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Autore: Kiki87    17/09/2015    3 recensioni
Essere Jedi richiedeva molte qualità tra cui il coraggio e la capacità di controllare le proprie emozioni, perché quelle più violente (come la rabbia, talvolta persino il dolore e la paura) potevano condurre al Lato Oscuro della forza. Sam lo sapeva bene, ma non poté evitare di sentire una fitta al cuore, quando vide la madre allontanarsi.
Dopo essersi trasferito a Lima, Sam è molto ansioso al suo primo giorno d'asilo, ma sarà lì che farà un incontro speciale, destinato a cambiarne la vita.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Ryder Lynn, Ryder Lynn, Sam Evans
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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May the force (and the love) be with you
A Chiara,
the Ryder to my Sam,
ma potrei usare moltissimi altri abbinamenti,
dai più interessanti a quelli fiabeschi,
ma sempre parte di noi.
Buon compleanno,
con tutto il mio affetto.

 
“Ormai sei un ometto”, sussurrò la donna, in ginocchio davanti al bambino biondo dall’espressione intimorita.
Non era la prima volta che Mary Evans sembrava ripetere quelle parole, ma c’era una dolcezza e una tenerezza a cui il figlio non avrebbe mai saputo rinunciare. Soprattutto in quel momento.
Persino sentire lo schiamazzo allegro degli altri bambini sembrò incutergli soggezione. Strinse più forte la spada laser giocattolo che teneva in mano, di un bel colore verde proprio come quella con cui Luke Skywalker aveva sconfitto Darth Vader1. Certo, si sarebbe sentito molto più sicuro se avesse potuto indossare il casco del Lord Sith2, soprattutto considerando quanto fosse diventato bravo ad imitarne il respiro pesante e meccanico.
La madre gli scostò i capelli dalla fronte per appoggiarvi un bacio e lui si strinse al suo collo, affondando il visino contro la sua spalla: “No, mammina, non voglio”, pigolò e la donna ne carezzò la schiena, cullandolo per un lungo istante.
Infine lo scostò dolcemente da sé e lo osservò, senza che il sorriso mai ne abbandonasse le labbra carnose: “Sammie, lo so che sei spaventato”, sussurrò dolcemente. “Ed è del tutto normale: credi che Luke Skywalker non fosse spaventato, quando ha visto per la prima volta Dat qualcosa?”.
Mary rimpianse di non aver affinato la sua personale conoscenza della saga: era certa che così il paragone sarebbe stato ancora più efficace.
“Darth Vader,mamma”, la rimbeccò, quasi offeso da quell’errore, ma suo malgrado dovette annuire, dopo averci riflettuto qualche istante. Dopotutto, se il giovane Luke era riuscito a sconfiggere il Cavaliere Oscuro più forte di tutti i tempi, lui avrebbe anche potuto restare in quel luogo per qualche ora. Forse.
“Ma ha creduto in sé e alla fine è riuscito a superare la sua paura, vero?”.
Sam sbatté le palpebre. Certo, però Luke aveva la forza a scorrere potente in lui, pensò dopo una seconda riflessione. “Sì, ma-“.
“Facciamo un patto: tu provi a restare qui per qualche ora, se poi non ti piacerà, proveremo un altro asilo, d’accordo?”.
Corrugò le sopracciglia e sembrò doverci rimuginare sopra: sembrava un accordo ragionevole dopotutto.
“Promesso?”, la incalzò, sporgendo anche il labbro inferiore, consapevole che non avrebbe saputo resistere al suo proverbiale broncio.
La madre sorrise in risposta, porgendogli il mignolo che il bambino strinse: “Parola di Jedi”, lo incoraggiò con un sorriso solare.
“Parola di Jedi”, ripeté il bambino, le sopracciglia aggrottate per la determinazione.
Essere Jedi richiedeva molte qualità tra cui il coraggio e la capacità di controllare le proprie emozioni, perché quelle più violente (come la rabbia, talvolta persino il dolore e la paura) potevano condurre al Lato Oscuro della forza. Sam lo sapeva bene, ma non poté evitare di sentire una fitta al cuore, quando vide la madre allontanarsi.
Aveva tratto un profondo sospiro e si era guardato attorno: già il fatto che nessun bambino avesse riconosciuto la spada laser, tanto per cominciare, non sembrava un buon auspicio.
“Che cos’è? Una torcia?”, gli chiese un bambino più alto di lui e con i capelli acconciati in un’orrida cresta che strappò a Sam uno sguardo sconvolto. Doveva essere uno di quei “panc” che suo padre guardava quasi con terrore, prima di borbottare un: « Ma guarda questi giovani d’oggi! ».
“E’ una spada laser!”, rispose con voce indignata, cercando di assumere la stessa posa di un guerriero Jedi ed imitare il suono con cui fendeva l’aria. Certo, avrebbe anche potuto dirglielo il proprietario del negozio che la sua era difettosa.
L’altro bambino rise in risposta: “A me sembra una torcia”, ribatté, strappando a Sam uno sguardo scandalizzato. Approfittò di quel suo arrancare alla ricerca di una risposta e gliela strappò dalle mani.
