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Autore: Nidham    18/09/2015    2 recensioni
Breve elucubrazione della mia ladra nel momento piu' triste del videogioco, quando una scelta porta a tragiche conseguenze. Fatemi conoscere il vostro parere, visto che è anche il mio primo tentativo^^
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'estate aveva tardato a venire, quell'anno, nascondendosi dietro lunghi pomeriggi piovosi e fragili nebbie mattutine.

Persino in città, dove, solitamente, ci si lamentava per il caldo soffocante e il conseguente sgradevole afrore esalante dalle fogne, si desiderava, ormai, qualche sprazzo di azzurro e un po' di sano sudore.

Il castello, poi, con le sue imponenti mura, da poco completamente ricostruite, ancora più spesse e impenetrabili, custodiva l'umido brivido dell'inverno come uno scomodo tesoro, costringendo i suoi occupanti a feroci accessi di tosse e imprecazioni borbottate in scialli fuori stagione.

Solo il Re sembrava immune a tali fastidi, ma era un soldato, prima che un nobile, e anche con quei fili d'argento tra i capelli manteneva l'aspetto fiero e stoico di un Custode.

Padre!”il grido acuto e sgraziato di un bambino quasi uomo ruppe il silenzio della sala del trono. “Padre!”

Alistair continuava a meravigliarsi della perfezione di quel piccolo se stesso, così impossibile da immaginare eppure tanto reale davanti ai suoi occhi. La prima volta che l'aveva raccolto tra le braccia, urlante, coperto di sangue e liquidi di cui aveva preferito ignorare la natura, gli era sembrato più simile ad un genlock che a un umano, tutto rugoso, scuro di pelle e con la testa arruffata in un intrico selvaggio di peluria sottile. Aveva persino temuto che la corruzione di cui era portatore si fosse trasmessa alla sua creatura, marchiandolo e corrompendolo fin dalla nascita, ma poi, col trascorrere dei giorni, il giovane principe era diventato sempre più bello e paffuto, un bambolotto sorridente, vivace e sgambettante, capace di tenere suo padre in estatica contemplazione per intere notti, mentre sua madre, sfinita dal parto, riacquistava le giuste energie.

Adesso quel fagottino delicato si era trasformato in un giovane dinoccolato, troppo alto per essere aggraziato, ma capace di mulinare le spade corte con un'abilità che Alistair aveva visto solo in altre due persone, durante la sua vita, persone che forse, in qualche modo, avevano vegliato su suo figlio, donandogli parte di quei loro doni di cui il mondo non aveva potuto godere abbastanza a lungo.

Padre, voglio andare a cavallo” il ragazzo lo guardava con aria implorante e, al tempo stesso, scaltra, ben sapendo di trovare in lui un silenzioso alleato contro le lunghe ore di studio che i suoi precettori volevano imporgli, approfittando del tempo inclemente. “Mia madre dice che non è prudente, per via del temporale, ma adesso il cielo è sereno e io ho già finito di leggere il libro di messer Aringa.”

Il Re dovette nascondere un sogghigno dietro la mano, perché, in effetti, il maestro di storia che la Regina aveva scelto sembrava proprio un pesce e aveva lo stesso sguardo spiritato, ma non poteva incoraggiare troppo suo figlio sulla via dell'ironia, quindi, pur contro voglia, assunse un tono severo e lo riprese.

Non è educato attribuire ad altri soprannomi offensivi”e avrebbe voluto aggiungere: “neanche quando sono perfettamente calzanti”.

Heileno abbassò lo sguardo, appena contrito, ma più per il timore di essersi in qualche modo giocato la possibilità di convincerlo che per sincero pentimento. Era un bambino di indole gentile, era generoso e conosceva perfettamente la differenza tra giusto e sbagliato, ma era pur sempre un bambino, vivace, curioso e molto intelligente, per cui non ci si poteva aspettare da lui il contegno mummificato di un perfetto erede al trono, come avrebbe desiderato sua madre.

Ad ogni modo”continuò infatti Alistair, “credo che aver imparato a memoria tutto l'albero genealogico delle principali famiglie del Ferelden richieda una piccola passeggiata.”

