Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Segui la storia  |      
Autore: Chikai Yeoubi    15/09/2015    4 recensioni
Questo è lo spettacolo di un vecchio locale, dimenticato all'angolo di una strada, che non starà più in silenzio.
Questo è lo spettacolo di una promessa, stretta a bassa voce, con il cuore che scoppia nel petto.
Questa è lo spettacolo di una chiave impolverata, che gira e rigira, gira e rigira.
E' un Passo a Due, ma sulle note del coro di tante voci diverse.
Lasciate che vi raccontino questa vecchia storia.
~
"Si raccontava spesso di quello strano posto.
Una baracca dismessa e polverosa, all’angolo della stradina che porta al mercato. I bambini ci passavano davanti tutti i giorni e a malapena la notavano - come dargli torto in fondo, era un cumulo di macerie, travi disordinate, macchie di vernice scheggiate. Magari qualcuno ogni tanto staccava un pezzo di legno qui o là e ne faceva una spada improvvisata, un palo per la porta, una mazza per la palla.
Era poco importante tanto, no?"
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Lysandro, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Pas de deux

 Storia di una vecchia chiave d’ottone
 
 

Entrèe

- Quel quadrante scheggiato
 

Si raccontava spesso di quello strano posto.
Una baracca dismessa e polverosa, all’angolo della stradina che portava al mercato. I bambini ci passavano davanti tutti i giorni e a malapena la notavano - come dargli torto in fondo, era un cumulo di macerie, travi disordinate, macchie di vernice scheggiate. Magari qualcuno ogni tanto staccava un pezzo di legno qui o là e ne faceva una spada improvvisata, un palo per la porta, una mazza per la palla.
Era poco importante tanto, no?
Eppure, eppure poi, al calar della sera, quando si rientrava a casa e, dopo aver mangiato, ci si accucciava sotto le coperte, capitava che qualche nonna cominciasse a raccontare. Una storia semplice, vecchia davvero, che cominciava in quel posto abbandonato e dismesso e finiva con una chiave di ottone.
Una chiave d’ottone scomparsa.
C’era stato un tempo, un tempo in cui all’angolo della strada che portava al mercato si ergeva un piccolo edificio colorato. Amour Sucré si chiamava, tutti lo conoscevano, era sempre pieno di luci, odori e musica, una specie di saloon d’altri tempi. Incastrato in una piccola via, ma abbastanza grande da contenere un bancone lucido, tavoli, sedie, e un largo palco di legno d’acero con tanto di sipario in velluto rosso. Non c’era sera senza festa lì, le persone stavano in piedi, bevevano, ridevano, lasciavano passare le ore tra l’incanto della musica e la febbre dell’ebbrezza. Chi non trovava posto dentro se ne stava fuori, vicino all’ingresso, e con tazzoni pieni di birra e belle compagnie il locale pareva estendersi per tutta la strada.
Ma non era solo questa aria di festa a renderlo conosciuto da tutti. L’Amour Sucré aveva una chicca, una specialità che lo rendeva diverso da ogni altro posto. Tutti lo sapevano, e tutti andavano lì per goderne. In mezzo al baccano arrivava un momento della serata dove le luci si abbassavano, l’aria pareva fermarsi, e ogni voce si spegneva in un sussurro. Quello era il suo momento. E quando quel sipario rosso polvere si alzava, come in un incantesimo o in una tacita promessa, non c’era sguardo se non per lei.
La Dama o, come la chiamavano tutti all’epoca, la Sucrétte.
Sul suo aspetto i racconti si discostano, e i ricordi si confondono. C’era chi diceva che ogni sera avesse capelli e occhi diversi, alle volte anche dettagli minimi che comparivano e scomparivano, come un neo sotto l’occhio sinistro o una spruzzata di lentiggini sul naso. C’era chi ipotizzava che fossero, ogni volta, persone diverse ad esibirsi, qualcuno alle volte giurò, durante lo spettacolo vero e proprio, di aver visto i capelli e occhi colorarsi e cambiare da soli sotto le luci.
Supposizioni, aneddoti, storie. Ce ne erano tante anche allora.
Ma non erano importanti. Ogni sera la Sucrétte danzava, ed era questa l’unica cosa che contava. Non era particolarmente bella, aveva un corpo minuto, senza forme esagerate, ed un viso come tanti altri, eppure andava bene, si adattava all’anima di chi la guardava. Ancora oggi molti non sanno spiegarselo, ma era come se la Sucrétte dedicasse un ballo diverso ad ognuno dei suoi spettatori. E danzava, danzava, danzava, anche quando le scarpe si rompevano, anche quando le calze si consumavano. Danzava senza sosta e poi alla fine, quando le ginocchia si piegavano e con un leggero inchino salutava il suo pubblico, sulla sua schiena si intravvedeva il luccichio una chiave di ottone che continuava a girare, come se nulla si fosse fermato e la musica continuasse anche dopo l’ultimo bridge.
E così girava, girava, girava. Nessuno poteva vederlo, ma continuava a farlo anche dopo, dietro il sipario polveroso. Nel buio delle quinte, il silenzio innaturale era rotto solo da questo continuo cigolio appena accennato. Chi si tratteneva un po’ di più, quando ormai le sedie erano alzate e i battenti già socchiusi, poteva quasi sentirne il suono attutito dalle pesanti tende di velluto. E non c’era verso di sporgersi appena un po’ oltre, perché un uomo, lo stesso uomo ogni sera, se ne stava all’angolo del palco a guardar male chiunque si avvicinasse. E così era per ore, fino ad un certo momento in cui, con assurda naturalezza, superava egli stesso quelle tende e scompariva fino alla sera successiva.
E allora non solo il cigolio era udibile da fuori. Ma anche dei singhiozzi.
E’ qui che la maggior parte delle storie si interrompevano. I bambini sbuffavano scontenti e chiedevano capricciosamente un continuo o almeno una fine. Le nonne per accontentarli divagavano, inventando così tanti finali da creare decine e decine di storie diverse, tutte tanto credibili quanto fasulle.
C’era solo una cosa nella quale tutti concordavano.
Un giorno, l’Amour Sucré venne chiuso per sempre. Senza se e senza ma, senza risposte e senza domande, i battenti colorati in varie sfumature di viola e rosso furono sigillati una sera che sembrava uguale a tutte le altre. E le persone passavano per la stradina del mercato guardandolo speranzose, aspettandosi quasi di poter sentire di nuovo la musica volare nell’aria, e le luci e i profumi della festa appena iniziata.
A qualcuno sarebbe bastato vedere di nuovo la Sucrétte danzare. Anche solo un’ultima volta.
Ma, così come l’anima del locale, anche lei era scomparsa all’improvviso, lasciando dietro solo ricordi che si sfaldavano con poco. Presto il silenzio della stradina che portava al mercato divenne abitudine, e nessuno si chiese più niente.
Nemmeno perché la visione di una chiave di ottone riusciva ancora a far pizzicare il cuore.

