Note dell'Autrice: Sono molto più in ritardo di quanto avrei voluto con questa storia. In realtà l'ho praticamente terminata tre mesi fa, ma è una cosa su cui lavoro da così tanto tempo che avevo bisogno di separarmene per poterla rileggere con cura e correggerla.
Ad ogni modo, passando alle cose importanti, immagino sia cosa nota che io adoro Chrome e Mukuro insieme, non a caso metà delle fic su questo sito su loro due come coppia sono opera mia. Ora, in realtà questa storia si discosterà particolarmente dalle altre, nel senso che siccome la raccolta è incentrata sulla mafia e su Tsuna, beh, lo è anche questa. (Quindi niente sesso o romanticismo esagerato in generale)
Per cui, per i non amanti della coppia o dell'etero in generale, posso assicurare in anticipo che sono comunque al sicuro.
Per gli amanti della coppia, invece, questa storia si colloca all'incirca un anno prima di Mostro, in cui avevo già inticipato che i ciccini erano destinati a nozze u.ù. (E la seconda parte di quella storia è praticamente il seguito di questa.)
Anyway, stesso target e stesse raccomandazioni che alle altre storie. E se proprio devo dirla tutta la storia è più o meno velatamente 699627, amen.
Vi lascio alla lettura e... ci vedremo tra un po', la prossima è su Gokudera e sono ancora praticamente agli inizi, non ho proprio la più pallida idea di quando riuscirò a completarla. Spero che per allora qualcuno continuerà a seguire questa raccolta.
Se nel frattempo volete farmi sapere cosa pensate di questa storia, sappiate che i commenti incitano a scrivere. :P
Alla prossima!
Vongola Decimo
~ Mukuro & Chome ~
“Toh. Il tuo rapporto.”
Tsunayoshi Sawada afferrò al volo il
plico di fogli lanciato come un frisbee che minacciava di colpirlo in piena
fronte.
La giornata non era nemmeno iniziata e il
suo buon umore era già sotto le scarpe. Curiosamente, per una volta,
aveva una sola persona cui attribuirne la responsabilità: Mukuro Rokudo,
il suo settimo Guardiano, uno dei due Custodi della Nebbia e la più
grossa spina nel fianco che avesse mai conosciuto.
“Mukuro, ti dispiacerebbe entrare e
sederti? Devo parlarti.”
L’illusionista lo guardò
dall’alto in basso per qualche secondo, senza trattenere uno sbuffo di
malavoglia, ma stranamente decise di accontentare il suo presunto Boss senza
troppe storie. Si staccò dallo stipite della porta cui era appoggiato e
si accomodò alla poltrona di fronte la scrivania che un tempo appartenne
a Giotto Vongola, badando bene di buttarci gli stivali sopra.
“Tsunayoshi, che devi dirmi di tanto
importante? Sto fremendo dalla curiosità” mormorò con un
tono amabile che gli fece intendere che non poteva fregargliene di meno di
quanto aveva da dire.
Mukuro era così. Diceva una cosa, ne
pensava un’altra e ne faceva un’altra ancora. E tutte e tre avevano
il sommo potere di fargli saltare i nervi.
“Ho letto il resoconto della tua
ultima missione” lo informò.
Mukuro rimase a guardarlo per qualche
istante, poi per qualche minuto. Infine si annoiò. “Immagino che
tu stia aspettando che ti chieda di andare avanti, ma per quanto mi riguarda
puoi anche fermarti qui” lo informò, tanto perché non
stesse troppo in attesa di un E quindi?
che non avrebbe ricevuto.
Il mal di testa di Tsuna peggiorò
furiosamente.
“Mukuro, quando ti ho chiesto di
prenderti cura di quegli spacciatori da quattro soldi, non volevo prendessi il
loro posto.”
“Avresti dovuto specificarlo. Errore
tuo.”
“Mukuro…” lo
chiamò in un tono minaccioso che era un mezzo avvertimento. Quasi
credesse davvero che gliene fregasse qualcosa di come lo chiamava.
“Oh, Tsunayoshi, non farla lunga. Se
qualche ragazzino è tanto scemo da buttare tutti quei soldi per fottersi
il cervello non è mica colpa mia.”
Tsunayoshi Sawada dovette trattenere
l’ennesimo attacco di rabbia. Aprì il secondo cassetto alla sua
sinistra di scatto, tirando fuori un sacchetto con dentro delle pillole bianche
e glielo tirò contro.
La busta atterrò placidamente sul
ventre dell’Illusionista, che non sciolse le braccia da dietro la testa
per afferrarlo.
“L’hanno perquisito in una
scuola quelli della Fondazione.”
Rise. A modo suo, ovviamente. “Sempre
pensato che Kyoya Hibari e i suoi non avessero un cazzo da fare.”
“Mukuro!”
Il Boss dei Vongola era sempre più
vicino ad una crisi di nervi e il suo Guardiano della Nebbia non poteva neanche
più fingere che la cosa non lo divertisse.
“Che vuoi, non sono io quello che
passa le sue giornate a gironzolare per strada a pestare la gente.”
“Oh, no, tu le passi a dare fastidio
a Chrome e a spacciare caramelle a dei ragazzini. Caramelle che vendi a trenta
euro l’una.”
“Pensa tu quando sono stupidi i mocciosi
di oggi che spendono trenta euro per comprare di nascosto qualcosa che
potrebbero avere liberamente a dieci centesimi in un bar qualsiasi.”
“Sei tu che li prendi in giro!”
“Guarda che sono loro che le cercano.
Mica io ad andare da loro. E poi che volevi, che dessi loro sul serio
stupefacenti?”
Il mal di testa di Tsuna stava raggiungendo
livelli sempre più epici, mentre si chiedeva chi gliel’avesse
fatta fare.
Negli ultimi due mesi, c’erano stati
due decessi per droga nella provincia. Due ragazzini di tredici e diciassette
anni, morti a distanza di poche settimane l’uno dall’altro. Cocaina
tagliata male.
Qualche Famiglia rivale si era messa a
spacciare nelle scuole. In genere, i pusher da strapazzo non lo disturbavano
più di tanto. Su una cosa Mukuro aveva ragione, i tossici la droga la
cercano, non il contrario.
Quello che non tollerava, però, era
che delle droghe fossero vendute a ragazzi e ragazze minorenni, ancora inconsapevoli
delle scelte che facevano.
Non aveva dato quella missione a Mukuro per
caso. L’Illusionista, più di chiunque altro, aveva vissuto sulla
sua pelle l’assuefazione da farmaci in età sbagliata. Con la
differenza che lui non l’aveva scelto, ce l’avevano costretto. E
non si era mai ripreso del tutto.
Mukuro Rokudo aveva praticamente tutti i
difetti del mondo, ma era completamente astemio, non beveva, non fumava, non
sopportava neanche l’idea di sostanze tossiche. In realtà non
sopportava nessun tipo di farmaco, fosse anche un banale sciroppo per la tosse.
L’unica volta in cui aveva letto il
panico negli occhi eterocromi del suo Guardiano era stata quando l’equipe
medica aveva cercato di sottoporlo ad anestesia per potergli ricucire una
ferita grave che aveva riportato in battaglia.
Sarebbe morto di infezione piuttosto che
farsi iniettare qualcosa capace di addormentarlo contro la sua volontà.
Per Rokudo, chi si drogava volontariamente meritava
le peggiori agonie. Da bravo psicotico o presunto tale qual era, adorava
giocare con le menti degli altri, con una mente corrotta era ancora più
divertente.
