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Autore: workingclassheroine    17/09/2015    3 recensioni
Di tre volte in cui Andy Warhol eresse barriere per proteggersi da John Lennon.
E di una volta in cui, invece, le lasciò crollare.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Martina, che ha creduto in Andy e in me,

nonostante tutto.

 

 

1973



"Credo che il sesso sia la cosa più faticosa che esista" affermò gravemente l'uomo, accettando con un sorriso di ringraziamento la sigaretta che John gli tendeva, "Dopo il vivere, s'intende".1
John rise, il viso nascosto fra i vari sbuffi di fumo che coloravano il suo respiro, "Il tuo problema, è che non apprezzi i piaceri della vita" commentò, scuotendo la testa con fare teatrale.
"Non fare così, Lennon. So che è il tuo orgoglio maschile a parlare, ma credimi, non sei un granché neanche a letto" le mani eleganti e affusolate di Andy si mossero a tentoni nella penombra, fino ad afferrare la maglietta e i boxer che aveva gettato ai piedi del letto.
"Neanche? In cos'altro non sono bravo?" chiese John, guardandolo mentre si rivestiva con movimenti pigri e soddisfatti.
Avrebbe voluto dirgli che non importava, che si era ormai abituato alla vista delle cicatrici sul torace dell'uomo, ma rimase in silenzio.
Ci sono cose di cui non si deve parlare e basta.
"A suonare, se vuoi un mio parere" ammise Andy, infilandosi nuovamente fra le coperte, la sigaretta ancora spenta ben stretta fra le labbra sottili.
"È la prima volta che vengo insultato dopo essere stato a letto con qualcuno" John sorrise, passandogli affettuosamente un braccio intorno alle spalle e accendendogli la sigaretta.
Andy sussultò al suo tocco e al gesto fulmineo, per poi rilassarsi gradualmente.
Era una cosa che gli succedeva da quando Valerie aveva avuto la brillante idea di sparargli tre colpi addosso, quella.2
E dire che lui fino a quel momento la aveva trovata persino divertente, una ragazza adorabile ed interessante.
Fino a quando non era caduto a terra, nell'atrio della Factory, con il respiro corto e gli occhi socchiusi.
Le urla di Mario nella sua testa, un altro sparo, il corpo del compagno che crollava malamente accanto al suo, poi il vuoto.
Gli avevano aperto il petto per fargli un massaggio cardiaco, e ascoltando il medico parlarne, mentre lui era immobile su un fottuto lettino verde, Andy aveva trovato la cosa affascinante.
Così tanto che gli aveva chiesto di ripetere più volte quell'espressione: "Abbiamo dovuto aprirle il petto".
Era un qualcosa di così intimo, il solo pensare che le mani di quel chirurgo avessero sfiorato i suoi organi interni, scoprendo una parte di lui che neanche lo stesso Andy conosceva.
"Mi avete fatto delle foto durante l'intervento?" aveva chiesto quindi, interrompendone il logorroico discorso.
"Lei ha rischiato di morire, signor Warhol" aveva risposto l'uomo, ignorandolo volutamente.
"Sono dell'idea che non si debba negarsi niente, sa. Neanche la morte, che è un'esperienza come un'altra" aveva commentato Andy, distrattamente.
Il suo comportamento, però, non aveva irritato unicamente i medici.
Mario gli aveva urlato contro quando si era rifiutato di testimoniare contro Valerie, ed era uscito sbattendo la porta.
"Andy, ti vedi? Dio, sei diventato l'ombra di te stesso" aveva gridato, lacrime di rabbia che gli impiastricciavano il viso, "Non posso prenderti la mano senza farti saltare al soffitto, e io non ci riesco. Non riesco ad amare un'ombra3".
"Non amarla, allora" aveva sussurrato Andy, dandogli le spalle.
Mario era andato via, e tutta la sicurezza di Andy se ne era andata con lui.
Il suono di un piccolo mugolio lo riscosse dai propri ricordi, così come il suono di unghie che graffiavano il legno della porta.
Gli occhi di Andy accarezzarono brevemente la schiena di John, un attimo prima che l'altro infilasse la T-shirt spiegazzata della sera prima.
"Ora che sei rivestito posso far entrare Archie, vero?" chiese, spegnendo con noncuranza il mozzicone di sigaretta sul legno del comodino.
John annuì, sebbene la domanda suonasse più come una constatazione, e lasciò che Andy aprisse la porta e accogliesse fra le braccia il piccolo bassotto nero.
"Hey, Archie" ridacchiò l'uomo, chiudendo gli occhi e respingendo dolcemente le leccate affettuose con cui il cane gli inondava il viso, "Ti sono mancato, vero, amore?" chiese, con quella vocina sciocca che si riserva solitamente ai bambini, e agli animali.
John sorrise, rimirando l'amico in quella versione tanto dolce quanto rara.
Andy era, come ovvio, perdutamente innamorato del suo cane, tanto da portarlo con sé ad ogni intervista e chiedergli di rispondere alle domande più difficili.
John ricordava di averlo visto persino durante le cene più formali ed eleganti, ben nascosto sotto il tovagliolo che Andy spiegava sulle ginocchia, e ricordava gli occhietti brillanti di Archie mentre accettava con gratitudine il cibo che il padrone gli offriva da sotto il tavolo.4
Il bassotto saltellò verso il letto, con quell'andatura oscillatoria e tremendamente buffa e adorabile, e appoggiò con disinvoltura le zampette anteriori sulle ginocchia di John, in cerca di carezze.
Guaì in apprezzamento quando John iniziò a grattargli la testolina, scodinzolando contento.
"Gli stai simpatico, spero non ti dia fastidio" accennò Andy, strizzandogli l'occhio e sedendosi affianco a lui.
John sorrise, "E se mi desse fastidio?".
"In quel caso ti inviterei gentilmente ad uscire da casa nostra e non farti più vedere" spiegò Andy, sollevando il bassotto per posarselo in grembo.
"Non preoccuparti, ho avuto amanti con cani più ingombranti" confessò scherzosamente John, gettandosi indietro sul letto, gli occhi improvvisamente meno splendenti.
Andy gli rivolse un sorriso comprensivo, passandogli affettuosamente una mano fra i capelli, "Oh, lo so. Martha my dear, you have always been my inspiration, please remember me" canticchiò, strappandogli un sorriso.
"Allora le conosci, le canzoni dei Beatles" lo accusò John, mentre Andy alzava le spalle.
"Alcune sì, mi piacciono. Ho anche tentato di ascoltare qualche sua canzone dopo il vostro scioglimento, ma le mie orecchie hanno chiesto pietà dopo un minuto" raccontò, con una smorfia divertita.
John sembrò mortalmente serio mentre sbottava "Ti sbagli. Paul è un genio, anche se al momento non sta dando il suo massimo".
Andy rise della sua cocente indignazione, "Ah sì? Non eri tu che dicevi che l'unica cosa buona che avesse mai scritto fosse Yesterday?" gli ricordò, lanciandosi in una terribile interpretazione di 'How do you sleep?'.
John arrossì, voltando di lato la testa per far sì che l'amico non se ne accorgesse, "Sì, lo ho detto io" ammise, una punta di vergogna a colorargli la voce, "E no, non lo penso davvero" aggiunse immediatamente, bloccando sul nascere la risposta tagliente di Andy.
"Quant'è che ci passiamo noi due, John?".
L'uomo alzò gli occhi al cielo per la quindicesima volta; Andy era così terribilmente simile a lui da risultargli insopportabile.
"Dodici anni, o qualcosa del genere, in ogni caso" disse, dopo un breve calcolo mentale.
"Questo mi rende pedofilo, Dio" si lamentò l'altro, portandosi una mano sulla fronte e fingendo un mancamento.
"Quanto sei melodrammatico, Andy" lo rimproverò John, poggiandosi il braccio destro sugli occhi nel vano tentativo di chiudere la conversazione e tornare a riposare.
