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Autore: Odinforce    18/09/2015    3 recensioni
La maledizione che lo aveva afflitto per anni era ormai svanita. Era trascorso più di un anno, ma Ranma sorrideva ancora compiaciuto ogni volta che si bagnava con l’acqua fredda senza subire alcuna trasformazione. Si sentiva felice come non mai, alla pari di un uomo che aveva sconfitto una malattia mortale, libero di assaporare tutte le piccole cose straordinarie che la vita ha da offrire.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giorni contati
 
Tokyo, quindici mesi fa.
Il sole di mezzogiorno splendeva alto sopra il quartiere di Nerima, rendendo più sopportabile il clima umido dell’autunno. In quel momento di quiete, il vecchio Happosai era intento a praticare il suo hobby preferito sulla terrazza di un edificio, dove i condomini erano soliti appendere il bucato. Gli abitanti di quel palazzo non avevano ancora imparato a guardarsi dalle mire di quel minuscolo vecchietto, che amava aggirarsi per il quartiere rubando biancheria femminile in grandi quantità.
In quel momento, dunque, Happosai era intento a contemplare la sua prossima preda. Si aggirava tra i cavi a cui erano appesi i panni con occhi meravigliati, la felicità pari a quella di un bambino in un negozio di dolci. Non riusciva a decidere da dove cominciare, tanti erano i “bersagli” esposti così in bella vista: ormai era diventato tutto troppo facile, da quando Ranma se n’era andato...
« Ehi, vecchiaccio » disse una voce alle sue spalle. « Bella la vita, eh? »
Happosai si voltò subito, allarmato. Solo una persona osava chiamarlo così, ma la voce non gli era affatto familiare. Tra le lenzuola appese scorse una figura avvicinarsi lentamente a lui: un uomo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio. Camminava piano, come se avesse tutto il tempo del mondo da dedicargli.
Il vecchio restò immobile al suo posto. Non percepiva alcun Ki in quell’individuo, ma ciò lo fece allarmare comunque: anche le persone comuni possedevano una forza vitale, seppur debole rispetto a tipi come lui, ma l’incappucciato sembrava non averne neanche un po’... come se non esistesse.
« E tu chi saresti? » chiese Happosai.
« Io sono Nul » rispose l’incappucciato. « Scusa se non ti giro la domanda, ma so perfettamente chi sei. Happosai, fondatore e gran maestro della Scuola di Lotta Indiscriminata; mentore di Genma Saotome e di Soun Tendo; imbattibile maestro di arti marziali, nonché inguaribile pervertito. »
Il vecchio tacque per un po’, più sorpreso che mai. Non aveva idea di chi fosse Nul, ma non voleva comunque dargli soddisfazione.
« Non capisco cosa vuoi dire con l’ultima parte. »
« Oh, vuoi che lo ripeta? P-E-R-V-E-R-T-I-T-O. È l’epiteto più comune usato per identificare i depravati che gongolano mentre si strusciano su capi di biancheria intima femminile... cosa che tu stesso ti apprestavi a fare un minuto fa. »
Era l’ultima goccia. Nel giro di un istante, Happosai dimenticò il suo hobby e s’infiammò; il suo sguardo s’indurì e strinse i pugni, pronto a combattere alla minima minaccia.
« Non mi piaci, moccioso... e i mocciosi che non mi piacciono fanno sempre una brutta fine! »
Nul fece un suono simile a un verso scettico; era come se Happosai fosse solo uno sbruffone, dal suo punto di vista. Non lo temeva nemmeno un po’. Si mise perciò in posa da combattimento senza alcun timore: una mano dietro la schiena e una in avanti, rivolta al suo avversario.
« La mia fine non avverrà certo per mano tua, vecchiaccio... ma se tanto ci tieni, fatti pure avanti. »
Fece un cenno ad Happosai, invitandolo ad attaccare. Il vecchio schizzò in avanti un istante dopo, rapido come una palla di cannone; Nul lo schivò per un soffio, sferrandogli subito dopo un calcio. Happosai fu scagliato senza controllo verso un lenzuolo appeso fra due travi, andando a sbattere contro una di queste. Si udì un forte rumore metallico che spaventò i piccioni nei paraggi, che presero subito il volo.
« Acc... palo! » commentò Nul, deluso.