“Ma se provo ad ascoltare non è che la sento ancora girare?”

Non c’è spettatore più attento di un bambino che non si addormenta prima della fine. In una casa simile a tante, una sera qualsiasi, una mamma si sentì porre questa domanda.
Sorrise docilmente, con le rughe che si accentuavano agli angoli degli occhi.
“No Lysandre, c’è solo silenzio ormai.”

E, spegnendo con un soffio la candela, metteva la parola fine allo spettacolo di quella sera. Qualche protesta, un bacio sulla fronte, un fagotto finalmente sotto le coperte, la mamma se ne andava convinta di aver lasciato posto solo al sonno, ma così non era. Al buio il bambino osservava il pezzo di legno che proprio quella mattina aveva staccato dal locale. Visto così, con solo la luna a dar un poco di luce, sembrava un semplice rettangolo scuro, ma lui sapeva di aver scelto uno dei pochi pezzi ancora colorati. C’era una bella striscia rossa sopra, sembrava uno schizzo di vernice più che altro, ma a lui il rosso era sempre piaciuto tantissimo e quindi andava bene anche se irregolare. Suo fratello Leigh aveva detto che avrebbe potuto farne una spada bellissima, ma a Lysandre non andava di usarlo per giocare. Sulla superficie rovinata dal tempo restavano impressi ancora intagli e decorazioni bellissime, e il rosso le faceva risaltare tantissimo.
Lo guardava e si chiedeva tante cose, una in particolare, frivola, leggera, lo accompagnò fino agli ultimi istanti prima del sonno, quelli che scivolano silenziosi senza un reale senso e la mattina dopo si fa fatica a riafferrare.
Chissà se
anche alla Sucrétte piaceva il rosso?
A quel tempo non lo sapeva,
ma un giorno avrebbe avuto la sua risposta.
 