Sam sgranò gli occhi, ma si volse a cercare la maestra, impegnata a convincere una bambina che non era una buona idea mangiare un intero pacchetto di caramelle prima dell’ora di pranzo.
“Ridammela!”, si ribellò coraggiosamente.
“Altrimenti che fai, piangi come una femmina?”, lo prese in giro l’altro che schermò l’aria con la spada giocattolo, con un agile movimento di polso, come un vero spadaccino.
Sam stinse i pugni lungo i fianchi e ricacciò le lacrime, il viso divenne rubicondo per la rabbia, ma sapeva che non era una buona cosa reagire con la forza. “La rivoglio prima di pranzo!”, gli berciò contro.
“Tanto è solo una torcia”, ribatté l’altro con aria di superiorità ma, a dispetto delle sue parole, corse verso l’altro lato della stanza, fingendo di combattere contro gli altri bambini.
“Noah è il bambino più grande della classe e si diverte a prendere in giro noi, perché siamo più piccoli”, gli giunse una vocina alle spalle.
Sam si volse e scorse un bambino che sembrava aver osservato tutta la scena fin dall’inizio: era più basso e più piccolo di lui, aveva una zazzera di capelli castani che sembravano essere costantemente scarmigliati, gli occhi del colore della cioccolata.
“Io avevo capito che era una spada”, aggiunse, come a volerlo consolare dell’accaduto. Gli rivolse un sorriso semplice, ma così spontaneo e gentile che Sam non poté che ricambiarlo.
Aveva avuto così paura del trasferimento e del frequentare un nuovo asilo che la notte aveva persino bagnato il lettino, ma per quanto si fidasse della mamma e del papà, nulla sembrava farlo sentire benvenuto quanto un sorriso sincero e uno sguardo limpido, come quello del bambino che aveva di fronte.
“Anche se non so cosa sia una spada laser”, ammise con voce più contrita, quasi timoroso che quella rivelazione potesse nuovamente fargli diventare il viso scarlatto e assumere un’espressione arrabbiata.
Sam sorrise. Non avrebbe saputo dirsi il perché, ma aveva la sensazione che quel bambino potesse diventare ciò che Chewbecca era per Han Solo3. Senza strani versi da Wookie, ovviamente. E senza tutto quel pelo e il ringhiare incomprensibile per tutti tranne che per il suo copilota.
Ma il fatto era che ciò lo rasserenò e, per la prima volta, pensò che sua madre avesse ragione: sarebbe andato tutto bene.

~
Dopo il primo mese, Sam aveva raccontato per sommi capi tutti i film della saga di Star Wars e Ryder si era dimostrato un perfetto ascoltatore. Sembrava che nulla lo rendesse più felice che stare ore ed ore ad ascoltarlo, senza mai sbadigliare o fare cenno di voler dedicarsi a qualche gioco di gruppo, con gli altri bambini. Rideva o emetteva un singulto di sorpresa nei momenti perfetti, quando Sam imitava questo o quel personaggio (umano e non) per dare ancora più veridicità alle scene più salienti.
Era stato un grande sollievo scoprire che, a differenza di Noah Puckerman, nessuno dei due avrebbe lasciato l’asilo per le scuole elementari.
Dopo l’estate trascorsa in Texas e aver scoperto che gli amici di un tempo non erano più così simpatici, Sam era tornato all’asilo con un sorriso smagliante, in trepidante attesa dell’arrivo del suo amico.
Gioia che sembrò tuttavia stroncata, quando Ryder arrivò, ma in compagnia di un altro bambino e non sembrò ricambiarne l’entusiastico saluto.
Aveva passato tutta la mattinata a guardare imbronciato in direzione sua e di Jake (non c’erano dubbi che fosse davvero fratello di Noah!), mentre si scambiavano tiri con la palla da football. Senza contare che lo stavano facendo nel modo sbagliato!
Approfittò del momento in cui Jake si allontanò, per avvicinarsi al castano.
“Perché sei arrabbiato con me?”, a dispetto della sua volontà di apparire offeso ed arrabbiato (magari anche più alto dell’anno prima), la sua voce uscì più strozzata di quanto fosse sua intenzione.
Ryder era trasalito, ma quando si volse a guardarlo, Sam scorse soltanto una gran tristezza nel suo sguardo. Lo distolse rapidamente: “Non sono arrabbiato”, dovette ammettere, ma anche la sua voce sembrava celare a malapena la tristezza.
“Oh”, boccheggiò come un pesciolino sul posto, prima di stringere i pugni, le guance arrossate. “Va bene! Se preferisci stare con Jake, allora va bene! Buona giornata!”, imitò il tono seccato di suo padre, quando interrompeva una telefonata poco piacevole, ma pestò anche i piedi e si allontanò. Cercò di cacciare via le lacrime e si diresse verso il proprio armadietto, in cui aveva nascosto la spada laser che aveva supplicato la mamma di comprare per quello che aveva definito il suo migliore amico.
