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Autore: Writer96    15/09/2015    3 recensioni
Storia prima classificata al contest "Diamo Lustro Al Personaggio Originale -1 Edizione" indetto da l@dyriddle sul Forum di Efp
"« Davvero ingegnosa la trovata dello specchio »
L’uomo aveva parlato con la voce roca e graffiante di chi non è più abituato a parlare da molto tempo e ora la studiava con un ghigno, la testa leggermente piegata e un braccio posato mollemente sul bancone.
Gli occhi di Alana si sollevarono ad incontrare quelli di lui e in un attimo sentì il proprio corpo sciogliersi e contorcersi. Lo sconosciuto aveva gli occhi più grigi e tormentati che lei avesse mai visto e temette seriamente che, se li avesse guardati ancora, una qualche maledizione le sarebbe piombata addosso. Non era superstiziosa come molte donne della città in cui era cresciuta, ma sentiva che quegli occhi grigi racchiusi in una corolla di folte ciglia scure nascondevano ben più di un passato tormentato. Erano occhi malati, quasi morti, nonostante in quel momento brillassero di una certa malizia. Erano gli occhi di chi aveva avuto tutto e nello stesso istante l'aveva perso."
Honolulu, 1994 | OC, Sirius Black | Fin troppo Angst
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Storia prima classificata al Contest "Diamo Lustro al Personaggio Originale" indetto da l@dyriddle sul Forum di EFP





Hang Loose, Inferno

Alana (1) portò il bicchiere alle labbra e sorseggiò senza fretta il liquido ambrato al suo interno. Teneva gli occhi fissi sullo specchio davanti a sé e con la mano libera si accarezzava la treccia, che le ricadeva elegantemente sulla spalla destra. Chiunque l’avesse guardata in quel momento l’avrebbe trovata affascinante e, ancor più, l’avrebbe trovata consapevole di esserlo, seduta con una molle eleganza in cima ad uno sgabello malconcio. Tutto, in lei, a partire dal fiore che portava incastrato dietro all’orecchio per arrivare poi alla gonna volutamente corta e sollevata sulle cosce, sembrava stonare con l’ambiente squallido e miserabile del bar, eppure, allo stesso tempo, la sua figura elegante e studiata non poteva che essere parte integrante di tutto l’ambiente.

Gli occhi della ragazza erano fissi sullo specchio polveroso appeso alla parete e solo ogni tanto si concedevano un guizzo rapido verso la porta d’ingresso del locale, prima di tornare a scrutare con silenziosa insistenza una figura seduta in fondo alla sala. Era un uomo dall’età indefinibile, dai capelli neri e dalle guance scavate, vestito con una semplicità quasi anonima che strideva con l’innata eleganza che traspariva da ogni suo più piccolo gesto. Alana l’aveva visto entrare nel locale e subito la sua attenzione si era focalizzata sulla sua falcata elegante, sul suo portamento fiero e sui suoi gesti calibrati e studiati. L’aveva osservato ordinare un qualche liquore con un gesto veloce della mano e l’aveva seguito con lo sguardo fino a quando non l’aveva visto sedersi sulla sedia più solitaria e misera del locale, con i gomiti poggiati sul tavolo sporco di fronte a lui e lo sguardo perso chissà dove.

Si era subito sentita attratta visceralmente da quell’uomo che, in un certo senso, le ricordava se stessa con dolorosa precisione: era, esattamente come lei, uno di quei nobili reietti, fuggiti nella capitale dei paradisi tropicali per scappare dal proprio inferno personale. Alana si lasciò andare ad un sorriso e pensò che nonostante Honolulu fosse una città ricca, splendente e paradisiaca, loro avevano scelto lo stesso di andare a rifugiarsi nel quartiere più infernale che la città potesse offrire. Probabilmente, si disse lei, chi ha l’Inferno dentro non può fare a meno che cercarlo anche all’interno del Paradiso.

