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Autore: HamletRedDiablo    16/09/2015    11 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo Ventotto: la Nuova Confederazione

             

La Reina era silenziosa come non lo era mai stata.

I marinai svolgevano le loro mansioni, ma non erano animati dal solito chiacchiericcio rude.

L’Hellsing era tornato con l’Inferno negli occhi, le mani vuote e l’anima a pezzi. Il loro capitano si era avvolto in un drappo di silenzio pesante, e nessuno era riuscito a svolgerlo dal suo bozzo.

Erano due anime che sanguinavano dentro due involucri perfettamente illesi.

Antonio osservò il suo amico, seduto scomposto contro la paratia. Aveva trascorso qualche momento con il suo padre adottivo e il suo fratellino solo per perderli di nuovo.

Gilbert sollevò i suoi occhi amaranto su di lui, che stava appoggiato alla balaustra con i gomiti. Il suo amico aveva ritrovato una famiglia in Lovino e, come la prima volta, gli era stata strappata senza che lui potesse fare nulla.

«Come stai?» la voce arrancò rugginosa sulle labbra dell’Hellsing.

«Come te» rispose atono il capitano.

Gilbert ragliò una risata.

«Allora ti senti uno schifo» le ciocche argento si appiattirono contro il legno della parete quando l’Hellsing reclinò il capo all’indietro.

«Passerà.»

«No, non passerà. Lo sai bene quanto me. Puoi fare finta che vada tutto bene, puoi fingere così bene da ingannare perfino te stesso. Ma, per stare davvero bene, loro dovrebbero tornare. E non torneranno. L’aldilà è un’Aeronave di sola andata.»

«Francis direbbe…»

«Oh, al diavolo le sue perle da Marauder!» sbottò Gilbert. «Sono stanco di consolarmi con la filosofia. Vorrei che fossero qui, ma non ci sono. E non c’è rimedio. Posso anche pensare che mi sentano da un qualche lontano aldilà, ma non mi importa, perché, anche se questo aldilà esiste, è troppo lontano. Non posso vederli, non posso toccarli, non posso andare da loro. Abbiamo lottato tutta la nostra vita, per loro. Non meritavamo un finale migliore?»

Antonio abbassò la testa, senza sapere cosa rispondere.

Voleva contraddire l’amico, dirgli che c’era ancora speranza, che sarebbe andato tutto bene, ma le sue labbra si rifiutavano di muoversi.

Anche se fosse andato tutto bene, che senso aveva quel “tutto” se non c’erano Lovino, Ludwig e gli altri?

L’apparizione di Francis fermò il suo sospiro a metà.

«Non ci crederete mai!» esordì, assestando una pacca sulle spalle di Antonio.

L’Hellsing e il capitano gli rifilarono un’occhiata molto cupa e molto scettica. Non avevano voglia di surriscaldarsi per le teatralità di Francis.

«Non siamo dell’umore» lo avvertì Gilbert. «Raccontala breve, senza i tuoi fronzoli melodrammatici.»

«Io non uso “fronzoli melodrammatici”, io rendo il racconto vivo!» Francis gonfiò il petto con orgoglio, e fece un passo in modo da trovarsi esattamente in mezzo ai suoi amici.

«Ma vi farò questo favore e sarò breve» mosse le mani come un prestigiatore, e due globi madreperla comparvero sui suoi palmi, fluttuando pigri nell’aria.

«Arthur, mi senti?»

Il globo sulla mano sinistra si illuminò di verde.

«Vorrei poter dire di no» si rammaricò la voce del Mago dell’Ovest.

«Figlio del Cielo, mi sente?»

La sfera opposta scintillò di rosso.

«Perfettamente» il tono del sovrano Asean risuonò argentino nell’aria.

«Francis, cosa…»

«Stamattina» iniziò il Marauder, stroncando la domanda dell’Hellsing. «I macchinari Asean, scandagliando lo spazio in cui ci troviamo, hanno fatto una scoperta interessante.»

«Hanno rilevato un’atmosfera identica alla nostra Confederazione» spiegò il globo scarlatto. «C’è una possibilità su un milione che una cosa del genere avvenga.»

«E, visto che nessuno di noi crede alla casualità, il Mago dell’Ovest e il Figlio del Cielo hanno compiuto un viaggio astrale e controllato.»

Gilbert e Antonio si scambiarono un’occhiata perplessa. Francis era quasi più difficile da seguire quando cercava di sintetizzare.

«Ci sono dei pianeti» continuò la sfera verde. «Abbiamo tracciato le loro posizioni e le abbiamo fatte controllare ai nostri astronomi.»

«Sono le stesse dei nostri pianeti nella Confederazione» concluse il Figlio del Cielo.

Francis si aspettava una reazione plateale, ma ottenne solo due occhiate sempre più perplesse.

«Ma non capite?» esultò. «Stessa atmosfera, stesse posizioni dei pianeti…»

«Stai dicendo che abbiamo attraversato un’intera dimensione per trovarci nella stessa, vecchia Confederazione? Se è così, non voglio capire» tagliò corto Gilbert.

«Non abbiamo rilevato tracce di vita demoniache, durante il nostro viaggio astrale» aggiunse pacato Yao. «I demoni devono essersi estinti, in qualche modo.»

«Forse sono morti di fame dopo aver mangiato tutti quelli che sono rimasti nella Confederazione» sputò velenoso Gilbert.

«Il punto è…» Francis cercò di farsi strada nel pessimismo degli amici. «Che, se si sono estinti, devono essere passati secoli…»

«Quindi ci stiamo dirigendo verso la stessa Confederazione, solo più vecchia» lo affossò Antonio.

«No, fatemi finire!» si spazientì Francis. «Non solo non ci sono demoni, ma c’è una specie di cordone di magia che protegge tutta la Confederazione, passando per il suo centro.»

A questa informazione, finalmente gli altri due Sparvieri diedero segni di vita.

«Per il centro? Come un…»

«Asse» Francis rubò la conclusione ad Antonio. «Non solo. C’è vita sul pianeta degli Hellsing. Pochi esemplari. Come una piccola famiglia.»

Il volto di Gilbert diventò bianco come se il sangue fosse improvvisamente precipitato nei piedi. Le labbra si aprirono senza emettere suono, e gli occhi si sbarrarono senza vedere realmente.

Poi l’uomo batté le palpebre, e sollevò una mano verso il Marauder.

«Francis, se è uno dei tuoi stupidi scherzi…»

«Non scherzerei mai su una cosa del genere» dichiarò serio l’altro. «Non abbiamo viaggiato nello spazio, abbiamo viaggiato nel tempo. Secoli e secoli nel futuro. E c’è una possibilità concreta che Lovino e Ludwig abbiano fatto altrettanto.»

«Ma come?» insistette Gilbert.

Francis mostrò i palmi come se volesse arrendersi.

«Questo non lo so. Dovremmo chiederlo a loro.»

L’Hellsing si rialzò in piedi, nonostante le gambe tremanti e le ginocchia sull’orlo del tracollo. Accarezzò distrattamente la spilla di Gilbird, inspirò a fondo e sillabò, lento:

«Puoi giurare che davanti a noi c’è la nostra Confederazione?»

«Sì.»

«E che ci siamo solo mossi nel tempo?»

«Abbiamo fatto i calcoli e confrontato le mappe più volte. Non c’è possibilità di errore» confermò il Figlio del Cielo.

«E c’è vita sul mio pianeta?»