L’aria di Rou De La Chanson era la più fredda di tutte, su questo non c’erano dubbi.
Castiel si accese la terza sigaretta della mattinata e maledì un altro paio di Santi, lo sguardo che vagava nella disperata speranza di intravvedere quell’idiota che aveva per migliore amico. Quanto tempo era che si conoscevano? Otto, nove anni? Più o meno, ed ogni santa, santissima volta che prendevano un appuntamento non c’era mai la certezza di non dover perdere almeno una mezz’ora a cercarlo in strade improbabili della città.
Certo, quella mattina l’incontro non era neanche in uno dei soliti posti, ma non si sentiva di giustificarlo. Dopo aver visto Lysandre perdersi anche nel tragitto dall’aula al bagno, ai tempi della scuola, lo aveva automaticamente classificato come Caso Disperato punto.
Una nuvola di fumo andò a perdersi tra le folate di vento, Castiel guardava annoiato il via vai di persone chiedendosi se poteva concedersi ancora qualche minuto o fosse il caso di cominciare la sua ricerca. Mentre ancora aspettava il mercato in fondo alla strada cominciava ad animarsi, l’odore del pane appena sfornato e dei croissant preparati apposta per le colazioni gli ricordò, con grande dispiacere, che lui la sua l’aveva saltata proprio per non fare tardi.
Non tutti lo sapevano, ma Castiel Lucifer era un tipo che quando c’era di mezzo qualcosa d’importante non si concedeva errori. Ci metteva davvero la testa, alle volte anche troppo, ma questa parte di lui era facilmente nascondibile dietro l’aria da “Cattivo Ragazzo” che si portava dietro da troppo tempo per cambiare le cose, e a lui andava davvero bene così.
Fare l’eroe Byroniano ti diverte, eh?
Gliel’aveva chiesto una volta proprio colui che stava aspettando. Castiel non aveva risposto.
Il filtro cominciò a consumarsi.
– … al diavolo.
Buttò a terra la cicca e, ignorando i richiami indignati di una vecchia in tubino rosa – Seriamente? Esci in tubino rosa alle otto del mattino? – si avviò alla ricerca del suo migliore amico. Come ogni dannata volta.
Certo era che come minimo Lysandre avrebbe dovuto offrigli la colazione, poi.
E rimediargli almeno un’altra sigaretta.