Si portò il bicchiere alle labbra per quella che era la quinta volta e quando rialzò lo sguardo sullo specchio si accorse che il forestiero non c’era più. Prima che potesse anche solo spostare gli occhi per cercare di trovarlo all’interno del locale, il rumore di uno sgabello che si spostava la costrinse a voltarsi velocemente alla propria destra.
« Davvero ingegnosa la trovata dello specchio »
L’uomo aveva parlato con la voce roca e graffiante di chi non è più abituato a parlare da molto tempo e ora la studiava con un ghigno, la testa leggermente piegata e un braccio posato mollemente sul bancone.
Gli occhi di Alana si sollevarono ad incontrare quelli di lui e in un attimo sentì il proprio corpo sciogliersi e contorcersi. Lo sconosciuto aveva gli occhi più grigi e tormentati che lei avesse mai visto e temette seriamente che, se li avesse guardati ancora, una qualche maledizione le sarebbe piombata addosso. Non era superstiziosa come molte donne della città in cui era cresciuta, ma sentiva che quegli occhi grigi racchiusi in una corolla di folte ciglia scure nascondevano  ben più di un passato tormentato. Erano occhi malati, quasi morti, nonostante in quel momento brillassero di una certa malizia. Erano gli occhi di chi aveva avuto tutto e nello stesso istante l'aveva perso.

« Ti ringrazio. In posti come questi, è sempre poco prudente guardare le persone direttamente negli occhi » gli rispose lei, prima di abbassare lo sguardo e iniziare a studiare con insistenza le righe sottili che attraversavano il bancone di legno.
« Tu mi stavi fissando » le disse lui, all’improvviso, costringendola a voltarsi di nuovo nella sua direzione. La scrutava ancora con quei suoi occhi dolorosi e Alana preferì lasciar vagare il proprio sguardo sulla sua figura. Era alto, ma non in maniera eccessiva, ed era incredibilmente magro, quasi si fosse dimenticato di mangiare per chissà quanto tempo. I capelli neri erano piuttosto lunghi e nonostante fossero tagliati decisamente a caso gli ricadevano intorno al viso scavato con una certa compostezza. Alana si rese conto che l’uomo che si trovava davanti a lei, prima di finire in quella bettola dimenticata da Dio e dagli uomini, doveva essere stato di una bellezza sconvolgente, di cui ancora rimanevano tracce più che evidenti nella forma dolce delle labbra, nel naso dritto e nella mascella decisa. E negli occhi, aggiunse mentalmente, prima di spostare lo sguardo e tornare a guardare lo specchio davanti a sé.

« Mi ricordi un principe caduto in disgrazia »
Lui scoppiò a ridere così forte che più di un avventore si girò a guardarlo con un luccichio infastidito negli occhi. Gettò indietro la testa e continuò a ridere con quella sua risata graffiante e sporca che somigliava tanto al latrare dei cani randagi che infestavano le strade della città durante la notte.
« E ridi come un cane randagio » aggiunse poi Alana, guardandolo tornare improvvisamente serio. Lui la studiò per qualche istante e poi si lasciò scappare un ghigno inquietante, che sarebbe potuto sembrare divertito se non fosse stato per il volto scheletrico che lo contornava.
« Questo è perché io sono entrambe le cose » rispose lui cripticamente, prima di allungare una mano e sfilarle il bicchiere dalle dita. Alana sollevò le sopracciglia e curvò le labbra in un sorriso scettico, mentre un brivido di malsano piacere le attraversava la schiena, vedendo che lui poggiava le labbra esattamente sopra la traccia di rossetto che lei aveva lasciato sul brodo del bicchiere.
« Mi chiamo Alana » gli disse all’improvviso, porgendogli una mano sottile. Lui la studiò per qualche istante e poi la afferrò, graffiandole la pelle del polso con le unghie incredibilmente lunghe.
« E tu mi ricordi proprio una principessina viziata che ha scoperto che non tutto era bello come lei credeva» le rispose lui, stringendole la mano mentre si alzava dallo sgabello e iniziava ad indietreggiare verso la porta del locale. Non appena varcò la soglia e il vento tiepido della periferia di Honolulu gli sollevò delicatamente i capelli, le lasciò la mano e continuò a camminare dandole le spalle.
« Non mi hai detto come ti chiami... » sussurrò Alana, rimanendo immobile per qualche istante, appoggiata al muro sporco del locale. Lui gettò la testa all’indietro e rise brevemente, con quella sua risata amara e fin troppo graffiante, prima di riprendere a camminare come se nulla fosse.
« Chiamami pure Elvendork (2)  » le disse, scuotendo ogni tanto la testa e lasciandosi andare ad una breve risata. Alana lo seguì ancora un po’ con lo sguardo, e poi mosse un paio di passi nella sua direzione.
 


