Poi, riconoscendo la stupidità di quel gesto, si lasciò finalmente cadere sul divanetto, appoggiando la fronte al panneggio della tenda di damasco.
“Accidenti a te, André”, mormorò a fior di labbra, gli occhi dilatati dallo sgomento “Accidenti a te”.
Il conte Hans Axel di Fersen, era, in quel momento, l’ultimo dei suoi pensieri…


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