“La mia mamma ha detto che l’anno prossimo andrai a scuola”, gli giunse la voce flebile di Ryder alle sue spalle.
Sam sospirò e si strinse nelle spalle, ma per quanto fosse offeso, non poteva ignorare quel dolore al petto, all’idea che non avrebbe potuto evitarlo, per quanto avesse scongiurato i propri genitori. Si era voltato verso il suo amico, annuendo. “Così almeno avrai più tempo per giocare con Jake!”, ribatté, ma si sentì subito più cattivo di un clone senz’anima, per aver pronunciato quelle parole.
Ryder trasalì, ma si morse il labbro, gli occhioni velati: “Scusa”, pigolò con voce strozzata. “Ma non voglio che tu vada a scuola senza di me”.
Malgrado l’amarezza, un sorriso affiorò alle labbra di Sam: per quanto non gli piacesse vederlo così turbato, sapere che gli sarebbe mancato in ugual misura gli procurò un dolce calore.
Non disse nulla, si avvicinò e si limitò ad abbracciarlo, come aveva desiderato fare, da quando lo aveva visto entrare nuovamente.
“Ma pensi che Jake sia più simpatico di me?”, chiese con il suo tipico broncio e la voce sembrò supplicare una risposta negativa, perché il pensiero gli era insopportabile.
“No, tu sei il mio migliore amico e lo sarai sempre”, asserì con tono fermo e sicuro. Fu lui, poi, ad assumere un’espressione preoccupata: “Ma ti dimenticherai di me, quando andrai a scuola?”.
“No, come C-3PO4 non ha mai dimenticato che Anakin era il suo Creatore, anche se era solo un bambino e lo ha rivisto dopo tanto tempo”, fu la solenne promessa. E il riferimento a Star Wars sembrò siglarne la solennità.
 
Quasi di comune d’accordo per tutto l’anno non ne avevano più parlato, ma quando Sam era entrato per la prima volta in quell’aula, non avrebbe mai immaginato di sentirsi così male all’idea di non potervi fare ritorno. Se una parte di lui aveva sempre desiderato crescere, diventare alto, un giocatore di football professionista (abbandonato il progetto di diventare Cavaliere Jedi), non aveva mai pensato che questo sarebbe significato lasciare Ryder dietro di sé.
“Non mi dimenticherai, promesso?”, lo aveva trattenuto, Ryder, per un lembo della giacca, prima che la mamma di Sam potesse portarlo via con sé.
“Mai e poi mai”, commentò Sam in risposta.
Restò ad osservarlo a lungo, prima di sporgersi ad abbracciarlo con tutta la forza che aveva, desiderando fermare il tempo in quell’istante e lasciare che le proprie paure scomparissero e così il pensiero che non avrebbero avuto altre mattinate per giocare insieme, fare tiri con la palla da football o immaginare il loro futuro al liceo e poi al college.
“Che la forza sia con te, Ryder”, sussurrò contro il suo orecchio.
Lo sentì ridere, prima che si alzasse sulle punte per baciargli la guancia: “Che la forza sia con te, Sam Skywalker”, commentò in risposta.
Ma Sam non riuscì a ricambiare il sorriso: aveva percepito un brivido lungo la schiena che non avrebbe saputo spiegarsi per molto tempo.
Un dolce dolore all’idea che tutto fosse finito.

~
Il ragazzo si guardò attorno con aria circospetta: il liceo sembrava essere l’anticamera di ciò che sarebbe avvenuto in età adulta. Erano molte le preoccupazioni che lo attanagliavano: dal riuscire a ricevere le attenzioni della ragazza più carina di questo o di quel corso, fino al modo in cui, anche in quel nuovo contesto, avrebbe potuto nascondere la sua dislessia.
Di una cosa era stato certo, tuttavia, e non aveva esitato a porre il suo nome nella lista degli studenti che avrebbero affrontato le selezioni per entrare nella squadra di football del McKinley. Accompagnato dalla Coach Beiste che stava illustrandogli brevemente quali fossero le squadre più forti da affrontare nel campionato e quali aspettative avesse nei propri giocatori, si era diretto verso gli spogliatoi con il borsone in spalla, ansioso di poter testare le proprie capacità in una vera squadra.
Gli altri giocatori erano già vestiti, ma seduti sulle panchine, lo sguardo diretto verso la lavagnetta magnetica su cui il Capitano stava tracciando linee di diversi colori tra gli omini che rappresentavano la squadra di casa e gli avversari. Sembrava più che concentrato nella sua spiegazione, tanto che il volto appariva arrossato, la voce ferma e sicura e impugnava il pennarello come fosse stata un’arma mortale. Non sembrava accorgersi del fatto che la squadra sembrava più interessata al palloncino che uno dei difensori stava producendo con la gomma da masticare, per poi farlo scoppiare e ricominciare da capo.
“Cominceremo con un basso profilo”, continuò il capitano, disegnando delle frecce che rendevano lo schema ancora più difficile da interpretare, vista l’accozzaglia di curve, linee e spastici giocatori raffigurati. “Come quando Luke Skywalker si è intrufolato nel covo segreto di Jabba The Hutt5 per salvare Han Solo”, continuò come se l’esempio fosse il modo migliore (se non l’unico) per comprendere la strategia.