«Sì.»

«Bene.»

Gilbert non finì nemmeno di parlare: strappò la spilla e la gettò in aria. Qualche piuma nera cadde sul ponte mentre Gilbird prendeva forma dal metallo.

«Scusate la fretta. Non sono mai stato un tipo paziente.»

Francis sorrise di riflesso al sogghigno di Gilbert. Eccolo, il vero Hellsing, e non il fantasma che aveva occupato il ponte negli ultimi giorni.

Gilbird scese in picchiata e l’uomo prese posto sulla sua schiena con un balzo felino, sfrecciando poi nel cielo notturno in direzione del suo pianeta. Casa, finalmente!

«Vuoi essere da meno?» Francis pungolò Antonio, indicando con gli occhi il loro amico che spariva nel velluto dello spazio.

«La Reina non sarà mai battuta da un pennuto» Antonio marciò deciso sul ponte di comando e gridò ai suoi uomini: «Preparate i razzi ausiliari e fate rotta verso il pianeta degli Hellsing!»

I marinai reagirono con un boato esultante.

Erano felici di avere una meta, ma, soprattutto, di avere di nuovo il loro capitano.

Era terribile, per un uomo di mare, vedere il proprio comandante fare rotta verso un paese in cui non lo si poteva raggiungere. Era un pianeta così strano e privato, quello del dolore.

Il ventre della Reina rombò all’accensione dei nuovi propulsori. L’Aeronave lasciò dietro di sé una sottile scia azzurrognola, mentre inseguiva il famiglio dell’Hellsing.

«Noi non ci affrettiamo?»

Il Mago dell’Ovest non si alzò nemmeno dal suo tavolo e dalle sue carte. Sapeva che Francis non aveva mai la decenza di teletrasportarsi fuori da una stanza e bussare.

«No. Non prima di aver finito questi progetti di ricostruzione di Britannia» e Arthur gli indicò la sedia, in un invito che non si poteva rifiutare. Il Marauder non si sarebbe mosso da quella stanza finché non avessero deciso la posizione dell’ultimo mattone della Nuova Compagnia di Britannia.

«E voi?» chiese Francis al globo rosso.

«Non abbiamo fretta» rispose il Figlio del Cielo, prima di chiudere la conversazione. Il colore cremisi si ritirò dal globo, lasciando un’anonima sfera madreperla.

«Anche il sistema Asean è da ricostruire» commentò Arthur.

«No, non credo sia quello» Francis prese posto sulla sedia di fronte alla scrivania del Mago dell’Ovest, un’espressione malinconica e comprensiva distesa sul viso. «Una volta dentro la Confederazione, saranno di nuovo il Figlio del Cielo e il Custode dei Cancelli.»

«E quindi?»

«Il Figlio del Cielo deve rimanere a guidare il suo popolo. Il Custode dei Cancelli deve controllare i confini e l’interno della Confederazione. Non ci sono molti punti di incontro, per due vite così.»

Le sopracciglia incolte di Arthur si sollevarono, increspando la fronte.

«Ti ricorda qualcosa?» lo stuzzicò Francis.

«Non credo che vada a tuo favore ricordarmi i cento anni che mi hai fatto passare da solo. Ora zitto e mettiti al lavoro» ordinò Arthur, lanciandogli dei fogli pieni di numeri e scritte.

Francis sospirò melodrammatico, prima di aprire le pergamene.

Rinfacciare e scendere a compromessi.

Immaginava che fosse un buon riassunto per il concetto di “matrimonio”.

 

***

 

In memoria di Roderich Edelstein e del suo diamante della battaglia.

Qualcuno aveva fatto colare dell’oro, in quelle lettere incise nella pietra.

Lo stesso qualcuno che l’aveva scolpita a forma di violino, e che aveva lasciato dei fiori ai suoi piedi.

Gilbert fissò quella lapide in silenzio. Un monumento su un pianeta fantasma.

Fece vagare lo sguardo sullo spazio intorno e trovò prati e alberi, dello stesso verde che ricopriva le montagne circostanti. Il suo mondo era simile a come era stato prima dei demoni, ma era vuoto. Tremendamente vuoto.

Eccetto per lo sconosciuto che aveva costruito quella lapide. Non doveva essere passato molto tempo dalla sua ultima visita: i fiori avevano qualche petalo avvizzito, ma non erano marciti. Quindi questo qualcuno li aveva portati di recente.

Gilbert flesse un ginocchio verso il terreno, in una riverenza guerresca.

«Mi mancherà il tuo violino» riconobbe il sapore d’acciaio delle lacrime: lo sentì risalirgli la gola, prima di pizzicargli gli occhi. Ma non avrebbe pianto: Roderich era con Elizabeta, e aveva ripagato con la vita il male che aveva fatto alla sua gente.

Lui era felice. Che senso aveva piangere?

Si rialzò e batté qualche pacca sui pantaloni color notte, per scuotere i fili d’erba aggrappati.

La mano fu velocissima a correre dal tessuto alla sciabola, quando un grido strozzato lo colse alle spalle.

«Gilbert?»

L’Hellsing aggrottò le sopracciglia, e tenne la mano sull’elsa mentre si voltava. Gli pareva di conoscere quella voce, ma era meglio essere prudenti.

Due occhi ramati lo fissarono come se avessero visto un miracolo vivente. Occorsero alcuni secondi prima che Gilbert riuscisse a trovare quella faccia nei suoi ricordi.

«Asse?»

Il ragazzo scosse il capo.

«Solo Feliciano.»

L’Hellsing sentì le tempie pulsare come se volessero spaccargli il cranio. Non era possibile: lo aveva visto rimanere intrappolato nella loro dimensione con Roderich e orde assassine di demoni. Com’era possibile che fosse davanti a lui, vivo?

«Sei cresciuto» riuscì a buttare fuori, quando lo stupore gli permise di nuovo di muovere le labbra.

Feliciano portò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, quasi imbarazzato.

«Non so quanto tempo sia passato per voi, ma noi siamo qui da sei anni.»

Di nuovo, Gilbert dovette premersi le tempie per impedire loro di sfondargli il cervello.

Troppe informazioni tutte insieme.

L’Asse era riuscito a salvarsi, ed era nella Confederazione di secoli nel futuro da sei anni. Questo spiegava perché il suo fisico e il suo viso si erano induriti nelle spigolosità di un giovane uomo.

E c’era un altro punto fondamentale, nel discorso dell’Asse. Aveva detto “noi”.

Gilbert passò una mano sul viso, il respiro tremante che si infrangeva sul palmo.

«Come hai fatto a sopravvivere?»

Lo sguardo dell’Asse si fece più triste, e mosse un passo verso il monumento. Solo in quel momento l’Hellsing notò che aveva dei fiori in mano. Almeno aveva scoperto chi onorava la tomba di Roderich.

«Poco prima che i demoni ci assalissero, abbiamo sentito una voce chiamarci. E io ho fatto lo stupido errore di alzare la testa. Un demone mi ha quasi ucciso» Feliciano appoggiò i fiori freschi a lato della lapide e afferrò quelli vecchi. Ma la mano rimase ferma dov’era, i gambi umidi tra le dita. «Si è sacrificato per salvarmi.»

Feliciano estrasse i fiori dall’acqua stagna, e li depositò davanti alla lapide come avrebbe fatto con una salma.

«Mi dispiace, Gilbert. Mi dispiace davvero.»

