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Autore: uadjet    15/09/2015    1 recensioni
“Lauren?”
Cominciavo a sentire le dita delle mani muoversi di nuovo, e il mio cervello funzionare ancora, mentre lui cominciava ad avanzare lentamente verso di me, lento ed inesorabile.
Ma ora non era più lento, camminava più veloce, più agitato, più arrabbiato, furioso.
Mi riscossi improvvisamente dal mio torpore e mi scagliai verso le scale: avevo quasi raggiunto il sesto scalino quando mi sentii tirare nuovamente per i capelli e scagliare per terra.
Poveri capelli.
Cercai di rialzarmi, ma la mia testa venne battuta più e più volte sul corrimano della scala, senza alcuna pietà.
Uno, due, tre.
Mi accasciai per terra, incapace di reagire, mentre il mostro avvicinava il suo viso al mio e con quegli occhi bianchi mi disse tre semplici parole.
“Benvenuta all’inferno”
Un quarto colpo sul pavimento, e non sentii più nulla.
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3:

 

No, no, no. No. Non può essere. No. NO.

Continuavo a tastare e a guardare, a girarmi e rigirarmi, correvo e mi veniva l’ansia. Non so per quante volte girai per l’entrata del condominio.

C’era qualcosa di sbagliato. Doveva esserci qualcosa di sbagliato. DOVEVA esserci, e basta.

Ma la porta non c’era. Quella cazzo di porta non c’era.

Non ha alcun senso, pensai respirando lentamente per evitare che il panico avesse la meglio su di me, non ce l’ha. La porta c’è sempre stata. E’ sempre stata qui.

Ma ora non c’è.

“LO SO CHE NON C’E’!” urlai con quanto fiato avevo in corpo. Stavo diventando pazza, ecco che stava succedendo. Avevo la mente che stava facendo plof. Come un budino. Plof su se stesso. Plof.

Uh, diamine, devo capire, devo capire se è un incubo o realtà!

Ma come facevo? Ero passata in venti minuti da Venerdì 13 a One Late Night, per arrivare a Paranormal Activity. Eh, già, pacchetto all inclusive.

C’era solo una soluzione. Dovevo. Riprendere. Il. Controllo.

Adesso.

“Mi scusi?”

Mi bloccai, mani nei capelli, occhi semichiusi, testa pulsante. Non avrei sopportato qualcos’altro di assurdo quella sera, non ce l’avrei fatta.

Ma mi girai. Non so come ci riuscii, ma mi girai.

“Mi scusi?” ripetè la voce nel momento stesso in cui mi voltai. Rimasi quasi sorpresa. Era una ragazza, molto probabilmente mia coetanea, ma era normale. Una persona normale.

Forse è una delle coinquiline.

“Sì?” La mia voce uscì come impastata.

“Si sente bene?” mi chiese preoccupata la giovane, mentre io cercavo di assumere una posa da persona sana di mente. Cosa quasi impossibile, a dire la verità, in quel momento.

“Mh, sì” risposi, sorridendo lievemente, “solo un problema con le scale” conclusi, indicandomi la fronte.

“Oh” mi rispose lei distratta. Come faceva una persona ad essere distratta mentre tu, sanguinante, e con la faccia da malata mentale, le dicevi che avevi avuto un problema con le scale?!

“Posso chiederle una cosa?”

“Sì” risposi titubante; improvvisamente non volevo che mi chiedesse niente, perché, diciamocelo, l’atmosfera in quel momento era surreale, io stavo dando di matto, nulla era ok, e il problema con le scale che c’era sulla mia fronte mi stava facendo impazzire. Ancora di più.

“Sa dirmi in che direzione è il mattatoio?”

Che?!

No, ma …. Era seria?!

“Scusi, non ho capito” le dissi, convinta di aver sbagliato a capire, di essere diventata pure sorda oltre che cerebrolesa, il che poteva essere, in tutta sincerità.

“Il mattatoio” mi spiegò lei come se fosse la cosa più naturale del mondo, “per noi. Da che parte è?”

Ok. O mi ero rincitrullita (cosa altamente probabile in quel momento, nonostante stessi per ottenere una Laurea in Biologia Molecolare), o la ragazza aveva problemi di espressione. Seri, anche.

“Non ti seguo” affermai incerta, sperando che non la prendesse a male, e cercando una via di fuga dall’ennesima situazione senza senso di quella sera.

“E’ lì, alla vostra destra, ….”

Mi voltai, sentendo quella voce metallica che riconoscevo, e che avevo sentito al telefono quando tutto cominciò.

“…. Signorine.”

Non sentii nemmeno l’ultima parola: ero bloccata. Di fronte a me si trovava qualcosa di talmente spaventoso che non riuscivo più ad articolare nemmeno un suono. Un abito i cui colori, una volta originali, divertenti e giocosi, erano lentamente svaniti e offuscati dalle macchie di sangue coagulato e non; il viso bianco, incorniciato da denti aguzzi, e un naso rosso cascante, prevedeva da solo una fine lenta e dolorosa per il malcapitato che l’avesse osservato. Ma la cosa che mi congelò sul posto e mi bloccò il respiro furono gli occhi bianchi, senza palpebre, né pupilla. Completamente. Bianchi.

E poi il mio sguardo si posò sul braccio destro del mostro, che impugnava un cacciavite. Colante sangue.

“Grazie, mille, signore” cinguettò nel frattempo la giovane vicino a me, avviandosi verso non-so-dove. Dove poteva andare, se non c’erano vie d’uscita? Nemmeno la porta d’ingresso c’era più!

