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Autore: Triz    17/09/2015    0 recensioni
Shawn Jackson, un tecnico di laboratorio, ha il compito di accudire alla piccola Allie, una neonata oggetto di studio del dottor Philips. Passano gli anni e l'attaccamento di Shawn nei confronti di Allie aumenta fino a che...
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Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A volte sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno può immaginare.
(dal film The Imitation Game)

Mi mise in braccio una neonata e mi disse che, da quel momento in avanti, lei sarebbe stata il mio nuovo incarico.
Mi disse che tutto quello che sarebbe successo alla bambina nei suoi primi vent'anni di vita sarebbe stato il centro delle ricerche, ma che non ero tenuto a saperne di più: in fondo, aggiunse, ero solo un tecnico di laboratorio e dovevo assicurarmi che la bambina crescesse bene e in salute.
«Non credo di avere le competenze per...» cercai di obiettare.
«Al momento non c'è nessun altro, nel nostro istituto, in grado di badare a lei» mi interruppe il dottor Philips, il capo dell'equipe che si sarebbe occupata della ricerca: «Quindi, se non hai le competenze, è giunta l'ora che le acquisisca in fretta».
«Come si chiama la bambina?» chiesi mentre, impacciato, cercavo di non far cadere la neonata dalle mie braccia.
«Scegli tu il suo nome, Shawn» mi rispose il dottor Philips e uscì dalla stanza lasciandomi solo con lei.
La guardai e deglutii nervoso: non ero sposato e non avevo figli - per la mia vita piuttosto ritirata, era anzi molto probabile che non ne avrei mai avuti - e ora mi chiedevano di allevare una bambina venuta da chissà dove per farci... cosa?
«Allie» le mormorai a mezza voce avvicinando un dito al suo faccino: «Sì, Allie potrebbe essere una buona idea, ti piace?».
Evidentemente sì, o almeno così pensai dal vagito che emise: afferrò il dito con una sua manina e poi mi guardò con i suoi occhioni chiari e pieni di curiosità.
Ci fissammo per un lungo, lunghissimo istante, poi Allie cominciò a strillare: «Oh, santo cielo!» mormorai nel panico più totale.

Allie divenne molto precoce per la sua età.
Una bambina normale non avrebbe potuto sviluppare le sue facoltà intellettive in così poco tempo: poco prima dei quattro anni leggeva insieme a me le favole della buonanotte, a cinque arrivarono i primi conti matematici e a sei le letture diventavano sempre più complicate. Non sto qui a elencare i rapidi progressi che Allie faceva con il passare dei primi anni, ma una parte di me sentiva che c'entravano qualcosa i farmaci che il dottor Philips e il suo staff le spacciavano per vitamine.
«Shawn».
«Dimmi, Allie» mormorai, indeciso se muovere il Cavallo o l'Alfiere. Allie aveva appena compiuto nove anni, ma aveva già capito da un po' che io non ero il suo padre biologico, ma non per questo aveva smesso di essermi affezionata.
«Ho sentito che domani la Roberts andrà con i suoi nipoti al luna park» disse sorridendo imbarazzata per un momento e capii.
«Vuoi che chieda a Philips di farti uscire per un pomeriggio al luna park, non è così?» domandai e lei annuì. Non sapevo quali fossero le intenzioni di Philips al riguardo, ma a giudicare da come Allie era rigidamente sorvegliata quando usciva in cortile per le lezioni di ginnastica potevo immaginare cosa avrebbe risposto alla richiesta di far uscire per un pomeriggio di giochi "una bambina del suo potenziale", come la chiamava lui.
«Posso provarci, Allie» le dissi spostando l'Alfiere: «Ma non posso garantirti nulla, okay?».
Allie annuì e, dopo una rapida occhiata alla scacchiera, mi diede scacco matto con la regina.