Il sorriso radioso che si era guadagnato con quelle poche parole valeva bene il rimbrotto che si sarebbe sorbito in seguito dalla sua consorte. Cercò, comunque, di limitare i danni.

Anche il mio cavallo ha bisogno di sgranchirsi le zampe. Che ne dici se li portiamo a correre fino alla collina?”

Non avrebbe avuto bisogno di chiedere; nel giro di pochi minuti stavano già correndo fuori dalle mura cittadine, schizzandosi di fango gli abiti poco adatti ad una cavalcata e ridendo senza un motivo per la pioggia sottile che bagnava loro il volto, lavando via piacevolmente preoccupazioni e scomode realtà.

Non veniamo qui spesso, padre” si meravigliò, mentre procedevano al passo tra i rami di quel brullo boschetto che il Re non aveva mai permesso fosse abbattuto per ricavarvi terreno coltivabile e adesso appariva come una macchia di verde brillante in mezzo al riverbero giallastro del grano poco maturo. “Credevo non vi piacesse, anche se il vostro desiderio di conservarlo mi confondeva.”

Amo questo luogo” sorrise il Custode. “Ma è un amore che fa male. Spero che tu non debba mai sperimentarlo.”

Perché?” era ancora la sua domanda preferita, tanto che Alistair aveva sempre scherzato, raccontandogli che era stata anche la sua prima parola.

Non voleva metterlo a parte di certi segreti, un bambino doveva credere nell'amore dei propri genitori, ma le ballate ancora cantavano la verità e Heileno era abbastanza grande da poter capire che l'affetto può nascere anche in un cuore spezzato e che può essere sufficiente per creare calore e unione, al di là di promesse eterne e di indimenticabili utopie.

Eravamo accampati qui, prima dell'ultima battaglia. Qui ho fatto la mia prima proposta di matrimonio.”

Non a mia madre” era pura curiosità, scevra di rimproveri, che forse neanche riusciva a formulare. “L'avete sposata dopo aver sconfitto la Prole oscura.”

Non a tua madre.”

È la storia che racconta lo zio Oghren, vero? Quando si ubriaca e diventa triste. Avete chiesto la mano dell'eroina del Ferelden e poi è morta.”

Un riassunto molto sintetico, ma tristemente calzante.

Era bella?” continuò il bambino. “Cioè, so quello che dicono le storie, che era una dea, con occhi come stelle e la pelle profumata di gigli. Ma spesso le storie sono stupide e non dicono la verità.”

Il re si chiese se mentire, se suo figlio volesse solo sentirsi rispondere che Eilin non era bella quanto sua madre, ma aveva sempre cercato di non raccontargli frottole, preferendo piuttosto tacere e adesso che l'aveva portato qui, spinto da chissà quale insano istinto, non poteva esimersi dal rispondere.

Non aveva occhi come stelle, né pelle di porcellana. Era una guerriera, forte, coraggiosa e sì, era bella, ma non aveva l'aspetto da bambola che adesso vogliono attribuirle e che avrebbe odiato con ogni fibra del suo essere. Tua madre assomiglia a una principessa delle fiabe, lei non assomigliava a niente che sia mai stato visto su questa terra.”

Anch'io voglio conoscere una donna come lei, da grande! E voglio combattere al suo fianco e salvare il mondo, come avete fatto voi.”

Alistair gli sorrise, un sorriso malinconico che nascose con una carezza e un bacio.

Io ti auguro di vivere in pace, invece. Di non vedere mai l'orrore di un mondo martoriato e spaventato, di non conoscere mai il dolore di un addio tra lacrime e sangue.”

È così che è morta?”

Io non ero al suo fianco, ma ho visto morire così molti coraggiosi guerrieri e troppi amici.”

Chi c'era con lei? Le storie non ne parlano.”

C'era colui che non l'aveva mai tradita” avrebbe voluto sfogarsi il re. “C'era l'uomo che l'aveva amata come e più di me, dal primo istante, fino all'ultimo istante. C'era l'eroe silenzioso che l'ha salvata da una morte in solitudine e da una fine ancora più terribile ed eterna.”