Dire che non aveva alcuna idea di come fossero finiti in quella casa quasi completamente spoglia e totalmente buia sarebbe stato una bugia.
Alana sapeva esattamente tutto ciò che li aveva condotti lì, a partire dai suoi passi più veloci che le avevano permesso di superare l’uomo con un sorriso divertito, per arrivare alla sua schiena che sfregava brutalmente contro il muro di una palazzina mentre lui la sovrastava, prima che lei gli sussurrasse, con un tono di voce strozzato e lussurioso, di seguirla in un posto. Sapeva esattamente che lui aveva notato il tremito delle sue dita mentre recuperava le chiavi di casa dalla borsetta sottile che portava a tracolla e sapeva anche che era stata lei stessa a baciarlo rudemente, lasciando che fossero i loro corpi a spalancare la porta di casa.

Sapeva perfettamente anche che quello che stavano facendo era, probabilmente, completamente sbagliato, eppure non riusciva a sottrarsi alle carezze dell’uomo, ai suoi baci bruschi, alle sue unghie conficcate dolorosamente nella sua spalla destra. Lasciò che lui le baciasse il collo e le afferrasse i fianchi e fu lei stessa a spostare la mano lungo il suo petto, per cercare l’orlo della maglietta nera che lui indossava. Lo trascinò verso l’alto con disperazione, accorgendosi quasi con orrore dei tatuaggi che riempivano la pelle del costato dell’uomo, in una sorta di labirinto fatto di linee nere ed incomprensibili. Lui abbassò lo sguardo e Alana si sentì colta in flagrante, quasi si fosse messa ad osservare qualcosa di proibito e privato e in risposta si alzò sulle punte, cercando disperatamente la bocca di lui. Le mani dell’uomo erano veloci e la toccavano in mille punti, spostandosi con una grazia quasi felina e aggredendo allo stesso tempo la sua pelle olivastra, incidendola con profondi solchi rossi.

Alana sentì il proprio respiro accelerare nel momento in cui la sua camicia fu sollevata brutalmente e un istante dopo la sua gamba urtò il tavolino dell’ingresso con un tonfo sordo che andò per qualche istante ad interrompere i loro gemiti. La ragazza sollevò lo sguardo per un istante e si vide riflessa nello specchio, grazie ai raggi della luna che filtravano dalle imposte mezze rotte della finestra.
Si osservò e si vide solo come una macchia sfocata, allacciata ad un corpo sconosciuto che da lei non chiedeva alcuna dolcezza. Per l’ennesima volta si chiese se fosse quello, l’Inferno a cui stava andando incontro, se fosse quell’essere nient’altro che una sagoma che con le unghie e con i denti cercava di sopravvivere in un mondo non più in grado di dispensare dolcezza. Fu un pensiero così doloroso, quello che la colpì, che la costrinse a fermarsi e a sottrarsi alle carezze dell’uomo, afferrandogli delicatamente le spalle per allontanarlo da sé.
Lui le rivolse un’occhiata perplessa e quasi scocciata e lei, in risposta, lo invitò a voltarsi verso lo specchio con un cenno del capo. Lo sentì muoversi cautamente sotto le sue mani e quasi strillò quando lui si irrigidì di colpo e le conficcò le unghie nella pelle del braccio.

« Siamo noi, non c’è nessun altro. E’ solo che... ci ho visti riflessi e volevo solo... » provò a dire, ma un gemito strozzato da parte dell’uomo la costrinse a zittirsi e ad osservare il suo volto.
Era contratto in una maschera di puro dolore, mentre osservava il loro riflesso allo specchio, i denti serrati e gli occhi completamente spenti, la mano che non era arpionata al braccio di Alana chiusa a pugno così forte che le unghie dovevano chiaramente star incidendo la pelle. Rimasero in silenzio per qualche istante, mentre sulle guance di Alana cominciavano a scendere delle lacrime e la presa dell’uomo sul suo braccio diminuiva leggermente.