James Harper entrò a far parte della sua vita quando Allie aveva sedici anni.
James era il ragazzo assunto per sostituire nelle pulizie la signora Roberts, andata in pensione, e tutto lo staff di ricerca ignorò la sua esistenza fino a quando lui entrò per sbaglio nella piccola aula dove il dottor Philips e il resto dell'equipe mettevano Allie alla prova con un problema matematico di difficoltà avanzata.
«Fuori di qui!» esclamò Philips bruscamente, ma ormai Allie e James si erano visti.
James fu il primo ragazzo sotto i vent'anni che Allie conobbe e fu la prima persona che non aveva strettamente a che fare con le ricerche di Philips: i pochi contatti che avevano avvenivano sempre sotto la stretta sorveglianza mia o di un altro collaboratore di Philips, ma quando erano insieme io ero l'unico a notare il modo in cui Allie si attorcigliava i capelli mentre gli sorrideva e annuiva a ogni sua parola. Era durante quei momenti che capivo quanto Allie volesse essere come ogni ragazza della sua età, al di là del fatto che riuscisse ad apprendere in pochi mesi ciò che io avevo studiato nei quattro anni passati al college.
«Shawn, ti devo dare una notizia grandiosa!» esclamò Allie quando un giorno mi cercò in laboratorio: «Ma, aspetta, non qui».
Mi afferrò la mano e, ignorando gli sguardi perplessi dei miei colleghi, mi trascinò fuori dal laboratorio. Non l'avevo mai vista così allegra e spensierata prima d'ora e il suo sorriso mi scaldava il cuore in ogni istante: qualunque cosa fosse a farla sorridere in quel modo, riflettei mentre mi chiudevo con lei nello sgabuzzino delle scope, avrebbe sicuramente reso felice anche me.
«Di cosa si tratta, Allie?».
«Io e James ci siamo messi insieme» mi disse piano, prendendo le mie mani e non riuscendo a stare ferma dalla troppa felicità, e io rimasi di stucco.
«Allie, ma è...».
«Sì, lo so, e indovina un po'?» mi interruppe e la sua voce si ridusse a un sussurro: «James mi ha detto che, domani sera, mi farà uscire da qui».
«Davvero?».
«Davvero».
Pensammo entrambi alla stessa persona e l'entusiasmo che aveva riempito l'aria dello sgabuzzino si smorzò per un momento.
«Sai che c'è, Allie?» dissi prendendo tra le mani il suo viso: «Domani sera ti coprirò io con Philips, tu esci pure con James a divertirti».
Le feci l'occhiolino e Allie mi saltò al collo stringendomi forte tra le braccia: «Grazie, Shawn, grazie, grazie, grazie!» esclamò e sorrisi.

Se ripenso al sorriso con cui Allie mi parlava di James, mi si stringe il cuore nel ricordare che, il mattino successivo, si trasformò in pianto.
Ero entrato nella sua stanza per andare a pranzo con lei e con la speranza di farmi dire cosa l'avesse turbata al punto di andare male al test di quella mattina e la trovai abbracciata al suo cuscino: «Allie, cosa c'è?» chiesi sedendomi sul letto accanto a lei.
«Non ne voglio parlare».
«Allie...».
«Lasciami in pace, Shawn, voglio stare da sola».
Non si era mai rivolta a me con quel tono così duro e, benché sorpreso, decisi di uscire: quando la mia mano fu sulla maniglia, però, sentii Allie singhiozzare e tornai da lei.
«Cosa ti è successo?» chiesi e Allie si accoccolò sul mio petto: mentre piangeva e si lasciava accarezzare sulla testa, mi spiegò che, prima del test, era andata a cercare James, ma al suo posto aveva trovato una donna che si era presentata come la nuova addetta alle pulizie.
«Lo hanno mandato via, Shawn, hanno licenziato James perché voleva farmi uscire» disse convinta sollevando la testa e si asciugò gli occhi con il dorso della mano: «Ed è per questo che ho fatto schifo al test, capisci?».
«Oh, Allie...».
«Ero così arrabbiata, Shawn, ma poi ho visto la tua faccia quando sono uscita e... Dio mio, che vergogna!» mormorò ricominciando a piangere e presi dalle mie tasche un pacchetto di fazzoletti.
«Ma l'hai detto anche tu, eri arrabbiata e delusa, non hai motivo di...».
«Perché mi vogliono tenere chiusa qui dentro, Shawn?» mi interruppe con uno scatto di rabbia: «Cosa vogliono da me? Perché non posso essere come le altre ragazze della mia età? Cosa vogliono farmi?».
«Io non ne ho idea, davvero» balbettai e Allie si strinse a me ancora più forte.