“Dopodiché andremo allo sbaraglio e quando si renderanno conto della nostra vera strategia, sarà troppo tardi”, soggiunse con tono entusiastico, lo sguardo soddisfatto di sé e quasi tracotante nel gonfiare il petto, lo sguardo all’orizzonte. “Come quando Darth Vader si rende conto di aver sottovalutato Luke e che ormai la Morte Nera 6sarebbe stata distrutta”.
All’ennesimo scoppio del palloncino di gomma da masticare, il Capitano sembrò avvedersi di quale fosse il reale stato d’animo dei propri compagni di squadra, mentre la Coach sospirava e si portava una mano tra i capelli, come stesse invocando una benedizione.
Guardò dall’uno all’altro, evidentemente sconcertato perché nessuno aveva espresso un verso di approvazione, ricambiato il ghigno o si era espresso in una lode per lo schema cui aveva lavorato ininterrottamente per tutte le lezioni di quella mattina, ansioso di delinearlo in ogni passaggio prima dell’allenamento.
Strinse i pugni, il viso rubicondo e lo sguardo accigliato: “Non mi starete dicendo che nessuno di voi ha mai visto Star Wars?!”, domandò in tono oltraggiato. Probabilmente il fatto non rappresentava una mera aggravante, ma persino la colpa maggiore di tanta ed evidente indifferenza a quel meeting.
“Soltanto una categoria di persone è giustificata per non averlo mai visto e sapete chi sono? GLI ATTORI di Star Wars, perché loro lo hanno vissuto!7 E inoltre –“.
Se la voce era divenuta un crescendo di indignazione e di stress, fu alla vista della Coach e del nuovo arrivato che la sua invettiva si interruppe bruscamente e tutti i giocatori si volsero nella stessa direzione.
Parve perdere l’uso della parola e boccheggiò per qualche istante.
“Che fate lì impalati, scansafatiche?”, abbaiò la Beiste alla squadra, indicando la porta con un gesto brusco. “Andate subito in campo a farvi cinquanta giri e farete bene ad esservi già riscaldati, quando uscirò fuori!”.
Con evidente sollievo all’idea di passare finalmente all’allenamento vero e proprio, si alzarono e uscirono rapidamente dagli spogliatoi.
“Sam Evans, il Capitano”, la Beiste lo indicò al nuovo arrivato.
Ma Sam non ebbe bisogno che ella gli presentasse il ragazzo al proprio fianco: fu con un sorriso repentino e lo sguardo verde acceso di mero entusiasmo che gli diede una pacca sulla spalla, con aria confidenziale. Si stava trattenendo a stento dall’ardire una maggiore confidenza.
“Benvenuto al McKinley”, lo accolse con voce calorosa.
L’altro ricambiò il sorriso, con altrettanta euforia, sembrava trattenersi a stento dal saltare di gioia: “Il tuo schema sembra fantastico, Capitano, quasi quanto le metafore”.
Era sembrato a sua volta shockato dalla mancanza di una minima partecipazione, da parte degli altri giocatori.
“ E Il Ritorno dello Jedi è il mio preferito della saga”, soggiunse mentre la Beiste sollevava gli occhi al cielo.
Sam parve persino più ringalluzzito e aveva allargato le braccia per accoglierlo in un saluto più personale, ma l’altro gli porse la mano con un sorriso amichevole.
“Ryder Lynn, piacere di conoscerti”.
Il Capitano sbatté le palpebre, quasi aspettandosi che il suo vecchio compagno di infanzia gli rivelasse che stesse solo fingendo di non riconoscerlo, per uno scherzo sbarazzino. Ma sostò ad osservarlo per diversi istanti, cercando di scavare nello sguardo castano, senza tuttavia scorgere alcun lampo di riconoscimento.
“Lynn si è iscritto alle selezioni”, lo informò la Beiste. “Ha insistito per potersi scaldare in campo”.
Sbatté le palpebre, notando la mano ancora porta e si affrettò a ricambiarne la stretta, simulando il sorriso cortese che ci si sarebbe aspettati in presenza di uno sconosciuto.
“Piacere di conoscerti, Ryder e, di nuovo, benvenuto”.
Il brivido che aveva provato, all’incrociarne di nuovo lo sguardo, lasciò spazio ad una dolorosa contrazione all’altezza del petto.

~
Non c’era voluto molto perché Sam ritrovasse la scatola coi giocattoli d’infanzia (un peccato che il casco di Darth Vader fosse ormai inutilizzabile) ed una fotografia, ormai ingiallita che lo ritraeva con il suo compagno di giochi preferito, per quanto il ricordo fosse perenne e intramontabile nella sua mente. Aveva sorriso, ponendola in una cornice sulla propria scrivania.