Ma in quel caso non c’era veramente
dietro una scelta. C’erano ragazzi anche di 12 anni in piena
tossico-dipendenza. Non era molto diverso da quanto aveva subito lui.
Tsuna lo sapeva, sapeva che sarebbe stato
spietato. Gli aveva ordinato di non uccidere nessuno e lasciato carta bianca
sul resto. Non aveva neanche intenzione di sapere come aveva deciso di agire,
sapeva semplicemente che nessuno di quei quattro delinquenti c’avrebbe
mai più riprovato.
Quello che non poteva minimamente
sospettare però, era che Mukuro se ne uscisse con una delle sue anche in
quell’occasione. Aveva deciso di sostituirsi ai pusher della zona e
vendere caramelle. Caramelle in cui aveva infuso un briciolo della sua Fiamma,
poteva distinguere senza troppi problemi l’aura bluastra che impregnava
il sacchetto che gli aveva lanciato.
Chiunque fosse stato in grado di vederla ne
avrebbe riconosciuto la minaccia, come un marchio di fabbrica. Pochi
illusionisti erano capaci di fare qualcosa del genere e solo uno era tanto
deviato da farlo sul serio.
I mafiosi più accorti ormai sapevano
che se volevano distribuire sostanze illecite in quel territorio avrebbero
prima dovuto vedersela con Mukuro Rokudo degli Estraneo, il sopravvissuto ai
Vindice, il rinnegato nella mafia e, nonostante ciò, uno dei Guardiani
della Famiglia Vongola.
Tutti gli altri, la gente
normale e ancor di più i ragazzini liceali a cui vendeva quella roba,
non sarebbero mai riusciti a vedere il potere infuso in quelle piccole
pastiglie di zucchero, nonostante fosse l’unica cosa a smorzarne il
sapore di eucalipto.
E il problema era proprio questo. Quella
piccola goccia di Fiamma della Nebbia era capace di infondere un senso di oblio
in chi una Fiamma non ce l’aveva. Chi l’assumeva poteva godere
della stessa ebbrezza di qualunque altra droga sintetica, lo stesso senso di
onnipotenza, la stessa sensazione di benessere, seguita poi da quegli effetti
di ansia, sudorazione, panico e dolore accompagnati dalla droga.
Non era nessuna droga però a dare
quei sintomi, ma l’astinenza. Loro credevano di drogarsi, ma in
realtà si disintossicavano. Aveva capito il gioco di Mukuro, era
un’idea assolutamente geniale e in realtà non ci vedeva poi
così tanto di male neanche sul fatto che avesse deciso di specularci
sopra.
Anzi, se avesse avuto lui un’idea del
genere avrebbe chiesto subito aiuto a Chrome. Il problema era che Mukuro era un
bastardo. Lui stesso non lo aveva mai negato o nascosto.
La Fiamma che aveva trasferito in quelle
caramelle agiva in modo tale che quanto più qualcuno ne assumeva, tanto
più la sensazione di ebbrezza aumentava, fino a raggiungere un apice
oltre il quale iniziavano gli incubi, il terrore, la sensazione di morire, di
soffocare e di subire sulla propria pelle le paure più profonde.
Più era giovane il soggetto che si
lasciava colpire volontariamente dalla sua Fiamma, più le sue illusioni
si sarebbero rivelate cruenti.
Aveva letto su tutti i giornali il caso di
Giordana Pagliuso, una ragazza di quattordici anni che era stata ricoverata in
stato confusionale, convinta che la pelle e la carne le si stessero sciogliendo
dall’interno.
E non era l’unico caso simile.
Mukuro stava sì disintossicando praticamente
tutti i ragazzi della provincia, ma al contempo li stava punendo in modo
atroce.
Li portava al punto da realizzare che
continuare a drogarsi non valeva la sofferenza che pativano, ma prima ne
logorava i nervi e l’anima.
“Se sento che qualcuno si è
suicidato per colpa di questa roba che distribuisci in giro…”
“Tanto era già un aspirante
suicida, prima. Significa che era destino.”
“Mukuro! Stai parlando di ragazzini!”
“Ragazzini stupidi che mentono alle
famiglie e rubano per potersi drogare, se stai cercando di muovermi a
compassione stai sprecando il mio e il tuo tempo, Tsunayoshi.”
Gli puntò un dito contro, nervoso. “Se
la cosa degenera, te ne riterrò responsabile.”
“Degenererà senza dubbio e
puoi farmi i complimenti già da adesso, senza aspettare, se vuoi.”
Tsunayoshi sbuffò al limite della
frustrazione. Era praticamente inutile discutere con Rokudo. Serviva solo a
perdere quel briciolo di sanità mentale che gli era rimasto.
“Vattene. Parlare con te mi dà
noia.”
“Oh, lo vedi che quando ti impegni su
qualcosa siamo d’accordo?” lo prese in giro il suo Guardiano.
Mukuro levò i piedi dalla scrivania,
buttò le mani sulle cosce e si alzò.
“Prima che me ne scordi” disse
però una volta in piedi, “tra non molto è il compleanno di
Chrome. Organizza il matrimonio.”
Tsuna sentì tutta la frustrazione e
il nervosismo provati fino a quell’istante svanire all’istante,
dimenticati all’improvviso, di fronte lo stupore incredibile che lo
avvinse a quella frase.
“Eh?!” Non che fosse la domanda
più intelligente del mondo, ma l’unica che riusciva a formulare in
quella situazione, con gli occhi che minacciavano di uscirgli dalle orbite.
“Mukuro, non potete sposarvi!”
“E perché mai?” chiese
quello, scettico, con un sopracciglio inarcato.
“Siete troppo giovani!”
“Chrome compirà a breve
vent’anni. Non è a quell’età che in Giappone
diventate maggiorenni? Può sposarsi.”
Tsuna aveva sempre più voglia di
picchiare la testa contro il tavolo di mogano all’assurdità di
certi discorsi.
“Ma lei è
d’accordo?”
“Non lo sa ancora. Ma lo sarà
sicuramente.”
“Mukuro, vuoi che io organizzi il tuo
matrimonio con Chrome, senza averlo detto ancora a Chrome? E poi perché
non te lo organizzi da solo? Tu e le tue follie!”
“Devi pensarci tu. E poi non mi pare
che hai molto altro da fare, visto che perdi tempo a discutere le mie azioni. Mi
raccomando, fa’ che sia tutto pronto per il suo compleanno.”
Mukuro si congedò così, senza
aggiungere altro e senza dargli la possibilità di porgli le altre
centosettantadue domande rimaste in sospeso.
Come se fosse naturale decidere da un
secondo all’altro di sposarsi e sbolognare tutte le responsabilità
a qualcun altro. Tsuna voleva trucidarlo ancor di più che non per la
questione della droga.
“Ohi, ImbranaTsuna, hai intenzione di
giocare per ancora qualche altra ora con quella penna o pensi che prima o poi
comincerai a lavorare?” gli chiese un pacificissimo Reborn con uno
sguardo omicida negli occhi e una pistola puntata contro la sua testa.
Qualche anno prima, avrebbe avuto un
attacco di panico e avrebbe cominciato a correre per tutta la stanza di fronte
quella minaccia. Dopo anni di convivenza forzata con l’hitman, non solo
non aveva problemi a schivare i suoi proiettili, ma era così abituato ad
essere sparato da Reborn che un buco in più o uno in meno non gli
avrebbe cambiato troppo la giornata.
