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Autore: piccolo_uragano_    19/09/2015    0 recensioni
sentiva nel petto l'amore che non era mia riuscita a soffocare. Loro erano qualcosa di unico, e lo sarebbero sempre stati.
Quando il tempo non passava/non passava la nottata/eri solo da incontrare/ma tu ci sei sempre stata.
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Un'amore innocente ma radicale sulle note di una canzone magica.
(RIFERIMENTI AL MONDO DI HARRY POTTER)
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Più ti guardo e meno lo capisco
da che posto vieni,
forse sono stati tanti posti
tutti da straniera.

Lei aveva i capelli ricci, ribelli, legati come capita. Due occhi azzurri come il cielo, due occhi stanchi, due occhi che cercavano l’orologio ogni trenta secondi. Stava appoggiata al suo motorino scassato, con le cuffie nelle orecchie, mostrando fiera al mondo le sue lentiggini e le sue gambe magre. Lui era appoggiato ad una colonna, mentre rideva con il suo migliore amico, fuori da quella scuola di gente più pazza di loro, mentre cercava di immaginare come fosse il collo sotto al foulard celeste che quella ragazza portava. Cercava anche di non far vedere all’altro ragazzo che la stava osservando, perché in un certo senso se ne vergognava.
 
Chi ti ha fatto gli occhi e quelle gambe
ci sapeva fare,
chi ti ha dato tutta la dolcezza
ti voleva bene.

Lei stava uscendo da quel parco, quello con il lago e le anatre, con il custode gentile e le scritte sulle panchine. Rideva, mentre ascoltava la sua amica, che era bella, sì, ma non come lei. Lui le osservava, mentre senza volerlo le andava incontro. Era ancora più bella quando sorrideva.
“Scusa, hai da accendere?” aveva chiesto, dandosi subito dell’idiota. Quella non sembrava assolutamente una fumatrice. Di solito, sapeva fare di meglio.
Ma lei, stranamente, aveva annuito. Aveva messo le mani nella tasca davanti dello zaino, mostrano dita regali e unghie ricoperte di smalto rosso. Con un’insolita eleganza, aveva estratto un accendino verde da quella tasca.
Lui aveva concesso alle loro mani di sfiorarsi leggermente, mentre accendeva quella sigaretta.
“Ti ha mai detto nessuno che assomigli a James Potter?” aveva chiesto, alzandosi leggermente sulle punte di quelle vecchie Superga consumate. Lui non ce l’aveva fatta, a non sorridere. Lei era dannatamente bella, e aveva appena detto una cosa a cui non aveva mai pensato.  Lei aveva dei pantaloni grigi attillati, una camicia di jeans, probabilmente da uomo, che le arrivava a metà coscia, con le maniche arrotolate e i primi bottoni slacciati. Non portava più il foulard, come qualche giorno prima, per mostrare alla base del collo un ciondolo con i Doni della Morte.
James Potter? Lui era un semplice ragazzo, si disse, con i capelli castani sempre in aria e gli occhiali che scivolavano sempre giù dal naso. Andava in giro con i suoi amici a fare lo stupido, cercando un senso a tutto quanto, e quei libri li aveva letti una vita prima. Però li aveva amati, perché lo avevano fatto sognare.
Aveva sorriso, riempiendosi i polmoni di fumo. Con un gesto semplice, aveva fatto roteare l’accendino in aria, verso di lei. E lei, senza nemmeno guardarlo, lo aveva afferrato al volo.
“Fatto il misfatto, Lily Evans.” Questa era stata la sua risposta. Non aveva idea di chi lei fosse, ma quel suo sorriso consapevole  gli piaceva moltissimo. Così, muovendo leggermente le spalle, se ne era andato per la sua strada, lasciandola lì, più che sicuro di aver sentito la sua amica scoppiare a ridere.
 
Quando il cielo non bastava
non bastava la brigata
eri solo da incontrare
ma tu ci sei sempre stata

Eppure non lo aveva mai visto, prima. Ne era sicura. Seduta in un tavolo, decisa a far passare il tempo, decisa a perdere quell’ora di scuola, perché era sicura che sarebbe stata un’ora assolutamente inutile. Girava il cucchiaio nel cappuccino, cercando di mischiare lo zucchero, quando sentì l’impulso di alzare lo sguardo.
E lui era lì, esattamente come sarebbe dovuto essere. Appoggiato al bancone di quel bar vuoto, perché erano le otto e dieci e la gente o dorme o è già al lavoro. Lei lo guardava, mentre lui chiacchierava allegramente con il barista, come se si conoscessero da sempre, come se fosse normale. Era successo quasi per caso che si guardasse attorno. Quasi non si era accorto di lei, perché stava per passare oltre con lo sguardo, quando aveva notato quei riccioli, quegli occhi blu, quelle lentiggini, quel sorriso. Con la sua solita camminata spavalda, si era avvicinato.
“Questo posto è occupato?” aveva chiesto con tono gentile, indicando la sedia davanti a lei.
“Dipende da chi lo reclama.” Aveva risposto lei, trasformando quel sorriso gentile in una smorfia divertita.
“Uno che assomiglia a James Potter.”
Lei, abbassando la testa, gli aveva fatto segno di sedersi. “E perché James Potter non è a scuola?”
“Perché mi sono svegliato e ho pensato che oggi sarebbe stato bello portare quella ragazza che assomiglia a Lily Evans a Fiesole.”
 