"John, permetti a questo povero vecchio di esporti una breve lezione".
John gli rifilò un pugno scherzoso sul braccio, mugolando una risposta scortese.
"Dicevo, Paul McCartney non è un genio. Anzi, preso da solo, è terribilmente banale. No, non interrompermi" lo ammonì, notando che John aveva aperto la bocca per intervenire, "E anche tu, John, per quanto io ti voglia bene, non sei da meno. Non siete nulla di speciale, lasciatelo dire".
John era offeso, e arrabbiato, ed Andy non aveva bisogno di sentirlo parlare per riconoscere quella smorfia sul suo volto.
"Lasciami continuare, poi sei libero di alzarti, urlare o tutta quella gran messa in scena che ti serve per non darmi ragione" proseguì, con una carezza distratta sul viso teso e freddo di John.
"Quello che c'era di speciale era la vostra intesa, o amore, se ancora ti illudi che esista. In qualunque modo tu voglia chiamarlo, quello era ciò che vi rendeva diversi", Andy poté chiaramente vedere gli occhi di John brillare per un unico, prezioso istante, "Senza l'altro, siete solo l'ennesimo prodotto in serie, uno di quelli che mi piace tanto dipingere".
"Sono sposato" ribatté debolmente John, senza alcun tipo di convinzione.
"Yoko, sì" lo interruppe Andy, mordendosi appena la lingua per non urlare a John quanto quella risposta fosse insensata, "Una donna in gamba, che merita sicuramente di più dello stare con un uomo che non ama e da cui non è amata".
Tacquero, il silenzio rotto unicamente dai piccoli guaiti di Archie.
Gli occhi di John, ben celati dal braccio flesso, erano lucidi.
Andy si concesse un sospiro, poi crollò accanto all'amico, l'orecchio sul suo petto e il braccio intorno alla vita di John, "Ti manca?" chiese, con tutta la tenerezza di cui era capace.
John si costrinse a non piangere.
Era una cosa che gli riusciva bene, stringere i denti e resistere.
La sua vita, in fondo, non era stato che un susseguirsi continuo di resistenze, intervallate da piccoli attimi di pace illusoria.
Una pace che la sua mente raffigurava beffardamente come un ragazzino esile, dai capelli corvini e la pelle lattea, che imbracciava la sua chitarra al contrario.
Nonostante questo, John era profondamente deciso a continuare così, in parte perché sarebbe stato un peccato, non è vero?, interrompere quell'armonica tradizione di fallimenti, in parte perché era cosciente di essere un fottuto codardo.
Altro silenzio, tonnellate di silenzio distillato che pesavano sul petto scarno di John.
Il peso del silenzio, e della testa di Andy, e del suo respiro attraverso la stoffa leggera della maglietta.
E poi il peso di Archie che si accoccolava accanto a loro, infilando il muso fra il braccio di Andy e la vita di John.
Per un attimo, un piccolo attimo di debolezza, John pensò che quel peso fosse davvero troppo per una persona sola.
"Occupava i tre quarti del letto, quel maledetto cane, e non c'era verso di convincere Paul a farla dormire sul pavimento" mormorò quindi, lentamente e con evidente difficoltà, i lineamenti addolciti dalla nostalgia e le dita che sfioravano il pelo corto e ordinato del bassotto.
"È il lato peggiore dell'amore, il dover condividere un letto. Persino Archie mi ingombra, in camera"5 commentò Andy, mentre John alzava gli occhi al cielo, ridendo.
Tutto sembrava pesare di meno, così.
"A volte sei così superficiale, Andy" lo rimproverò gentilmente e "Lo amo ancora" si ritrovò ad ammettere, le parole che si accavallavano nella sua mente senza che potesse fermarsi.
Non ci trovò niente di male, a confidarsi in quel modo.
Le cose più belle della sua vita erano sempre arrivate nei momenti di debolezza.
Come Paul.
"Dimmi qualcosa che non so" lo prese in giro Andy, con un sorriso dolce e comprensivo stampato sulle labbra.
"Tu sai sempre tutto, no?" borbottò John, divertito e rassicurato dalla reazione dell'amico.
Che Andy Warhol non credesse nell'amore era risaputo, e John si era ritrovato spesso a ridere sulle sue buffe e macabre teorie a riguardo.
Eppure, ne sapeva troppo.
Se qualcuno riesce a descrivere così bene il dolore e le sensazioni che si provano in seguito un'ustione, se ne deduce che si sia scottato almeno una volta.
"Decisamente" concordò Andy, facendo saltellare Archie fra le sue braccia "Vero, tesorino, che papà ha sempre ragione?".
John rise, ancora, "Chi è?".
Il lampo di paura che scorse negli occhi di Andy gli confermò che aveva capito di cosa stesse parlando, ma le labbra dell'uomo sillabarono unicamente un "Chi è chi?" poco convinto.
Andy era un'amicizia complessa, con tutto il suo carico di disillusioni, sarcasmo e cattivo carattere -nulla di diverso da lui, per dirla tutta- ma John aveva facilmente imparato a volergli bene.
Era difficile non volergliene, nonostante tutto.
Nonostante i fantasmi che si trascinava dietro a ogni piè sospinto, e di cui si rifiutava caparbiamente di parlare.
"L'uomo di cui sei stato innamorato" insistette, mentre Andy si alzava in piedi e iniziava a rimestare nel proprio armadio, ben attento a non incontrare i suoi occhi.
In un attimo di debolezza, Andy pensò a Mario.
Ma a lui, non era mai arrivato niente di bello, durante i momenti di debolezza, per cui si limitò a tacere.
"Me lo dirai, prima o poi?" riprese John, piano e con dolcezza, il tono di un fottuto cowboy che si aggira intorno a un cavallo imbizzarrito.
"Prima o poi" mormorò dopo un po', incerto, "C'è un telefono nel soggiorno" riprese immediatamente, nel tentativo di cambiare discorso "Nel caso tu volessi chiamare Paul adesso".
John si agitò in modo così evidente da strappargli un sorrisetto, "E cosa- cosa dovrei dirgli?".
Andy lo prese per mano e lo trascinò con sé, senza badare alle sue continue resistenze, "Potresti iniziare con un ciao, che ne dici?".
"Non lo so" si difese John, puntando istintivamente i piedi a terra "Potrebbe riattaccarmi in faccia".
"Sarebbe divertente" ammise Andy, sbattendogli in mano la cornetta e incassando con un sorriso l'occhiataccia di John "Forza, Lennon. Io sarò qui accanto a te" aggiunse, con una leggera pacca sulla sua spalla.
"Oh, tu sì che sei un vero amico" ribatté sarcasticamente John, ma le sue dita stavano già sfiorando i tasti.
Andy gli strizzò l'occhio, e rimase pazientemente ad aspettare con lui.
Seguì attentamente l'evoluzione del tono di voce dell'amico, che passava dall'imbarazzato ("Ciao, Paul"), al terrorizzato ("Sì, lo so, ho sbagliato"), al completamente sereno (Anch'io sono felice di risentirti).
Lo ascoltò parlare, nel corso delle due ore seguenti, di argomenti che spaziavano in ogni direzione, come se entrambi avessero bisogno di recuperare e consolidare il posto che avevano l'uno nella vita dell'altro.
Ogni tanto John si voltava verso di lui, cercando il coraggio per continuare la conversazione, ed Andy sorrideva per rassicurarlo e gli faceva un breve cenno con la testa per incitarlo ad andare avanti.
La voce di Paul McCartney gli arrivava unicamente come un lieve fruscio, dolce e incerto, e Andy avrebbe voluto avvicinare l'orecchio a quello di John e ascoltare con lui, tanto per farsi un'idea di come dovesse essere, l'amore.
Non sentì nessun "Ti amo" sussurrato alla cornetta, come segretamente avrebbe sperato, ma se non altro era un inizio.
E Dio solo sapeva quanto servissero nuovi inizi, in tempi come quelli.
Quando John riattaccò, salutando Paul con un timido "Magari ti richiamo, qualche volta, se non sei impegnato", Andy gli sorrise nuovamente.