Avrebbe mentito se avesse detto che era contento della piega presa dagli avvenimenti. Egoisticamente, avrebbe preferito avere suo padre con sé, anziché un ragazzino appena conosciuto.

Ma era stato Roderich a insegnargli il valore delle scelte individuali. Anche in quel momento, il violinista era stato libero: avrebbe potuto lasciar morire l’Asse e salvarsi, ma aveva preferito sacrificarsi per lui. Forse per fare ammenda per le sue colpe passate, forse per istinto. Comunque, aveva scelto. Non era niente che lui o Feliciano potessero cambiare.

«Ha potuto scegliere come morire» concluse Gilbert. Il dolore quasi gli sciolse gli occhi, quando lesse di nuovo l’iscrizione dorata. In memoria di Roderich. Un altro che spariva dal mondo reale per diventare un ricordo.

«C’è qualcun altro, con te?» Gilbert cercò di distrarsi dalla lapide, e si ricordò che l’Asse aveva parlato al plurale, poco prima.

Feliciano annuì, lieto di poter dare una buona notizia.

«Ludwig è andato a prendere l’acqua per i fiori.»

Gilbert barcollò all’indietro come se un demone lo avesse colpito al petto.

«Ludwig…?»

«Lui e Lovino sono stati i primi ad arrivare» spiegò Feliciano, lo sguardo addolcito al pensiero del fratello e dell’innamorato. «Sono stati loro ad aprire il portale che mi ha permesso di arrivare qui. Hanno impiegato due anni per trovare un modo.»

«Ma questo non ha senso!» l’Hellsing sentiva bordi della realtà strattonati e sul punto di lacerarsi, come il suo equilibrio nervoso. «Per lo scorso portale avete dovuto lavorare tu, il Mago dell’Ovest, Lovino e il Figlio del Cielo! Com’è possibile che loro due, da soli, ne abbiano aperto un altro? E come hanno fatto a salvarti, se ci hanno messo due anni a trovare un modo?»

«Ma questo era un portale per una sola persona. È molto più facile da realizzare, rispetto a un portale per pianeti interi» Feliciano stese un foglio di carta a terra, vi depositò sopra i fiori raggrinziti e li accartocciò con cura. «E, esattamente come il primo, non era un portale spaziale, ma temporale. Sapevano esattamente quando trovarmi.»

«Ma non sapevano che Roderich si era sacrificato.»

Il castano ramato degli occhi di Feliciano sembrò spegnersi a quelle parole.

«No. Non è stato facile accettare di aver sbagliato di pochi minuti, per salvare entrambi.»

Gilbert quasi trasalì quando una voce profonda, ben diversa da quella squillante dell’Asse, rispose in quel modo.

Il cuore si compresse nel suo petto per poi esplodere in battiti incontrollati.

Era cresciuto ancora. Era diventato un uomo. Ma l’affetto che bagnava quegli occhi azzurri non era cambiato: era rimasto sempre lo stesso, fin da quando era un bambino che ondeggiava sotto il peso di un pesce troppo grande.

Nessuno dei due disse niente. Gilbert lasciò cadere la spada e Ludwig il secchio d’acqua che reggeva tra le dita per correre ad abbracciarsi.

«Sei diventato ancora più alto» l’Hellsing gli sferrò un pugno allo stomaco, per avere il fratellino alla sua stessa altezza. «Se continui così, ti metteremo a spolverare le montagne.»

«Posso anche diventare alto come una montagna, ma dovrò sempre alzare gli occhi, per guardare verso di te.»

«Questa è una sviolinata gratuita.»

«Mi sei mancato, Gilbert» il naso era più appuntito e il mento più pronunciato, ma il modo di nascondere il viso nell’incavo del suo collo era lo stesso di quando abitavano insieme nella baita sul lago. «Speravo che un giorno saresti arrivato, ma non sapevo… non avevo la certezza…»

L’Hellsing carezzò le spalle del fratello. Cielo, erano così grandi che ci si sarebbe potuto apparecchiare!

«Sono qui, Ludwig. Non vado più via. Finalmente potremo vivere come una famiglia.»

Il giovane annuì contro la sua spalla.

«Ma non hai visto l’ultimo membro della nostra famiglia!» si ricordò Ludwig, staccandosi di colpo.

Gilbert lo guardò perplesso. Lui, Ludwig e l’Asse erano lì. Chi poteva mancare?

«Lovino?» collegò l’Hellsing.

«No. Cioè, sì, è qui, ma non intendevo lui» incespicò Ludwig.

Le sopracciglia argentee dell’Hellsing disegnarono un arco confuso. Ludwig non si inciampava mai nei suoi pensieri in quel modo, a meno che la notizia non fosse davvero sconvolgente.

«Chi è?» chiese Gilbert, non del tutto sicuro di volerlo sapere.

Il sorriso radioso di Ludwig quasi lo accecò.

«Lo troverai alla baita» esultò il giovane. Ma fu la frase successiva a far sentire di nuovo l’Hellsing come se la sua realtà fosse sul punto di stracciarsi in mille pezzi. «Ti ha sempre aspettato.»

Nei primi passi, le sue ginocchia tremarono come quelle di un ubriaco. Poi riacquistarono forza e stabilità divorando il terreno, portandolo sempre più vicino al profilo della casa in lontananza.

Il cuore e i polmoni si erano fusi in un unico ammasso di materia pulsante, e il respiro sembrava fuoco liquido in gola.

Francis aveva detto che si era reincarnato. Che lo stava aspettando.

Cercò di imporsi di non sperare troppo, mentre un raggio di sole si infrangeva sulla maniglia della porta, come a invitarlo a entrare.

 

***

 

Erano atterrati ad Asean senza problemi.

Le rovine del Palazzo Imperiale si ergevano crepate contro il cielo, serie e fiere come un regnante troppo vecchio per stare eretto e troppo venerato per essere dimenticato.

Yao appoggiò una mano sulla porta ammuffita. Il legno era lucido e splendente nei ricordi suoi e dei suoi antenati e, socchiudendo appena le palpebre, poteva ancora vedere il colore scarlatto del suo regno brillare sotto i raggi del sole.

Riaprì gli occhi su quello scheletro del passato, che lo fissava con le orbite vuote delle finestre. Ricordava un suo antenato, che era partito per un viaggio lungo tutta la Confederazione a scopo diplomatico, e aveva lasciato a casa il suo vecchio cane. Attraverso gli occhi dell’uomo, vedeva il cane alzare la testa, avendo sentito il passo del padrone scricchiolare sulla prima neve di dicembre. Si era drizzato sulle gambe ossute e gli era venuto incontro con una corsa sgangherata. Aveva aspettato che il padrone lo abbracciasse e lo accarezzasse per andarsene. Un fiocco di neve era caduto sul suo naso… e non si era sciolto.

Il Palazzo Imperiale gli ricordava quel cane. Aveva atteso troppo a lungo il suo padrone, ed era diventato vecchio ed esausto. Aspettava solo il permesso di andarsene.

«Grazie per aver vigilato su Asean in mia assenza» mormorò all’edificio. «Ti ricostruiremo. Diventerai più bello di quanto tu non sia mai stato. L’intera Asean tornerà a splendere insieme a te.»

Si voltò, e osservò indulgente i consiglieri, diligentemente in fila e in attesa. E, alla fine della linea, sua madre.