Quando si allungava l’onda
sopra tutta la giornata,
eri solo da incontrare
ma tu ci sei sempre stata.

C’era una piazza a Fiesole, dove fermavano gli autobus. Dopo questa piazza, una via stretta e ripida portava in un posto noto a pochi. Era una piazzetta, piccola, vuota.  Sotto di essa, Firenze era piccola ed indifesa.
“Quindi hai una vita assolutamente normale.” Constatava lui.
“Che ti aspettavi? Che fossi un’agente segreto?”
Lui non sapeva se guardare lei o Firenze che le stava nel pugno. “E la tua famiglia?”
Lei aveva abbassato lo sguardo. “I miei genitori sono morti. Quando avevo quattordici anni. Io vivo con mia sorella, Anna, e il suo compagno.”
Lui non ci poteva credere. Eppure era da quella mattina alle otto e dieci che sorrideva. “Mi dispiace.”
Vederla abbassare lo sguardo, per cercarsi la mano e girarsi i pollici, fu come osservare un’opera d’arte in movimento. “Si, dispiace a tutti.”
 
Più ti guardo e più mi meraviglio
e più ti lascio fare ,
E ti guardo e anche se mi sbaglio
almeno sbaglio bene.

Lui si era steso nel prato, e la sua felpa verde si confondeva con l’erba, mentre si rotolava nelle margherite. Lei lo osservava e rideva, come una bambina, mentre lui prendeva un soffione e le soffiava in faccia. Il telefono dovette squillare tre volte prima che lei lo sentisse. “Pronto, Anna?” in quel momento, lui si rese conto con doveva essere almeno mezzogiorno. “No, non torno a pranzo. Sono da Sara. Si, si, certo.” Aveva chiuso il Motorola e si era gettata nell’erba, a confondersi con i fiori.
 
Il futuro è tutto da vedere
e tu lo vedi prima,
me lo dici, vuoi che mi prepari
e sorridi ancora.

Addentava quel panino come se non mangiasse da secoli, eppure era magro, magro e bello. “Quindi, quale è il tuo sogno nel cassetto?” aveva chiesto, con la bocca piena.
Lei aveva sorseggiato la coca-cola. “Vorrei fare il medico.”
“Ed è per questo che sei allo scientifico?”
“No, mi iscrissi per i camici e le provette, hai presente? Poi capii che volevo salvare vite umane, in quale modo.”
“E quando lo hai capito?”
“La notte in cui morirono i miei.” Era pazzesco, perché era come se avesse detto che il sole picchiava forte, e che non sembrava essere novembre. “Ero in ospedale e vidi negli occhi del medico che ci disse ‘abbiamo fatto il possibile’ che era davvero dispiaciuto, sfinito. E mi dissi, ecco, io voglio diventare così.”
“Dispiaciuta e sfinita?” aveva domandato lui, per alleggerire la tensione dell’argomento.
Lei aveva capito e aveva riso. “Si, esatto. Dispiaciuta e sfinita.”
 
Quando il tempo non passava
non passava la nottata
eri solo da incontrare,
ma tu ci sei sempre stata.

Lei se ne stava di nuovo appoggiata al motorino, ma la scuola era diversa. Era la scuola di lui, era quasi l’una e lui era seduto al banco e non riusciva a stare fermo, perché lei gli aveva scritto che era uscita alle dodici e sarebbe passata a prenderlo. Perché era passata una settimana dalla gita a Fiesole, e lui non riusciva a pensare ad altro se non a lei. I suoi amici se ne erano accorti, anche se lui negava.
“Insomma, la smetti? Due minuti in più di quando me l’hai chiesto l’ultima volta, dannazione!” sbraitò il suo amico.
“Non sarà perché c’è la ragazza dell’accendino qui fuori, vero?” aveva domandato l’altro. Lui aveva fatto segno loro di non impicciarsi, e dopo un tempo che sembrava infinito la campanella era suonata.
Nella calca di ragazzi, distinguere quei suoi capelli scompigliati non fu difficile. E per lui trovarla fu troppo semplice. Senza dire niente, lei gli porse il casco e partirono, per andare lontani, per stare di nuovo solo loro, per tagliare fuori il mondo, perché loro erano più importanti.
 
E anche quando si gelava
con la luna già cambiata
eri solo da incontrare ma
tu ci sei sempre stata.