Ancora meno tempo c’era voluto perché Sam superasse quel disagio iniziale che non avrebbe saputo definire in altro modo, ma c’era sempre qualcosa di strano nel rivolgersi a Ryder come se, effettivamente, ne avesse fatto la conoscenza soltanto quell’anno. E una parte di sé aveva persino meditato di ricordargli la loro comune infanzia, se non avesse temuto che l’altro potesse ritenerlo uno squilibrato stalker.
Se anche non potevano fregiarsi del passato che li accomunava, Sam aveva scoperto che, seppur cresciuti, avessero ancora molto ad accomunarli, persino il segreto di Ryder che aveva dato loro occasione di incontrarsi al di fuori del campo di football. Gli occhi castani erano limpidi come quelli del bambino della fotografia e aveva compreso quanto quel problema gli fosse fonte di vergogna, ma persino di sofferenza e dell’incapacità di stabilire una relazione serena con la famiglia.
Non poteva chiedergli di essere nuovamente lo stesso Ryder che lo aveva scongiurato di non dimenticarsi di lui, ma adesso era impensabile l’idea di rinunciare al loro nuovo sodalizio, fatto anche delle lezioni di Mr Schue al Glee Club (erano probabilmente gli unici due a pendere ancora dalle sue labbra), le lezioni private con l’insegnante specializzata nel loro disturbo dell’apprendimento, l’applaudire due ragazze in un particolare duetto con tanto di vestiti azzurri e svolazzanti e il condividere le inevitabili pene d’amore conseguenti.
Non vi era alcun pentimento e questa volta, si era detto, non avrebbe permesso che fosse la differenza d’età, e quindi di tappa nel percorso formativo, a separarli.
L’entusiasmo e la gioia erano palpabili: dopo un inizio Campionato tutt’altro che favorevole, quando sembravano persino esser stati eliminati al primo turno (era stata una soddisfazione indicibile trasferire su YouTube il video di Hunter Clarington al Lima Bean, dopo l’espulsione dei Warblers di cui, modestie a parte, aveva avuto un ruolo da protagonista), le Nuove Direzioni non soltanto erano tornate in carreggiata, ma avevano persino dominato le Regionali.
Nessuno in quella stanza, in quel momento, poteva dubitare che quel trionfo fosse soltanto il trampolino di lancio verso le Nazionali e la conquista del secondo titolo consecutivo.
Aveva abbracciato tutti i propri compagni, aveva sollevato il calice al lacrimoso brindisi proposto da Mr Schue, aveva coronato i festeggiamenti con un’impagabile imitazione, ma si era sentito distante anni luce da ognuno di loro.
Sostava ad un tavolo del Breadstix, il drink lasciato a metà e lo sguardo verde fisso su un punto indefinito, tanto da sussultare nel percepire un’improvvisa ma gentile pressione sulla spalla. Si era voltato per scorgere Ryder, il sorriso ancora entusiastico sul volto, prendere posto al proprio fianco.
Non cercò neppure di improvvisare, era certo che avrebbe comunque compreso il suo reale stato d’animo.
Non tardò, infatti, a giungere la domanda che si era aspettato: “Stai bene?”.
Puntò lo sguardo nella stessa direzione di Sam, scorgendo Brittany Pierce e Santana Lopez che brindavano alla vittoria delle New Directions.
C’era sempre qualcosa di pungente nell’osservarle insieme, soprattutto al pensiero che entrambe fossero state parte di sé.
“Mi dispiace che Brittany debba andarsene”, commentò in tono più delicato, anch’egli guardando le due ragazze, quasi non volendo invaderne la riservatezza o fargli percepire un’eccessiva pressione, se non si fosse sentito in grado di parlarne.
Sam scosse il capo, ma vi era un reale sorriso ad incresparne le labbra: “In realtà sono davvero felice per lei”, lo informò e lo sguardo verde non tradì alcuna esitazione o formalismo in quelle parole.
“E onestamente credo sia meglio così: sarebbe stato molto peggio se le cose fossero andate avanti e fossero diventate serie, almeno per me”, ammise con pacata obiettività.
No, sembrava esservi qualcos’altro, più in profondità a farne macerare i pensieri, qualcosa che andava oltre l’ennesimo epilogo di una delle proprie relazioni liceali. Qualcosa che lo amareggiava e lo faceva sentire male con se stesso.
“Ma c’è qualcosa che ti turba”, lo incalzò gentilmente Ryder, seppur ancora evitandone lo sguardo, quasi a fargli comprendere che si sarebbe limitato a restare al suo fianco, come sempre, a prescindere da tutto e da tutti a farlo sentire meno solo in quel momento poco sereno.
L’altro sospirò pesantemente, passandosi una mano tra i capelli, la mascella più rigida nel volgersi in sua direzione.
“La prima volta che mi sono davvero innamorato è stato di Quinn Fabray”, gli raccontò e Ryder non tradì la sorpresa (Tina era una sorta di Gossip Girl umana), ma ne osservò attentamente le espressioni, consapevole che stessero giungendo al cuore della questione. “Credevo che il nostro incontro fosse stato magico e speciale, come quello dei miei e che ci saremmo amati per il resto della nostra vita”.