Non sapeva perché, ma gli piaceva immaginare che McCartney avesse risposto "Non sono mai impegnato, per te", come in una perfetta pellicola d'amore.
O forse lo sapeva, il perché, ma si chinò per prendere in braccio Archie, ben deciso a non pensare ulteriormente.
John gli rivolse un'occhiata carica di gratitudine, "Ora sei contento?" chiese, con un sarcasmo leggero e affettuoso che dava a intendere quanto in realtà fosse felice.
"No, in realtà. L'attrazione gravitazionale mi tiene ancora con i piedi per terra, le stelle non si sono riallineate fino a formare il mio nome e Archie non si è messo a cantare una canzone di Elton John. Quindi direi che la tua chiamata a Paul McCartney non è riuscita a cambiare il mio umore" lo smentì Andy, posando di nuovo il bassotto sul pavimento e agitando elegantemente una mano per sottolineare la propria indifferenza all'accaduto.
Ma le braccia di John lo avevano già attirato in un abbraccio dolce e spontaneo, come non ne riceveva da troppo tempo, e le sue orecchie erano pieni dei grazie che l'altro sussurrava l'uno dopo l'altro, lasciando che le parole si perdessero fra il candore dei suoi capelli.
"Andiamo, Lennon" lo rimproverò burberamente Andy, battendogli qualche pacca affettuosa sulla spalla, un sorriso celato nel tessuto leggero della maglia di John, "Sii più uomo e meno checca".
La risposta gli arrivò attutita e appena mugolata.
"Che hai detto?" insisté, tamburellando con le dita sulla schiena di John.
"Ho detto di tappare la bocca, maledetto frocio".
Andy rise, abbandonandosi finalmente alla sensazione piacevole di braccia amiche intorno al suo corpo scarno.
Rimasero così, sospesi nel tempo.
Ed Andy profumava di un odore forte, di semi di lino e tempera e chiuso, l'odore di un artista che sputa sangue sulle proprie tele.
E John adesso profumava solo di tabacco e colonia, ma quell'odore, quell'odore era stato anche suo quando ancora il buongiorno era il sorriso di Stuart.
A livello di inconscio John sapeva che quello era stato il motivo principale per cui aveva sentito il bisogno di avvicinarsi a lui: Andy profumava esattamente come Stuart.
E Stuart era stato un vero amico, accidenti, quel tipo di migliore amico a cui non viene di certo in mente di farti innamorare di lui.
Che invece era lo sport preferito di Paul McCartney, a quanto pareva.
"Stai facendo pensieri strani?"
John sussultò appena alla domanda, "Sto facendo cosa?"
Andy alzò le spalle, distaccandosi leggermente da lui per osservarlo meglio, "Hai la faccia che fai quando pensi a cose strane".
"Faccio una faccia in particolare?"
"Sì, ed inizi ad eludere le domande" puntualizzò Andy, sollevando un sopracciglio con aria critica.
John sospirò, sorridendo stancamente, "Pensavo solamente che sarebbe stato tutto più facile, senza questo amore in mezzo" confessò, tormentandosi con le dita la montatura degli occhiali.
"Quando ho deciso di rinunciare al probabile uomo della mia vita" le parole di Andy erano appena udibili "Sapevo che ce la avrei fatta. Che nonostante tutto sarei sopravvissuto, anche senza di lui" si prese una piccola pausa, prima di continuare "Sapevo di non aver bisogno dell'amore, che semplicemente non era fatto per me. Ma tu, John, non sei così. E quell'amore che ti fai marcire dentro ti avvelenerà, se non gli permetti di uscire".
"Non è sempre così facile" la voce di John sembrava così maledettamente stanca che per un attimo Andy avrebbe voluto dirgli che andava tutto bene, che potevano benissimo cambiare argomento.
Me rimase in silenzio.
Perché certe parole si devono dire, anche se fa male da morire.
"Eravamo così maledettamente presi dal dover dimostrare che era tutto come prima che ci siamo fatti crollare addosso quel che restava di noi. Attaccavamo poster alle pareti per nascondere le crepe, e ridevamo dei calcinacci che ci sfioravano la testa. Ci dicevamo cose del tipo hey, scriviamo una canzone?, e facevamo finta di non vedere che l'altro non ne aveva più la voglia. Scrivevamo da soli canzoni che erano l'uno per l'altro, e che avremmo potuto scrivere dieci volte meglio nudi nello stesso letto. Io non pretendo che lui capisca, non voglio che passi sopra le umiliazioni a cui lo ho costretto, ma lo amavo davvero. Lo amo ancora, Andy, e questo amore non possiamo perdonarcelo. Né io, né lui"
"Stronzate"
Una sola parola, secca.
Una parola che bastò a far scendere il silenzio, ad innalzare mura di rabbia e orgoglio.
"Scusa?"
"Continui a fare la maledetta vittima, John. Come se tutto questo ti fosse capitato, come se fosse stata una dannatissima calamità naturale. E invece indovina un po', sei tu che hai distrutto tutto. È fottutamente colpa tua se non vi guardate neanche più in faccia. E sei tu che devi risolvere le cose".
Non ebbe il tempo di finire il proprio discorso, Andy, che John già s'era alzato in piedi, un luccichio pericoloso negli occhi -quasi si stesse trattenendo dal colpirlo- e se ne era andato, curando di sbattersi alle spalle la porta e provocando un piccolo guaito spaventato ad Archie.
Andy sospirò, lasciando una carezza sulla testolina tremante del bassotto, e si avvicinò al muro per raddrizzare un quadro che, complice la violenza dell'impatto, si era inclinato verso destra.
"Fammi un favore, Archie" disse improvvisamente, osservando a fondo gli occhietti neri del cane che indugiava intorno alle sue caviglie "La prossima volta in cui mi viene in mente di fare la crocerossina saltami in braccio e strappami la lingua a morsi, intesi?".
Archie gli rivolse uno sguardo puramente canino, prima di dargli le spalle e trotterellare via.
"Questa società di cinismo e indifferenza ti sta rovinando!" gli urlò dietro, mentre il bassotto crollava felice sul tappeto del soggiorno, senza curarsi troppo di lui.
"Il miglior amico dell'uomo" borbottò Andy, rivolgendogli un'occhiata velenosa "Oh, prendi con te un cane, Andy, sono degli animali fantastici. E ho dato retta a Jed, che io sia maledetto! Stavo così bene con i gatti. Mi hai sentito, Archie? Stavo meglio con i gatti!"6.
Archie emise un latrato condiscendente, solo per non lasciarlo senza risposta, e chiuse gli occhi, precipitando nel sonno dei giusti, fra sogni costellati di infinite mani che gli tendevano il cibo del Ballato's7.
"Ti sei addormentato? Io ti ho reso arte, maledetto cane, e tu ti addormenti mentre parlo?8" sbottò Andy, e avrebbe certamente svegliato in malo modo il bassotto, se qualcuno non avesse suonato al campanello.
"Arrivo" avvisò, rinunciando ai suoi piani di vendetta con un sospiro frustrato.
Aprì la porta e "Io ti ho reso arte, maledetto cane" sussurrò John, perfettamente serio, ed Andy non poté fare a meno di ridacchiare, scostandosi dalla soglia per lasciarlo entrare.
"Dovrei insonorizzare questo posto" ammise, scompigliandosi con la destra i capelli candidi e disordinati.
Normalmente, avrebbe sbattuto la maledetta porta in faccia al maledetto John Lennon perché nessuno -nessuno- poteva permettersi di uscire in quel modo da casa sua, ma sapeva di non poterlo e volerlo fare, per quella volta.
Andy voleva salvare John.
Ci era ricascato, ecco tutto.
Qualcuno lo aveva di nuovo trascinato in quella spirale vomitevole e masochista in cui ti importa se il tuo amico fuori di testa è ancora innamorato della sua vecchia scopata giovanile.
Andy non ci pensò due volte prima di parlare:

“John?”
“Sì?”
"Vaffanculo".

*

 

1980



Le dita di Andy scivolarono facilmente sulla parete ruvida e bianca, in una carezza dolce e malinconica.
Yoko si era dileguata qualche minuto prima per preparare del the, e nonostante Andy avesse ripetuto mille volte che non ce n'era davvero bisogno lei lo aveva lasciato in salotto con la promessa di far presto.
Andy era rimasto, da bravo ospite, seduto sulla poltrona, carezzando distrattamente il pelo dei gatti di John e congratulandosi mentalmente con se stesso per aver lasciato Archie a casa.
"Ne abbiamo trovato altri due, sai? Li ho chiamati Minor e Major. Non credo che Yoko ne sia troppo entusiasta, ma ho pensato che Salt e Pepper potessero sentirsi soli".
Aveva serrato con forza gli occhi, nel vano tentativo di mettere a tacere quella voce che ancora gli si insinuava nelle orecchie, con quell'insopportabile accento inglese e la mania di infilare un "sai" ogni tre parole.
A quel punto si era alzato, terrorizzato alla sola idea di restare fermo e permettere ai ricordi di irrompere e sfondare la diga che s'era costruito.
Andy di ingegneria non capiva davvero nulla, però una cosa la sapeva.
Basta una misera, microscopica crepa perché una diga collassi e crolli su se stessa, lasciando che l'acqua distrugga ogni cosa si trovi sul suo cammino.
La parete bianca e immacolata sembrava un ottimo diversivo all'abisso, così come le foto che ne riempivano un piccolo spazio.
"Chi sei?"
Andy sussultò, allontanandosi con aria colpevole dalle foto e voltandosi in direzione di quella candida voce infantile.
Il piccolo Sean Lennon stava lì, serio e immobile, con la frangia del caschetto spettinata, come se la mano di qualcuno gliela avesse ravviata più volte in una carezza compassionevole.
"Un amico di tuo padre" si presentò semplicemente, mentre gli occhietti di Sean lo osservavano cauti.
"Stanno venendo un sacco di amici di papà, ora che è morto" commentò il bambino, senza alcun tipo di cattiveria, e prese ad accarezzare il pelo nero di Pepper come niente fosse.
Andy si inginocchiò davanti a lui, "Una cosa che devi imparare, giovanotto, è che diventiamo tutti immensamente simpatici quando ci troviamo tre metri sottoterr-"
"Sean!"
Yoko aveva sempre avuto una voce fin troppo sottile e dolce, da uccellino.
Era la voce che spingeva le persone a sottovalutarla e prendersi gioco di lei, ma era anche la voce che le permetteva di orchestrare tutti a proprio piacimento.
Ma quella volta, c'era fragilità autentica nel suo tono, così come nel modo urgente di posare una mano sulla spalla del figlio, quasi che anche lui fosse sul punto di morirle lì davanti.
"Stavi disturbando il nostro ospite?" chiese distrattamente la donna, come se la faccenda non la interessasse più di tanto, presa com'era dal proprio dolore.
Sean si affrettò a negare, sparendo dietro la porta di camera sua un attimo dopo.
Yoko lo seguì con lo sguardo, sospirando, "Non credo abbia capito fino in fondo cos'è successo a-" prese un respiro profondo, posando immediatamente il vassoio sul tavolino per paura che le mani tremanti potessero tradirla, "A suo padre" completò, a fatica.
"Siediti, Andy, è un piacere vederti" mormorò quindi, come se si fosse ricordata in quel momento della sua presenza, e si sistemò compostamente accanto a lui, con le mani strette in grembo.
Andy accettò la tazza che Yoko gli tendeva con un piccolo sorriso nervoso, rifiutando con un gesto cortese la zolletta di zucchero che la donna gli stava silenziosamente offrendo.
"Mi dispiace molto per quello che è accaduto" disse, cosciente di quanto banale e inutile potesse suonare quella frase alle orecchie della vedova, "Non lo meritava".
"Qualcuno lo merita?" domandò retoricamente Yoko, con un sorriso falso e spento, "Ti ringrazio della tua visita, Andy. Mio marito ne sarebbe stato felice, ti voleva molto bene".
"E io volevo bene a lui" confessò Andy, d'impeto, la diga che iniziava a scricchiolare pericolosamente all'interno del suo corpo.
"Quando siamo arrivati qui a New York moriva dalla voglia di conoscerti" raccontò Yoko, dolcemente, "Mi diceva 'Yoko, amore mio, dobbiamo assolutamente farci fare un ritratto da lui', poi cambiò idea e disse che non si può costringere un artista a dipingere, che saresti stato tu a chiederci di posare se ne avessi sentito la necessità9".
Andy sorrise, chinando gli occhi sulla tazza di the che teneva in grembo.
John non gli aveva mai chiesto un ritratto, ed era anzi solito prenderlo bonariamente in giro per quella che chiamava "l'arte dozzinale di Andy Warhol".
"Non mi ha mai accennato nulla" sussurrò, mentre Yoko gli stringeva affettuosamente una mano.
"Ha lasciato molte cose in sospeso" lo consolò brevemente la donna, mentre i suoi occhi scattavano verso la stessa serie di foto che aveva attirato l'attenzione di Andy in precedenza.
Andy pensò a Paul, e non poté fare a meno di concordare.
John aveva lasciato in sospeso troppe cose.
"Le ha fatte lui?" chiese timidamente, seguendo lo sguardo di Yoko fino alle cinque piccole cornici.
La donna si alzò in piedi, parandosi di fronte alla parete, con le braccia incrociate e i lineamenti tesi, "Una foto per ogni anno della vita di Sean, per apprezzarne la crescita e il cambiamento. È stata una sua idea. Mi dispiace pensare che la serie resterà incompleta".
Ed Andy sentì in quel momento l'urgenza di scappare.
Da quella casa e da tutti i rimpianti che si trascinava dietro.
Posò la tazza -ancora piena- sul tavolino, alzandosi frettolosamente in piedi, "Devo andare, Yoko. Sai, ho lasciato Archie ed Amos10 da soli a casa e-"
"Capisco" lo interruppe lei, accompagnandolo alla porta e porgendogli il cappotto, "Grazie ancora della visita" aggiunse, con un sorriso debole.
Il volto di Sean fece capolino dietro la gonna della madre, "Ciao" salutò il bambino, prima di scappare di nuovo via.
Andy gli sorrise, guardandolo sparire con il cuore stretto, "Se me lo permetti, Yoko, vorrei continuare io quella serie11" mormorò, senza neanche rendersene conto.
La vedova gli regalò il primo vero sorriso dall'inizio della loro discussione, "Certo, Andy. Lui ne sarebbe felice" assicurò, stringendogli le mani con gratitudine.
Si salutarono con la promessa di rivedersi presto, e solo quando la porta si chiuse Andy ebbe il tempo di ripensare a quella conversazione.
Non avevano pronunciato il nome di John neanche una volta.
Scosse la testa per scacciare quel pensiero, e cercò di concentrarsi sulla tenue felicità che provava per concluso l'incontro e aver messo a tacere la propria coscienza, che gli imponeva da giorni di andare ad esprimere le proprie condoglianze a Yoko.
Era stato terribile.
E poi, pensò, neanche gli piaceva il the.
Non era mica un fottuto inglese, lui.