« Tu non sei James »
Aveva la voce più disperata che Alana avesse mai sentito e per un istante fu sul punto di lanciarsi ad abbracciarlo con tutte le proprie forze.
« Sono Alana, non sono James » gli rispose invece, afferrando con delicatezza la sua mano per spostarla dal proprio braccio. Abbassò gli occhi e vide una serie di solchi piuttosto profondi in prossimità di dove lui aveva affondato le unghie, ma ogni traccia di dolore scomparve quando alzò gli occhi e incontrò lo sguardo spento dell’uomo attraverso il riflesso dello specchio.
« No che non sei James. No che non lo sei. E non pronunciare il suo nome! » esclamò di colpo lui, con la disperazione che riempiva i suoi occhi spalancati.
« Non puoi essere James, del resto... » continuò lui, scuotendo la testa con fare sconfitto. Alana trattenne il fiato e mosse un mezzo passo in avanti, posizionandosi accanto a lui senza mai staccare gli occhi dal riflesso dei suoi.
« Sono Alana, non potrei essere lui, non credi? » sussurrò, allungando una mano per toccarlo. Lui ritrasse il braccio con uno scatto e si voltò a guardarla con rabbia, stringendo le labbra fino a renderle bianche quasi del tutto.
« Non è perché tu sei Alana. E’ perché lui è morto! » urlò poi, tendendo tutto il corpo all’indietro prima di sferrare un pugno proprio al centro dello specchio. Alana sussultò e si coprì la bocca con le mani, incapace di muoversi o di emettere un qualunque suono.

« Lui è morto ed è stata tutta colpa mia e ora non sono neanche in grado di proteggere suo figlio! E lui è morto e io non potrò più vederlo riflesso accanto a me in uno specchio. E quello che vedo riflesso qui, ora... » abbassò la voce, prima di sferrare un secondo pugno proprio là dove era riflessa la propria faccia «... Non sono nemmeno più io. Quello che c’era riflesso là sopra non ero io. Io non esisto più! »
Aveva la voce più straziante che Alana avesse mai sentito. Sembrava che qualcuno gli stesse strappando gli arti uno a uno, tanta era la sofferenza che emergeva da quelle parole.
Persino quando lei aveva scoperto che suo padre non era solo il direttore di uno dei più importanti alberghi dell’intera Hilo(3), ma anche il proprietario di una serie di bordelli altrettanto popolari e pieni di ragazze ben più piccole di lei, Alana non aveva sofferto così tanto, disperandosi a tal punto. E anche quando aveva trovato il cadavere di sua sorella, uccisa da uno degli avventori di quei famosi bordelli, e aveva sentito il cuore esploderle all’interno del petto e lacerarla da capo a piedi, non aveva avuto quell’espressione di dolore puro, quella voce fatta unicamente di strazio perforante.
« Hang loose(4), calmati... » provò a dire, ma si bloccò immediatamente quando lui si girò di scatto e la guardò con disprezzo puro, stringendo così tanto gli occhi che sembravano quasi completamente chiusi.
« Non mi posso calmare. Tu lo sai cosa vuol dire perdere tutto? E quando dico tutto, intendo tutto, proprio. Tutta la tua famiglia, tutti i tuoi amici, tutta la tua libertà. Vivere per dodici anni in un posto in cui ti nutrono solo con i tuoi ricordi peggiori, sperando che tu ti consumi da solo? Trovarti davanti suo figlio ed essere costretto ad andartene, nonostante tu abbia giurato di proteggerlo e di stargli  accanto?» fece una pausa e si limitò a respirare pesantemente, gli occhi grigi che sembravano quelli di un pazzo, tutta la bellezza residua trasformata dal dolore in una maschera deforme.