«Siediti, Shawn» mormorò il dottor Philips indicando la sedia davanti alla scrivania e gli obbedii: «Vuoi un caffè? So che ultimamente il dottor Edison vi sta dando parecchi straordinari in laboratorio e, poiché tu ti occupi anche della ragazza...».
«No, grazie» tagliai corto guardandolo con sospetto: non aveva mai usato con me tutta questa gentilezza e, visto che aveva menzionato Allie, lei era probabilmente l'argomento di cui mi voleva parlare.
«A proposito di Ellie...».
«Allie» lo corressi stizzito.
«Allie sì, giusto» disse, irritato dalla mia interruzione: «La prima fase delle ricerche si è conclusa con successo, i test hanno dato ottimi risultati, nonostante i piccoli intoppi che abbiamo avuto...».
«Potrebbe arrivare al dunque? In laboratorio hanno bisogno di me» dissi, ma i miei pensieri erano andati tutti a James Harper: erano passati cinque anni dall'ultima volta che lo avevo visto e mi diede fastidio sentirlo definire come un semplice intoppo della ricerca: Allie mi aveva confidato di pensarlo ancora spesso e per la prima volta, nell'ufficio di Philips, mi chiesi dove James fosse finito.
«Se così vuoi» disse Philips prendendo un bel respiro e aggiunse: «Da questo momento in poi, Shawn, i tuoi contatti con la ragazza saranno più rari e più sorvegliati».
«Come, scusi?».
Mi disse che, nell'entrata nella nuova fase della ricerca, i già pochissimi contatti di Allie dovevano essere ridotti per la buona riuscita di ogni futuro test: naturalmente, aggiunse mentre ringraziava la segretaria per aver portato il suo caffè, tutto ciò che mi era stato promesso quando avevo cominciato il mio incarico con Allie - l'aumento, la promozione e così via - mi sarebbe stato dato come ringraziamento per il lavoro svolto in questi anni.
«Cosa volete farle?» chiesi.
«Shawn, ti ripeto quello che ti dissi quando ti ho dato Ellie in braccio...».
«Lei si chiama ALLIE, e ora mi ascolti» sbottai: «L'ho cresciuta per più di vent'anni, ho dovuto imparare a cambiare i pannolini e a preparare i biberon, le ho insegnato a camminare, ho passato la sua infanzia a farmi battere da lei a scacchi e ho fatto finta di credere che i potenziatori cerebrali che le davate da piccola fossero vitamine. Detto questo, io credo di avere tutto il diritto di sapere che cosa succederà ad Allie d'ora in poi, sono stato chiaro?».
Non riuscivo a smettere di tremare per la rabbia e per l'eccitazione: io, che di solito ero un uomo tranquillo e che mi occupavo di tenere in ordine le provette e le analisi di laboratorio, avevo appena dato in escandescenze davanti a uno dei più rinomati professori e ricercatori del Paese. Sorrisi di soddisfazione nel vedere Philips stupirsi per un breve momento prima di dominarsi e di riflettere su cosa dirmi e cosa no.
«Molto bene, allora» mormorò con un sospiro: «Io e il mio staff ci occuperemo di studiare i processi di controllo delle emozioni».
«Controllo delle emozioni?».
«Sì, Shawn, e Allie» disse, sottolineando il suo nome con cura: «Mi sarà utile per capire come inibire le reazioni emotive senza per questo intaccare le sue capacità cerebrali».
«Lei vuole... Vuole privare Allie delle sue emozioni?» domandai, allibito da quello che avevo appena sentito.
«È una definizione un po' grossolana, Shawn, ma l'idea sarebbe quella».
«Lei non può farlo!» protestai scattando in piedi: «Allie non merita un trattamento simile, io... sappia che io glielo impedirò!».
«Tu me lo impedirai?» disse Philips con una risatina cattiva: «Ti voglio ricordare, Shawn, che non solo non hai alcun potere decisionale sulla mia ricerca, ma che Allie non è nemmeno tua figlia. Se proverai ad avvertirla, a rovinare qualcosa o anche solo a tentare di farla uscire da qui, posso giurarti che io farò quanto in mio potere per renderti la vita un vero inferno».
Mi voltai per allontanarmi il più possibile da quell'individuo e mi bloccai nel vedere due uomini della sicurezza che entravano nell'ufficio.
«Scortate il signor Jackson in laboratorio e fate in modo che vi rimanga fino alla fine del suo turno» ordinò Philips con un tono gelido e poi si rivolse a me: «E mi aspetto che tu torni dritto a casa dopo il lavoro, Shawn».
Con un gesto secco, allontanai la mano di uno degli uomini della sicurezza che mi voleva afferrare e uscii dall'ufficio.