 

*

 

1981


 

"Entri pure, signor Warhol" la donna, piacevolmente bionda e sorridente, lo accolse in casa, scortandolo lungo l'ampio corridoio.
"Posso offrirle qualcosa? Una tazza di the?" chiese premurosa, sedendosi di fronte a lui.
"No!" esclamò Andy, con una veemenza che fece sussultare visibilmente sia lei che Archie, "Per l'amor del cielo, sono americano, signora. L'unico tea party che concepisco è quello di Boston12".
L'espressione della donna non mutò minimamente, e il suo tono era ancora cortese mentre si correggeva "Allora un caffè? E vuole qualcosa per il cagnolino?".
Andy si sforzò di sorriderle "Un caffè mi sembra un buon compromesso, grazie. Credo che Archie stia bene così".
"Torno fra un attimo, la prego, si comporti come se fosse a casa sua" si raccomandò, mentre Andy, con un terribile senso di déjà vu, annuiva e giurava che lo avrebbe fatto.
"Tu non sei un vero amico, Archie" sussurrò al cane, appena rimasero soli "Ti avevo chiesto di strapparmi la lingua, in questi casi".
Un rumore vago, come di sussurri, lo distrasse dai propri pensieri, e senza esattamente sapere come si ritrovò davanti una testolina bionda che lottava per arrampicarsi sulla sua poltrona "Mary! C'è un cane!" gridò la bambina, facendo letteralmente saltare Andy in aria.
"Dove?" urlò di rimando un'altra ragazzina, correndo a rotta di collo giù per le scale, con il rischio di cadere e ammazzarsi.
"Bau!" intervenne un terzo, comparendo da chissà dove e battendo entusiasta le mani.
La bambina che doveva chiamarsi Mary prese per mano il fratellino, in un tipico atteggiamento da sorella maggiore, e lo trascinò di peso fino alla poltrona.
"Archie, amico mio" mormorò Andy, osservando colpevole gli occhioni supplicanti del bassotto, che si nascondeva tremante dietro i suoi stinchi, "Temo che ci abbiano circondati".
Una delle bambine, intanto, era riuscita a salire sulla poltrona, e si era comodamente sistemata sulle ginocchia di Andy.
"Sì, è proprio un cane" spiegò, con una vocetta dolce e petulante "Lo ho visto io".
Andy la osservò divertito e vagamente spaventato mentre lei incrociava le braccia al petto, poggiando comodamente la schiena sul suo petto.
"Signorina, immagino che lei ci abbia scoperti" ammise, alzando le gambe per rivelare il musetto di Archie e la sua disperata aria da Andy-ti-odio-come-puoi-fare-questo-a-me.
Mary sussurrò un "Oh" deliziato, afferrando il bassotto e cullandolo dolcemente fra le proprie braccia, mentre il fratellino sembrò trovare divertente agitare la zampa di Archie ripetendo un "Ciao" dopo l'altro.
Andy ridacchiò, godendosi l'espressione afflitta del cane, che era velocemente passata al la-prossima-volta-porta-Amos-con-me-hai-chiuso.
La bambina bionda alzò la testa verso di lui, gettandogli le braccia al collo con quella sorta di totale fiducia e abbandono che solo i bambini sanno avere, "A me interessi più tu" lo consolò, regalandogli un sorriso aperto e luminoso.
"Ne sono lusingato, signorina" rispose lui, con un finto tono cerimonioso che la fece scoppiare a ridere così forte da doversi coprire la bocca con la mano.
"Io mi chiamo Stella" si presentò la bambina, stringendogli la mano e agitandola con entusiasmo, "E loro sono Mary e James" proseguì, mentre Mary alzava appena lo sguardo per sorridergli educatamente, per poi tornare a dedicare le proprie attenzioni ad Archie.
"Abbiamo anche un'altra sorella che si chiama Heather, ma lei è fuori" specificò Stella, e poi si avvicino al suo orecchio per sussurrare "È fuori con un ragazzo, ma questo mamma e papà non lo devono sapere".
"Se vuoi vado a cercarti una foto" si offrì immediatamente James, ansioso di rendersi utile e fare l'uomo di casa.
Andy scosse la testa, sinceramente frastornato, "Sarà per un'altra volta".
"Vedo che ha conosciuto le nostre pesti, signor Warhol" sorrise Linda, rivolgendosi poi ai bambini "Ora andate a giocare" li invitò, con un'occhiata particolarmente severa a Stella, che si era aggrappata ancor più saldamente ad Andy.
"Possiamo portare Archie con noi, signor Warhol?" chiese timidamente Mary, immediatamente seguita da un coro di "Oh, sì, per favore" da parte dei suoi fratelli.
"Se per lei non è un disturbo" intervenne Linda, con un sorriso paziente ai bambini.
"Se per Archie non è un disturbo" ripeté Andy, anche se gli occhietti dell'interessato lampeggiavano in un chiaro ti-prego-non-farlo.
Seguì divertito il muso terrorizzato del bassotto mentre i bambini lo trascinavano in una stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
"Le chiedo perdono. Adorano gli animali" si scusò la donna, servendogli una tazza di caffè scuro e bollente.
"Non si preoccupi, signora McCartney, sono certa che Archie si divertirà un mondo" assicurò Andy, sorseggiando appena la bevanda per nascondere il sorriso che gli era involontariamente salito alle labbra.
"Mi chiami Linda, la prego. E mi permetta di dirle- in quanto fotografa ammiro molto il suo lavoro. I suoi lavori- lei è un genio!" le guance di Linda si colorarono appena a quelle parole accorate, ed Andy chinò la testa per nascondere un imbarazzo altrettanto evidente.
"Sta cercando di sedurre mia moglie, signor Warhol?" intervenne una voce allegra, accompagnata dal suono della porta di ingresso che si chiudeva.
"Non sono responsabile del mio fascino" ribatté Andy, alzandosi per accogliere l'oggetto della propria visita.
"Tesoro, hai fatto tardi. Il signor Warhol ti sta aspettando da fin troppo tempo" lo rimproverò Linda, il tono smussato dalla dolcezza -quasi venerazione- con cui guardava il giovane marito.
"Il traffico" si giustificò Paul McCartney, salutando la moglie con un bacio sulla guancia.
"È un piacere conoscerla, si parla molto di lei" disse poi, tendendogli elegantemente una mano.