« Tu lo sai cosa voglia dire essere costretti a scappare in posti caldi, perché così quelli che ti hanno tenuto prigioniero per tanto tempo non potranno venirti a cercare, e poi renderti conto che l’Inferno continua ad essere Inferno anche in un posto che tutti chiamano Paradiso? Tu lo sai cosa voglia dire non riuscire più a credere in nulla, dal momento che tu stesso non sei più nulla, non senza di lui, per lo meno? Lo sai, eh...»
« Kulikuli(4), sta zitto! Zitto! Smettila, ti prego! » strillò Alana, tappandosi le orecchie con le mani mentre lo sguardo di lui continuava a perforarla silenziosamente.
« Lo sai cosa vuol dire perdere tuo fratello, perdere l’unica persona che tu sia mai stato in grado di amare in maniera sana? » sussurrò lui, senza smettere di guardarla, tremando così tanto che le linee tatuate sulla sua pelle sembravano onde in movimento.
« Mia sorella è stata uccisa per colpa di mio padre » gli sputò addosso lei, mentre le lacrime scendevano lungo le sue guance in una corsa disperata.
«Mio fratello –non quello di sangue, anche se è morto pure lui, certo- è morto per colpa mia. E mio fratello era l’unica persona al mondo che non sarebbe dovuta morire »
Alana agì secondo un impulso sconosciuto, alzando le mani fino a posargliele sulle guance, accarezzandogli i capelli con le dita e abbassandogli il viso fino a che non si trovò alla stessa altezza del suo. Lo guardò negli occhi con attenzione, sentendolo tremare sotto il proprio tocco, e per un secondo riuscì a leggere vagamente tutta la sofferenza che si intrecciava a quelle iridi chiare.
« Hang loose, Elvendork. O come ti chiami, non lo so. Hang loose, d’accordo? Per favore... » bisbigliò, studiandolo da sotto i propri occhi allungati.

« Tu hai gli occhi simili ai suoi. Anche lui li aveva di un colore simile al tuo e anche nei suoi c’era una traccia di arroganza divertita che non spariva mai. Ma lui aveva gli occhi buoni, tu li hai feriti come i miei » le rispose, senza dare un segno evidente di aver ascoltato anche una sola parola di quelle che lei gli aveva appena detto. Alana scosse le spalle, senza sapere esattamente cosa dire, limitandosi a guardare quello sconosciuto che rischiava di crollarle tra le mani.
« E hai una bocca simile alla sua. Ma lui aveva un sapore più buono » sussurrò, prima di staccarsi da lei così velocemente che i palmi delle sue mani rimasero a mezz’aria, vuoti, a bruciare, ancora per qualche istante.
Lui la guardò e poi alzò una mano, indicando un tatuaggio esattamente al di sotto dello sterno.
«Guarda, ecco dov’è la bocca di James. E’ una runa, si chiama Ansuz (5)e vuol dire “bocca”, appunto » le disse, un sorriso sghembo che gli occupava le labbra. Lei annuì leggermente e lo guardò chinarsi a terra per recuperare la propria maglietta, infilandosela poi con un gesto secco e veloce.
Alana si chiese quale fosse la storia di quell’uomo con quel tale James, ma dopo qualche istante di riflessione preferì non chiederlo. Quell’uomo aveva avuto un figlio, bastava questo a farle capire che tutto quell’amore di cui lo sconosciuto parlava doveva essere stato un continuo dolore anche mentre James era in vita.

« Devo andare via » esclamò, costringendo Alana a scuotersi dal silenzio in cui era piombata per guardarlo con una certa disapprovazione.
« Ma è tardi e questa è una brutta zona! » provò a dire, ma lui stava trafficando con qualcosa che si trovava nella tasca dei suoi pantaloni. La ragazza sussultò e si chiese se quell’uomo non fosse tanto pazzo e tanto distrutto dal volerla uccidere dentro casa sua, probabilmente con l’unica colpa di non essere James.
Aveva già alzato le mani, iniziando ad arretrare verso la porta, quando lui tirò fuori qualcosa di allungato e sottile e glielo puntò contro.
« Devo chiederti scusa, Alana, ma è meglio che tu non ti ricordi di me » disse, sorridendole gentilmente per quella che era probabilmente la prima volta da quando si erano conosciuti.
« Io e te ci assomigliamo. L’ho capito subito, dalla maniera in cui te ne stavi seduta su quello sgabello, padrona di un mondo squallido e desolato. Non ho intenzione di chiederti la tua storia, di sapere se sei stata diseredata perché avevi idee diverse da quelle della tua famiglia, o se hai deciso che la tua ricchezza era sporca e non la volevi più o se semplicemente eri troppo annoiata dall’avere tutto e hai scelto di andartene per provare dei brividi. Non mi interessa, ma ancora non sono diventato un mostro come sembro » fece una pausa e la guardò intensamente, piegando la testa nella stessa maniera in cui l’aveva piegata poche ore prima all’interno del bar.