Quando ti ritrovi a crescere un bambino - o perlomeno, a passare gran parte del tuo tempo con lui -, finisci per imparare a conoscerlo meglio di te stesso: fu quello che mi successe con Allie, anche se le condizioni in cui l'avevo allevata erano particolari, e mi fu utile quando riuscii a vederla tre settimane dopo il mio incontro con Philips.
La Allie che avevo imparato a conoscere e a cui mi ero affezionato sembrava essere scomparsa: la ragazza che vidi quel giorno nella sua stanza tremava da capo a piedi ed era talmente occupata a fare Dio sa cosa al computer che ci volle un mio tossicchiare per farla smettere di ignorarmi.
«Ciao, Allie».
«Signor Jackson» disse freddamente e tornò agli appunti che stava studiando.
«Da quando sono "signor Jackson" per te?» chiesi con un sorriso: «Puoi continuare a chiamarmi Shawn, anche se non ci vediamo più così spesso come prima».
«Scusami, ho un po' da fare» disse nervosamente alzando gli occhi su di me: «Philips vuole che consegni questo per domani mattina».
«Posso sapere di cosa si tratta?».
«Programmazione» mi spiegò mentre mi avvicinavo al computer: «Dovrebbe essere la programmazione di un drone, ma c'è un punto del codice che non mi convince».
«Capisco» mormorai prendendole una mano.
«E invece no, non capisci» mi sbottò lei allontanando la mano da me: «Ci sto lavorando da stamattina, ma questo fottuto programma non funziona e non riesco a capire cosa c'è di sbagliato» aggiunse sbuffando e si coprì gli occhi con le mani.
«Hai solo bisogno di una pausa, Allie, okay? Su, alzati» le dissi facendola alzare dalla scrivania e uscimmo insieme dalla sua stanza. Durante tutto il tragitto nei corridoi c'erano quattro uomini della sicurezza che mi ricordavano che non potevo fare nulla di stupido in loro presenza, ma ciononostante io e Allie arrivammo sani e salvi al distributore automatico.
«Grazie, Shawn».
«Di niente».
«Scusa per prima».
«Figurati» la rassicurai bevendo il caffè e feci una smorfia di disgusto che la fece sorridere per la prima volta in quella giornata.
La guardai e ricambiai il suo sorriso, ma dentro di me avevo paura: avevo sentito da voci che subito si zittivano al mio passaggio che, nella nuova fase della ricerca, Philips ci stava andando giù pesante con Allie e che premeva per accelerare i risultati. Avevo paura che, guardando Allie negli occhi alla mia seconda visita, non avrei visto nulla dell'affetto che nutriva per me e che lei - la mia piccola Allie - si sarebbe probabilmente chiesta chi dovrebbe rappresentare per lei quell'insignificante tecnico di laboratorio venuto a disturbarla mentre si occupava dei compiti che Philips le affidava.
«Shawn, c'è qualcosa che non va?» mi chiese Allie preoccupata e ritornai alla realtà.
«No, Allie, niente» mentii gettando con lei il bicchiere nel cestino: «Ti riaccompagno alla tua stanza».
Nella testa mi balenò un'idea mentre i quattro scimmioni ci riaccompagnavano alla stanza di Allie: era un'idea piccola, forse non avrebbe nemmeno funzionato, ma se l'alternativa era vedere Allie trasformata in una macchina priva di emozioni, tanto valeva che tentassi.
Avevo già preso la mia decisione quando Allie mi salutò e si chiuse la porta alle sue spalle.