Tsuna alzò gli occhi dal rapporto
che fingeva di leggere puntandoli in faccia al suo ex tutor e attuale
Consigliere Interno. Continuava a rigirarsi la penna tra le mani.
“Mukuro mi ha chiesto di organizzare
il suo matrimonio con Chrome.”
L’hitman prese posto alla scrivania
di fronte a lui. Posò l’arma sul banco e tirò fuori tutto
il necessario per pulirla con cura. Per qualche motivo era sempre nello studio
di Tsuna che decideva fosse il caso di prendersi cura delle sue armi.
Nonostante Reborn gli avesse detto che lo
faceva soltanto perché aveva bisogno di provarle su un bersaglio mobile
dopo averle pulite, Tsuna vedeva quel gesto come un atto di estrema fiducia e
non mancava mai di renderlo in qualche modo felice.
“Ah.”
“Non lo ha neanche chiesto a Chrome,
ti rendi conto?”
“Lo sospettavo.”
“E pretende che me ne occupi io, ma
che diavolo c’entro?”
“Sei il suo Boss.”
“Appunto. Non la sua segretaria o
organizzatrice di eventi” sbuffò infastidito. Come se avesse poche responsabilità cui far fronte.
“ImbranaTsuna, non hai capito”
lo redarguì Reborn, controllando la canna della pistola. “Mukuro
non vuole che prenoti il ristorante, vuole che celebri il matrimonio.”
L’urlo stupito che buttò
ricordava più il ragazzino delle medie che era stato e non il Boss
mafioso che era. Reborn ne sorrise.
“Ma ti sembro un prete per
caso?”
“Mukuro non è cattolico, ImbranaTsuna.”
Nonostante il tono esasperato per
l’ottusità del suo allievo, Tsuna lo vedeva chiaramente che Reborn
si stava divertendo. E quando mai!
“Non sono neanche un sindaco, se
è per questo.”
“Sei il Decimo Boss della Famiglia
Vongola. E’ con questo titolo che devi sposarli.”
“Ah già, mi ero scordato che
oltre ai matrimoni legali e religiosi, ci fossero anche quelli mafiosi”
ribatté sarcastico, con uno scatto della mano che fece volare la penna
da qualche parte nella stanza.
“Hai fatto male. La prossima volta
ricordatene.”
“No, fermo, aspetta. Stai dicendo sul
serio?”
“Certo, Tsuna” sbuffò
teatralmente, tanto per prenderlo un altro po’ in giro. Poi si fece serio
“Ascolta, quello che Mukuro vuole da te è che celebri il
matrimonio di fronte tutti i tuoi amici, ma soprattutto di fronte tutti i tuoi
nemici.”
“Perché mai dovrebbe
desiderare una cosa del genere?!”
“E’ così che funziona
nella mafia. Non sarà un matrimonio riconosciuto dalla legge, ma nessuno
potrà metterlo in discussione nel nostro mondo. Tienilo bene in mente
ImbranaTsuna, perché varrà anche per te quando deciderai di
sposarti. Quello di Mukuro è un avvertimento.”
“Avvertimento? In che senso?”
“Associando il suo nome a quello di
Chrome, vuole far sapere a tutti i mafiosi che se qualcuno farà un torto
a lei, l’avrà fatto anche a lui e si vendicherà di
conseguenza. Se celebri tu il matrimonio, la loro unione avrà la
protezione di tutta la Famiglia Vongola. Significa che chiunque vorrà
mai mettersi tra loro o contro di loro dovrà vedersela contro la
Famiglia.”
“Non ha senso. Mukuro e Chrome sono
miei Guardiani, non permetterei mai comunque che qualcuno faccia loro qualcosa.
Non c’è bisogno di mettere in atto questa messa in scena.”
“Lo so. E lo sa anche Mukuro,
nonostante tutto. Ma per gli altri Boss significa poco e niente. Sono in tanti
a considerare le vite dei propri uomini del tutto sacrificabili e ormai
dovresti saperlo.”
Lo sapeva, lo sapeva eccome. Lo aveva visto
accadere più e più volte da quando era diventato Boss. E ancora
non capiva come fosse ammissibile.
“Non scordarti neanche che Chrome
è una donna e la mafia è piena di uomini che non rispettano le
femmine” chiarì con marcato accento siciliano. “Una donna
sposata, però, è una donna con qualcuno pronto ad ammazzare
chiunque tenti di metterle le mani addosso. Mukuro vuol far sapere in giro che,
in questo caso, quel qualcuno è lui.”
“Mukuro ha sempre disprezzato la
mafia. Perché ora vuole seguire le tradizioni della malavita?”
“La disprezza, ma volente o nolente,
è la sua realtà. Lo è sempre stata. Non credo sappia neppure
ragionare in modo diverso. In più, ricordati bene che se ha chiesto a te
di celebrare il matrimonio, significa che ti rispetta e riconosce come
Boss.”
I capelli lunghi, nerissimi come la notte,
con quelle sfumature blu, un po’ violette, che lo ricordavano davvero un
cielo senza luna, le ricadevano lisci, come un manto di seta sulle spalle. La
spazzola li attraversava morbidamente, mentre raccoglieva alcune ciocche in una
piccola coda alta.
Era appena uscita dalla doccia, aveva
appena finito di asciugarsi i capelli. Ancora completamente nuda, sedeva di
fronte allo specchio osservando la propria immagine. Guardava ogni singola
cicatrice, quelle che aveva riportato in battaglia, quelle che aveva subito il
giorno dell’operazione. Il giorno in cui era morta e rinata.
Qualche anno prima aveva odiato il proprio
corpo, non faceva che contarne i difetti, le mancanze. Si sentiva come un
burattino, un burattino vuoto e prosciugato, in cui non c’era più
spazio né per i suoi organi, né per la sua anima.
Qualche anno prima non sapeva ancora cosa
significasse avere una famiglia,
essere accettata per quello che era, con tutte le sue imperfezioni.
Adesso ogni volta che fissava le sue
cicatrici pensava piuttosto a quanta strada avesse fatto fino a quel giorno,
quanta ne avrebbe fatta ancora.
Doveva migliorare, doveva diventare
più forte, doveva proteggerli tutti, come loro avevano protetto lei da
ogni nemico, dalle sue paure, da se stessa.
Doveva proteggerli, perché li amava.
Amava le ragazze che le avevano insegnato
ad accettarsi così com’era. Amava gli altri Guardiani che la
stimavano e non avevano mai messo in discussione il fatto che fosse una di
loro.
Amava Tsuna, perché era stata la
prima persona in assoluto ad accettarla a braccia aperte nelle sua vita, senza
domande o pretese. Era sinceramente grato di averla al suo fianco, quasi in
quel modo lei gli avesse fatto un dono e non il contrario.
E poi amava Mukuro. Mukuro che invece
pretendeva continuamente da lei, la spronava a migliorarsi e a dare il suo
meglio senza arrendersi mai. A superare i propri limiti senza farsene spaventare.
L’aveva spinta con ogni mezzo a diventare padrona della sua vita, quando
lei una vita era convinta di non avercela più.
Mukuro era stato un padre, un maestro, un
fratello e un amico. E anche molto più di quello, pensò con un
certo imbarazzo, notando i segni rossi che macchiavano la sua pelle. Rossi di
passione, non rossi di battaglia.
Il suo corpo era pieno di difetti, ma a
Mukuro piaceva. Non aveva bisogno di altro.
Tsuna era diventato ufficialmente Don
Vongola tre anni prima, a diciotto anni. Una settimana prima che assumesse la
carica, era andato da lei, badando bene di cacciare fuori Mukuro, per parlarle.