"Anche di lei" ricambiò Andy, incontrando a metà strada le dita di Paul.
Si sorrisero, rendendosi rispettivamente conto di quanto suonassero strane quelle frasi, dette da due personaggi del loro calibro.
La stretta di Paul era esattamente come Andy la aveva immaginata: ferma e gentile, con le dita gelide ma dolci e affusolate, e fu quasi dispiaciuto quando lui ritrasse la mano, chinandosi per baciare i bambini che gli si erano affollati intorno.
Un guaito e la sensazione di qualcosa che tremava contro la sua caviglia gli testimoniarono che anche Archie era tornato con loro.
"Guarda un po', sei davvero un adorabile cagnetto" commentò Andy, scrutando le pinzette piene di tulle che costellavano le orecchie del povero bassotto.
"Sarà meglio spostarci nel mio studio, Andy- posso chiamarti Andy, vero?" Paul aveva dei modi di fare estremamente tranquilli e alla mano, ed Andy non dubitava fossero il motivo per cui nessuno riusciva a resistergli.
"Solo se io posso chiamarti Paul" acconsentì, seguendolo.
Per dirla tutta, la risposta che gli era salita alle labbra era stata qualcosa sul genere "Guardi, Paul, da lei mi farei chiamare anche Paperino", ma era riuscito a frenarla in tempo.
L'ufficio di Paul era ampio ed arioso, arredato con mobili e libri antichi, e aveva quell'aria di composto abbandono che di solito presentano le camere che non vengono utilizzate di frequente.
Paul ebbe la cortesia di spostare la sedia da dietro la scrivania di fronte a quella di Andy, così che non vi fossero barriere di alcun genere fra di loro.
In questo piccolo gesto Andy riconobbe per la prima volta l'uomo che John aveva amato, e comprese che quella era un'abitudine che Paul aveva preso da lui.
John odiava qualunque cosa si interponesse fra lui e le persone che amava, fosse anche una tazza di caffè, o semplicemente Archie che riposava sul grembo di Andy.
Aveva bisogno di essere certo che l'altro lo volesse vicino, aveva bisogno di aspettarsi un abbraccio o un semplice sfiorarsi non intenzionale.
Gli serviva calore, non barriere.
"Ho già abbastanza barriere di conto mio, Andy, non peggioriamo la situazione" diceva, ogni volta in cui Andy cercava riparo da quella strana vulnerabilità anche solo incrociando le braccia al petto.
Ed Andy, che dopo la sparatoria di barriere aveva disperatamente bisogno, le aveva lasciate crollare tutte pur di tenere l'amico con sé.
Cosa avrebbe detto, John, se avesse saputo che quella più alta e impenetrabile Andy la aveva costruita proprio sul suo ricordo?
Un'altra crepa nella diga, la certezza che John, in realtà, non lo avrebbe mai saputo.
E fu la voce di Paul, a distrarlo in tempo, a distrarlo dall'immagine di quella crepa sottile che andava espandendosi.
"In cosa posso esserti utile, Andy? Hai affrontato un lungo viaggio per vedermi" accennò Paul, con un sorriso che era una sfumatura fra il curioso e lo spaventato, "Se vogliamo parlare d'arte, sai che ho nel cuore un altro artista, che è stato mio caro amico ed è difficile da rimpiazzare" scherzò, accavallando le gambe per poi ripensarci un attimo dopo.
Gli occhi di Andy sfiorarono la parete dietro le spalle di Paul, dove, ben in mostra, era appeso un quadro con una mela e la scritta in corsivo "Au revoir".13
Sorrise a Paul, "Il ruolo di rimpiazzo non fa per me" gli assicurò, mentre i suoi muscoli si rilassavano definitivamente.
Una persona che ama l'arte, decise Andy, non può che essere una brava persona.
"In realtà, sono qui per parlare di un nostro comune amico" spiegò quindi, inglobando totalmente l'interesse dell'altro.
"Prima che ricominci a parlare, devo fare una premessa" lo interruppe Paul, gli occhi improvvisamente più grandi e tempestosi, ogni traccia di cortesia svanita dai suoi modi, "Se vuoi che ti rilasci un'intervista su John, fai ancora in tempo ad uscire da qui senza che io mi ritenga offeso. Provvederò io alle spese per il viaggio".
"Sei tu che stai offendendo me, Paul" lo rimbeccò Andy, lievemente innervosito dalla piega che aveva preso il discorso, "Io volevo solo parlare di-"
"Di John! Credi che non lo sappia?" ribatté Paul, alzandosi in piedi nell'impeto del proprio discorso "Non volete far altro che parlare di John Lennon. Tutti pretendete di saperne più di me, a riguardo" lo accusò, le mani che avevano iniziato a tremare confusamente.
"Dovresti calmarti, Paul" lo invitò Andy, con un tono che era più pietoso che arrabbiato.
Paul era incredibilmente bello, e risultava più difficile del previsto toccare con mano in quanti pezzi potesse spezzarsi l'uomo al solo nominare l'argomento.
"Sono stanco, sono fottutamente stanco. Io so chi era John, io lo ho conosciuto, io sono cresciuto al suo fianco, io ho fatto la storia con lui" elencò rabbiosamente, la mascella contratta e il respiro accelerato "E io lo ho perso".
Andy pensò che Paul McCartney fosse un'ottima dimostrazione di quello che succede quando una diga crolla su se stessa.
"Siediti, tua moglie e i bambini ti sentiranno urlare" gli ricordò semplicemente, frastornato dalle nuove consapevolezze che aveva raggiunto.
Se la diga fosse crollata, quello era ciò che lo aspettava.
Paul impallidì, elaborando quel pacato consiglio, e si limitò ad obbedire, ansante, crollando nuovamente sull'elegante sedia imbottita, "Sono mesi che non sento parlare d'altro" si scusò dopo appena qualche secondo, accennando un sorrisetto nervoso, "A volte credo di impazzire".
"Posso immaginarlo" disse Andy, comprensivo.
Ma in realtà non aveva bisogno di immaginare nulla, non quando il solo pensiero di John che non si trovava più in alcun luogo lo faceva impazzire di dolore.