Ma nessuno mai avrebbe dovuto sapere tutto questo, nessuno, eccetto lui e le altre tre persone che avevano collaborato a quel progetto folle, capace di distruggere ciò che tutti ritenevano avessero salvato.

Wynne era stata perentoria a riguardo, mentre gli stringeva la mano, ormai debole, sporca del sangue di Zevran e del proprio. Aveva fatto promettere a tutti, persino a Morrigan, di non rivelare mai la loro pericolosa follia, e nessuno si era sognato di negarle quel saggio giuramento, dopo che l'anziana maga li aveva salvati, donando all'assassino il suo spirito e concedendogli gli attimi indispensabili per portare a termine la sua missione, laddove il demone invocato dalla strega avrebbe finito per ucciderlo prima che tutto potesse compiersi in una fine meno che disastrosa.

Leliana non si era più avvicinata a loro, dopo quell'episodio. Si era congedata dal passato con il funerale di Zevran e dell'amica, sepolti insieme, nelle Selve, senza sfarzo, senza rumore, senza lacrime, in uno smarrimento troppo profondo per trovare sfogo nel comune cordoglio.

Morrigan aveva assicurato che l'anima di Eilin era salva, ma ancora adesso Alistair faticava a trovare il giusto modo per gioire di quella meraviglia. Del destino di Zevran nessuno sapeva nulla. La maga non aveva potuto più avvertirlo, da quando il demone aveva ceduto il passo allo spirito di Wynne, e il Re sapeva che non se l'era mai perdonato, anche se si rifiutava di ammetterlo. Tutto ciò che poteva dire era che le spoglie del vecchio compagno e rivale giacevano in una fossa coperta di muschio, ma se la sua anima fosse ancora nell'Oblio, o avesse trovato pace con quella del loro comune amore, avrebbe continuato a chiederselo fino all'ultimo respiro.

C'era un nostro compagno,con lei, l'elfo dei Corvi di cui parla la ballata che ti piace tanto”disse solo. "C'era lui a guardarle le spalle, contro l'Arcidemone. Lui, ad aiutarla a sconfiggerlo.”

 

 

 

“Possiamo parlare?” la domanda, sfuggita faticosamente alle sue labbra atrofizzate, era diretta tanto a lei quanto a se stesso, perché, nella debolezza infinita in cui si stava perdendo, non era certo di avere abbastanza fiato da sprecare.

“Le parole sono strane, qui” mormorò Eilin, dopo qualche attimo. “Risuonano come echi sconosciuti in tutto l'Oblio e raggiungono i sogni degli innocenti, trasformandosi in effimere chimere d'incubo.”

“In pratica, vorrebbe dire no?” Zevran riusciva a stento a reggersi in piedi, così l'ironia non poté del tutto a mascherare le sue emozioni.

Di certo non era ciò che voleva dirle, ciò che aveva pensato o desiderato farle sapere, ma in quel momento la verità sembrava troppo prepotente per uscirsene fuori senza distruggerli, i suoi sentimenti troppo scontati per aver bisogno di trovare espressione fisica in quel vuoto che sembrava potesse inghiottirli e macchiarli.

Avrebbe voluto dirle che l'amava, che vederla, anche in quel pozzo oscuro, riempiva la sua anima di un calore dimenticato e immeritato, che l'avrebbe portata al sicuro, a qualsiasi costo, con qualsiasi mezzo, ma, giunti a quel punto, pronunciare anche una sola di tali auliche sciocchezze gli pareva inutile come i commenti sul tempo in una mattinata di pioggia.

Molto meglio concentrarsi sul contingente e dimostrare coi fatti quello che il fiato poteva solo lasciar sperare.

Eilin, però, non doveva pensarla allo stesso modo, perché, per quanto banale, non seppe evitare di pronunciare la più grande sciocchezza che mente umana avesse saputo inventarsi, in chissà quale remota epoca storica: “Perdonami.”