In realtà sospettava che Mukuro fosse d’accordo, per questo
l’altro illusionista non aveva posto gran resistenza.
Quel giorno Tsuna le aveva parlato della
mafia, con una crudezza che non gli apparteneva, ma che riteneva necessaria,
senza riflettere sul fatto che non poteva essere all’oscuro sulla
malavita, dopo aver convissuto per anni con Mukuro.
Anzi, era molto probabile che lei ne
sapesse più di lui allora. Eppure, Tsuna si era seduto accanto a lei sul
freddo pavimento dell’istituto che occupavano abusivamente a Kokuyo,
aveva incrociato le braccia e le mani sul ventre e si era messo a nudo per lei.
Credeva volesse parlarle della violenza
della mafia, per dissuaderla dall’idea di accettare il ruolo di
Guardiano. In fondo, era quanto stava cercando di fare da giorni anche il suo
compagno.
E sì, era anche lo scopo di Tsuna, ma
lo aveva fatto come solo un fratello può tentare. Si era messo in gioco
per lei.
Non aveva cercato di terrorizzarla con la
crudeltà dei bassifondi, le aveva raccontato la sua esperienza, dal suo
punto di vista. Quello che non diceva mai, perché sapeva avrebbe fatto
preoccupare eccessivamente i suoi amici. Quello che probabilmente conosceva
solo Reborn e neanche per intero.
Le aveva parlato di suo padre, Iemitsu
Sawada, l’uomo che non c’era mai stato a casa a prendersi cura di
suo figlio e sua moglie, che aveva mentito e li aveva abbandonati. E che sua
madre adorava lo stesso, più di quanto adorasse lui, probabilmente. Le
aveva detto come l’arrivo di Lambo, I-Pin, Fuuta e Bianchi in casa sua
fosse stata un piccolo miracolo per lui, nonostante tutto. Perché era la
prima volta che la sua casa era qualcosa di più di quattro mura.
I bambini guardavano a lui come un fratello
maggiore, Bianchi, benché avesse più volte tentato di ucciderlo,
non gli aveva mai negato il supporto di una sorella maggiore.
Reborn aveva sconvolto la sua vita nel bene
e nel male. Gli aveva portato una Famiglia mafiosa e una famiglia vera.
Le aveva confessato di averlo odiato
davvero molte volte: lo aveva costretto a conoscere verità che preferiva
ignorare, lo aveva trascinato in una vita che non voleva. Ma Reborn gli era
sempre stato accanto, neanche fosse un padre. Quando il suo vero padre era la
stessa persona che aveva proposto il suo nome come futuro candidato, senza
prima alzare la cornetta del telefono per chiedergli il suo parere.
No, aveva preferito farsi credere morto
allora, era più romantico.
Le aveva parlato del suo primo omicidio. Di
Byakuran. Di quello che aveva provato, della disperazione nel sapere di non
aver altra scelta se voleva fermare una guerra, della rabbia e della voglia di
ucciderlo dopo la morte di Yuni. Il vero motivo per cui si era sentito in colpa
era proprio il non aver sentito rimorso nell’uccidere Byakuran.
Nel primo momento di tregua, non aveva
potuto fare a meno di pensare che magari anche lui era un mostro.
Per fortuna però, il futuro era
variabile, Byakuran nel loro tempo era ancora vivo, per cui quel gesto non era
altro che la chiave per cambiare la loro realtà, renderla migliore.
Nonostante le prime incertezze, era riuscito a perdonarsi in fretta.
Poi erano venuti Enma Kozarto e Daemon
Spade. Quella era stata la prima volta in cui si era messo in discussione
veramente. In cui all’improvviso gli era parso tutto spietato, tutto
sbagliato. Combatteva per i propri ideali e di punto in bianco si era ritrovato
senza nulla in cui credere.
Le disse cosa aveva provato quando Daemon
Spade si era impossessato di lei, le disse che ancora non sapeva cosa le avesse
fatto ma non se ne dava ancora pace. Lei a quelle parole gli aveva sorriso con
dolcezza, ma non aveva chiarito i suoi dubbi.
Ed era andato avanti poi per ore,
raccontandole tutto ciò che aveva vissuto, confidandole i suoi timori,
le sue paure. Il terrore più grande non era quello di perdere una
coscienza prima o poi, ma quella che lo facessero i suoi guardiani e che lui
non fosse in grado di fermarli.
Odiava Mukuro per essere già
così vicino al punto di rottura, per essere già così
corrotto, disilluso e spietato.
E infine le aveva chiesto come prevedeva di
non accettare il ruolo di Guardiana, non perché temeva non
l’avrebbe retto, ma perché temeva che Mukuro potesse perdersi del
tutto se anche lei fosse stata coinvolta nella mafia. Perché la mafia
cambiava tutti, stava cambiando lui avrebbe cambiato anche lei.
Mai come in quel momento, Chrome aveva
avuto le idee chiare sul da farsi. Ironicamente, era stato proprio il suo Boss
a farle prendere la decisione di cui poi non si sarebbe mai pentita.
Ricordava di avergli sorriso, ma di aver
scosso la testa, spiegandogli che avrebbe accettato il ruolo di Guardiana
proprio per questo motivo. Perché Tsuna non doveva combattere quella
guerra da solo, non quella contro la mafia, ma quella per la sua famiglia, per
i suoi amici. Non doveva cercare di proteggerli tutti, ma si sarebbero protetti
a vicenda.
Lei avrebbe protetto lui e avrebbe protetto
Mukuro, dalla mafia e da se stesso. Non avrebbe scelto una vita spensierata per
sé lasciando le persone cui teneva di più in balia del cancro
della società. Aveva scelto di essere la Nebbia, per lo stesso motivo
per cui Tsuna aveva scelto di essere il Cielo e perché gli altri
Guardiani non si erano tirati indietro al momento di giurare del proprio
futuro.
Tsuna l’aveva semplicemente
accettato. Le aveva dato un bacio su una guancia e l’aveva invitata a
prendere un gelato insieme. Una settimana dopo, partivano tutti in volo per
l’Italia.
Occupava da allora quella stanza dalle
pareti indaco, il letto matrimoniale, il comò ad angolo, e quello
specchio gigante su una parete, che la rifletteva completamente, senza
nascondere nessuno dei suoi difetti. Ma mettendo ugualmente in luce anche i
suoi pregi.
Aveva appena finito di sistemarsi i capelli
quando qualcuno bussò alla porta.
“Un attimo!”
Si legò la benda da pirata
sull’occhio destro, e si avvolse in un accappatoio dai toni blu. Per
quanto le andava lungo, probabilmente non era neanche il suo.
“Boss” notò, aprendo la
porta.
“Scusami” mormorò quello
con un lieve imbarazzo. “Se ti disturbo passo più tardi.”
“No, ho quasi finito di prepararmi,
dimmi pure.”
“Devo partire per la Puglia. Ho
sentito di un giro di traffico d’armi illegali tra Cosa Nostra e la Sacra
Corona Unita e voglio controllare la situazione prima che quelle armi finiscano
nelle mani sbagliate. Ti va di venire con me?”
“Ma domani devo partire per Milano
con Mukuro, per cercare quelle ragazze.”
Tre ragazze nel campo della moda erano
state rapite nei pressi di Milano da qualche giorno e alle famiglie era
arrivata la richiesta di riscatto. Per qualche motivo, avevano preferito
affidarsi ai Vongola piuttosto che alla polizia.
Tsuna non discuteva la loro scelta, aveva
promesso che avrebbe riportato indietro le ragazze sane e salve e lo avrebbe
fatto.