– Mi scusi, sarebbe così cortese da indicarmi come arrivare a Rue De La Chanson?
Lysandre Ainsworth lottò per mantenere intatto il suo savoir faire all’ennesima occhiata storta che riceveva. Il passante borbottò qualcosa in una lingua che non conosceva e superandolo lo urtò in malo modo.
Il ragazzo fece un lungo respiro. Non sapeva dov’era – ovviamente – ma non voleva pensare di essersi perso persino in un altro paese. Era assurdo!
E se così fosse stato, lo sapeva già, Castiel sarebbe stato pronto ad ammazzarlo. Lentamente e dolorosamente.
Cercò di fare mente locale e di riconoscere almeno qualcuno dei viottoli che stava percorrendo, ma invano. Certo era che non si trovava in una parte piacevole di – sperava – Parigi. Le mura erano sudicie e le persone livide, tenevano la testa bassa e lo fissavano con sospetto, ma a questo Lysandre era abituato, sapeva di non avere un aspetto usuale.
Quello a cui non era abituato, invece, era il quasi disgusto che si leggeva dai loro volti. Mantenne la solita calma e continuò il suo cammino, che era di certo la cosa migliore da fare.
Solitamente quando si perdeva adottava la tecnica del “resta fermo e aspetta”, quella mattina, però, non poteva aspettare che Castiel lo recuperasse da ovunque-egli-fosse. Quella mattina era importante, lo era tantissimo, e aveva i minuti contati. Sentiva quasi il ticchettio dell’orologio a cipolla infilato nella tasca interna della sua giacca, la tentazione di tirarlo fuori e controllarlo era forte, ma non era tanto stupido da farlo lì.
Non quando sentiva le occhiate non proprio benevole di certi gentiluomini trapassarlo da parte a parte.
Svoltò un paio di volte, gli stivali che calpestavano il fango di strade sempre più malconce. Un paio di cartomanti dall’olezzo di alcool provarono a richiamare la sua attenzione ma Lysandre non se ne curò. Puntava dritto alla fine di quel vicolo, sperando di trovare una strada più riconoscibile o almeno più tranquilla.
Fu proprio a pochi passi da quella che sentì qualcuno chiamare il suo nome. Un sibilo – Ly… sandre… – nulla di più, ma bastò per bloccarlo lì dov’era, con una sgradevole sensazione sull’osso del collo.
… ysandre…
Lysandre…
Lysandre.
In penombra, leggermente appoggiato ad un muro incrostato, c’era qualcuno.
Lysandre lo fissò, impassibile.
Non era un attaccabrighe come Castiel, ma poteva vantare un certo sangue freddo.
– Chi va là?
La figura non rispose, avanzò invece di qualche passo nella sua direzione. I contorni si fecero più nitidi e Lysandre si accorse che era una donna, alta, con la pelle olivastra e i capelli straordinariamente lunghi raccolti in una coda. Istintivamente rilassò i muscoli, ma non abbassò la guardia. La sensazione sgradevole permaneva.
Lysandre. Lysandre. Ti sei perso Lysandre?
Come conosce il mio nome?
Giri intorno ed intorno, dubbiosamente intorno ed intorno, miseramente intorno ed intorno…
Alzò un braccio facendo dondolare con la catena un orologio a cipolla dorato.
– E tic tac, il tempo non si ferma.
Prepara
i tuoi dubbi
ed ingoiali!
*
Lysandre strinse le labbra a disagio, una mano che andava a tastare la tasca interna all’altezza del petto.
Vuota.
Ed intanto la donna continuava a canticchiare. Aveva una voce morbida e sorrideva tanto.
Solo che Lysandre non riusciva a trovarci nulla di piacevole.
Perché la chiave gira e rigira
gira e rigira
e se non si attorciglia
e se non si incastra
e se non si sfila
la canzone non fi-ni-rà.

– Non capisco di cosa stia parlando… – disse, cercando di usare tutta l’educazione possibile - e mi perdoni Madame, non credo davvero di conoscerla…
La donna chiuse le labbra ma continuò a mugolare la melodia.
Poi aprì di colpo le dita, e l’orologio cadde sull’asfalto. Un rumore metallico rimbombò nel vuoto.
– Il tempo, Lysandre. Il tempo… – sussurrò piano, facendo ondeggiare i lunghi capelli - cerca di non fare tardi, o resterai indietro.
– TU!
Una voce familiare scosse il ragazzo. Si voltò e vide la testa corvina di Castiel avanzare a passo di marcia nella sua direzione. Riportò l’attenzione sulla donna ma, come nel più scontato dei cliché, trovò solo una strada vuota dinanzi a sé.
Di lei non era rimasto nulla, se non l’orologio abbandonato a terra, e quella melodia nella sua testa.
Tic tac
– Ma dico io, come dannazione ci sei finito qua?!
– Castiel…
– Due isolati ed avevo finito le sigarette al primo incrocio! – Castiel era leggermente nervoso – Ho chiesto informazioni ad una pazzoide per trovarti! Capisci?! Una che girava con delle… cose sulla schiena, tipo ali fatte di carta! –  magari più che nervoso irritato, eh sì – E poi? Poi ti trovo a fissare un cazzo di orologio a terra! Ho voglia di pestarti, Lysandre. Spero che tu ne sia consapevole, lo spero tanto.
L’intensità con cui aveva pronunciato le ultime lettere riuscì a raggelargli il sangue nelle vene.
Avrebbe tanto voluto chiedere a Castiel se aveva visto quella donna, lo sguardo che ancora la cercava in quel vicolo apparentemente vuoto.
Ma un certo istinto – autoconservazione forse? – gli suggeriva di pensare prima a placargli l’esaurimento nervoso.
– Grazie di essere venuto a cercarmi – si chinò e raccolse il suo cipollone – …come al solito – aggiunse, constatando che il quadrante si era scheggiato. Prevedibile.
– Sé grazie – scimmiottò Castiel – prima o poi ti lascio in giro per un paio di giorni e vediamo come mi ringrazi.
Rimise a posto l’oggetto nella sua tasca controllando se fosse bucata o simili, ma ovviamente era intatta. Un trucco da prestigiatore? Una borseggiatrice davvero abile? I pensieri si susseguivano, uno più assurdo dell’altro, aveva così tante domande senza risposta che sentiva il mal di testa incombere.
Castiel lo strattonò per una manica, riportandolo alla realtà – Senti bello, eri tu quello del “non posso fare tardi, è importante” no?!  Allora muoviti che dobbiamo ancora farci tutta la strada, visto che è dall’altra parte della città. – ecco, gli occhi plumbei di Castiel sì che lo stavano trafiggendo, al confronto quelli che aveva avuto addosso prima erano sguardi di semplici ammiratori.
 - …sì, giusto. – Lysandre socchiuse gli occhi. Avrebbe parlato a Castiel di quello strano incontro, sì, ma dopo. Ora doveva occuparsi di un’altra faccenda, qualcosa per la quale aveva promesso a se stesso di impegnarsi sul serio. E se quella donna aveva detto qualcosa di sensato, era appunto che il tempo non si sarebbe fermato.
… prepara i tuoi dubbi ed ingoiali...
Dopo.
Si ripeté Lysandre, facendo un profondo respiro. Ci avrebbe pensato dopo.
– Andiamo Castiel, se facciamo in fretta quella colazione riesco ad offrirtela anche stamattina.