«Il Sistema Asean ha regalato il potere magico al Figlio del Cielo perché facesse prosperare il suo popolo» la veste di seta si aprì sul terreno brullo quando Yao si chinò al suolo. «Asean ha mantenuto la promessa. È tempo che il Figlio del Cielo faccia altrettanto.»

«Che intendete fare?» chiese un consigliere.

Il Figlio del Cielo sorrise. E c’era un raggio di sole in quel sorriso.

«Non conoscete la storia della fenice? Risorge dalle ceneri, più forte e splendente. Qui abbiamo le ceneri. Manca solo il fuoco.»

La terra arida fremette contro le sue mani, e il Figlio del Cielo conficcò le dita nel suolo selvatico.

Chiuse gli occhi, e il suo cuore di fuoco pulsò così forte che lo sentì rimbombare in ogni cellula del suo corpo.

Non sentì i richiami dei consiglieri e la preoccupazione della madre. Non sentì nemmeno il silenzio di Ivan, più lacerante di qualunque grido.

Il cuore di fuoco rilasciò il suo potere con il ruggito di un drago. Yao avvertì la pelle delle mani tendersi e lacerarsi sotto il flusso dell’energia, ma non bloccò la fuoriuscita di potere. Il suo corpo tremò interamente: muscoli, carne, ossa. Gli occhi e il cuore divennero incandescenti come lava. E, ancora, Yao non si fermò: la fenice non era ancora risorta.

Solo quando sentì l’erba sotto le sue dita staccò le mani dal suolo.

La sua schiena si curvò all’indietro, come una corda troppo tesa che viene improvvisamente spezzata. Rimase immobile per un istante, gli occhi spalancati fissi sul cielo, prima di crollare di lato.

Ma non toccò il terreno. Il suo viso incontrò una giacca ben conosciuta, non più gelida. Una mano che conosceva la gentilezza si posò sul suo capo.

«La fenice è risorta» mormorò Ivan. «Adesso lascia che ce ne occupiamo noi.»

Yao annuì, rubando un’immagine del suo pianeta prima di chiudere gli occhi.

L’erba era tornata. Poteva sentire lo scroscio dei fiumi intorno. E il Palazzo era di nuovo vermiglio.

Il sorriso non svanì dalle sue labbra quando svenne.

 

***

 

Era Britannia e, allo stesso tempo, non era lei.

Riconosceva l’aria umida, il colore ombroso della brughiera e il cielo affollato di nubi.

Tuttavia, era rimasto solo lo scheletro delle città che ricordava: qualche costola di muro, il cranio vuoto di una cupola spaccata, e le vene sbeccate delle strade.

I demoni e i secoli avevano fatto il loro dovere, nell’erodere la loro bella terra.

La vista della piazza in cui avevano abbandonato il Leone Incoronato e gli anziani su Britannia gli mozzò il respiro. Ormai, di loro non rimaneva nemmeno la polvere.

Eppure, avevano cenato insieme a loro solo qualche giorno prima…

«Come ti senti?»

Francis spuntò alle sue spalle, come sempre. Doveva avere qualche abitudine in comune con i folletti di Faerie, che non apparivano mai di fronte al loro interlocutore.

«Come se fossi rimasto l’unico sopravvissuto in un naufragio» rispose Arthur.

«Già» concordò Francis. «Ma, ormai, dovresti esserti abituato.»

«E tu? Tu ti sei abituato, a vedere la nave che affonda?»

Un sorriso malinconico torse le labbra di Francis.

«Sì, mi sono abituato. Ma ricordo ogni singola scheggia che ha composto quella nave. Credo che non sia male sopravvivere, se puoi contare su dei bei ricordi.»

Arthur sollevò lo sguardo sulla piazza, e la osservò mentre prendeva vita sotto i suoi occhi.

Le crepe nelle strade si ripararono da sole, mentre i bambini si rincorrevano sull’acciottolato e i loro genitori contrattavano con i mercanti delle bancarelle rionali. La campana dell’abazia cominciò a scandire i rintocchi del mezzogiorno, e tutto era euforico e indistinto, come nelle veglie passate in compagnia di amici, focolari e vino caldo.

Bastò un battito di ciglia perché il ricordo si sgretolasse e la realtà prendesse il sopravvento.

«Sai cosa credo, Francis?» dichiarò Arthur, raddrizzando il mantello degli Avalon sulle spalle. «Che noi non siamo i sopravvissuti. Siamo l’eredità di chi parte.»

«E cosa cambia?»

«Il legame» Arthur abbracciò con lo sguardo quella terra brulla e troppo avvezza alla guerra, ma che, nonostante tutto, era arrivato a considerare casa sua. «Se sopravvivi e basta, vuol dire che sei stato solo tutta la vita, e non ti importa di chi ti sei lasciato alle spalle. Se sei l’eredità di qualcosa, invece, non dimenticherai mai chi ti ha reso erede, e potrai lasciare il tuo tesoro a qualcun altro quando verrà il tuo momento.»

«Finalmente ci sei arrivato» concesse Francis, con un sorriso volpino. «L’immortalità non è una maledizione.»

Arthur lo superò con fare autoritario, per poi voltarsi e spronarlo.

«Muoviti, Marauder. Abbiamo un pianeta da costruire. Non vorremmo lasciare dei debiti come eredità alle generazioni future.»

«Non sia mai» concordò teatralmente Francis.

Quel giorno, nacque Nuova Britannia.

 

***

 

Il tramonto stava cedendo il passo al viola del crepuscolo quando Yao si risvegliò nel suo letto.

Il cuore di fuoco palpitava placido nel suo petto, e aveva una strana sensazione alle dita. Spostò lo sguardo verso il basso, e le vide completamente bendate, abbandonate senza forza sulle lenzuola.

«Il potere ti ha squarciato la pelle» lo avvertì una voce bassa accanto a lui. «Ma i medici dicono che non ci sono state lesioni alle ossa o ai muscoli.»

«Il mio potere cerca sempre di non farmi del male» la voce uscì in un gracidio, e Yao tossì prima di parlare di nuovo. «Non volontariamente, almeno.»

«Cosa intendi dire?»

«La memoria generazionale, Ivan. È un grande fardello. Come lo è sapere che, prima o poi, un mio successore potrà esplorare tutta la mia vita, dal primo all’ultimo istante. Non ci sarà un solo pensiero che rimarrà mio. E questo mi farà male.»

La mano dell’uomo si appoggiò sulla sua, coprendola completamente.

«Ma sono tuoi in questa vita. Perché preoccuparsi di quelle degli altri?»

Yao voltò il viso, e una ciocca di capelli gli ricadde sulla fronte. La scostò per guardare Ivan, il suo gigante con gli occhi azzurri e le mani gentili.

«E il tuo potere?»

«Il mio potere ha sempre cercato di farmi male, volontariamente. Ma ho vinto io» Ivan pronunciò la frase con assoluta indifferenza, come se riguardasse uno sconosciuto. Per lui, il Custode dei Cancelli era una storia raccontata da altri: il Cuore d’Inverno aveva divorato tutte le sue giornate passate come Custode, e le poche che non aveva fatto in tempo a cancellare erano svanite come neve al sole quando se ne era liberato. Solo i ricordi di Yao rimanevano impressi a fuoco nella sua memoria semivuota.

«Che farai adesso?» scostò la mano da quella del sovrano, nel porre la domanda.

Yao chiuse gli occhi, come i bambini che sperano che il mostro sotto il letto se ne vada se ignorato. Ma quel mostro era troppo grande, e si chiamava “trono”.