“Se ne occuperanno Hayato e Takeshi.”
“Come mai?”
Perché
Mukuro gli dava sui nervi ultimamente, soprattutto da quando aveva deciso di
informarlo quotidianamente dei suoi affari. E da quando aveva deciso di
ampliare l’azienda spacciando anche le caramelle di Lambo.
Non lo disse.
Non le disse neanche che aveva minacciato
Mukuro di strangolarlo se non lasciava in pace Lambo e, più
efficacemente, aveva minacciato Lambo di tenerlo a verdure a vita e di affidare
il suo addestramento e il suo tempo libero completamente nelle mani di Hayato, se
non la piantava di dar retta a Mukuro.
“Perché preferirei avere a te
accanto in Puglia. Mi serve un’Illusionista e qualcuno che non aggredisca
il primo idiota a vista, come farebbe Hayato.”
Chrome non trattenne una piccola risata.
“Dammi venti minuti e sono pronta a partire.”
“Ti aspetto.”
Quando la donna col vestitino rosa leggero,
il cappello vecchio stile, la folta chioma bionda e il paio di tette più
grosse che avesse mai visto lo raggiunse, Tsuna temette davvero che si
trattasse di Mukuro e di doverlo uccidere. Non avrebbe retto un intero viaggio
dalla Sicilia alla Puglia con lui. Non con lui in quelle condizioni.
Tirò un sospiro di sollievo quando
riconobbe quell’illusione come tipica della Fiamma di Chrome.
Mukuro non si camuffava quasi mai durante
le sue missioni. Solo se erano di spionaggio o se decideva di mandarlo in
bestia. D’altronde non ne aveva neanche bisogno: si era fatto un nome nel
mondo della mafia sin da quando era bambino ed era stato rinnegato e
considerato un pericolo da tutta la malavita a tredici anni. Ci teneva a
mostrarsi ai suoi avversari, adorava leggere il terrore sui loro volti quando
lo riconoscevano.
Chrome era molto più discreta,
invece, e si impegnava a non lasciare tracce. Nessuno conosceva il suo vero
volto se non all’interno della Famiglia. Aveva anche provato ad insegnare
a Fran quel genere di accortezze, ma il ragazzo era troppo abituato ai metodi
di Mukuro per non essere fuori di testa anche lui.
Quando Mukuro aveva accettato il ruolo di
Guardiano della Nebbia, probabilmente per
il solo scopo di assicurarsi che lui arrivasse alla tombe tra le peggiori
sofferenze, aveva deciso che Fran era abbastanza adulto per entrare nei
Varia.
Aveva detto che non aveva più tempo
per lui, quindi voleva sbolognarlo a quella manica di psicopatici, ma Tsuna
sapeva bene che lo aveva fatto soltanto per assicurarsi lo seguisse in Italia
dove poteva tenerlo facilmente d’occhio, ma con i Varia, in modo che il
suo nome non fosse associato a quello del fuorilegge Mukuro Rokudo.
Il problema era che lo sapeva benissimo
anche Fran che non mancava di rinfacciarlo al suo maestro ad ogni singola occasione.
Così come gli rinfacciava di aver legato la propria vita alla mafia,
benché dicesse di odiarla, di vivere con Chrome nonostante dicesse di
non aver bisogno di nessuno e di avere un feticismo preoccupante nei confronti
degli ananas.
Fran era l’unico, probabilmente,
capace di far saltare i nervi a Mukuro senza neanche impegnarsi e senza
soprattutto giocarsi la sanità mentale e un’ulcera nel tentativo.
Doveva ricordarsi di invitarlo più spesso alla villa. Tanto per
salvaguardare la propria di salute.
“Per poco non ti avevo
riconosciuta” l’accolse, quando lei lo raggiunse.
Chrome sorrise. “Allora ho fatto un
buon lavoro.”
“E’ che non sono abituato a
vederti così.”
“Mukuro dice che i nemici sono
più vulnerabili quando hanno a che fare con una donna con le tette
grosse.”
Tsuna percepì
quell’informazione con un tic nervoso. Doveva decisamente invitare Fran non appena tornava da quella missione.
Anzi, doveva lasciare a lui il compito di sposarlo.
“Vieni, andiamo.”
Le aprì la porta della limousine
nera con un gesto galante, che Chrome accolse con un sorriso. Si sedettero
l’uno di fronte all’altra. Poi Tsuna alzò il vetro divisorio
che li separava dall’autista.
Quello fu il segnale da cui Chrome
capì quanto fosse seria la missione. Tsuna era un ragazzo aperto e
spigliato e non aveva problemi a parlare di quello che faceva con qualunque
membro della Famiglia. Quando decideva di tagliare fuori chiunque men che i
suoi Guardiani, significava che la faccenda era grave. Meno informazioni aveva un uomo, meno poteva essere sottoposto a
tortura, le aveva insegnato una volta Mukuro.
Chrome creò per sicurezza una debole
illusione accanto a loro, avrebbe impedito a qualunque dispositivo di
registrare la loro conversazione, semmai qualcuno fosse riuscito ad impiantare
qualche cimice nella loro macchina.
“I dettagli della missione,
Boss?” chiese, pratica.
Tsuna si rilassò contro il sedile
della macchina e si passò una mano tra i capelli. Si allentò la cravatta
con un gesto secco. Era nervoso, capì Chrome. Ma non mancò di
rivolgerle un sorriso prima di rispondere.
“Quest’estate un gruppo di
hacker è riuscito a bucare i server dei computer della Famiglia
Bovino.”
“La famiglia di Lambo”
rifletté lei a voce alta. “E’ per questo che lui e Irie sono
stati via tutto il mese d’Agosto.”
“Già, ho chiesto a Shoichi di
dare loro una mano a potenziare i loro sistemi di difesa e Lambo ne ha potuto
approfittare per stare un po’ con la sua famiglia, visto che non doveva andare
a scuola e I-Pin era in Cina. Ad ogni modo, per fortuna, i Bovino se ne sono
accorti prima che potesse essere troppo tardi e li hanno fermati, ma hanno
comunque sottratto il prototipo di nuove armi.”
“Chi sono i responsabili?”
“Una Famiglia americana di Cosa
Nostra, i Dragna. Personalmente non c’ho mai avuto a che fare, ma
Byakuran mi ha detto che è da un po’ che la situazione in America
sta prendendo una piega pericolosa, lui e i suoi Guardiani sono andati a
studiare lì per questo” le spiegò, censurando la parte in
cui era convinto che Byakuran in persona fosse la cosa peggiore che potesse
accadere in America. “Agiscono da Chicago. Spanner è riuscito a
localizzarli e ha tenuto finora sott’occhio tutti i loro computer. Credo
anche li abbia sabotati più volte, senza farsi scoprire. Ma abbiamo
preferito evitare di correre il rischio di dichiarare guerra aperta, per cui
niente armeria pesante finora.”
“E ora cos’è
cambiato?”
“Il progetto dei Bovino era piuttosto
simile alle box che abbiamo usato nel futuro, anni fa. In altre parole, erano
delle armi che andavano attivate con le Fiamme per potere funzionare. I Dragna hanno
prodotto prototipi che, anziché aver bisogno di essere attivati,
sfruttano le Fiamme di chi le usa. Se spacciate come armi normali, la gente
comune rischia di ritrovarsi prosciugata di tutta la loro energia senza
accorgersene.”
“Perché mai qualche Famiglia
dovrebbe acquistare merci simili? Non conviene neanche a loro.”