Mi sedetti al bancone del bar e ordinai da bere per me e per il barbone che fingeva di russare sullo sgabello alla mia destra. Non potevo più tornare sulle mie decisioni, non dopo essere entrato in quel bar di quart'ordine frequentato da potenziali ribelli e da delinquenti di ogni tipo: ringraziai la barista, bevvi un sorso e diedi una pacca sulla spalla al barbone.
«Piantala di dormire» gli dissi.
«Meglio qui che a casa mia» mi grugnì, confermando di essere chi cercavo.
«Ciao, James» gli sussurrai all'orecchio.
Mi ero dato un gran da fare per cercare uno dei quindici ribelli più pericolosi dello Stato e ora eccolo lì, riconoscibile appena dalla barba che si era lasciato crescere e infagottato nei vestiti logori e puzzolenti: James Harper alzò la faccia dal bancone e vuotò in un sorso il bicchiere.
«Che vuoi?» domandò e vidi spuntare da sotto il suo cappotto una pistola puntata contro di me.
«Si tratta di Allie» dissi finendo anche io di bere.
«Allie? Sta bene?» chiese agitato.
«Non sta per niente bene, Jim» gli risposi: «Ed è per questo che sono venuto a chiederti di aiutarmi a portarla via da lì».
«Certo, conta pure su di me».
«E, per favore, non venire da solo».
«Quando vuoi farlo?».
«Stanotte».
James mi guardò e chiamò la barista: le sussurrò qualcosa all'orecchio e lei annuì servendoci altri due bicchieri.
«Ci saremo» mi disse semplicemente e la barista mi fece uscire dal retro.

Conoscevo l'istituto meglio delle mie tasche, perciò fui io a guidare il gruppo di sei persone venuto quella notte a liberare Allie: «Restate indietro» mormorai e aprii la porta della camera di Allie, che si svegliò di colpo non appena entrai.
«Shawn, cosa ci fai qui?».
«Sono venuto a portarti via» le risposi prendendola per mano.
«Cosa?».
«Non c'è tempo per prendere le tue cose, penseremo a tutto quando saremo fuori città» le dissi sbrigativo e la condussi alla porta. Nel momento in cui misi piede fuori, però, riecheggiò uno sparo e uno degli uomini di James cadde a terra morto.
«Allie, corri!» gridammo io e James lanciandoci in una folle corsa prima lungo i corridoi e poi giù per le scale. Gli spari, i gemiti di dolore di chi veniva colpito, tutto accadde così velocemente che in quello che a me sembrò un attimo ci ritrovammo in cortile: dovevamo solo uscire dal cancello e salire sull'auto della barista rimasta nei paraggi, dopodiché tutto sarebbe...
Sentii sibilare uno sparo e una fitta dolorosa alle spalle mi fece cadere a terra, costringendomi a lasciare la mano di Allie.
«Shawn!» mi gridò voltandosi e vidi che James la stava trattenendo.
«Corri, Allie!».
«Shawn!».
«Devi andartene da qui, ora o mai più!».
Vidi James prendere Allie in braccio, sentii lei che lo insultava e che gli gridava di lasciarla mentre si allontanavano nell'oscurità, poi qualcuno premette sulla ferita alla schiena e, mentre perdevo i sensi, lo udii urlarmi che ero in arresto con l'accusa di tradimento.