Ryder sospirò, ma non commentò: dal solco sulle sopracciglia, pareva comprendere perfettamente e per un solo istante lo sguardo deviò verso la brunetta il cui duetto con Blaine aveva riscosso così tanti plausi e riconoscimenti.
“Le ho persino comprato un anello di fidanzamento”, ammise Sam che al pensiero sorrise con un misto di amarezza e di ironico divertimento nei propri riguardi, per quanto avesse serbato un ricordo affettuoso di tutte le ragazze che lo avevano accompagnato dal suo arrivo al McKinley.
Ryder gli sorrise con un misto di comprensione e di dolcezza: “E’ stata il tuo primo amore, non è qualcosa che si dimentica facilmente”, commentò, ma parve doverlo ricordare anche a se stesso. “Non hai nulla di cui vergognarti, Sam”.
L’altro non parve ascoltarlo, aveva di nuovo lo sguardo fisso in un punto indefinito: “Il suo tradimento mi ha fatto male più di quanto pensassi”, ammise con l’aria sofferta ma consapevole di chi stesse facendosi una sincera esamina.
“Volevo a tutti i costi riempire quel vuoto che sentivo, soprattutto da quando mi sono separato dai miei per finire il liceo, ma al tempo stesso avevo il terrore di innamorarmi di nuovo in quel modo”, continuò e la voce ne lasciò trasparire l’amarezza, mentre scuoteva il capo in un silenzioso biasimo a se stesso.
“Fino a quando non è arrivata Mercedes”, continuò con lo stesso tono amaro. “Mi ero detto che questa volta avrei lottato per lei, disinteressandomi della presenza di un altro ragazzo e mi vergogno all’idea che lei abbia fatto a Shane quello che Quinn fece a me, per darci una seconda occasione”, scosse il capo, quasi l’idea gli procurasse un moto di vergogna e di disgusto indicibili.
Ryder ne cinse la spalla in un gesto di silenziosa vicinanza, consapevole che avesse bisogno di tirare fuori tutto, più che ascoltarne parole retoriche o cercare di consolarlo o sminuire la gravità con cui stava giudicandosi.
“Ogni volta che esco con qualcuna, cerco di non pensare che potrebbe essere quella giusta, ma vivere il momento. Ma comincio a pensare di non aver mai davvero capito cosa sia l’amore”, ammise con uno scuotimento del capo. “Continuò a cercare quel… quel brivido”. Così lo definì, in mancanza di una definizione più esaustiva, tornando ad osservare l’amico, gli occhi verdi più lucidi.
“Forse è soltanto colpa mia perché non posso davvero amare qualcuna e finiscono sempre per l’abbandonarmi”, riuscì a pronunciare, la voce più rauca, guardando intensamente il giovane, quasi disperando che in quello sguardo potesse scorgere una conferma. Una rassicurazione. Una risposta.
Se all’inizio del discorso Ryder lo aveva ascoltato attentamente, non lasciando che la propria presenza potesse impedirgli di dare voce ai propri pensieri, in quel momento scosse il capo, le sopracciglia inarcate e le labbra contratte in una smorfia.
“No”, asserì con voce così ferma e certa che Sam lo guardò in attesa angosciante, disperando di poter condividerne la risolutezza e aggrapparsi ad essa. “Lo so che ti conosco da poco, Sam, ma tu metti tutto te stesso in tutto quello che fai, che si tratti di uno schema, di battere il record di Finn ad un videogioco, di imitare un personaggio di fantasia, o di cercare quello che tutti vogliamo”, concluse più dolcemente, sorridendogli.
“Non c’è nulla di sbagliato in te, Sam”, continuò, a dare risposta alla domanda che l’altro sembrava faticare a formulare. “Se c’è una sola cosa di cui sono certo è che meriti tutto l’amore di questo mondo”.
“Lo pensi davvero?”, si sentì chiedere e per un lungo istante si sentì nuovamente quel bambino che chiedeva alla madre se ci fosse davvero la possibilità che un giorno avrebbe ritrovato il suo compagno di giochi e quel dolore fosse scomparso.
“Lo so”, fu la semplice risposta di Ryder.
Con un gesto del tutto spontaneo lo aveva tratto in piedi per cingerlo brevemente, lasciando che appoggiasse il capo contro la propria spalla.
Avrebbe voluto sorridere, Sam, ma dovette cercare di ignorare quella morsa allo stomaco.
Fu la realizzazione di aver nuovamente percepito, a distanza di molto tempo, quel brivido lungo la spina dorsale.

~
L’aeroporto aveva sempre quel qualcosa di deleterio: da bambino aveva il folle terrore di perdere di vista i propri genitori. In quel caso era la nuca ingellata di Blaine che stava seguendo, come il giovane Anakin, separatosi dalla madre, arrancava dietro Qui-Gon Jinn8 e Obi-Wan Kenobi con l’ambizioso sogno di lasciare il suo misero pianeta per l’addestramento da Cavaliere Jedi.