Riaprì gli occhi, e la sua risposta fu trascinata all’esterno da un respiro stanco.

«Chugoku ha bisogno del Figlio del Cielo.»

Il Custode conficcò le mani nelle tasche.

«Gli astri hanno già deciso la tua strada, non è così?» commentò Ivan. C’era dell’amaro in quelle parole, e Yao storse la bocca come se fosse stato costretto a ingoiare un cucchiaio di acido. «Dovrai rimanere qui e governare… poi dovrai avere un erede, quindi una moglie…»

«Io non mi sposerò. Adotterò il mio erede. Molti sovrani l’hanno fatto, prima di me.»

Ivan scosse la testa, allo stesso modo di un toro che cerca di togliersi inutilmente il giogo.

«Anche se questo non cambierà molto le cose tra noi» rifletté Yao, incrociando le mani sullo sterno. «Tu sei comunque il Custode dei Cancelli, e il Custode deve viaggiare nella Confederazione…» il petto si gonfiò, sotto le dita bendate, in un lento sospiro. «Quante volte riuscirai a fermarti a Chugoku?»

«Circa due all’anno.»

«Due volte all’anno…» ripeté Yao.

«Finché non troverò qualcuno che prenda il mio posto. Allora potrò fermarmi. Anche per tutta la vita.»

L’Asean allungò una mano e la appoggiò sul ginocchio di Ivan.

«Fai in modo che non avvenga troppo tardi. Non voglio passare con te solo gli anni del tramonto.»

«E tu aspettami. Non sposarti e non invaghirti di altre persone.»

«Aspetterò. Ma non farmi aspettare tutta la vita.»

L’uomo sollevò gentilmente la mano fasciata del compagno e impresse un flebile sorriso sulle nocche del sovrano.

«Immagino che sarebbe noioso, aspettarmi così a lungo.»

«Oh, lo sarebbe. Ma so che ti aspetterei.»

Le bende sfregarono sulle guance del Custode quando Yao gli accarezzò il viso.

«Potrei aspettarti per questa e per le prossime vite, Ivan.»

Le labbra del Custode si premettero sulle garze, per poi scendere a baciare la pelle del polso, sotto l’orlo dell’ampia manica. Yao si sollevò a sedere e si avvicinò a sua volta, per poggiare le labbra sul capo dell’uomo.

 «Quando partirai?» soffiò sulle ciocche argentate.

«Domani» sillabò lui sul suo polso.

Le maniche si arrotolarono con un fruscio languido sulle spalle del sovrano, quando questo fece scivolare le braccia attorno al collo di Ivan.

«Domani tornerai a essere il Custode dei Cancelli, e io il Figlio del Cielo. Ma, per stanotte, siamo solo Yao e Ivan» la veste sibilò vellutata, accompagnando il corpo del sovrano che si tendeva verso quello del suo compagno. «E questa notte dovrà bastarmi fino alla tua prossima visita.»

Le mani di Ivan risalirono la schiena del sovrano, cercando un passaggio sotto la veste, mentre la bocca si premeva sul collo steso verso di lui.

«Non ti farò aspettare troppo» sussurrò, stendendolo sul materasso.

Yao gli indirizzò il sorriso furbo di chi sapeva di avere il controllo della situazione.

«Lo so. Perché io riuscirei ad aspettare tutta la vita… ma tu no. Tu sei molto più impaziente di me.»

Ivan non si preoccupò di smentire l’affermazione del sovrano.

Si chinò su di lui per baciarlo, le sue mani che scendevano ad allentare la cintura di stoffa dell’Asean.

No, lui non avrebbe aspettato tutta la vita. Non sapendo cosa si provasse, a vivere insieme a Yao.

 

***

 

Come partorita dai suoi ricordi, la baita in riva al lago era là.

Era migliorata, rispetto al passato: l’aspetto era meno cupo, e qualcuno aveva ampliato la parte sul retro. Qualcuno che non aveva molte nozioni si architettura: più che allargata, la casa sembrava incinta. Quel qualcuno aveva però doti molto migliori nel giardinaggio: due file di alberi, accuratamente potate e innaffiate, correvano fino al lago.

Ma Gilbert non vide nulla, né la casa, né gli alberi, nemmeno le stanze in più che facevano assomigliare la casa a un rospo gravido.

La sua visione era ristretta alla porta di legno, che sbarrò con uno schianto.

Niente. La stanza era come la ricordava – il letto, il tavolo, tutto era disposto esattamente come il giorno in cui l’aveva lasciata. Ma non c’era nessuno.

Gilbert sentì un angolo della bocca tendersi in un sorriso sadico. Tutto ciò la rendeva ancora più simile ai suoi ricordi: una baita per un solo Hellsing. Una casa vuota.

«Ludwig? Sei tu?»

Gilbert si appoggiò deluso allo stipite della porta, mentre i passi dello sconosciuto risalivano dalla cantina.

Non conosceva quella voce. Doveva aver frainteso il discorso di Ludwig.

D’altronde, non era possibile che i morti tornassero in vita.

Si è reincarnato. Ti sta aspettando.

Le parole dell’amico gli risuonarono nella testa come uno sberleffo.

Poteva anche essersi reincarnato, ma, chiaramente, non era lì. Era stato stupido anche solo sperare una cosa del genere.

Il suono di cocci infranti sul pavimento lo strattonò fuori da quei pensieri.

Gilbert osservò perplesso il ragazzo che lo fissava con gli occhi sbarrati e le labbra pallide, le mani raggelate con le dita aperte, in piedi in una pozza di birra e frammenti di vasellame.

«Sei vero… Gilbert…» esalò quello, senza smettere di fissarlo, come ipnotizzato.

L’Hellsing si mosse inquieto sul posto. Quel giovane sembrava intenzionato a scansionargli perfino le viscere, e la cosa non gli faceva troppo piacere.

Non aveva mai visto prima quei capelli castani, quel fisico asciutto o quegli occhi bluastri. Non c’era un solo lineamento, in quel viso impietrito, che gli fosse familiare.

Ma, quando finalmente Gilbert si decise a degnare di un’occhiata più attenta il ragazzo, la nostalgia gli pizzicò lo stomaco. Conosceva quell’andatura con una punta di titubanza, quasi dovesse chiedere all’aria il permesso di attraversarla, e quel tono di voce, sommesso perfino nella rabbia. E quel modo di guardarlo come se fosse… il più grande eroe di tutta la Confederazione.

Si è reincarnato. Ti sta aspettando.

La voce di Francis gli martellò le tempie, e Gilbert scosse il capo per scacciarla.

Troppe cose. Troppe cose tutte insieme.

Avevano scoperto di aver viaggiato nel tempo, non nello spazio. Si erano riappropriati della loro Confederazione, e l’avrebbero ricostruita su altre basi da quel giorno in avanti. Ludwig, il suo amato fratellino, era vivo, ed era su quel pianeta.

Il suo cuore era già sul punto di esplodere. Non era sicuro di poter sopportare un’altra emozione troppo forte, che fosse gioia o delusione. Ma il suo sangue era quello bollente di un guerriero: la sua bocca si armò di parole prima ancora che se ne rendesse conto.

«Come fai a conoscermi?»

Il ragazzo boccheggiò un paio di volte a vuoto, in cerca di parole o di aria, prima di tastare ansiosamente i pantaloni. Dalla tasca destra emerse il suo trofeo, che inforcò con dita tremanti.