Fui dimesso dall'ospedale penitenziario qualche giorno dopo la fuga di Allie e, ammanettato alla sedia a rotelle, mi condussero alla sala interrogatori: trovai il dottor Philips ad aspettarmi in compagnia di un altro uomo in uniforme ed entrambi avevano l'aria di volermi sparare all'istante.
«Shawn Jackson» ringhiò Philips: «Da te non mi sarei mai aspettato una cosa simile».
Non alzai nemmeno per un attimo gli occhi dal tavolo lucido mentre il militare, un tale che si presentò come colonnello Dennis Butler, mi spiegò quale fosse l'importanza della ricerca di Philips: Allie non era che una dei tanti ragazzi e ragazze strappati in fasce agli orfanotrofi o alle dissidenti politiche arrestate nel corso degli anni. Il potenziamento delle sue capacità cerebrali, unito alla privazione delle emozioni e a un futuro addestramento militare, mirava a farne di lei una macchina da guerra spietata e intelligente che sarebbe stata molto utile per debellare i ribelli al regime di William Cox, che negli ultimi mesi avevano dato parecchi grattacapi conquistando numerose città.
«Poi l'altro giorno Edward Philips mi telefona e mi dice che un insignificante tecnico di laboratorio ha venduto questo segreto militare a uno dei ribelli più ricercati del Paese» concluse il colonnello e vidi il suo riflesso guardarmi con profondo disprezzo, come se fossi un insetto da schiacciare: «Ci avrai guadagnato bene, suppongo, cosa ti hanno promesso?».
«Assolutamente niente».
«Niente? Questa, poi!» esclamò il colonnello: «Non so come faccio ancora a trattenermi dal prendere la mia pistola e spararti, fottuto traditore che non sei altro!».
«Allora lo faccia, colonnello» risposi io, ma da come mi sorrisero entrambi capii che quel pallone gonfiato in uniforme aveva ricevuto degli ordini ben diversi.
«Ti piacerebbe, Shawn» disse allora Philips abbassandosi per guardarmi negli occhi: «Purtroppo, però, c'è da dire che al governo sarai più utile da vivo che da morto».
E dopo queste parole, il colonnello ordinò a una guardia di farmi uscire da lì.

Da quell'incontro con Philips e Butler passarono almeno due anni.
Dal momento che li avevo privati della loro cavia più preziosa, divenni io stesso un oggetto di esperimento e fui trasferito insieme ai dissidenti e ai traditori ritenuti "idonei" nello stesso istituto di ricerca dove avevo lavorato per trent'anni. Ressi bene i primi mesi, cercando di ignorare gli effetti collaterali degli esperimenti, ma poi il mio organismo cominciò a cedere.
Mentre le mie condizioni andavano lentamente peggiorando, pensai sempre e solo ad Allie: c'erano periodi in cui cercavo di immaginarla con James a vivere la vita che meritava lontano da Philips e dai suoi segreti militari, mentre in altri mi convincevo che Allie fosse stata catturata e che io ne fossi all'oscuro. Quando credevo che Allie fosse diventata la macchina priva di emozioni che volevano che fosse, cadevo nella disperazione più nera e, rannicchiandomi nella mia brandina, pregavo di poter morire in quell'istante; ma poi rivivevo la notte della fuga e mi convincevo che James, dopo aver preso la mia Allie in braccio, fosse riuscito a sparire nella notte oltre il cancello e mi sentivo così orgoglioso per aver in parte reso possibile quella scena che sentivo diminuire il dolore per non poter più far parte della sua vita.
Mentre io mi perdevo nei pensieri su Allie, il mondo sembrava andare a fuoco: i ribelli si dimostrarono più organizzati e spietati di quanto fosse pensabile e si parlò di un loro imminente arrivo in città. Si cominciò con il sospendere tutti gli esperimenti in corso, poi si udirono i passi frenetici di militari e ricercatori che portavano via e distruggevano migliaia di documenti e infine, quando credevano che non esistessero più prove su quello che avevano fatto, ordinarono che tutte le cavie fossero eliminate.
Il tempo fu scandito dai cigolii delle porte e dai colpi di pistola finché nella mia cella non entrò un ragazzo che aveva più o meno la stessa età di Allie: io non riuscivo più ad alzarmi dal letto a causa di un esperimento andato male e, quando vidi la pistola nelle mani del ragazzo e i suoi occhi vitrei, capii che ogni supplica di risparmiarmi sarebbe stata inutile.
Mi rigirai nel letto e sentii la canna della pistola puntata alla mia nuca.