Il Luna Park era affollato, mentre le musiche delle varie giostre si confondevano tra loro e le luci si fondevano. Loro si conoscevano da due mesi, eppure lui non si stancava di guardarla e scoprire nuovi particolari di quel viso magico. Impugnava il fucile senza rendersi conto che fosse un giocattolo, come se fosse nata per sparare. Fece cadere tutte le lattina, sbagliando solo un paio di colpi. La signora che stava dietro allo stand la guardava sorridendo, quando lui ha fatto cenno di passargli uno del peluche, l’orso con il cuore gigantesco in mano. Prima che lei si girasse, lui aveva davanti alla faccia quell’orso gigante. Lei, ridendo, lo aveva abbassato e gli aveva regalato un bacio a fior di labbra.
 
Nemmeno un bacio
che sia stato mai sprecato
nemmeno un gesto così, così.
Nemmeno un bacio
che sia stato regalato
nemmeno un gesto così,
tanto per,
così.

La luce dell’alba, nei suoi ricci, si perdeva e si confondeva. La trapunta a cui era abbracciata era bianca e pura, esattamente come l’anima di lei. A lui a volte sembrava quasi di vederla,  la sua anima pura.  La guardava dormire, dopo la prima notte d’amore, dopo quattro mesi che la conosceva e aveva rivoluzionato la sua vita senza nemmeno chiedere il permesso per entrare, quattro mesi che il mondo gli sembrava meno cattivo, meno grigio. Lei si era mossa un poco, tanto quanto bastava per comunicare al mondo di essersi svegliata. Si stiracchiò, notando che lui era lì a guardarla e a sorridere. “Mi guardi mentre dormo?” aveva chiesto, con aria stupita.
“Tu non lo sai, non lo sai il bene che mi fai.” Aveva risposto lui. Lei, d’istinto, lo aveva baciato, e si erano amati di nuovo.
 
Più ti guardo e meno lo capisco
quale giro hai fatto,
ora parte tutto un altro giro
e ho già detto tutto.

Vedere quegli occhi pieni di rabbia, a otto mesi di distanza dal giorno in cui li incrociò per la prima volta, gli sembrava straziante. Come poteva contenere tanto odio, una creatura così dolce? Ora i suoi sorrisi sembravano lontani anni luce. “Non sopporto che mi si dicano bugie, e tu lo sai bene, lo sai bene!” sbraitava. “Io mi fidavo di te.” gli si era avvicinata e lo aveva guardato con tutto l’odio di cui era capace. “Mi fidavo, cazzo se mi fidavo. Tu hai preso la mia fiducia e ti ci sei pulito il culo!” non era mai stata così scurrile, ma in quel momento non era lei. “Vattene, ti prego. vattene e non farti più vedere.”
Lui aveva scosso la testa. “Non puoi lasciarmi.” Aveva obbiettato. Non poteva concepire un mondo lontano da lei.
“Ah no?” prese la felpa che lui aveva lasciato sul divano e gliela lanciò addosso, con tutta la forza che aveva. “Guarda, l’ho appena fatto!”
Lui aveva scosso la testa ed era uscito dall’appartamento, sapendo che quello sarebbe dovuto essere il loro nido d’amore in quel finesettimana, perché Anna non c’era e perché loro si amavano. Invece aveva rovinato tutto, perché lui non se la meritava, una ragazza così. Sentì la serratura scattare, e si appoggiò con la testa e la schiena alla porta blindata, mentre si chiedeva come avesse fatto a rovinare tutto in qualche minuto. Si lasciò scivolare, sedendosi sul pianerottolo.
Lei, dall’altra parte, nell’ingresso di quella casa disordinata e piena di foto e colori, si lasciò scivolare sulla porta, sedendosi per terra, cercando con tutta la sua forza di non piangere. Ma scoppiò, perché di forza non ne aveva più tanta e perché lui aveva rotto il suo cuore di ghiaccio, perché lui era riuscita a farla innamorare sul serio.
 
Quando il cielo non bastava,
non bastava la brigata
eri solo da incontrare ma
tu ci sei sempre stata.

Non si sarebbe aspettato di trovarla lì. Erano passati due anni, ormai. Eppure lei era seduta in quel prato, come quel loro primo giorno d’amore, come se il tempo non fosse passato. I capelli erano più lunghi, lei era ancora più magra. Eppure, lui che era lì per caso, non ci mette un solo secondo per riconoscerla. Senza avere il controllo delle sue gambe, le si avvicina. Lei si gira verso di lui, scoprendo che quei due anni di più sul suo viso non pesano affatto.
E non si sentivano nemmeno in quel sorriso che si scambiano, come se non fosse passato un solo secondo.
“Alice?” chiede lui, quasi non credendoci. Era inutile fingere, l’aveva amata ogni giorno.
“Marco.” Conferma lei, gettandogli le braccia al collo, sentendo nel petto l’amore che non era mai riuscita a soffocare. Loro erano qualcosa di unico, e lo sarebbero sempre stati.
 
Quando il tempo non passava
non passava la nottata,
eri solo più lontana ma
tu ci sei sempre stata.
   
 
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