Happosai cadde a terra, ma si rialzò subito. La sua faccia recava una lunga striscia arrossata, l’impronta della trave dove aveva sbattuto con violenza; lo sguardo, invece, era carico di rabbia per l’affronto subito.
« Nessuno... può permettersi di trattare il grande Happosai come un pallone da calcio! »
« Spiacente » dichiarò Nul con il suo solito tono glaciale, « ma per me non vali più di così, neanche se fossi verde e maneggiassi una spada laser. Dopotutto, guardandoti bene, sei della taglia giusta per essere palleggiato. »
« Ora basta... coff, coff! »
Il vecchio s’interruppe, colto improvvisamente da una forte tosse. Nul rimase fermo a guardarlo, aspettando che si riprendesse.
« Non hai una bella cera » osservò. « Sei certo di volermi affrontare così? »
Happosai scattò ancora in avanti, ignorandolo. Nul sparì oltre un grande lenzuolo; il vecchio lo seguì dall’altra parte ma, con suo sommo stupore, il suo avversario non c’era più. Svanito nel nulla. Restando in guardia, Happosai si guardò intorno: ormai era chiaro, stava affrontando un individuo molto potente; strano, tuttavia, che non percepisse alcun Ki... come diavolo faceva a nasconderlo ai suoi sensi?
Nul riapparve alla sua destra, attraverso un altro lenzuolo. Happosai schivò il suo attacco e reagì con un calcio; Nul lo parò facilmente. Il vecchio non si arrese e continuò ad attaccare, ma senza alcun risultato: i piedi del vecchio non erano più grandi di quelli di un bambino, proprio come il resto del suo corpo; e contro quello strano tipo, la sua forza sovrumana sembrava non contare nulla.
Per quanto cercasse di studiarlo durante la lotta, Happosai non riusciva a farsi un’idea sull’identità del suo avversario: egli continuava a nascondere il volto sotto il cappuccio, che restava immobile nonostante tutto quel movimento... come se lo avesse incollato.
Solo Ranma e Obaba, negli ultimi tempi, erano riusciti a tenergli testa in quel modo... inoltre, lo stile di combattimento di Nul assomigliava tremendamente al suo.
« Maledetto! Chi diavolo sei? » esclamò Happosai, spazientito dopo l’ennesimo colpo andato a vuoto.
Nul non rispose. In compenso riuscì ad afferrarlo per la testa, lo lanciò in aria e gli sferrò un tremendo calcio in rovesciata. Il vecchio fu spedito dritto contro il lenzuolo di prima, attraversandolo come se fosse una rete da calcio. Contemporaneamente, nell’aria risuonò un boato simile a una folla urlante in uno stadio, sebbene in giro non ci fosse nessuno.
« Rete! » urlò Nul, esultando. « Al 3° minuto! Uno a zero! Grande tiro del capitanooo! »
Terminata l’ovazione, il silenzio calò su quella terrazza all’improvviso. Nul cercò Happosai con lo sguardo, sparito dal suo campo visivo dopo averlo calciato oltre quel lenzuolo; lo raggiunse e trovò il vecchio dall’altra parte, in ginocchio accanto a un bocchettone dell’aria. L’ultimo colpo lo aveva ridotto male, sembrava; inoltre aveva ripreso a tossire, più forte di prima.
« Ora non fai più tanto il duro, eh vecchiaccio? » disse Nul, guardandolo dall’alto. « Mi sorprende che Ranma non sia mai riuscito a farti abbassare la cresta fino a questo punto... ma ormai non ha più importanza. »
Happosai rispose con un’occhiata furibonda. In un attimo estrasse qualcosa dalla giacca e glielo lanciò addosso, come se fosse un dardo. Nul l’afferrò al volo, un attimo prima che lo colpisse in faccia: non era altro che una comune pipa, usata come arma improvvisata. La gettò via, per nulla impressionato, e fece un passo in avanti, sempre più minaccioso.
Happosai si ritrasse, iniziando a piagnucolare.