Il cuore di Gilbert fremette più delle mani del giovane, alla vista di quell’oggetto.

Un paio di occhiali, rammendati con mezzi di fortuna.

«Non… non ricordavo niente, all’inizio» tentennò il ragazzo, le mani ancora aggrappate alle stecche degli occhiali. Si sarebbe troncato le orecchie di netto, se non avesse smesso di premervi sopra. «Mi sono ritrovato solo, in una dimensione vuota. Poi sono arrivati i sogni. Sul… sul nostro passato. Poi sono arrivati Lovino e Ludwig, e insieme abbiamo salvato Feliciano…»

Le parole rimbombavano come se il giovane stesse parlando dentro una bolla d’acqua. Il loro significato gli scivolava addosso, così come ogni altro rumore: il vento fuori dalla porta, e le gocce della birra versata sulle scale della cantina.

I suoi sensi si erano ristretti per lasciare spazio solo alla vista. Ed era puntata sul giovane davanti a sé.

Gilbert non realizzò di essersi mosso verso il ragazzo, o di aver appoggiato le mani sulle sue guance.

Vide il suo volto farsi più vicino, e delle dita estranee accarezzargli gli zigomi, ma aveva perso sensibilità con il suo stesso corpo. Tutto era focalizzato su quegli occhi che lo fissavano con un misto di speranza e di ansia.

La bocca si mosse con lentezza e fatica, come se fosse rimasta ferma per millenni.

«Matthew…?»

Le lacrime si affacciarono sugli occhi del giovane, ma il ragazzo strinse le palpebre prima che potessero inondargli le guance. Poggiò le mani su quelle dell’Hellsing e le tenne ferme sul suo viso mentre annuiva.

«Sono io» la voce ruzzolò goffa sulle labbra tremanti.

«Da quanto… da quanto tempo hai ricordato?» non riconosceva nemmeno più la sua voce: tutto suonava strano e alieno, al di fuori del viso in lacrime che stringeva tra le dita.

«Dieci anni.»

«E cosa hai fatto in questi dieci anni?»

I sensi tornarono alla vita quando il ragazzo si gettò contro il suo petto: sentì il suo tepore mentre stringeva le braccia sulla schiena fragile, udì i singhiozzi soffocati e sentì l’odore del bosco e del lago intrappolati nei capelli che gli solleticavano il naso.

«Quello che avevo promesso» l’abbraccio del giovane si fece più stretto, e Gilbert rafforzò la sua presa di conseguenza. Se non lo avesse tenuto premuto contro di sé, quel giovane sarebbe andato in pezzi. «Ti ho aspettato, Gilbert. Ti ho aspettato sempre.»

Matthew rialzò il viso. Nemmeno le lenti spesse degli occhiali erano sufficienti per mascherare del tutto il pianto.

«Ho pensato tante volte che forse era tutto un sogno» le labbra tremavano come se temessero di ferirsi con le parole. «Ero da solo, e avevo questi strani ricordi di una vita passata. Poi sono arrivati Ludwig e Lovino, e ho capito che non era frutto della mia immaginazione. Ma, ogni tanto, temevo che sarebbe arrivato il giorno in cui mi sarei svegliato con i capelli bianchi e un sacco di anni sulle spalle, e mi sarei accorto di aver sprecato la vita ad aspettare un sogno…» le mani del giovane gli circondarono il viso, incerte, felici. «Ma sei qui, Gilbert… sei qui!»

L’Hellsing non aspettò un momento di più per dimostrare al ragazzo quanto fosse reale.

Si chinò su di lui in uno dei loro baci simili a una caccia, in cui Matthew esitava e Gilbert lo intrappolava.

Il giovane cinse il collo dell’Hellsing con le braccia, spingendosi sulle punte dei piedi per raggiungerlo meglio. Nonostante la reincarnazione, Gilbert era ancora il più alto.

Sentì Matthew mugolare nella sua bocca quando strinse troppo l’abbraccio, e si sforzò di rilasciare la presa quel tanto necessario da permettere al giovane di respirare.

Solo qualche anno prima, lo aveva seppellito con le stesse mani con cui gli stava accarezzando le spalle. Aveva scavato una buca e impilato sassi su di essa per evitare che gli animali selvatici potessero fare scempio del corpo, lo stesso corpo che si tendeva su di lui per prolungare il bacio.

La nostalgia gli mozzò il respiro, e dovette staccarsi per riprendere fiato.

Matthew. Era lì. Era talmente bello da fare paura. Temeva che, da un momento all’altro, si sarebbe svegliato nella Prigione Caina, scoprendo che era stata tutta un’illusione magica per torturarlo.

Ma era evaso da Caina, aveva combattuto e sconfitto il Vaticano insieme ai suoi compagni. E Matthew… lo aveva aspettato. Si era aggrappato a dei brandelli di sogno e lo aveva aspettato per tutti quegli anni.

 Era sicuramente l’eroe più grande della Galassia. Dopo di lui, ovviamente.

«Credevo che ti avrei rivisto solo nel Walhalla» bisbigliò l’Hellsing sulle labbra dischiuse del suo compagno.

Matthew gli regalò uno di quei sorrisi per cui Gilbert avrebbe attraversato un inferno di demoni.

«Invece mi hai trovato» il ragazzo lo abbracciò più forte, spingendo il viso nell’incavo del suo collo. «Avevo ragione.»

«Su cosa?»

Matthew rialzò gli occhi. Avevano una tonalità di blu nettamente più scura rispetto al passato – quasi viola. Ma si sarebbe abituato a essere guardato da quegli occhi nuovi: il loro sguardo era lo stesso dei suoi ricordi.

«Sei e sarai sempre il più grande eroe della Galassia» sorrise Matthew. «Chi altro avrebbe potuto trovarmi?»

«Chi altro avrebbe potuto aspettarmi?»

«Una persona che conosce il tuo valore» rispose prontamente l’altro.

La reincarnazione lo aveva reso più sciolto nelle parole, ma non aveva migliorato la sua tendenza ad arrossire: le guance avevano impiegato meno di un secondo a coprirsi di porpora.

Gilbert poggiò un bacio sulle gote in fiamme prima di riappropriarsi della bocca del giovane.

Meglio così. Non sarebbe stato il vero Matthew, senza il suo rossore.

E senza l’amore totale per lui.

Gilbert lo strinse più forte, respirando a fondo il suo profumo.

Finalmente, era tornato a casa.

 

***

 

«Lovino!»

Il cuore si fece di cenere quando il giovane si voltò.

Non era Lovino. Era il suo gemello.

«Antonio!» lo salutò Feliciano. «Ci siete tutti?»

Il capitano annuì.

«I miei uomini sono ancora sulla Reina. Sono sceso per vedere dove si era cacciato Gilbert.»

Un sorriso da volpe solcò le labbra del giovane.

«Gilbert sta bene. È con Matthew, adesso.»

Antonio lo guardò trasecolato. Con Matthew?

«È… morto?»

Feliciano si affrettò a scuotere la testa.

«No! Matthew si è reincarnato! È stato lui a chiamare qui Lovino e Ludwig, e poi loro sono venuti a prendere me… Antonio?»

Il capitano barcollò all’indietro.

Ricordava quella volta che uno dei suoi uomini aveva mangiato troppo a un banchetto di benvenuto, ed era rimasto steso immobile tutta la notte come un cobra che digerisce la preda.

Si sentiva allo stesso modo: troppe informazioni tutte insieme, e non riusciva a scomporle e digerirle.