« Preferisco che tu non ti debba portare dietro anche tutta la mia patetica scena di poco fa. Me l’ha insegnato James, a non buttare addosso agli altri un dolore inutile. E poi, sinceramente, è meglio che tu ti dimentichi di me anche per una questione, come possiamo chiamarla?, di sicurezza internazionale »
Alana sussultò di nuovo e lo guardò avvicinarsi, ascoltando il proprio cuore che batteva con una forza inaudita. L’uomo le stava continuando a sorridere in quella maniera un po’ sghemba e sembrava essere riuscito a relegare tutto il dolore che poco prima gli aveva invaso il corpo intero esclusivamente all’interno delle iridi grigie. La gamba della ragazza urtò il muro e lei ci si schiacciò contro, il fiato corto per la paura, mentre l’uomo continuava ad avvicinarsi.
Le parve incredibile il fatto che quando erano entrati nel suo appartamento il peggio che sarebbe potuto capitare loro sarebbe stato rovinare un po’ le lenzuola ed ora invece, con ogni probabilità, lei era ad un passo dalla morte. Una scarica di dolore acuto misto a sollievo la costrinse a pensare che, in un modo o nell’altro, se fosse morta sarebbe riuscita a vedere Maka(1), a stringerla di nuovo, a sussurrarle che finalmente sarebbe riuscita a difenderla da tutti, anche da loro padre.

« Non ti voglio uccidere, Alana. Come dite, voi? Hank loos? »
« Hang loose. Calmati »
« Hang loose, Alana. Mi dispiace solo... In un’altra vita saremmo potuti essere amici e confrontare i nostri Inferni. Ma temo che il mio sia troppo grande da sostenere... » le sussurrò lui.
Aveva un sorriso amaro impresso sulle labbra e Alana si chiese se fosse stato così anche mentre James era in vita. Se avesse avuto anche con lui quel ghigno sghembo, quell’eleganza trasandata e quei modi bruschi e sinceri di amare, se fosse stato anche con lui così affascinante, provocatore e allo stesso tempo incapace di comprendere. Si chiese se fosse  stato felice, con James.

«Aloha(4), Elvendork » sussurrò, guardandolo avvicinarsi con il legnetto stretto tra le dita.
« Aloha, Alana. E, ti prego, chiamami Sirius »

Prima che Alana potesse anche solo pensare a qualcosa –“Che diavolo di nome è, Sirius?”, “Perché  non le aveva detto prima come si chiamasse?”, “Cosa voleva fare, ora?”,Sto tornando, Maka”- lui si era fermato e aveva puntato il legnetto contro di lei.





« Oblivion »

E tutto si fece più buio.
 
 


Note:
 