« Sei crudele! Te la prendi... coff, coff... con un povero vecchietto! »
« Patetico » mormorò Nul. « Sai, ho conosciuto altri tipi come te durante i miei viaggi: grandi maestri di arti marziali e formidabili guerrieri, anziani eremiti dotati di immenso potere e saggezza... ed erano anche dei gran pervertiti. Ma a differenza di te, loro hanno compensato bene questo difetto, e non hanno mai osato piagnucolare davanti al nemico. Non meriti tutto il potere che ti sei guadagnato, visto l’uso che ne fai! »
« Ma a te... coff... cosa te ne importa? »
« In verità non me ne importa proprio niente, dal momento che mi fai schifo. Piuttosto, sono interessato alle tue attuali condizioni... mi sorprende che tu non sappia ancora quanto sei malato. »
« C-cosa? »
Nul si inginocchiò davanti a lui, mettendolo a sedere contro il bocchettone. Nel frattempo aveva recuperato la pipa di Happosai, mostrandogliela bene.
« Fumare fa male, non lo sapevi? » disse. « Se non ricordo male tu hai circa quattrocento anni... trascorsi in gran parte a inalare il fumo di questa schifezza. A lungo andare, è piuttosto ovvio – per non dire naturale – che i polmoni subiscano conseguenze piuttosto spiacevoli. Fossi in te andrei in ospedale a farmi una TAC, ma dubito che scoprirebbero danni maggiori di quelli che vedo ora nel tuo organismo. »
Happosai sgranò gli occhi, esterrefatto.
« Che... che cos’ho? »
« Carcinoma polmonare all’ultimo stadio » rispose Nul. « In parole povere: cancro. Da ciò che posso presumere, si è formato più di trent’anni fa, ma la forza del tuo Ki ne ha rallentato la diffusione, sopprimendo anche i sintomi. La fase del rallentamento, tuttavia, è ormai finita: il male sta riprendendo il suo cammino... e ti ucciderà in poco tempo. »
Calò il silenzio, dato che Nul non aveva altro da aggiungere. E Happosai, dal canto suo, non aveva parole adeguate per esprimere ciò che provava in quel momento. Era dominato dall’incredulità, come solo una notizia del genere poteva provocargli.
Stava per morire. Normalmente, quando qualcuno riceve la notizia che gli resta poco da vivere, attraversa cinque fasi: la prima è il rifiuto. Happosai non voleva crederci, ma dopo essere stato calciato come un pallone dall’essere che aveva di fronte, non poteva dubitare delle sue parole. Ormai era certo che Nul avesse i suoi sistemi per dimostrare ciò che sosteneva. Non gli restava dunque che passare subito alla seconda fase, la rabbia.
« Perché? » esclamò infuriato, dopo vari minuti di silenzio. « Perché sei venuto a dirmi tutto questo? Che cosa vuoi da me? »
« Volevo dirtelo subito, ma tu hai avuto la folle idea di attaccarmi » obiettò Nul, incrociando le braccia. « Voglio aiutarti. »
« Aiutarmi? Come? coff, coff... puoi forse... curarmi? »
« Oh no, non illuderti su questo. Non sono un medico, ma so bene che non si può fare niente con un tumore all’ultimo stadio. E il mio potere non è fatto per curare la gente da malattie mortali... non sono certo imparentato con la divinità in cui crede la tua razza. Sono spiacente, vecchiaccio, ma presto giungerà la tua ora. »
Happosai cominciò a tremare, sempre più sconvolto.
« Quanto... quanto tempo mi resta? »
« Circa sei mesi » rispose Nul. « È il tempo che riesco a stimare esaminando le tue condizioni. Per un po’ avrai solo questa brutta tosse, ma il peggio arriverà nelle ultime settimane; il male arriverà a intaccare anche i centri di forza in cui scorre il tuo Ki, privandoti perciò della tua forza e delle capacità motorie. A quel punto dovranno attaccarti a delle macchine per tenerti in vita, ma non servirà a molto.
« Lo so... è ironico. Il grande Happosai, il più forte maestro di arti marziali vivente, dopo tutte le imprese che ha compiuto... dopo tutte le sfide affrontate con degni avversari... sta per morire per colpa di questa » e mostrò di nuovo la pipa. « Per un guerriero non c’è niente di peggio che morire nel suo letto, straziato dalla malattia o dalla vecchiaia... incapace di lottare o di reagire, perché sa che ormai tutto è perduto. »
Tacque, osservando per un po’ Happosai che non accennava a muoversi dal suo posto. Il vecchio guardava il pavimento ai suoi piedi con aria afflitta; non versava lacrime, ma non aveva importanza. Se prima Nul stava affrontando un vecchio pervertito dalla forza sovrumana, ora aveva di fronte a sé un uomo finito, spezzato dalla verità più amara che potesse concepire.