“Funzionano da amplificatore, per chi
sa usarle. Un po’ come l’Anello del Male di Genkishi, per
intenderci. Come armi da guerra rischiano di essere micidiali. In un caso o
nell’altro, non voglio che arrivino nelle mani sbagliate.”
“Dovremo combattere allora.”
“Lo scopo è quello di impedire
la transizione e requisire la merce. Ma gli acquirenti sono i Mestroni, non
sarà facile soffiargliele sotto gli occhi.”
“Ed è per questo che ti serve
un illusionista.”
“E’ per questo che mi servi
tu” chiarì Tsunayoshi.
Mukuro sarebbe riuscito a portare a termine
quella missione benissimo da solo, ma come aveva ben specificato, non voleva
che quelle armi finissero nelle mani sbagliate.
Quando furono sul campo, Tsunayoshi decise
di dare via libera a Chrome. Aveva creato un’illusione addosso ad
entrambi. Ora erano l’immagine perfetta del magnate e la sua sgualdrina. Tsuna aveva protestato
apertamente, ma Chrome era decisa a fidarsi delle direttive di Mukuro.
Di fronte a quel commento, il Boss dei
Vongola non aveva potuto fare a meno di pensare che il Guardiano e Reborn
potevano anche mettersi a scrivere un manuale. Un bastardo e il travestimento perfetto, come titolo rappresentava
entrambi.
Si erano mossi con circospezione nelle
strade notturne di Brindisi, attiravano gli sguardi stupiti e sconvolti della
gente per bene, che si fermavano a guardarli, ma poi se ne tenevano a distanza,
giudicandoli e disprezzandoli. Quando si erano diretti verso il molo di Costa
Morena, nessuno era più disposto a dare loro un briciolo di attenzione.
Esattamente ciò che desideravano. Svoltavano da Via Annunziata alla
traversa di Vicolo D’Afflitto – completamente buia e disabitata a
quell’ora di notte – quando Chrome creò addosso a loro una
seconda illusione, rendendoli invisibili a chiunque non avesse la
capacità di riconoscere la Fiamma della Nebbia che li circondava.
D’altronde nascondere il vero
nell’illusione era uno dei suoi più grande talenti.
Avevano raggiunto il molo con una buona ora
d’anticipo rispetto all’appuntamento, e non li stupì notare
che sia i Dragna che i Mestroni avevano fatto lo stesso. Ovviamente,
però, nessuna delle due Famiglie avrebbe lasciato il proprio rifugio prima
dell’ora stabilita. Riconobbero le auto scure dei Mestroni parcheggiate a
poche centinaia di metri di distanza. Erano almeno 40 uomini e tutti armati.
I Dragna avevano usato voli privati per
trasportare le armi dall’America fino alla Bulgaria. Non erano riusciti
a seguire oltre i loro movimenti, per cui Tsunayoshi aveva presupposto si
sarebbero mossi via mare e seppe di non sbagliarsi quando individuarono la nave
mercantile.
Si infiltrarono a bordo in silenzio, poi fu
Tsuna col suo superintuito a guidare la missione. Il sangue Vongola e
l’esperienza che aveva maturato nel mondo della mafia, sapevano
suggerirgli dove trovare la merce di scambio. Bastava semplicemente cercare il
punto più protetto di tutta la nave.
Le armi erano in tre grosse casse di legno.
Una quantità paurosa, qualcosa che poteva scatenare un’intera
guerra.
“A che stai pensando?” gli
chiese Chrome sottovoce quando vide il suo volto concentrato.
Erano ancora invisibili ad occhi
indiscreti, comunque rimanevano accovacciati dietro una delle due ante della
grossa porta della stanza in cui risiedevano le armi. C’era un via vai di
gente notevole lì, Chrome aveva intensificato l’illusione nel
timore che qualcuno li scoprisse.
“Che dovevamo essere molti di
più. In due è troppo pericoloso.”
“No, Boss, possiamo farcela
tranquillamente” Tsuna si voltò a guardarla, ma non parlò
per cui Chrome continuò. “Tu riesci a trasportare via tutte e tre
le casse vero?”
Studiò bene la situazione. Aveva
sollevato un intero autobus affollato a quindici anni, tre casse d’armi
erano ingombranti e pesanti, ma niente che gli creasse problemi. “Devo
solo trovare un modo per legarle insieme, oppure trasportarle via una alla
volta.”
“Meglio una alla volta. Ci sono meno
rischi. Cerca di fare il più piano possibile e trascinale via una ad una
da qui. Nel frattempo farò credere loro che non stia cambiando nulla.”
Tsuna annuì e si mosse veloce. Non
sapeva per quanto tempo Chrome sarebbe riuscita a creare un’illusione
così forte. I Dragna erano a conoscenza delle Fiamme, per cui sospettava
che molti di loro fossero in grado di vederle. Riuscire a nascondere la Fiamma
della Nebbia e al contempo le sue operazioni, richiedeva uno sforzo e un
talento non indifferenti. Inoltre, Chrome doveva anche mantenere attivi i suoi
organi, ed era esattamente ciò che lo preoccupava di più.
Usò la Fiamma debole per darsi la
spinta necessaria a trascinare via le casse, era più facile da
occultare. Le portò semplicemente fuori dalla nave, Chrome le avrebbe
rese invisibili, proprio come stava facendo con loro. Uno sforzo in più
a cui avrebbe dovuto sottoporsi.
Perché
diavolo non aveva semplicemente mandato Mukuro?!
Ci mise poco più di dieci minuti a
trasportare tutte le armi, evitando di farsi scoprire o urtare qualcuno o
qualcosa. Quando tornò al fianco di Chrome, sembrava che nulla fosse
cambiato. La ragazza era in posizione proprio dove l’aveva lasciata, non
era stanca e non aveva neanche il fiatone. L’orecchino della Nebbia che
indossava brillava incredibilmente.
“Sei stanca?” non poté
fare a meno di chiedergli.
Chrome capì esattamente qual era la
domanda.
“Mukuro sa che sono in
missione” gli spiegò. Non che Tsuna ne avesse bisogno, sapeva che
Mukuro e Chrome erano collegati in ogni istante, ancor di più quando
usavano la Fiamma della Nebbia. Se fosse perché avevano condiviso corpo
e anima, o semplicemente perché indossavano entrambi un solo orecchino
del Vongola Gear della Nebbia non poteva dirlo con certezza. “Se succede
qualcosa ci penserà lui.”
In altre parole, Mukuro al momento del
pericolo avrebbe mantenuto viva l’illusione degli organi di Chrome. Per
quanto Tsuna lo ritenesse uno screanzato, neanche lui ne aveva alcun dubbio. E poi, Chrome era la donna che Mukuro voleva
sposare, no?
“Non voglio comunque sottoporti a
troppi sforzi.”
Chrome gli sorrise. “Non
preoccuparti, Boss. Finora, è stato tutto più semplice del
previsto. Nessuno di loro è in grado di riconoscere la mia Fiamma e
nessuno si è accorto di nulla. Andranno sicuri alla negoziazione, solo
che non porteranno niente.”
“Ottimo. Dobbiamo assistere allo
scambio, voglio sapere quale sono le loro intenzioni.”
“Cosa credi che succederà
quando scopriranno che la transizione non è mai avvenuta?”
“Faremo in modo che neanche i
Mestroni riescano a pagare, ce la puoi fare?”
“Figurati, nessun problema.”
“Quando se ne andranno e scopriranno
entrambi di essere stati raggirati, la loro collaborazione sarà
finita.”