* * *

«Harry, hai visto Allie? Ehi, qualcuno mi può dire dov'è Allie?» gridai nel panico entrando come una furia nell'ospedale da campo. Infermieri improvvisati aiutavano i medici che avevamo catturato nelle precedenti invasioni a occuparsi dei feriti della battaglia e c'era una confusione assordante di pazienti in agonia e di ordini gridati da un capo all'altro dell'ospedale.
«Tess, sai dov'è finita Allie?» domandai fermando la barista che mi aveva aiutato a liberarla due anni prima. Lei annuì e indicò il fondo dell'ospedale e io nemmeno la ringraziai mentre correvo in quella direzione con il cuore in gola: l'avevo persa di vista e non mi sarei perdonato se le fosse successo qualcosa mentre io ero occupato a sparare ai soldati che mi avevano accerchiato.
Guardavo l'occupante di ogni barella e cercavo i suoi capelli biondi o un tratto familiare in tutte quelle facce coperte bende, fino a che non raggiunsi uno spazio coperto da una tenda e la aprii, trovando Allie seduta vicino a una barella.
«Allie, Allie, stai bene?».
«Sto bene, James, ma chiudi la tenda» mi rispose con un sussurro.
«Ma il sangue...» balbettai vedendo le macchie rosse sul suo giubbotto antiproiettile.
«Chiudi quella maledetta tenda, Jim, e parla piano!» sbottò irritata e mi affrettai a obbedirle: «Il sangue non è mio e, per fortuna, non è nemmeno il suo».
Mi degnai, finalmente, di vedere chi fosse l'occupante della barella e rimasi a bocca aperta: non avevo riconosciuto subito Shawn Jackson nell'uomo che dormiva con la mano stretta in quella di Allie e il mio goffo tentativo di riportare un po' di silenzio in quell'angolo di ospedale lo aveva svegliato all'improvviso.
«Allie, cosa...?» mormorò guardandosi intorno agitato.
«È tutto a posto, papà, è solo James» gli sussurrò lei.
«Ma io...».
«Papà, va tutto bene, ora sei al sicuro» lo interruppe Allie accarezzandogli il viso magro e Shawn si rilassò: «Hai bisogno di riposare, lo ha detto anche Tess, ricordi?».
Shawn chiuse gli occhi e in pochi minuti il suo respiro fu di nuovo regolare e profondo, mentre Allie gli dava un'ultima carezza tra i capelli. Mi raccontò che aveva seguito Tess, Harry e gli altri membri della loro squadra nell'istituto di ricerca, dove avevano il compito di catturare vivo Edward Philips: era scesa nelle celle sotterranee dove tenevano le cavie umane e aveva ucciso un soldato prima che questi sparasse all'ultimo prigioniero. Non appena aveva riconosciuto Shawn in quell'uomo, lo aveva trascinato fuori dall'istituto e portato all'ospedale da campo, dove Shawn aveva ricevuto le prime cure.
«Non avrei mai creduto possibile che lui tenesse a me fino a questo punto, prima che scappassi» mi confessò dopo un momento di silenzio e si alzò per rimboccargli le coperte.
«A volte, i gesti più incredibili vengono da chi meno te lo aspetti, Allie» le dissi, ricordandomi di una frase che mi diceva sempre mia madre.
«Ma Shawn non è il tipo che si oppone a una tirannia e si unisce ai ribelli, lui doveva solo assicurarsi che stessi bene».
«E l'ha fatto, Allie» la rassicurai mentre tornava a sedersi: «Altrimenti nulla di tutto questo sarebbe mai successo».
"E io non mi sarei innamorato di te" pensai, ma non so perché non lo dissi: forse fu per il fatto che Allie non mi sentì, preoccupata com'era a stringersi al petto una mano di Shawn e a osservare ogni più piccola smorfia del suo viso. Avrei voluto rimanere con lei finché Shawn non si sarebbe svegliato, ma dovevo riunirmi in municipio insieme agli altri capi dei ribelli per discutere di come organizzare la città che avevamo appena preso e, cosa più importante, decidere il giorno del processo sommario per alcuni dei prigionieri che avevamo catturato in battaglia.
«Io devo andare, Allie» le dissi alzandomi: «Non dovrò metterci molto, sarò di ritorno fra tre o quattro ore, forse meno».
Allie annuì e spostai la tenda: guardai entrambi ancora un minuto, poi chiusi la tenda e me ne andai.