Quasi si scontrò contro l’altro, quando si fermò per rivolgergli un sorriso radioso, indicandogli la signorina in uniforme che stava controllando i documenti dei passeggeri: “Ci siamo, Sam”, commentò in tono entusiastico. “Non hai dimenticato il passaporto, vero?”, lo incalzò con fare quasi paterno, ma Sam scosse il capo, l’espressione molto meno rilassata.
L’ultima volta che era salito su un aereo era stato da bambino e già allora la perturbazione che li aveva colti durante il volo, gli aveva lasciato un ricordo tutt’altro che piacevole.
L’altro gli sorrise, stringendogli la spalla: “Ti sei portato i fumetti per il volo?”, gli chiese con lo stesso tono con cui una madre avrebbe raccomandato alla figlia di premunirsi di avere sempre con sé degli assorbenti.
Annuì nuovamente.
Blaine inarcò le sopracciglia, ma lo sguardo andò oltre la spalla di Sam e gli sorrise, indicandogli qualcuno con un cenno del mento.
Sam si era voltato e un sorriso repentino e sincero gli era affiorato alle labbra nello scorgere la sagoma di Ryder.
“Ricordati che chiuderanno il gate tra cinque minuti”, lo informò Blaine che salutò con il braccio Ryder, prima di mettersi in fila. “A tra poco”.
Notando la lunghezza della fila, Sam si affrettò a raggiungere l’amico, un sorriso entusiastico e repentino: “Grazie di essere venuto”, sussurrò. Dopo un solo attimo di esitazione, si sporse a cingerlo, cercando di ricordarsi che non si trattava di un addio definitivo, ma che ci sarebbero state molte altre occasioni e che coi social network e il cellulare, in fondo, sarebbe stato come continuare a vivere insieme la quotidianità.
O pressappoco.
“E perdermi il momento in cui Sam Evans si mette in volo verso New York?”, gli chiese con lo stesso tono allegro, seppur il sorriso non si estese agli occhi.
“Buona fortuna, Sam, che si tratti di canzoni country, imitazioni in un cabaret o la carriera da modello, sono sicuro che andrà tutto bene”, commentò in tono incoraggiante.
E Sam sorrise. Finalmente la tensione che sentiva all’altezza del petto si allentò, seppur sostasse quella contrazione al petto. Ma era un dolce dolore, sopportabile al pensiero che quella fosse una separazione in piena regola, ma non definitiva.
“Resteremo in contatto”, parve voler rassicurare anche se stesso, il tono infervorato perché, se l’era promesso ancora una volta che non si sarebbero persi di vista, come quando erano soltanto due bambini.
“Lo so”, e ancora una volta era la sicurezza disarmante di Ryder a tranquillizzarlo, malgrado fosse il più giovane tra i due.
Sam sospirò, continuando ad osservarlo: un indicibile momento di stasi che apriva infinite possibilità, quella di fermare il tempo, in quel momento. E ridefinire tutto.
L’annuncio dell’altoparlante che incalzava i passeggeri per il volo diretto a New York gli mozzò il respiro.
“Devi andare”, lo esortò Ryder, improvvisando di nuovo il suo sorriso, malgrado la piega più rigida delle labbra.
Sam scosse il capo, ancora una volta arrabbiato con se stesso. Lo cinse di impulso, ma si scostò repentinamente, senza più guardarlo per affrettarsi a raggiungere il resto della fila. Prima che quel brivido diventasse impossibile da ignorare.
Estrasse dalla borsa a tracolla i propri documenti che porse alla sorridente donna in divisa.
Trasse un profondo respiro.
“Che la forza sia con te!”, gli giunse la voce di Ryder alle sue spalle e Sam si bloccò.
Il suo respiro accelerò, sentì i battiti rimbombargli nei timpani.
Non avrebbe saputo spiegarsene il motivo, ma era certo che quella formula di rito celasse tutte le risposte trattenute silenziosamente da che si erano nuovamente incontrati.
Non poteva essere una coincidenza.

Ignorando gli altri passeggeri in fila che guardavano dall’uno all’altro, Ryder si era avvicinato e Sam lo aveva guardato a lungo, ricercando nel suo sguardo castano quella conferma che avrebbe potuto ridefinire tutto.
Ryder annuì, rispondendo alla silenziosa domanda.
Erano ancora loro. Non si era probabilmente mai lasciati.
Fu quella consapevolezza a farne scintillare lo sguardo verde, si avvicinò al giovane, lo cinse con impeto e, prima di potervi riflettere davvero, prima di potersi dare l’occasione di pensarci, premette le labbra alle sue.
Un solo istante da congelare in quell’anfratto di eternità. Tra gli scossoni dei viaggiatori che erano appena usciti dal gate, tra il cigolio delle ruote dei trolley, l’annuncio dell’altoparlante con l’ultimo avviso per il volo diretto a New York.
Tra i battiti più intensi del proprio cuore e quel brivido lungo la spina dorsale che accolse nuovamente, come se fosse appena tornato a casa.
Si scostò, le guance più rosate, un sorriso scintillante.
“Che la forza sia con te”, replicò, indietreggiando fin quando possibile, per continuare ad osservarlo.
 
Lo sapevano entrambi, quella non sarebbe stata una separazione definitiva.