Fu un sussurro, una preghiera e forse un ordine, ma soprattutto fu un ingiusto spreco di parole, perché se avessero dovuto perdersi in stupidaggini, allora Zevran pensò che avrebbe fatto meglio a chiuderle la bocca continuando a mormorarle: “ti amo”, seguendo il suo piano iniziale, piuttosto che dover ascoltare il rimorso per un'azione che gli aveva ridato vita, pur portandolo verso morte certa. Ma non fece niente neanche stavolta, limitandosi a scuotere la testa, o a tentare di farlo, concentrandosi sul freddo penetrante che aveva iniziato a raggiungergli il ventre, provocandogli atroci spasmi convulsi che a stento riusciva a dominare.

“Non avrei dovuto invocarvi qui” continuò imperterrita la giovane, evidentemente incapace di intuire i suoi desideri, in preda ad un cieco e feroce senso di colpa. “Non avreste dovuto dar retta alla mia codardia.”

“Almeno adesso ci riconosci parte della responsabilità” per quanto fosse sicuro di aver intuito il modo per uscire da quella gabbia, riuscire a farlo rimaneva ancora una mera fantasia. “Tu potrai averci chiamati, ma non ci hai costretti a raggiungerti.”

“È quasi la stessa cosa...”

“E, scusa se ti interrompo prima di ascoltare altre idiozie, ma il bietolone non mi perdonerebbe se scordassi di riferirtelo: sia Alistair che io abbiamo passato l'inferno quando ci hai lasciati e l'avremmo attraversato tutto, nudi e con un cactus sulla schiena, pur di rivederti un'ultima volta. Quindi non sentirti in colpa per avermi regalato ciò che più desideravo al mondo, al massimo scusati col tuo Re, per avergli affibbiato una responsabilità tale da impedirgli di seguirmi.”

Anche se credeva di non ricordarsi come si facesse e sapeva di non aver motivo per farlo, Eilin si ritrovò ad allargare la bocca in un sorriso, piccolo, incerto, ma pur sempre reale.

Non era una stupida e intuiva, pur senza averne certezza, che la presenza dell'elfo in quel luogo avrebbe avuto conseguenze devastanti, per lui, se non per altri; la sua mente e la sua anima le rimproveravano il suo egoismo, ma il suo cuore, che ormai esisteva quasi solo per forza di volontà, non riusciva a smettere di esultare.

Non era più da sola insieme agli incubi che l'avevano dilaniata e quasi sconfitta e, per quanto razionalmente fosse certa che sarebbe stato meglio per tutti se si fosse arresa, il solo fatto di sentire di nuovo quella voce, di osservare quel volto, attraverso il velo stanco di nebbia che le copriva lo sguardo, di immaginare il suo profumo al di là dell'ineffabile tanfo di morte e disperazione di quel luogo, il solo fatto di sentirsi viva di nuovo, oltre ogni ragione e rettitudine, la portava a sorridere, come una stupida, per un attimo, solo in quell'attimo, che nell'assenza di tempo dell'Oblio avrebbe anche potuto durare in eterno.

O magari poteva durare giusto un battito di ciglia e, per quanto fosse romantico e dolce rimanere a fissarsi come ebeti innamorati, avrebbe avuto quantomeno senso cercare di non sprecare l'immenso sacrificio compiuto dal suo amico per il puro piacere di rivederlo davanti a sé.

Era la cosa più logica da fare: riprendere il controllo, razionalizzare. E poi cosa avrebbe potuto dirgli ancora? Zevran non voleva le sue scuse e lo capiva, erano inutili e patetiche. Avrebbe voluto forse sentirle dire la verità, ma poteva permettersi di farlo, sarebbe stato giusto? Non potevano bastare poche frasi stiracchiate per descrivergli la complessità e la profondità dei suoi sentimenti e quelle semplici parole che tanto spesso aveva pronunciato per Alistair, e che erano state vere, profonde e importanti, sembravano adesso inadeguate, inespressive, troppo comuni.

Di certo i loro occhi parlavano di quello che le labbra non riuscivano a pronunciare, ma rimanere a logorarsi nell'incertezza non avrebbe giovato a nessuno.