“Non temi scoppi una faida?”
“I Dragna sono nel territorio dei Gelso,
i Mestroni dei Vongola. Non possono scatenare una guerra senza che se ne sappia
apertamente il motivo. E se accadesse qualcosa, avremo il permesso di
intervenire ufficialmente, perché sono stati loro a disturbare il nostro
territorio e a recarci torto. Senza armi dubito che i Mestroni vogliano
provarci. Quanto ai Dragna, riceveranno presto un’amara sorpresa. Il loro
laboratorio potrebbe prendere accidentalmente fuoco e tutti i computer
distrutti, dopo essere stati hackerati. In altre parole, smetteranno di
collaborare, ma non tenteranno nessuna rimostranza, se non vogliono finire di
male in peggio.” Quando Chrome scoppiò a ridere sottovoce, Tsuna
le rivolse quasi un’occhiata risentita. “Non guardarmi in quel
modo, non sono io che voglio incendiare i laboratori di nessuno, è colpa
di Byakuran, mica mia.”
“Nel senso che non sarà
Shoichi Irie ad occuparsi dei computer dei Dragna?”
Tsuna si strinse nelle spalle. “Beh,
ogni tanto lui e Byakuran si ricordano di essere migliori amici.”
“Lungi da te intrometterti in
un’amicizia, vero?” continuò lei senza smettere di
ridacchiare.
“Vedo che mi capisci.”
Le valigie contenenti il denaro andarono
presto a fare compagnia alle casse di armi. In pratica, erano giusto a qualche
centinaia di metri di distanza dal luogo previsto per l’appuntamento. Lo
scambio procedette senza intoppi, almeno era ciò che credevano tutti i
partecipanti.
Tsuna e Chrome rimasero ad assistere per
tutto il tempo, ma non riuscirono a ricavare nessuna informazione interessante.
Fu allora che Chrome gli propose di seguire
i Mestroni per capire per quali scopi avevano deciso di procedere con
l’acquisto di armi tanto pericolose, quanto letali. Per tre giorni
consecutivi, Chrome aveva retto l’illusione delle armi, li aveva resi
invisibili e aveva mantenuto funzionanti i propri organi. Il fatto che i Dragna
non avessero contattato in nessun modo i Mestroni gli suggerì che
probabilmente stava mantenendo ancora attiva l’illusione del denaro anche
in America.
L’idea di Chrome era quella di far
passare abbastanza tempo da assicurarsi che le due Famiglie non potessero
apertamente accusarsi a vicenda, ma temessero entrambe l’intervento di
qualcun altro.
Tsuna l’aveva lasciata fare. Era
rischioso, ma in effetti la sfiducia che si sarebbe creata era sufficiente ad
evitare successivi contatti tra le due Famiglie, ma non abbastanza da tentare
una guerra. Ciò che però temeva era che la fatica l’avrebbe
resa esausta.
Invece, la vide lavorare duramente per
giorni e senza lamentarsi. Quando riuscì ad entrare in possesso dei
progetti dei Mestroni non ne fu contento. Era ovvio che l’obiettivo della
Sacra Corona fosse quello di togliere di mezzo i Vongola e il punto di partenza
sarebbe stato quello che loro consideravano evidentemente la minaccia
più grande: la Famiglia Bovino, l’unica in grado di creare armi
peggiori di quelle che avevano acquistato.
Reborn li avrebbe uccisi uno per uno solo
per l’offesa, probabilmente. Se qualcuno si metteva contro i Vongola, la
cosa peggiore che doveva temere erano i Vongola stessi. Tuttavia, poiché
ancora non avevano fatto nulla, non poteva di certo agire subito.
Li avrebbe tratti in fallo e spiegato
perché mettersi contro di loro fosse un’idea incredibilmente
stupida. Ma avrebbe cercato di farlo senza creare nessuna vittima. In altre parole, Reborn non doveva saperne
nulla di quella storia.
Quando presero i documenti, finalmente
poterono lasciare il quartier generale dei Mestroni e considerare chiuso quel
capitolo, almeno per il momento.
Non rientrarono subito in Sicilia, per una
sorta di contratto non scritto, non poteva ritornare a casa senza souvenir
quanto meno per i suoi fratelli e francamente bramava un paio di giorni di
riposo senza pensieri o i problemi legati alla mafia. Anche se, per mantenere
la copertura, erano ancora costretti a vestire i panni della puttana e del pappone. Stava iniziando a dargli sui nervi.
“Se vuoi, posso farla io la
prostituta” si offrì quella sera, appena si richiusero la porta
dell’albergo alle spalle e la fiamma della Nebbia finalmente si spegneva.
Chrome ridacchiò. “Mukuro non
te ne farebbe uscire vivo. E neanche Reborn”
Per un attimo Tsuna fu sul punto di
rispondere che il suo ex-tutor non lo avrebbe mai saputo. Poi rinsavì. Probabilmente, sapeva già che lo
aveva proposto, pensò in preda ad un panico improvviso che fece
ridere ancora di più apertamente la ragazza.
Il suono di quella risata cancellò
ogni preoccupazione. Chrome era una bambina insicura quando l’avevano
conosciuta, una ragazza abbandonata dalla sua stessa famiglia, senza un posto
che chiamasse casa e qualcuno che le volesse sinceramente bene. Non rideva mai
allora, quasi avesse paura di farlo, quasi avesse paura delle loro reazioni, e
ogni volta che lo faceva adesso gli scaldava il cuore di un calore che avrebbe
difeso a costo della vita.
A ben pensarci non sapeva se era disposto a
celebrare il matrimonio tra Chrome e Mukuro, e non solo perché gli
sembrava ridicolo, ma perché se Mukuro le avesse fatto del male, avrebbe
dovuto ucciderlo.
“Se vuoi, vai a fare pure la doccia
per prima, io ho un po’ di scartoffie da sbrigare.”
“Pensavo fossi in vacanza, adesso.”
L’occhiata esasperata che le
lanciò le suscitò una risata che l’accompagnò fino
alla porta del bagno.
Tsuna accese il computer portatile e si
mise a stilare il rapporto della missione. Dopo anni di torture e angherie
subite, ormai gli veniva naturare mettere i suoi doveri di Boss prima di ogni
altra cosa. In più, temeva che se avesse perso tempo si sarebbe
dimenticato dettagli importanti della missione. Quella storia non era affatto
chiusa.
Chrome uscì dopo appena un quarto
d’ora dal bagno in accappatoio, con ancora i capelli bagnati e spazzola e
phon alla mano, per dargli la possibilità di andare subito a lavarsi, se
ne sentiva il bisogno. Ma Tsuna si prese tutto il tempo necessario per annotare
ogni singolo dettaglio e aggiungere al report le foto che aveva scattato col
cellulare ai documenti dei Mastroni.
Quando finalmente poté andare a
rilassarsi sotto la doccia si era già fatto tardi.
Chrome era già a letto in pigiama e
con un libro in mano, quando uscì in accappatoio. Il Piacere, di D’Annunzio. Era pronto a giurare che quel
libro glielo avesse consigliato Mukuro. Chrome voleva perfezionare quanto
più possibile il proprio italiano, ma per farlo si affidava alle due
persone peggiori che gli venissero in mente, il suo fidanzato e Lambo.
Si sdraiò sul letto accanto a lei,
riflettendo giusto per un attimo che forse era il caso che si levasse
l’accappatoio e si mettesse il pigiama pure lui, ma in quel momento si
sentiva troppo stanco per farlo. Chrome posò il libro e si voltò
su un fianco per guardarlo bene in faccia.