“E anche l’amore”, aggiunse Ryder tra sé e sé.
Anche lui in attesa che quel brivido scemasse.
 
Fine
 
Non ricordo neppure quando esattamente, ma avevo promesso che una volta o l’altra mi sarei cimentata in un racconto dedicato a questa coppia. O crackship, che dir si voglia.
Sicuramente nel fandom internazionale ha riscosso più successo, ma se qualcuno vi è giunto per i più disparati motivi, lo ringrazio per avermi concesso il suo tempo e la sua attenzione e spero che la lettura non sia risultata sgradita.
E’ un racconto senza molte pretese, se non quella pura e semplice (e sicuramente la motivazione più importante) di sorprendere un’amica e cogliere l’occasione del suo compleanno per un piccolo cadeau. Nella speranza che non solo le sia gradito, ma possa risultare abbastanza verosimile, malgrado qualche strategico riadattamento per linearità della trama.
E, non in ultimo, sperando che eventuali errori dislessici siano stati scovati prima della pubblicazione :D
Ho volutamente lasciato un finale abbastanza “aperto” perché ognuno possa interpretarlo nel modo che più lo aggrada: che quel bacio segnerà il ritorno di Sam a Lima (a suo tempo) e avrà il suo Ryder ad attenderlo; o che sia un affettuoso simbolo di riconciliazione e di conferma che quei due giovani uomini, che stanno arrancando nella ricerca della loro strada e della loro metà, siano ancora quei bambini che hanno stretto sodalizio all’asilo e avevano il terrore di separarsi.

Non mi resta che ribadire i miei più sinceri auguri di buon compleanno, alla mia soulmate letteraria in molteplici volti e nuances (sì, usare la parola “sfumature” al giorno d’oggi ha implicazioni non da poco), ma sempre con lo stesso spirito :)
Tanti auguri di tutto cuore! 

E grazie ancora a tutti per il vostro tempo,
Kiki87


 
1 Se ve lo state chiedendo, sì, troverete molti riferimenti alla saga di Star Wars, come il titolo lascia presagire, ma eccovi alcune delucidazioni (ma non troppe, se non avete mai visto la saga, vi invito a farlo!) con le immagini dei protagonisti. Luke Skywalker  è il protagonista della trilogia originale (quella tra anni '70 e'80) che verrà addestrato come un Jedi (un ordine di Cavalieri a difesa della Repubblica Galattica prestigioso, contraddistinto non solo dall’arte del combattimento, ma anche da un modus vivendi particolare e conoscenza che sfocia dalla scienza alla filosofia) prima da Obiwan (che fu istruttore e amico di Anakin, suo padre) e poi da Yoda  in persona (il Gran Maestro del Consiglio dei Jedi) per cercare di annientare, con la Principessa di Alderann, Leia Organa (o Leila nella versione italiana)  a capo della Resistenza, l’impero di Darth Sidious  di cui Darth Vader (o Fener) è leader delle truppe. 
2 Cavalieri che, a differenza dei Jedi, si avvalgono del potere del Lato Oscuro della Forza e ne sono i principali antagonisti, agli ordini di Darth Sidious.
3 Han Solo (o Ian) , contrabbandiere o come lo definisce Leia “canaglia”, compare nel primo film della trilogia originale, assodato da Obiwan e Luke perché li conduca ad Alderaan, ma finirà con il lasciarsi coinvolgere dagli eventi e resterà al fianco di Luke e Leia fino alla fine. Chewbecca  è un Wookie alto più di due metri, copilota e amico (ma potremmo anche definirlo “bro” visto il contesto) di Han Solo.
4 C-3PO  (che nel doppiaggio originale italiano è chiamato D-3BO), è uno dei pochi personaggi ad apparire in ogni film della saga, droide creato da Anakin stesso dall’aspetto antropomorfo, addetto alle comunicazioni, conosce più di 6 milioni di lingue, compreso il linguaggio dell’altro piccolo droide, R2-D2 (o C1-P8).
5 Jabba The Hutt è un angster extraterrestre che ha al suo comando un seguito di cacciatori di taglie, contrabbandieri, assassini della peggior specie. Han Solo non ha portato a termine un ordine per lui, disperdendo la sua merce illegale per non essere catturato dalle Truppe Imperiali. Per vendetta, al mancato assolvimento del debito, lo pietrificherà nella carbonite. Nell’episodio VI della saga, Il ritorno dello Jedi e saranno Luke e Leia a trarlo in salvo. L’altro aneddoto citato è tratto dall'episodio IV: Una Nuova Speranza.
6 Gigantesca stazione da battaglia spaziale il cui superlaser è stato in grado di distruggere il pianeta natale di Leia Organa. Morte Nera 
7 Vorrei prendermi il merito di tale battuta, ma mi sono ispirata ad una simile esclamazione di Marshall Eriksen di How I Met Your Mother.
8 Qui-Gon fu Maestro Jedi e mentore di Obi-Wan. Appare soltanto in Star Wars: Episodio I - La minaccia fantasma,  di cui è uno dei protagonisti.
   
 
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