Non poteva andarsene così...
« Che cosa posso fare? » domandò infine Happosai.
« Oh, per come la vedo io hai un paio di possibilità » rispose Nul. « La prima, la più facile, è che io ti uccida subito, risparmiandoti ulteriori sofferenze. Se tu decidessi di opporre resistenza e  affrontarmi, ci guadagneresti almeno con una morte onorevole. A me non dispiacerebbe, visto che mi disgusti quanto un’insalata a base di cetrioli.
« Secondo, potresti toglierti la vita da solo, sempre per evitare ulteriori sofferenze... ma questa, ahimé, non sarebbe una morte onorevole per uno come te, vero? Inoltre sono certo che tu non voglia rischiare, per questo atto contro natura, di finire all’inferno... ammesso che esista.
« Terzo, potresti accettare la realtà e andare coraggiosamente incontro alla tua sorte. Dopotutto, sei mesi non sono pochi: avresti tutto il tempo per sistemare i tuoi affari, raddrizzare torti, chiudere faccende in sospeso... e magari, rimediare a qualche sbaglio. »
Happosai alzò lo sguardo, confuso.
« Sbaglio? Quale sbaglio? »
Nul sbuffò spazientito.
« Incredibile, non riesci nemmeno a riconoscere i tuoi errori » commentò. « Ma non c’è problema, se devo aiutarti tanto vale essere chiari sotto ogni aspetto. Cominciamo da quelli » e indicò un punto alle sue spalle, cioè verso la biancheria appesa ai fili. « Lo fai da decenni, ormai: rubare mutandine e reggiseni alle donne per aggiungerli a una collezione grande ormai quanto questo edificio. Eppure non ti basta mai: continui imperterrito in questa perversione, pur sapendo quanto sia sbagliato. »
L’incappucciato fece una pausa e si rialzò in piedi, torreggiando di nuovo su Happosai.
« Tu sei potente, Happosai » aggiunse. « Probabilmente uno dei più grandi guerrieri che abbiano camminato su questo mondo negli ultimi secoli. Sarebbe un vero peccato che, una volta morto, il mondo ti ricordasse solo come un vecchio pervertito, imbroglione e opportunista. Tutti gli anni passati ad allenarti, a combattere, a scoprire i più grandi segreti delle arti marziali... offuscati per sempre dalla pessima fama che hai scelto di ricamarti addosso. Nemmeno i tuoi allievi – nonostante non siano degli stinchi di santo – piangerebbero per te, visto quello che gli hai fatto passare. E Obaba? Sono certo che trascorrerebbe fino all’ultimo dei giorni a sputare sulla tua tomba. Per non parlare, infine, di tutta quella folla di donne che invece esulterebbe di gioia alla notizia della tua morte, felici di non dover più subire furti di biancheria. Perciò dimmi, vecchiaccio: vorresti davvero questo per la tua memoria? Essere ricordato solo per i tuoi errori? »
Nul tacque, lasciando ad Happosai tutto il tempo necessario per rispondere. Per un po’ si udì solo l’ondeggiare della biancheria mossa dal vento e il tubare di qualche piccione solitario, ma Nul fu paziente. Era certo che il vecchio avrebbe risposto: con la verità che era giunto a portargli, e con la realtà dei fatti che poteva solo accettare, Happosai era obbligato adesso a fare una scelta... forse la più importante della sua vita.
« No » disse infine ad occhi chiusi, rassegnato.
« Allora fai la cosa giusta » disse Nul, soddisfatto. « Lasciati alle spalle il passato, rinuncia ai tuoi vizi e rispetta questa gente. Credo che adesso apprezzerai di più il dono della vita... dal momento che sta per finire. »
Happosai annuì, e lentamente si alzò in piedi.
« Lo farò. »
Nul annuì a sua volta.
« Molto bene. So che farai del tuo meglio per sistemare le cose, perciò non ho più motivo per dedicarti altro tempo » e si girò, voltando le spalle al vecchio. « Ti auguro di andare all’altro mondo con il sorriso sulle labbra... addio, vecchiaccio. »
« Aspetta! » lo fermò Happosai. « Prima voglio sapere chi sei... e perché hai fatto questo per me. »
Nul si fermò, voltandosi appena per guardarlo.