“Hai un piano?” di fronte alle situazioni di crisi, Eilin sapeva evidentemente ritrovare il suo salutare pragmatismo. “Ho provato a tirarmi fuori di qui migliaia di volte, credo, ma non esistono certezze quaggiù, né logiche a cui aggrapparsi. Potrei anche essermi immaginata tutto e aver passato il tempo a scrutare il vuoto.”

Toccò a Zevran sorridere, in un tuffo nel passato ricreato dall'improvvisa forza di quella voce, prima esile e debole, ora di nuovo in grado di trascinarlo all'azione.

Però dirle che non aveva molte idee su come comportarsi e che finora si era mosso a braccio non sembrava propriamente eroico o anche solo costruttivo.

“Ho cercato di spezzare queste sbarre” continuò per fortuna la Custode, esimendolo da una risposta immediata. “Ma presto non ne ho avuto più la forza e, comunque, non credo sia possibile riuscirci. Ho cercato di meditare, di convincermi che tutto fosse un'illusione, ma è reale, che mi piaccia o meno. E poi c'è lui, la creatura, l'insieme di creature... non ho ancora capito come definirlo, ma lo sento dentro di me, intorno a me, ogni istante, come una presenza incorporea e pressante che mi chiama e mi strattona, ferendomi senza ferirmi, uccidendomi senza uccidermi.”

“Il destino dei Custodi è particolarmente ironico” Zevran aveva stretto le lame fino a farsi sanguinare le mani, cercando di respingere la sensazione di apatia con un dolore altrettanto pungente, ma conosciuto. “Tu sei l'ultimo dei sigilli che ha incatenato il Flagello e, al tempo stesso, lo sta nutrendo.”

Eilin annuì, meno sorpresa del previsto di fronte a quella sconcertante rivelazione.

“Non viene mai quaggiù, fisicamente. Non so neanche se abbia un corpo fisico nell'Oblio, ma so per certo che non ne ha bisogno e se anche non ucciderà me, di sicuro non risparmierà te, quindi dobbiamo sbrigarci a uscire.”

“Credo che questo luogo sia in bilico, il punto tra sogno e realtà da cui, probabilmente, quegli antichi maghi corrotti hanno fatto breccia per la Città dorata.”

“Avrebbe senso, visto che mi trovo qui e sono la malta metafisica per questo fantomatico buco.”

“Anche noi siamo in bilico: non possiamo ribellarci, perché, evidentemente, rendiamo solo più pesanti le nostre catene, non possiamo arrenderci, perché facendolo svaniremmo del tutto, cosa che, per inciso, è proprio quella che l'incantesimo o la maledizione che ci tiene quaggiù vorrebbe facessimo.”

“Sembra un dannatissimo vicolo cieco.”

“No, è un paradosso.”

“Ancora peggio. Quando da bambina il mio precettore provava a addentrarsi in questi ghirigori filosofeggianti, mi veniva sempre un feroce mal di testa.”

“Noi, invece, imparavamo a conviverci fin dall'inizio, se non volevamo soccombere, perché tutta la nostra esistenza era paradossale: annientare se stessi per mantenere se stessi, sembra quasi uno scioglilingua” lo disse senza nessun rammarico, senza autocommiserazione, come una semplice verità. “Tu hai sempre avuto una personalità indomita, Eilin, per questo sei riuscita a superare le barriere della tua gabbia con la pura forza di volontà, ma adesso questo non può aiutarti. Devi diventare vuoto, per vincere il vuoto.”

La ragazza lo fissò con aria tanto accigliata e indignata da farlo ridere, ma Zevran soffocò subito quel suono, pur liberatorio, per paura di attirare sgradite attenzioni o peggiorare la loro già precaria condizione. Inoltre il suo corpo stava per cedere, lo sentiva, tramite quel filo di coscienza che ancora era legata alla sua parte materiale, mentre si sgretolava e dissanguava, mentre i suoi organi interni collassavano e marcivano, bruciati dal lyrium e consumati dal demone.