Avevano camminato in silenzio per un po’, intorno a loro la città aveva ufficialmente cominciato la sua giornata, e le strade si erano riempite di odori e suoni familiari. Castiel lanciava di tanto in tanto qualche occhiata al suo amico, le sopracciglia aggrottate.
Se c’era una cosa che gli era sempre piaciuta di Lysandre era il suo essere discreto e poco incline ai discorsi inutili. I silenzi tra di loro erano un’abitudine, qualcosa di piacevole e mai pesante, e Castiel ci si era sempre sentito a proprio agio. Conosceva bene Lys, meglio di suo fratello Leigh quasi. In fondo era il suo compositore di fiducia, aveva praticamente imparato a suonare la chitarra sulle canzoni canticchiate da Lysandre, e per dare un sottofondo alle sue poesie aveva persino imparato qualcosa al pianoforte.
Nessuno ci avrebbe scommesso nulla, ma erano un duo, complici nella musica e anche nella vita. Per questo Castiel era arcisicuro di quello che stava pensando. Qualcosa non andava.
– Sei sicuro di volerlo fare?
Il ragazzo parve cadere dalle nuvole, come sempre. – Mh?
– Non per farmi i fatti tuoi – sbuffò lui – ma non mi sembri più tanto entusiasta.
Svoltarono passando davanti ad un fioraio, una ragazza dai capelli color carota si scostò goffamente per non essergli di intralcio.
- Un po’ d’ansia prima di una nuova esperienza è normale, direi – Mormorò Lysandre, gli occhi eterocromi che fissavano l’invisibile – passerà non appena saremo lì – Sorrise appena.
– Pf… convinto tu. Ma non contare su di me per pulire, sarà un macello.
– Per quello mi farò aiutare da altri. Mi basta che tu ci sia per il dopo.
Castiel ghignò.
In quel dopo c’erano tante sfide, e lo sapeva bene.
Il mercato era ormai alle loro spalle, e in lontananza s’intravvedeva il profilo di un vecchio edificio. Dismesso, impolverato, teatro di vecchie glorie, ma ormai abbandonato ed ignorato da tutti.
Tutti meno che Lysandre.
– Il dopo farà meglio ad essere interessante, amico mio – Castiel incrociò le braccia – perché rimettere in piedi questo posto sarà tragico.
Una signora anziana, con i capelli argentei legati in uno stretto chignon alto, li stava aspettando all’ingresso.
Gli occhietti scuri fissi su Lysandre.
– La stavo aspettando, Monsieur Ainsworth.
Nelle mani grassocce l’atto di vendita dell’Amour Sucré.