"Credimi, tu non-" Paul si bloccò, e prese a tormentarsi il labbro inferiore fra i denti per impedire che delle parole irrispettose potessero offenderlo.
Ma Andy aveva capito ugualmente.
"No, non posso provare lo stesso tuo dolore, Paul. Io non ero innamorato di lui"
Ed Andy poté percepire le spalle di Paul che si irrigidivano, e il brivido di puro e irrazionale terrore che aveva percorso la totalità delle sue vertebre.
"L'amicizia non è forse la più alta forma d'amore?"
Si era ripreso in fretta, Paul, e aveva fatto sì che i propri arti ostentassero una posa rilassata, ma totalmente e irrimediabilmente plastica, come un manichino sistemato su una poltrona.
"No" lo corresse Andy, sorridendogli dolcemente, "La più alta forma d'amore è l'amore".
Paul restò a guardarlo, in completo silenzio, per esattamente cinquantadue secondi -Andy li contò tutti- e poi si sollevò dalla sedia con una stanchezza estrema, come se quel semplice gesto gli costasse una fatica immensa, come se il peso del cielo fosse proprio lì, sulle sue spalle.
E le spalle erano ciò che in quel momento mostrava di lui, preso ad osservare il quadro che aveva indicato ad Andy in quello che sembrava essere il secolo precedente.
"Quanto eravate amici?"
Dietro la sottile barriera delle proprie spalle tese, Paul piangeva lacrime bollenti.
"Abbastanza da sapere che siete stati amanti, se è questo che mi stai chiedendo" rispose Andy, rimpiangendo per un attimo l'aver lasciato Archie con i bambini.
Maledetto bassotto, mai una volta che gli fosse accanto nei momenti giusti.
Paul restò nuovamente in silenzio, immobile e statuario, il profilo sfiorato appena dalla luce, l'ombra longilinea ed elegante della sua figura proiettata sul pavimento.
"Siete stati a letto insieme"
Non era una domanda, ed Andy non ritenne necessario rispondere.
"Lo ho capito subito" spiegò amaramente Paul, la voce spezzata e compromessa dalle lacrime, "Forse gli ricordavi-".
Non riuscì a finire la frase, stroncato da un singhiozzo nervoso, ma il nome di Stuart restò lì, ad aleggiare sopra le loro teste come una ghigliottina.
"Devo farti una domanda indelicata, Andy" riprese, voltandosi precipitosamente verso di lui.
Alla vista dei suoi occhi liquidi e vacui, Andy non poté trattenere una vaga stretta allo stomaco.
Era colpa sua, se la diga si era spezzata in quel modo.
Se Paul, si era spezzato in quel modo.
"Sono abituato alle domande indelicate" lo rassicurò, nonostante fosse quasi certo che l'altro non lo stesse ascoltando.
"Fa male?"
"Cosa?" fu il turno di Andy, stavolta, fingere di non capire.
Paul esitò, e poi si rimise a sedere, afferrando le mani di Andy e racchiudendole fra le proprie, come in un piccolo nido.
"Hanno sparato anche a te, vero? Tre colpi. Saresti dovuto morire" Paul ignorò il sarcastico "Oh, grazie Paul" di Andy, "Ti prego" lo supplicò, rafforzando la stretta sulle sue dita "Ho bisogno di sapere cosa ha provato".
Andy chinò gli occhi, a disagio.
Non era un argomento di cui gli facesse piacere parlare, tantomeno dopo ciò che era successo a John.
Specie ora, con il dolore di Paul McCartney che lo soffocava, facendolo quasi sentire in colpa per essere sopravvissuto, mentre John non aveva avuto quella possibilità.
"Io-"
"Per favore" lo pregò nuovamente Paul, con rinnovata urgenza.
Andy serrò gli occhi, lasciando che le parole fluissero via dalle sue labbra secche, "Fa maledettamente male. È un attimo, e sembra durare per sempre. Riesci a vedere perfettamente i proiettili che ti entrano nella carne ancor prima che il dolore ti testimoni che sono lì, incastrati dentro di te. Ti vedi cadere a terra, in un dannato rallenting, e senti chiaramente la vita che fugge via, ridendo. Stai lì, i tuoi sogni e i tuoi progetti sparpagliati in mezzo al sangue, e un attimo prima di chiudere gli occhi riesci a capirlo, e a dirtelo" e i suoi occhi si fissarono saldamente in quelli enormi di Paul, prima che pronunciasse quella frase, "Chiudi gli occhi e pensi Sto morendo".
Paul tremava, ormai, e piangeva liberamente, rannicchiato su se stesso, con il volto nascosto fra i palmi e le mani di Andy a sfiorargli delicatamente le spalle.
Scivolò sul pavimento, in ginocchio come un ridicolo e patetico supplice, il capo abbandonato sulle ginocchia dell'altro.
"Il mio John" mormorava di tanto in tanto, in un mugolio ferito e disperato, ed Andy non poteva fare altro che carezzargli i capelli e piangere con lui, ben attento a non farsi notare.
Ben attento alla propria diga.
Passarono delle ore, con loro là fermi, le lacrime di Paul che infradiciavano le ginocchia di Andy e i loro sussurri che si perdevano contro le pareti.
"Era ancora innamorato di me?" la voce di Paul era così addolorata e roca, in quel momento, "Credi ci fossi anche io, fra i sogni sparpagliati in mezzo al sangue?".
Andy rispose con l'unica risposta possibile, l'unica che avrebbe potuto salvare l'uomo dai fantasmi che gli pesavano sul capo.
"No, non ti amava più. Ma ti voleva bene" disse, e chiese a John di perdonarlo.
Non sempre la verità è la cosa giusta, specie se fa così male.
E non ci sono proverbi e frasi fatte che tengano, davvero.
I singhiozzi di Paul raddoppiarono, e così le carezze di Andy, il gusto amaro del tradimento giù per la gola.
Ma non importavano le macchie sulla sua coscienza, in quel momento.
Paul si sarebbe ucciso a furia di pianti e lacrime, ma poi si sarebbe rialzato e la sua vita sarebbe andata avanti.
Non si sarebbe svegliato ogni notte, ripetendosi "Se avessi fatto in tempo", lasciandosi consumare da quella consapevolezza come la cera di una candela.
John era morto, e il loro amore era morto con lui.
Era andata così, ma non era necessario che Paul lo sapesse.
John lo avrebbe perdonato, per aver salvato il cuore dell'uomo che aveva amato.