Matthew si era reincarnato nella futura Confederazione e aveva aspettato Gilbert. Francis aveva detto qualcosa del genere, ma sapere che il compagno di Gilbert era vivo… aveva visto la sua tomba, aveva accompagnato l’Hellsing a piangerci sopra. Ma era vivo… e, grazie a lui, Ludwig e Lovino si erano salvati. E anche Feliciano.

«Lovino è qui?» domandò, quando non ebbe la sensazione di avere un deserto al posto del palato.

Feliciano annuì.

«Sarà di ritorno tra poco» confermò. «Immagino che avrai molte cose da chiederci.»

«Come avete fatto ad arrivare qui?»

«È stato merito di Matthew. Senza saperlo, ha lanciato una specie di richiamo che ha attirato qui Ludwig e Lovino, quando sono caduti nel risucchio del portale. E, insieme, sono tornati indietro a prendermi» Feliciano non fu abbastanza veloce a chiudere il colletto della camicia quando un soffio di vento lo aprì.

«Come hai fatto a sopravvivere, con una cicatrice del genere?» Antonio era abituato alle ferite, e riconosceva subito il segno lasciato da una particolarmente grave. E una di quelle proporzioni l’aveva vista solo sui cadaveri.

Feliciano pettinò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, quasi con vergogna.

«Roderich» sussurrò. «E Lovino.»

Antonio non indagò oltre, ma c’era un’altra cosa che voleva chiedere al ragazzo.

«Abbiamo visto una scia magica percorrere la Confederazione, prima di arrivare. Come se l’Asse fosse ancora al suo posto.»

«Infatti.»

«Ma tu sei qui.»

«Ma io sono solo Feliciano, adesso.»

Il ragazzo lanciò uno sguardo al cielo, e Antonio seguì la direzione dei suoi occhi.

Un cristallo biancastro dall’aria serena fluttuava al centro della Confederazione.

«Lo abbiamo ricostruito» spiegò Feliciano. «Ma, soprattutto, abbiamo ricostruito il muro progettato da Francis.»

Il capitano continuava a non capire.

«Il muro che assorbe i poteri» sottolineò il ragazzo. «Ha assorbito i miei e li sta propagando nella Confederazione. Abbiamo di nuovo un Asse, ma non ci sono più prigionieri nel Palazzo di Quarzo.»

«Quindi ora tu non hai più poteri magici?»

Feliciano gli regalò il sorriso ampio di chi non ha rimpianti.

«Solo alcuni. Non sono più potente come una volta, ma sono mille volte più felice.»

Antonio annuì automaticamente. Faceva ancora fatica a credere che tutto quello potesse essere reale.

Una nuova Confederazione da ricostruire, Gilbert che aveva riconquistato parte della sua famiglia, i gemelli Vargas insieme… era troppo, ma si sarebbe abituato.

Era bello, per una volta, doversi abituare a tanti miglioramenti tutti insieme.

Feliciano si schermò gli occhi con le mani per alzare lo sguardo.

«Oh» notò. «Mio fratello è tornato.»

Antonio si girò di scatto a quella frase, e vide un punto in lontananza ingigantirsi nella forma di un enorme volatile. Perfino le punte degli alberi si piegarono quando un’aquila di dimensioni ciclopiche atterrò in un frullio di vento e piume.

Il capitano rimase paralizzato, attendendo che la figura in groppa al volatile scendesse. Un misto di ansia e trepidazione gli torceva lo stomaco.

Avrebbe trovato lo stesso Lovino che ricordava, o avrebbe guardato uno sconosciuto?

«Feliciano?» chiamò il giovane, atterrando con un salto. «Feliciano, dove diavolo…»

Sentirono entrambi uno strappo, prima che il mondo si fermasse completamente.

Riconosceva quel viso bellicoso, ma non ricordava quando si fosse indurito in una forma più matura. Non aveva mai visto quella cicatrice obliqua sulle labbra che era abituato a baciare, e non era stato presente quando i capelli erano stati accorciati, scoprendo gli occhi ramati.

In quel giovane c’erano il Lovino dei suoi ricordi e il Lovino cresciuto senza di lui, in quella Confederazione nuova.

Il cuore si gonfiava di gioia alla vista del giovane, e si stringeva dolorosamente notando dettagli a lui sconosciuti. Era felice di rivederlo, ma ogni nuovo particolare era come un’accusa. Dove era stato, per tutto quel tempo? Per lui si era trattato solo di qualche giorno, ma per Lovino quanto tempo era passato?

«Da quanto sei qui?» le parole galleggiarono nell’aria densa.

Il giovane spostò il peso da una gamba all’altra, inquieto.

«Sei anni» rivelò alla fine.

Lo stesso tempo che avevano passato insieme. Il paragone era impressionante, se messo in quei termini.

Antonio passò una mano sulla fronte, incredulo. Lo aveva visto sprofondare davanti ai suoi occhi solo qualche giorno prima, e adesso era davanti a lui, i cambiamenti maturati in sei anni incisi su tutto il corpo.

«Hai intenzione di rimanertene lì impalato ancora per molto?»

Antonio non si rese conto dei movimenti del giovane finché non sentì le sue braccia chiudersi attorno al suo busto. Il ringhio del ragazzo gli grattò lo sterno.

«Sono passati sei anni e tutto quello che sai fare è startene fermo e zitto?» Lovino tuffò il viso nel suo petto, e la frangia disegnò un sole ramato sulla camicia del capitano. «Mi sei mancato, bastardo.»

Le braccia di Antonio rimasero ferme, come paralizzate, per un istante ancora. Avvolsero lentamente la schiena del giovane, come se temessero che Lovino fosse fatto di fumo.

Poi lo strinsero improvvisamente, facendo schiudere le labbra del ragazzo in un gemito di sorpresa.

«Lovino» lo chiamò Antonio. L’abbraccio si fece più forte, cancellando i sei anni di lontananza, cancellando la paura di non rivederlo, cancellando tutto. Tutto a parte il ragazzo che gli stava prendendo a pugni sulla schiena per fargli allentare la presa.

«Volevi ammazzarmi?» il ruggito di Lovino si smorzò sulle labbra del capitano, scese a premersi sulle sue.

«Mi sei mancato» il sussurro caldo del capitano scivolò sui suoi capelli come una carezza. «Che il diavolo mi fulmini, mi sei mancato così tanto…»

La bocca del giovane si contorse in quella smorfia che Lovino usava solo quando doveva trattenere le lacrime.

Sprofondò il viso nell’incavo del collo dell’uomo, abbracciandolo con amore maldestro.

«Bentornato, bastardo.»

Il capitano sorrise, e sollevò il volto del ragazzo per mormorargli sulle labbra:

«Sono a casa. Scusa se ti ho fatto aspettare.»

 

***

 

Il sole tardava ad alzarsi, quella mattina.

Yao sorrise mesto, apprezzando lo sforzo dell’astro.

Poteva indugiare nel giaciglio della notte quanto voleva. Ivan si stava comunque preparando per partire.

Il sovrano si sedette sul bordo del letto. Il movimento di quella nottata aveva disegnato un intrico di grinze sulla veste da camera dell’Asean, blandamente annodata da un nodo frettoloso.

Ivan stava finendo di allacciarsi il cappotto. Sistemò la sciarpa intorno al collo e si voltò verso di lui.

Nessuno dei due disse nulla.