Come c'era da aspettarsi, il colonnello Dennis Butler e i militari di alto profilo furono tenuti come ostaggio per scambiarli con i ribelli catturati da Cox nella capitale, mentre tutti i soldati nemici sopravvissuti alla battaglia e i civili filogovernativi furono impiegati come manodopera negli ospedali da campo e nella ricostruzione della città. Edward Philips fu invece condannato a morte durante il processo sommario: a causa delle sue ricerche e di molti suoi esperimenti, infatti, ragazzi e ragazze che avrebbero potuto combattere al nostro fianco erano stati costretti a difendere un tiranno e, inoltre, aveva causato la morte di decine di ribelli usati come cavie umane.
Ebbi io il compito di eseguire la sua condanna sulla pubblica piazza, ma le mani mi tremavano così tanto che a stento riuscivo a tenere il mio fucile: «Harper, se vuoi posso pensarci io» mi sussurrò Tess, ma io scossi la testa e mi misi di fronte a Philips. Nel silenzio che era calato sulla città, sentii solo il respiro a tratti di Philips che mi guardava con gli occhi pieni di terrore e sulle prime la pena che provai per lui cercò di avere la meglio.
Guardai prima Philips, poi il fucile e mi ricordai di Shawn.
Mi ricordai di quando il cuore di Shawn Jackson smise di battere la notte precedente, incapace di reggere per un solo giorno in più gli effetti degli esperimenti del mostro che avevo davanti ai miei occhi. Mi ricordai di come Allie provò a essere forte la mattina dopo, quando diede a Shawn il primo e ultimo bacio sulla fronte, e mi ricordai di Harry e Tess che mi aiutavano ad avvolgere il corpo con un lenzuolo. Chiusi gli occhi e le mani ripresero a tremare per lo sforzo di aver scavato quella fossa tre ore prima di presentarmi con il fucile sulla piazza.
Riaprii gli occhi, caricai il fucile e mirai alla testa di Philips: prima che potessi pensarci ancora, gli sparai.















Note dell'Autrice
Questa storia è ambientata nello stesso periodo di Creed e il soldato, ovvero a cavallo tra il XXI e il XXII secolo: dopo una guerra, l'America è finita in mano ai Cox, una famiglia di dittatori, e la popolazione si è ribellata dando il via a una guerra civile. A parte l'ambientazione, le due storie non hanno alcun legame e, di conseguenza, possono essere lette separatamente.
Ringrazio milla4 per aver indetto il contest a cui la storia partecipa.
A presto,
Triz
  
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