  1. Sia il nome Alana che il nome Maka sono nomi tipici Hawaiani. Alana vuol dire “Attraente” e mi è sembrato bello scegliere un nome che giustificasse in parte la sua naturale eleganza. Maka  invece vuol dire “Inizio” e l’ho scelto perché in un certo senso è la morte di Maka a spingere la sorella ad iniziare una nuova vita, a scappare. Però poi è da Maka che Alana pensa di tornare, in caso di morte, quindi mi piace questo combaciare di inizio e fine
  2. Elvendork è, per chi non la conoscesse, il nome tratto dalla storia scritta dalla stessa Rowling a proposito di James e di Sirius e di un loro incontro con i poliziotti. Non ho ritenuto saggio far usare a Sirius il proprio soprannome da Malandrino, perché ritengo che per lui sarebbe stato troppo doloroso essere chiamato “Felpato” da qualcuno che non fosse James
  3. Hilo è una delle città della contea delle Hawaii ed è la seconda città dello Stato dopo Honolulu. Del resto, se faccio dire a Alana di essere scappata ad Honolulu, lei non poteva di certo provenire da lì, no?
  4. Le parole usate, Kulikuli , Hang loose e Aloha sono tutte provenienti dalla lingua hawaiana e vogliono dire, per l’appunto, “Stai zitto” (riferito ad una persona che parla troppo e dice cose sgradite), “Calmati” (riferito ad una persona che è eccessivamente agitata) e “Arrivederci” (Ma anche “ciao” e “addio”)
  5. Ho trovato il significato della runa Ansuz arrivando in questo sito http://figlieluna.altervista.org/significatorune.htm dopo aver letto questa storia http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3041132 ed ho immaginato il suo significato in chiave SnitchStar
 
Perché le Hawaii?

Nel Calice di Fuoco, Harry dice che Sirius manda lettere da posti tropicali e caldi (arriva un uccello multicolore e grande, se ricordate bene) e che continua a cambiare posto per paura di essere trovato.
Ora, tutti parlano delle Hawaii come un posto paradisiaco, pieno di relax, di persone felici e, ovviamente, di sole, perciò mi è sembrato un buon posto per scappare dai Dissennatori e, per di più, da contrapporre all’inferno personale di Sirius. Di certo non me lo sono immaginata vagare in mezzo alla gente nelle spiagge assolate e ho preferito mandarlo ad ubriacarsi in una bettola dove nessuno avrebbe potuto fare caso a lui.
Inoltre, informandomi, ho scoperto che i bassifondi di Honolulu sono particolarmente ricchi di criminalità e di loschi figuri e quindi nessuno avrebbe rotto più di tanto le scatole a Sirius o si sarebbe scandalizzato alla vista delle sue condizioni.
 
 
A proposito di Sirius e di Alana

Di Alana ho voluto far sapere poco o nulla. Di lei si sa solo che era ricca e poi ha scoperto l’origine della sua ricchezza e inoltre, anche a causa di questa ricchezza poco onesta, ha perso la sorella. E’ scappata ad Honolulu e ora vive in un appartamento povero e scarno. Che cosa faccia per vivere non lo dico, non dico neanche come sia scappata o come sia stata la sua vita prima di fuggire ad Honolulu. So che in una storia dove mi viene chiesto di creare un OC molto ben caratterizzato la cosa potrebbe sembrare strana, ma la verità è che Alana dev’essere un personaggio di una notte, destinato a sparire. Non ha alcuna importanza ai fini della storia generale di Harry o di Sirius, non è nessuno. Eppure, Sirius la sceglie come “compagna di una notte” perché la trova simile a sé, elegante e trasandata, una nobile reietta. Questa è la cosa su cui mi sono voluta soffermare: Alana resta umana, in un certo senso, mentre Sirius non fa che sprofondare nel proprio dolore. Alana ha paura, soffre, si indigna, provoca e prova affetto; Sirius prova dolore e basta.

Sirius non è né gay né bisex. Sirius ha baciato James, Sirius dice di aver amato James ma le cose si fermano qui. Come siano andate tra di loro le cose? Non ci interessa, così come non interessa ad Alana. Perché Sirius ha perso tutto, avendo il proprio tutto in un’unica persona. Però Sirius è in grado, in un certo senso, di amare fisicamente anche Alana quindi... Non si sa. E’ davvero così importante?

E per i suoi tatuaggi, mi sono ispirata al film. So che nei libri non se ne parla, ma a me piacciono, addosso a Sirius.