Non aveva fiato per il sollievo, non aveva tempo per lunghe spiegazioni.

“Devi fidarti di me” disse soltanto.

“Come sempre” due semplici parole, più potenti di un “ti amo”. E, dopo averle sentite, l'idea del male che avrebbe dovuto infliggerle diveniva ancora più insostenibile, eppure era necessario, era inevitabile. Forse un uomo come Alistair, nobile, coraggioso e altruista, avrebbe saputo trovare un'altra via, ma lui era un Corvo, era un assassino e conosceva solo la strada più dolorosa e oscura per raggiungere la verità.

“Tu sei morta, Eilin, non esisti più nel mondo” iniziò a sussurrare l'elfo, con tono freddo, impersonale, quasi cantilenante, ignorando la stretta tormentosa al petto davanti allo sguardo confuso e addolorato di lei. “Il tuo corpo marcisce in un prezioso scrigno di pietra, ma ha già perso ogni tratto che ti rappresentasse, è solo carne putrida, puzzolente, vuota. Non fai più parte della realtà, sei un ricordo e presto non sarai altro che polvere dimenticata.”

Eilin taceva, nascondendo dietro una maschera di stoicismo le lacrime che volevano traboccarle dal cuore, evitando di chiedere il motivo di quelle parole, probabilmente intuendolo, ma non per questo sentendole meno dolorose; Zevran la ringraziò mentalmente per quell'ultima e estrema manifestazione di coraggio, ma non si permise di tentennare.

“Hai finito il tuo tempo, per quanto poco sia stato. Non esiste un futuro per te, non esiste un diverso destino. Sei fiato e vento, sei un fantasma. L'eco di un passato che non sa rassegnarsi al presente. Dove prima camminavi, ora c'è solo un vuoto che qualcun altro riempirà, senza neanche sapere che tu sia esistita. Dove prima ridevi, ora c'è silenzio. Dove prima amavi, ora c'è il nulla. Non hai un nome, non puoi essere chiamata, perché non esisti. Non hai sostanza, sei morta.”

Era un gioco pericoloso, senza garanzie. Un'ispirazione che poteva rivelarsi fatale, ma l'unica che avesse avuto, quindi inevitabile, perché di tempo per vagliare ipotesi non ce n'era e non ce ne sarebbe stato.

“La morte è la fine. La morte ti ha già reclamato e il mondo ti ha cancellata. Non c'è niente che tu possa fare, non c'è niente per te, perché tu sei niente, adesso.”

Se fosse riuscito a distruggere la sua volontà di esistere prima che l'Arcidemone avesse consumato la sua anima, forse avrebbe potuto liberarla, salvarla. Non ne era certo, e avrebbe voluto che Morrigan fosse lì a consigliarlo, ma era solo e debole, indegno del ruolo che si era scelto, ma deciso a ricoprirlo al meglio delle sue capacità.

“Sei un miraggio, un'illusione. La tua vita si è spezzata su una torre fatiscente, molti mesi orsono. Tu non sei. Io sto parlando a un ricordo, sto parlando da solo.”

Un gemito sommesso lo fece tremare, ma non interrompere.

Non sapeva dove trovare la forza per continuare a pronunciare certe blasfemie, non sapeva come riuscire a riversare su di lei le parole che tanto spesso gli avevano riservato da bambino, ma che mai gli avevano fatto tanto male quanto ora, che ne era carnefice e non vittima.

Il tempo sembrava eterno, in quel luogo, e eterno sembrava essere diventato il suo tormento e quello di lei, mentre la sua immagine continuava a risplendere, forte e tormentata, nel centro della gabbia.

“Probabilmente sto sbagliando tutto” si trovò a pensare Zevran, cedendo alla disperazione. “Sono venuto qui solo per torturarla.”

Eppure continuò a infierire, a sgretolare pezzo per pezzo la sua essenza, incessantemente, ferocemente, finché, ormai stremato, vide l'immagine di Eilin tremolare, quasi svanire, per un attimo.