 

*

1985


 

La tela è perfettamente bianca, di un candore allo stesso tempo virgineo e peccaminoso.
Il proiettore si aziona con un crepitio, rimandandovi l'immagine tremula del viso di un uomo.14
Andy allunga appena la mano, l'ombra delle sue dita che oscura per un attimo la proiezione, e carezza delicatamente quella che dovrebbe essere la guancia di John.
La tela è ruvida e fredda al tatto, niente a che vedere con la pelle calda e liscia dell'amico.
Si rigira il pennello fra le mani, Andy, e per un attimo vorrebbe tirarsi indietro.
Ma non lo fa, perché ci sono troppi non detti che ancora lo tengono sveglio la notte.

"È la prima volta che vengo insultato dopo essere stato a letto con qualcuno" John sorrise, passandogli affettuosamente un braccio intorno alle spalle e accendendogli la sigaretta.

Ed ora, a distanza di dodici anni, Andy risponde "Non riesco a pensare ad una persona a cui abbia tenuto tanto quanto ho tenuto a te, in realtà".

"È il lato peggiore dell'amore, il dover condividere un letto. Persino Archie mi ingombra, in camera" commentò Andy, mentre John alzava gli occhi al cielo, ridendo.
Tutto sembrava pesare di meno, così.
"A volte sei così superficiale, Andy" lo rimproverò gentilmente.

Sorride, "La verità, è che ho sempre avuto paura di andare oltre la superficie.".

"Dimmi qualcosa che non so" lo prese in giro Andy, con un sorriso dolce e comprensivo stampato sulle labbra.
"Tu sai sempre tutto, no?" borbottò John.

"Non ho mai saputo niente" ammette, "E non sono mai stato abbastanza coraggioso da provare ad imparare. Non avevo la tua forza, John, avevo solo te.

"Me lo dirai, prima o poi?" riprese John, piano e con dolcezza, il tono di un fottuto cowboy che si aggira intorno a un cavallo imbizzarrito.

Sospira, "Sono stato innamorato una sola volta, di Mario. Vorrei avertelo detto".

"Grazie".

Un'unica lacrima, "Grazie a te, John".

Un attimo prima che il pennello sfiori la tela, succede.
Andy può sentire chiaramente la diga collassare su se stessa,

e la sua anima riempirsi di luce.




Note.

1 Andy pronunciò realmente una frase simile.
Il 3 Giugno 1968 Valerie Solanas, artista frequentatrice della Factory -ovvero, una sorta di luogo d'incontro per giovani artisti creato da Warhol- sparò ad Andy e al compagno di allora, Mario Amaya. Andy rimase gravemente ferito, si temette il peggio. Nonostante ciò, rifiutò in seguito di testimoniare contro la donna. Da quel momento in poi, le sue apparizioni pubbliche calarono drasticamente.
3 Andy non riuscì a superare il trauma della sparatoria, un suo caro amico riferisce "Non si poteva sfiorarlo senza che saltasse fino al soffitto". 
4 Archie divenne presto l'alter ego di Andy, che lo portava ovunque. Durante le interviste, se una domanda lo metteva particolarmente in difficoltà diceva "A questo risponderà Archie". Lo portava con sé persino al Ballato's, un ristorante di lusso centro della vita artistica del tempo, e lo nascondeva sotto un tovagliolo.
5 Anche questa è una frase realmente pronunciata da Andy.
6Andy parla di Jed Johnson, il compagno che gli regalò Archie proprio nel '73. Fino a quel momento, Warhol era stato convinto gattaro.
Ristorante citato nella nota n.4
8 In realtà, la sequenza di ritratti con protagonista Archie Andy la inizierà solo nel '75, mi sono presa una piccola licenza.
9 John disse davvero queste cose a Yoko.
10 Amos fu il secondo bassotto di Andy, che si affiancò ad Archie nel '75 (si capisce quale dei due è il mio preferito?)
11 Andy proseguì la serie di foto iniziata da John fino alla propria morte.
12 Durante la guerra d'indipendenza americana, i carichi di the che sarebbero dovuti arrivare agli inglesi furono gettati in mare dagli americani. L'evento è ironicamente conosciuto come "Boston tea party".
13 Paul parla di Magritte, di cui era un grande ammiratore. Comprò anche l'ultimo quadro dell'artista, che gli ispirò anche il logo della Apple.
14 Andy utilizzava il metodo della serigrafia per dipingere. A farla breve: proiettava l'immagine sulla tela e procedeva a "copiarla". Nell'85 dipinse il celebre ritratto di John

Rieccomi, dopo una lunga e imperdonabile assenza!
Inizio col dire che, molto probabilmente, questa os non avrebbe mai visto la luce senza l'aiuto di Martina, che subisce le mie crisi da "NON RIESCO A SCRIVERE" fin dal 4 luglio, giorno in cui ho iniziato a scriverla.
Non posso negare che sia stata una sfida difficile, e finirla stasera mi ha davvero svuotata cc.
Io AMO Andy, nel caso non si fosse notato, sia come persona che come artista, e poi ammettiamolo......lui e John sono una coppia di amici meravigliosa.
No, dicevo, lo amo davvero un mondo e ci tenevo a scrivere di lui, e a scrivere bene, soprattutto.
Spero di esservi riuscita in parte, questa storia e io abbiamo una specie di rapporto di odi et amo.
Devo anche giustificarmi per la sparizione totale di Smoke, scusatemi davvero, ma sto attraversando un periodo di blocco, e oggi ho cancellato tutto il capitolo per provare a riscriverlo da capo.
Spero serva.

 

  
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