 
E come il coperchio di un vecchio scrigno
il sipario si alza così.
Un breve inchino
luci soffuse

e il ticchettio dell’attesa diventa musica.


La protagonista, dimenticata da tutti, aspetta il suo momento.
La chiave d’ottone non si è ancora fermata.

 





- In Francia le prime sigarette cominciarono a diffondersi dal 1845 in poi. La storia è ambientata circa nel 1860 (quindi prima della Belle Epòque.)

- “Misery go ‘round and around/ Quandary go ‘round and around/ Merry go ‘round and around.
Tick-tock/ Time doesn’t stop/ Prepare your doubts/ Eat them up!

Citazione di “Utopiosphere” dei Mili, è una delle canzoni presenti nel gioco per cellulare Deemo (gente dateci un’occhiata, merita tantissimo)

- “La protagonista, dimenticata da tutti, aspetta il suo momento” è un velatissimo riferimento ad una saga dei Vocaloid, Bad End Night. (Originale da Ever Lasting Night: La protagonista, tradita da tutti, era una nona persona, il sostituto di "qualcuno"!?)
 
Salve!
Ebbene sì, ebbene sì. Sono finalmente arrivata qui. *^*/
E dico “finalmente” per vari motivi!
Anzitutto questa è ufficialmente la mia prima Long. Non intendo “la prima storia a più capitoli che scrivo o penso”, no, intendo “la prima storia a più capitoli che pubblico e mi impegno ad aggiornare e concludere in tempi ragionevoli! E’ un momento davvero importante, sapete? E ammetto di essere sia eccitata che terrorizzata…
eppure eppure… è una cosa che voglio fare, una sfida con me stessa e con voi, cari ipotetici lettori, che porterò al termine. Promesso. e.e
Poi finalmente (x2) pubblico in questo fandom. Ho un rapporto molto particolare con Dolce Flirt XD ho già pubblicato un paio di One Shot sul sito un bel po’ di tempo fa (magari qualcuna si ricorda un loschissimo “Take me back to the start” scritta e postata da una loschissima Glace) e ho partecipato (evintoyeeeeeeh *A*) al primo concorso di D per Dolcetta.
Ma non avevo mai pubblicato qua. Mai. M-A-I.
E lo sto facendo con una storia complessa. L’ho detto che è una sfida, no? Ebbene in questa storia voglio sperimentare tanto, ma soprattutto voglio evolvermi. L’ispirazione me l’ha data una tenuta di un certo evento sul sito che poootrei rivelarvi già (onestamente, credo che sia facile da intuire XD) ma preferisco tenere ancora le carte coperte per un altro capitolo, quello che concluderà l’Entrée dei nostri due protagonisti e darà l’inizio al ballo vero e proprio.
E’ una AU, - devo dire che ho un debole per le AU quando si tratta di Dolce Flirt COFF – e sono determinata a mantenere ogni personaggio IC, salvo qualche eccezione ai fini della trama. Mi diverto e mi divertirò tanto a ficcarci camei e riferimenti alla storia originale. <3
Poi, tanto per complicarmi la vita, ho deciso di strutturare i capitoli secondo le sequenze del “Passo a due”.
Quindi avremo l’entrèe (ingresso dei nostri ballerini)
Un Adagio fatto da entrambi.
Due Variations, una maschile e una femminile.
Ed infine la Coda, la ricongiunzione e la fine dello spettacolo.
Ogni fase corrisponderà ad un numero indeterminato di capitoli, quanti esattamente non lo so neanche io <3 ma è questo il bello di sperimentare!

Eeeeee… ecco, ho finito di straparlare. XD
Spero davvero davvero davvero di avervi offerto una… lettura piacevole, e di poter continuare questa avventura insieme a tutti voi.
Fatemi sapere cosa ne pensate e se avete già capito qualcosina (credo proprio di sì x’D).

Quasi dimenticavo! Ringrazio infinitamente due fanciulle molto speciali, Tayr Soranance Eyes e Soe Mame per la betatura e soprattutto l'appoggio. <3 Sanno far venire una voglia matta di scrivere, credetemi. Gli devo tantissimo. :3
A prestissimo, spero. <3

- Chikai Yeoubi.
 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: Chikai Yeoubi