« Nessuno può capire chi sono » disse gelido, « né capire il mio scopo. Ti basti sapere che ti ho osservato fin da quando ti sei gettato prepotentemente sulla strada di Ranma Saotome, contribuendo a rendergli la vita molto difficile. Io l’ho aiutato a trovare una strada diversa, che lo ha condotto a una vita migliore; e ho appena fatto lo stesso con te... anche se ribadisco che non te lo meriti. »
Il vecchio assunse un’aria perplessa. Chiaramente non aveva capito un granché, ma Nul non aggiunse altro; così gli voltò definitivamente le spalle e camminò in avanti, attraverso il bucato steso sui fili. Il vento si alzò all’improvviso, facendo ondeggiare un lenzuolo che coprì l’incappucciato alla vista; quanto si abbassò, Nul era sparito di colpo.
Happosai rimase fermo ancora per un po’, giusto il tempo necessario perché la sua mente assimilasse l’accaduto in ogni suo aspetto. Il suo sguardo indugiò ancora sul bucato steso davanti a sé, concentrandosi sugli oggetti del suo desiderio: mutandine, reggiseni e collant di varia taglia, invitanti come frutti freschi appesi a un albero... divenuti insignificanti tutt’ad un tratto.
Il vecchio sospirò, voltò le spalle alla biancheria e lasciò la terrazza con un salto, pronto a darsi da fare per non sprecare i suoi ultimi giorni.
 
Una settimana dopo...
Il quartiere di Ginza era in stato di allarme, quella mattina. Una banda di rapinatori aveva avuto l’idea malsana di assaltare una delle maggiori banche della città, nella speranza di ottenere denaro sufficiente per godersi al meglio i prossimi trenta o quarant’anni. Come parte del loro piano c’erano andati di mezzo più di trenta innocenti, presi in ostaggio per assicurare una via di fuga alla banda.
A mezzogiorno, la banca era ormai assediata dalle forze dell’ordine. I rapinatori si erano barricati dentro l’edificio, armati fino ai denti e con una gran quantità di esplosivo; il loro capo, un pericoloso ricercato dal volto segnato da anni di sofferenze, comunicava la situazione alla polizia con aria feroce.
« È l’ultimo avvertimento! » gridò con un alto parlante, al sicuro nella sua trincea. « State lontani e nessuno si farà del male. Altrimenti, il primo che si avvicinerà a queste porte avrà l’onore di raccogliere con la spugna ciò che resterà degli ostaggi! »
Nessuno osò contraddire il bandito in alcun modo. Ogni videocamera e cellulare puntato su di lui inquadrava perfettamente il telecomando sulla sua mano, con il quale avrebbe azionato le cariche piazzate nella banca. La situazione era disperata, ma quell’uomo aveva tutta l’aria di godersela appieno: così, dopo aver concesso un’ora alle forze dell’ordine per sottostare alle sue richieste, tornò trionfante dentro l’edificio, sicuro di avere la situazione in pugno.
« Ehi, capo » lo chiamò uno dei suoi uomini all’improvviso. « Abbiamo un problema. »
« Che succede? »
Il socio indicò a terra, mostrando uno dei fili che collegavano le cariche: era tagliato di netto. Ciò rendeva inoffensive le bombe a cui erano legati gli ostaggi, con sommo disappunto dei rapinatori.
« Proprio non capisco. Un minuto fa sembrava tutto a posto, e ora... »
Qualcosa colpì il rapinatore alle spalle, che cadde subito a terra privo di sensi. Il capo dei banditi afferrò la pistola, allarmato, ma non vide nulla; vi voltò appena in tempo per vedere un altro dei suoi soci cadere a terra poco lontano, tramortito anche lui.
« Che cazzo succede? »
Un tonfo alle sue spalle. Un altro rapinatore era caduto. Ora il capo riuscì a vederlo: un vecchio, alto quanto un bimbo, si stava scatenando per tutta l’area, schizzando qua e là come un proiettile. I banditi superstiti cercarono di difendersi, ma il vecchio era troppo veloce, e li abbatté uno dopo l’altro con pochi colpi ben assestati.
Il capo della banda rimase al suo posto, impietrito, mentre Happosai atterrava con un balzo davanti a lui, minaccioso come una belva. Non credeva ai suoi occhi.
« F... fermo dove sei! » gridò, puntandogli contro la pistola.