Ivan rimase immobile, Yao continuò a pettinare i capelli con le dita fasciate, troppo scompigliati per la testa di un regnante.

Era come se tra loro si fosse steso una specie di incantesimo: se fossero rimasti entrambi muti, forse il tempo si sarebbe fermato e loro non si sarebbero dovuti separare.

Ivan chinò il capo, in un cenno di commiato.

Anche senza parlare, la magia era stata spezzata.

L’uomo fece un passo in direzione del compagno e si inginocchiò davanti a lui, il busto tra le sue ginocchia aperte. Appoggiò le mani sui suoi fianchi e lo baciò sul ventre, dove la veste scomposta lasciava intravedere la pelle nuda.

Yao si chinò su di lui, abbracciando il capo argentato.

La mano di Ivan gli accarezzò i capelli, trattenendone una ciocca.

«Prima che siano di nuovo lunghi come prima, Yao. Prima di allora, sarò con te.»

Il sovrano annuì, inclinando la testa per seguire le carezze dell’uomo. Trattenne il fiato quando la mano del compagno si allontanò da lui, e morse le labbra per impedirsi di chiedergli di rimanere ancora.

L’uomo si sollevò per baciarlo, e Yao gli accarezzò il viso con le dita bendate mentre muoveva le labbra sulle sue.

«Aspettami» mormorò Ivan sulla sua bocca.

«Non farmi aspettare.»

Il sovrano quasi rabbrividì quando Ivan si allontanò.

Lo fissò, mentre usciva dalla stanza. Ivan non si voltò. Si fermò sulla porta, indugiò, e lo vide stringere il pugno, ma non si voltò. Sapevano entrambi che, se si fossero voltati, non si sarebbero più mossi da quella camera.

Ivan oltrepassò la porta e sparì nel corridoio.

Yao scese veloce dal letto e si accostò alla finestra.

Attese qualche minuto, poi la vide. La Fortezza Errante si sollevò nel cielo come un dinosauro di metallo, e sparì in uno scintillio argenteo nel cielo di Chugoku.

Yao prese un lungo respiro.

Young Soo se ne era andato. Kiku se ne era andato. E, ora, anche Ivan.

Ma sapeva dove trovarli, se avesse sentito la loro mancanza.

Il cielo di Chugoku era trapuntato di stelle. Da qualche parte, tra quelle luci, c’era la Fortezza di Ivan, che si affrettava a compiere il giro della Confederazione per tornare da lui.

E, ancora più su, sulle stelle più lontane, c’erano Young Soo e Kiku. Sempre con lo sguardo fisso su di lui, come quando vivevano al Palazzo insieme. Solo che adesso era lui a dover sollevare lo sguardo per vederli.

«Vi rivedrò tutti, un giorno. Chi prima, chi dopo» sussurrò al cielo notturno. «Aspetterò. Sono una persona molto paziente.»

E diede le spalle al cielo e alle stelle, preparandosi per la giornata.

 

Puoi anche voltarti, fratellone, ma noi continueremo a brillare.

Che la nostra luce ti accarezzi il viso o le spalle, poco importa.

Siamo qui, fratellone.

Ricordatelo, d’accordo?

 

***

 

Antonio si guardò intorno.

Nemmeno nei suoi sogni aveva mai visto un quadro simile.

La casa di Gilbert, ampliata, costruita in un pianeta rifiorito.

Una cucina calda, dove ancora aleggiava l’odore della cena appena consumata. Il fuoco che tesseva strani giochi di luce sui piatti accatastati nel lavello.

Quella non era la serata per lavare le pentole.

Ludwig sedeva all’altro lato della tavola, su una pesante sedia di faggio. Feliciano, con la massima naturalezza possibile, era seduto sulle sue ginocchia, le braccia gentilmente allacciate al collo del compagno.

Lovino fissava Ludwig con l’odio tipico del fratello apprensivo, e stringeva a tratti la forchetta che si era rifiutato di mettere nel secchiaio assieme al resto, come se aspettasse il momento giusto per conficcarla nella mano del Guardiano senza essere notato.

Antonio avvicinò la sedia a quella di Lovino, e fece scivolare un braccio attorno alla sua vita.

Il giovane lo fulminò per un istante, prima di sospirare e ricambiare l’abbraccio del capitano. Aveva lasciato andare la forchetta: le ostilità erano cessate, per quella sera.

Gilbert si era accomodato sul divano scalcinato poco distante. Matthew era appoggiato a lui, la testa sulla spalla e una mano intrecciata a quella dell’Hellsing sul suo grembo.

«Non riesco a credere che tutto questo sia vero» bisbigliò Antonio. «Che siamo tutti qui… è un miracolo.»

«Non è un miracolo. È magia» rispose gentilmente Matthew.

«Non è magia, è un naso impiccione alla Fiamminga chiamato “Francis”» lo corresse Gilbert. «Ma è stato utile, questa volta. Gli offrirò una birra, appena lo vedo.»

«Ancora non capisco come siete arrivati qui. E come vi siete trovati» continuò Antonio, avvicinando a sé Lovino.

«Perché sei un idiota» ringhiò quest’ultimo.

«È difficile da comprendere, se non si sa tutta la storia» concesse Ludwig, più diplomatico. «Ma abbiamo un’intera serata, per raccontarla.»

Aspettarono che Gilbert tornasse dallo scantinato con una bottiglia di sidro – “potrebbe seccarvisi la gola, con tutto quel parlare” aveva detto – e che Feliciano disponesse i bicchieri sulla tavola.

Gilbert e Matthew presero posto assieme agli altri, e l’Hellsing iniziò a versare da bere.

«Credo che l’inizio spetti a me» annunciò Matthew, una volta che tutti ebbero il bicchiere colmo davanti.

 

Così finisce il racconto della vecchia Confederazione.

La storia della nuova Confederazione, invece, inizia da quella notte, da quella capanna su un piccolo pianeta sperduto in mezzo alla Galassia.

 

Fine

 

Oddio, ci siamo.

E’ finita!!! *piange lacrime amare*

Non ci credo… Caleidoscopio è finita T^T

Finale aperto? Avete ragione. C’è un motivo? Ovviamente<3

Gli spin-off partono da qui, e i primi saranno appunto su come Matthew sia arrivato nella nuova Confederazione, come abbia chiamato gli altri e tutto il resto *^*

Poi ci saranno i vari spin-off da voi richiesti sul passato dei vari personaggi!

Se guardate in alto, nella pagina, noterete che la fanfic non è completa; questo perché ho deciso di postare gli spin-off direttamente qui. Mi sembra meno complicato, e poi, in fondo, sono approfondimenti di questa storia *^*

 

Vi ringrazio infinitamente per aver aspettato con tanta pazienza il capitolo finale!

Spero che il finale non vi abbia deluso, e che i prossimi spin-off vi piaceranno *^*

Grazie ancora a tutti voi!!!

 

Ultimo annuncio prima di salutarvi: nuova fiction in cantiere, ma… con un sentore di “antico”.

Ricordate la serie “Rosa de los Vientos”? Ricordate cosa accadde al povero Feliciano?

E se le cose non fossero andate esattamente come Lovino pensa? 8D

Spero di ritrovarvi lì, di nuovo tra porti e navi *^*

 

E sto macchinando un’altra long<3 appena avrò deciso gli ultimi dettagli, inizierà<3 Rimanete sintonizzati<3

 

Con questo, vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo con l’apertura degli spin-off!

Grazie di nuovo<3<3<3

Red

   
 
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