Non mi curai nemmeno di guardare nella sua direzione: ero presa da ciò che si trovava davanti a me, sperando che non si avvicinasse. Fu allora che mi guardò.

E io smisi di respirare. Proprio come in apnea. Non emettevo un fiato, sperando di sembrare invisibile, ma lui mi vedeva comunque.

Girò la testa da un lato, mentre il naso si afflosciava ancora di più, e punto il cacciavite verso di me.

“Dovresti andare anche tu, Lauren, non credi?”

Non ci volevo andare. Volevo dirglielo; non ero mai stata una con i peli sulla lingua, del resto. Ma non ce la facevo. Ero irrigidita. Se qualcuno mi avesse colpita, se lui mi avesse lanciato il cacciavite, ero sicura che mi sarei frantumata come una statua di gesso.

Lauren?”

Cominciavo a sentire le dita delle mani muoversi di nuovo, e il mio cervello funzionare ancora, mentre lui cominciava ad avanzare lentamente verso di me, lento ed inesorabile.

Ma ora non era più lento, camminava più veloce, più agitato, più arrabbiato, furioso.

Mi riscossi improvvisamente dal mio torpore e mi scagliai verso le scale: avevo quasi raggiunto il sesto scalino quando mi sentii tirare nuovamente per i capelli e scagliare per terra.

Poveri capelli.

Cercai di rialzarmi, ma la mia testa venne battuta più e più volte sul corrimano della scala, senza alcuna pietà.

Uno, due, tre.

Mi accasciai per terra, incapace di reagire, mentre il mostro avvicinava il suo viso al mio e con quegli occhi bianchi mi disse tre semplici parole.

“Benvenuta all’inferno”

Un quarto colpo sul pavimento, e non sentii più nulla.

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Dolore. Immenso dolore alla testa.

Respira.

Obbedisco alla voce nella mia testa. Non riesco ad aprire gli occhi, però. Troppo dolore.

Alzati.

Prima controllo di non avere altre ossa rotte, oltre al cranio. Mi pare che sia tutto a posto.

Adesso arriva la parte difficile.

Mi rotolo su un fianco. Il dolore alla testa si fa insopportabile. Bum. Bum. Bum.

Appoggio la fronte al muro, lentamente l’energia ricomincia a scorrermi nelle vene: provo a mettermi carponi lentamente, senza fretta. Socchiudo gli occhi. La vista è appannata. Li sbatto più volte. Trovo una parete vicino a me.

Mi avvicino: avvicino il palmo della mano alla parete, provo ad alzarmi. Al primo tentativo non ci riesco, ci riprovo, ce l’ho fatta.

Senza fretta.

Mi tiro su quasi a scatti, intorno a me tutto gira, allora sto ferma per un momento, finchè la visuale non ritorna nitida, e mi ritiro su.

Non appena mi ritrovo completamente in piedi, provo a studiare l’ambiente introno a me, a ricordare ciò che è successo prima che mi risvegliassi.

Oh. Già.

La consapevolezza arriva come un macigno sullo stomaco, mentre cerco di resistere all’impulso di mettermi le mani sul viso; fa già troppo male da solo, se lo toccassi mi renderei conto ancora di più dello stato pietoso in cui si trova.

Allora mi guardo intorno: non muovo la testa, assolutamente no, sposto gli occhi, e tutto quello che riesco a vedere di fronte a me è un corridoio malmesso e abbandonato. Non c’è molta luce, e non riesco a capire da dove filtri la poca che c’è.

L’unica cosa che posso fare è camminare. Muovermi. Andare avanti. Solo per non ritrovare quella cosa che mi ha quasi ammazzata.

Faccio un passo. Poi un altro. La testa mi fa così male che i suoni sono attutiti, e i miei passi non li sento neppure.

Mentre tento di camminare vorrei mettermi a piangere. Per quello che mi è successo, per il fatto che è tutto così assurdo che ancora non riesco a crederci, per la paura che tutto quello che percepisco, che sento, sia solo nella mia testa, e quello sì che sarebbe brutto.

Ma le ragazze forti non piangono, mi ripeto come un mantra, le ragazze forti si rialzano anche quando non ci riescono e continuano a camminare, trovano la via d’uscita.

E io la mia via d’uscita da lì l’avrei trovata.

Ihihihihih

Una risata in sottofondo. No, non è lui. Vi prego, no. Continuo a camminare, faccio finta di non sentire, ma la risata continua imperterrita.

Laauureeeennnnn ….

Cerco di camminare più veloce. Tu sei una ragazza forte, sei una ragazza forte, sei una ragazza forte.

Corro, ora. Almeno, ci provo. Incespico. Mi rialzo. Dietro di me la voce crudele continua a chiamarmi, mi promette sadici giochi e una fine peggiore della sola morte.

Continuo a scappare.

Continuo a percorrere il corridoio come se non ci fosse un domani.

Beh, per la verità non c’è.

Ma io vado avanti, avanti. Finchè non sbatto contro qualcosa. Non l’ho visto: una parete fatta di specchio non mi permette di andare avanti.

Ecco perché il corridoio sembrava così lungo.

Allora, rassegnata, mi fermo.

Non posso fare altro che girarmi.

Girarmi e affrontare il mio incubo (perché non lo vedo sullo specchio?). E decido di affrontarlo.

 

Ciao a tutti! Mi dilungo poco, eh :-) spero veramente che recensiate questo capitolo, solo per farmi capire se la storia vi piace o no (* forse fa talmente schifo che non riescono a dirlo*) ..... oddio, speriamo che non sia così XD

Comunque vi lascio, alla prossima

Uadjet

 

 

  
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