« Hai visto cosa ho fatto a tutti i tuoi uomini » dichiarò il vecchio con noncuranza. « Sei rimasto solo... ti conviene arrenderti subito. »
Il ladro lo ignorò e aprì il fuoco. Sparò a lungo, una serie di colpi assordanti, fino a svuotare il caricatore; una volta finito, abbassò l’arma: Happosai era ancora in piedi davanti a lui, le piccole mani cariche dei suoi proiettili. Sconvolto, lasciò cadere la pistola ormai inutile, e provò invano con il detonatore: si era dimenticato che le cariche erano state rese inerti. Quasi non sentì il colpo allo stomaco un attimo dopo, per poi perdere conoscenza... raggiungendo il pavimento con la faccia insieme ai suoi compagni.
Il pericolo era cessato nel giro di pochissimi minuti. Happosai raggiunse così gli ostaggi, liberandoli uno dopo l’altro dalle corde che li legavano alle bombe. Erano tutti increduli come i rapinatori, naturalmente; non riuscivano a capacitarsi del fatto che quel gracile vecchietto fosse riuscito a sgominare da solo un’intera banda. Tuttavia, la gratitudine controbilanciava egregiamente lo stupore, dal momento che erano salvi grazie a lui.
« Grazie infinite, signore » disse per prima un’anziana signora. « Vi dobbiamo la vita. »
Altre persone seguirono il suo esempio, ringraziandolo a lungo.
« Nessun problema, gente » disse Happosai lusingato. « Ho fatto ciò che dovevo fare. »
« Ehi, io ti conosco! » esclamò una ragazza all’improvviso. « Tu sei quel vecchio maniaco che s’intrufolava a scuola per rubarci la biancheria! »
Happosai si voltò a guardarla. Non la conosceva, ma sul suo viso era dipinta la solita espressione infuriata che sfoggiavano tutte le vittime dei suoi furti passati. Un capitolo della sua vita che aveva deciso finalmente di chiudere.
« Sì, sono io » rispose senza vergogna. « Un tempo non avrei mai cercato scuse per ciò che ho fatto... ma quel tempo è finito, e le cerco adesso. Mi dispiace di averti rubato la biancheria... mi dispiace davvero. »
E s’inchinò, con sommo stupore di quella ragazza.
« Uhm, va bene » disse lei. « E grazie... per averci salvati. »
Gli ostaggi si diressero con calma verso l’uscita, liberi dall’incubo che li aveva terrorizzati nell’ultima ora. Happosai prese un’altra via, sfuggendo alle telecamere e alle domande della polizia, ma ben presto la notizia della sua impresa sarebbe trapelata. Quelle persone avrebbero parlato di lui, raccontando ciò che aveva fatto per salvarli; l’intera città avrebbe conosciuto entro poche ore la verità, diffusa attraverso internet e i notiziari. In un’era così dominata dalla tecnologia e dalle informazioni che viaggiavano alla velocità della luce, la gente avrebbe ricordato il coraggio e l’eroismo di un piccolo maestro di arti marziali.
Era ciò che voleva. Il vecchio Happosai stava per morire... e il modo migliore per rimediare ai suoi sbagli era fare la cosa giusta: dimostrarsi degno di tutto il suo potere, usandolo per fare del bene alla gente. Avrebbe compiuto altre imprese eroiche, fino alla fine dei suoi giorni. E alla fine, sarebbe stato ricordato come un eroe.
Aveva ancora una cosa da fare, tuttavia, prima che fosse troppo tardi. Non poteva andarsene senza farlo sapere a qualcuno a cui in fondo voleva bene. Così, pochi giorni dopo la rapina sventata, Happosai si presentò alla porta di casa Tendo, con una cartella clinica tra le mani: il referto medico appena ritirato rivelava ciò che già aveva saputo da Nul... ma gli serviva per dimostrare ai suoi allievi la sorte che lo attendeva.
Avrebbe trascorso l’intero pomeriggio a chiedere perdono per tutto ciò che aveva fatto passare a Genma e Soun. Avrebbe versato lacrime sincere, pur di riconquistare la loro fiducia e di vederli al suo fianco prima di esalare l’ultimo respiro. Avrebbe ammesso di essere sempre stato fiero di loro, come ogni buon maestro.
E alla fine avrebbe chiuso gli occhi con un sorriso dalle labbra, ringraziando quell’uomo misterioso con il cappuccio.
Per averlo preso a calci, convincendolo a fare la cosa giusta.
   
 
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