Pregò il Creatore di chiamarla a sé, se mai fosse riuscito a liberarla da quella prigione, perché mai spirito ne era stato più degno, ma proprio quando si preparava a sferrare l'ultimo colpo, il suo corpo cedette, scivolando sul pavimento della cella in un groviglio contorno di membra scomposte e dolore.

“Sto morendo” capì. “Dei, vi prego, non ancora, non adesso.”

Ma gli dei non erano misericordiosi, lo sapeva e, per quanto lottasse, avvertiva il respiro farsi rantolante, il battito sempre più irregolare, il cuore sempre più debole.

“Zevran” la voce di Eilin ormai era meno di un sussurro.

Sarebbe bastato così poco, un unico attimo.

Chiuse gli occhi, incapace di osservare il suo patetico fallimento, di accettarlo, di rassegnarsi, ma senza più forze per lottare.

“Perdonami” sussurrò quell'assurda, stupida parola quasi tra le lacrime, ormai stufo di mostrarsi forte, stufo di filosofeggiare, di mentire. “Ti amo.”

Forse fu quell'amore a richiamare a sé una forza che non gli apparteneva, forse fu il suo sacrificio o magari fu solo uno strano scherzo del destino, ma proprio quando tutto sembrava finito, quando la disperazione stava per batterlo, sentì la vita colmargli le membra, delicata, leggera, fragile più di una piuma, ma sufficiente a farlo alzare di nuovo, a dargli la forza per pronunciare le ultime parole di quell'incantesimo oscuro che si era inventato e che aveva intrecciato intorno a loro, nella speranza remota che il male potesse salvare il bene, almeno una volta, in quel luogo dove l'assurdo era reale e la realtà era assurdo.

“Lascia questo luogo, fantasma senza nome” la salutò, cercando di guardarla un'ultima volta negli occhi, che ormai erano un sottile velo colorato contro l'oscurità delle pareti. “Lasciati indietro il passato, il dolore, te stesso. Sei morto, fantasma. Sei niente e il niente non può continuare a esistere.”

L'immagine di Eilin vacillò un'ultima volta, guizzò luminosa e feroce, sforzandosi di resistere, temendo naturalmente l'oblio, poi un grido lacerò il silenzio, un urlo di rabbia, disperazione e paura. La stanza si riempì di invisibile furore, il mondo intero sembrò tremare e spezzarsi come un guscio di noce privo di gheriglio, mentre la gabbia, che aveva contenuto le spoglie immateriali della Custode, rimase finalmente vuota, così semplicemente e velocemente da far pensare che tutto fosse stato un semplice miraggio.

Zevran crollò in ginocchio, sorridendo, ridendo, piangendo. Sentiva la presenza del drago mostruoso su di sé, ma non lo temeva, non gli importava.

Aveva compiuto il suo scopo e, nel caos di fiamme gelide che lo circondava, non aveva motivi per continuare a lottare. Aveva scelto il suo destino e lo aveva percorso fino in fondo; adesso non aveva bisogno di rassegnarsi, poteva accettare il tormento che lo attendeva con animo sereno, perché nella furente disperazione di quell'amalgama di crudeltà e egoismo che il mondo aveva soprannominato Arcidemone intuiva la salvezza dell'unica cosa cui mai avesse tenuto in vita sua.

“Vieni” disse, con un ultimo sorriso di scherno. “Non ti temo.”

Ma non fu l'artiglio del mostro a ghermirlo, non fu il fetore rancido del suo corpo a colmarlo.

Un bacio gentile sfiorò le sue labbra, una mano delicata gli sollevò il volto.

“Vieni” sussurrò Eilin, con sguardo determinato e gentile. “Non ti abbandono.”

 

Oddio... ci siamo davvero, è la fine. Non credevo davvero che ce l'avrei fatta e, probabilmente, dopo tutto il tempo che ho impiegato per arrivarci, ho fatto anche un disastro (ditemelo, in caso, magari la riscrivo!). Ad ogni modo siamo qui, è finita e io ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno continuato a seguire la storia in questi lunghi anni, perché è di anni che sia parla, che mi hanno incoraggiato e dato la voglia di portarla a termine. Grazie davvero!

  
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