Prima classificata al contest ''Lunga vita al personaggio originale''


Titolo 5/5 
Di solito i titoli in lingua straniera non mi piacciono, tanto è vero che ottengono sempre punteggi bassi nei miei contest e per questo mi faccio odiare (dovrei segnalarlo nel bando, però mi dimentico), questo non mi è dispiaciuto. 
Ha un forte impatto anche visivo (per via della virgola e la lettera maiuscola di inferno). Certo quando l’ho visto ho pensato, ma che è questo? L’ho trovato davvero strano, mi aveva incuriosita e, allo stesso tempo, mi aveva fatto arricciare il naso. Poi, ho letto la storia e mi è piaciuto veramente da pazzi. È sicuramente un titolo intelligente, ma inizialmente mi ha lasciata un pochino spiazzata. 

Grammatica, stile e lessico 10/10 
Grammatica: 
La grammatica, la sintassi fanno della tua storia una piccola chicca benché tu non abbia giustificato il testo e la scrittura sia un po’ piccola MA l’uso sapiente della punteggiatura rende molto semplice la lettura, senza stancare l’occhio. È un elemento importante sui cui, molto spesso, non viene fatta giusta luce. 
Qualche piccolissima precisazione (che NON ha comportato la decurtazione di alcun punteggio) 
So che non sono in molti ad apprezzare le semplificazioni del Migliorini, ma sinceramente a me non piace l’uso della ‘d’ eufonica per separare due consonanti diverse (ad incontrare). 
Sintassi e Lessico: 
Sei stata una delle più brave, davvero. Il tuo stile è ricco senza essere eccessivo, trascina davvero: è evocativo pur restando semplice e lineale; l’ho semplicemente trovato elegante e certamente indimenticabile indimenticabile.. 
Hai usato sapientemente le parole per descrivere il pezzetto di mondo che hai realizzato, usando delle espressioni che sfumavano come piccole onde sulla sabbia, ma lasciano una scia. Ho trovato le tue descrizioni semplicemente delicate, deliziose e davvero molto efficaci, complimenti. 

Caratterizzazione dei personaggi 10/10 

-personaggio canon 5/5: 
Non credevo che qualcuna sarebbe riuscita a tratteggiare Sirius così bene, soprattutto, in un momento così delicato della sua vita. È reduce da una lunga prigionia ad Azkaban, ha visto sfumare il sogno di veder fatta giustizia su colui che ha ucciso il suo miglior amico. È tormentato dai sensi di colpa, addolorato perché non può occuparsi del suo figlioccio. È Sirius, è proprio lui, nella descrizione dell’uomo che solo pallida immagine di quello che è stato e che adesso vive pieno di sensi di colpa, pieno di rimorsi. Che vive un inferno. 
Il suo sfogo è così umano, così passionale. Lo ammetto, mi sono sentita trascinata da lui. è perfetto, secondo me Sirius, il tuo Sirius è lui, è meraviglioso, davvero, meraviglioso!! 
Personaggio originale 
Ti cito: « Davvero ingegnosa la trovata dello specchio », avresti potuto risultare banale, invece hai inserito la descrizione nella storia e la storia nella descrizione. 
Il personaggio di Alana è un personaggio a tutto tondo, ha profondità, è reale. L’Hai descritta, ma l’hai anche fata muovere, le hai dato un modus operandi, una psicologia interessante. Mi ha fatto tenerezza e sorridere, penso sia davvero un bellissimo personaggio e l’ho trovata credibile dalle prime parole fino alla fine. 

Originalità 10/10 

Sicuramente è una delle storie più originali tra tutte quelle che mi sono state presentate. L’ho trovata bellissima e, soprattutto, penso che si incastri alla perfezione con il Pottenverse. La trama non è campata in aria, racconta qualcosa, inizia e si conclude, da al lettore la sensazione di essere sazio, di aver conosciuto qualcosa in più, e, soprattutto, hai avuto l’abilità di rendere Sirius un personaggio realmente tormentato e umano. Dare profondità psicologica non è da tutti, ma tu ci sei riuscita, senza ombra di dubbio. 

Gradimento personale 5/5 
Mi sembra molto più che evidente che la storia mi sia piaciuta, davvero, mi è entrata nel cuore e mi ha commossa. Mi ha commossa Sirius, mi ha attirato la trama, mi è piaciuto il contesto verosimile che hai dato al tutto, ho adorato il tuo stile. Davvero, bellissima. Complimenti 
40/40 
   
 
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