Erano sdraiati sullo stesso letto, seminudi
e a trenta centimetri l’uno dall’altra. Una situazione che in
qualunque altro caso sarebbe stata compromettente a dir poco, ma Tsuna per Chrome
era come un fratello e Tsuna si sarebbe sparato tra le gambe con Leon, prima di
tradire la fiducia della ragazza in questo modo.
Era uno dei più grandi Boss della
malavita e avrebbe potuto avere qualunque donna gli fosse piaciuta. Che diamine
centinaia di ragazze non facevano che offrirglisi continuamente in cambio di
protezione. Ma, nonostante ormai fosse Vongola Decimo già da tre anni,
Tsunayoshi a 21 anni ancora non aveva imparato ad usare il sesso come merce di
scambio e credeva invece ciecamente nell’amore. Il fatto che non si
sarebbe mai concesso di amare nessuno a causa del suo lavoro, era
tutt’altro discorso.
“Cosa farai, allora? Contatterai i
Mestroni?”
“Tu cosa mi consigli? Sei stata
eccezionale sul campo in questi giorni, Chrome, anche più brava di me.
Per cui, tu che faresti?”
Chrome arrossì come un peperone e si
sporse a dargli un bacio sulla guancia.
“Dovresti lasciar passare un
po’ di tempo” gli rispose. “Se manterrò
l’illusione per qualche giorno ancora, quando svanirà non potranno
capire subito che la transizione non è mai esistita. Saranno confusi e
poi andranno nel panico. Io penso che sarà quello il momento in cui
dovresti contattarli.”
Tsuna non poté trattenere una
leggera risata. Se in quel momento ci fosse stato il suo Consigliere Interno, o
il suo braccio destro, entrambi gli avrebbero detto che quello era il momento
giusto per sottometterli e insegnare loro il rispetto. Ma Chrome
era semplicemente troppo pura per quella vita, eppure al momento dei fatti era
riuscita a rivelarsi eccezionale: forte, decisa, sicura di sé. Non di
certo una principessa che aveva bisogno del principe per essere salvata dal
drago sputafuoco. Ed era una fortuna, perché in quella metafora il drago
sputafuoco probabilmente era Mukuro e non riusciva a capire chi potesse essere
il principe.
“Ottimo, faremo così. Avvisami
quando decidi di far sparire l’illusione.”
“Non vuoi essere tu a decidere
quando?”
“No, mi fido di te.”
“Grazie, Boss.”
Tsuna si mosse per abbracciarla e
stringerla al petto, come faceva da anni con I-Pin quando aveva un incubo
“Chrome, posso chiederti una
cosa?”
“Certo.”
“Perché sei ancora tanto
legata a Mukuro? So che gli vuoi bene, ma non hai più bisogno di
lui.”
Chrome sorrise e si nascose nel suo petto.
“Non ho altra scelta.”
“In che senso?”
“Lo amo e ho bisogno di lui. Non per le illusioni sai, ma… Mukuro mi
capisce. E io capisco lui. Senza di me finirebbe con distruggersi da solo,
Boss. Ha bisogno di me per stare bene, e io ho bisogno di lui.”
“Come fai ad esserne così
sicura?”
“Perché condivido la sua
anima. So quello che prova, anche se cerca di nascondermelo. Mukuro ha paura
della mafia, ha paura degli uomini, ha paura di tante cose in verità. E,
a volte, quando è spaventato è aggressivo” spiegò
senza scorgere la smorfia di Tsuna a quelle parole. Lei ne parlava quasi fosse un cucciolo, quando dire che fosse aggressivo era un eufemismo. “Ma
più di ogni altra cosa, ha paura di farmi del male. Ha paura che
finirà per trascinarmi nel suo baratro e che possa rimanerne vittima. Ma
non sa che io temo per lui la stessa cosa. ”
La smorfia sul volto del giovane Boss
sparì completamente a quelle parole. Guardava la testa della sua
Guardiana e non poteva fare a meno di sentirsi teso.
Lo conosceva, quel gioco che facevano
Mukuro e Chrome da anni. Aveva iniziato a farci caso dopo che la maledizione
degli arcobaleno era stata spezzata, ma era certo che andava avanti da molto
più tempo. Mukuro si prendeva cura di Chrome, Chrome si prendeva cura di
Mukuro, ma entrambi erano quasi completamente incapaci di prendersi cura di
loro stessi. E molto, troppo spesso, finivano per farsi male a vicenda. Senza
sapere come fermarsi, senza essere capaci di portare rancore, senza volere
neanche smettere.
Chrome non era una donzella inerme che
aveva bisogno di essere protetta dal mondo della malavita, ma aveva troppe
cicatrici addosso, tante quante ne aveva Mukuro. E fu quello il momento in cui
capì: Mukuro voleva proteggere Chrome da se stessa, e voleva che Tsuna
si impegnasse a proteggerla da lui e dai suoi di demoni.
Perché
se Chrome cadeva, sarebbe caduto anche lui.
Non era una sceneggiata a beneficio della
malavita, era un giuramento che riguardava esclusivamente loro tre.
“A te sta bene? Voglio dire, ti
piacerebbe vivere tutta una vita con lui, così?”
Chrome si voltò a guardarlo e gli
sorrise. “Non riesco ad immaginare una vita migliore.”
“Dobbiamo parlare”
annunciò Vongola Decimo senza troppi preamboli.
“Oh?” Mukuro inarcò un
sopracciglio stupito.
Tsunayoshi non invadeva mai il suo spazio
personale, se non in momenti di vita o di morte, o che vi assomigliavano
pericolosamente. E invece adesso era entrato nella sua camera senza bussare,
senza neanche far finta di non avere una copia della chiave da usare a
piacimento.
“Non sarà ancora la storia
dell’altra volta, voglio sperare” rispose ironico con una risata
delle sue.
Ma il ragazzo non reagì come faceva
di solito. Si aspettava di vederlo sclerare in qualche modo, urlare,
disperarsi, o anche solo rinunciare esausto ad avere un dialogo con lui.
Invece afferrò una sedia, la
girò e vi si sedette pesantemente di sopra, incrociando le braccia sullo
schienale. Per un attimo, Mukuro si chiese se volesse minacciarlo. Andò
automaticamente in modalità difensiva, se voleva giocare a fare il boss mafioso aveva sbagliato persona.
“Tsunayoshi Sawada…”
“Mukuro Rokudo” lo interruppe
duramente il Don. “Ho deciso di assecondare la tua richiesta.”
“Mh?” chiese a malapena.
“Ti sposerò. Il cinque
dicembre tu e Chrome convolerete a nozze e sarò io a celebrare il vostro
matrimonio.”
“Bene” rispose appena, senza
capire come mai glielo stesse annunciato con il tono che aveva quando uno dei
due aveva ammazzato qualcuno di troppo.
“Domani stesso manderò gli
inviti. Parteciperanno tutti i membri della Famiglia Vongola, inclusa la
Squadra Indipendente Varia e il Consiglio Esterno Della Famiglia. Tutte le
Famiglie dell’Alleanza saranno invitate alla cerimonia, esattamente come
tutte le Famiglie che non ne fanno parte. E sono pronto a punire personalmente
chiunque proverà a mettersi in mezzo tra voi due o ad ostacolare la
cerimonia.”
Mukuro lo guardò e basta. Tsunayoshi
non era in Hyper Mode, ma parlava con voce così bassa che gli veniva
naturale richiamare la Fiamma della Nebbia. In quel momento, Tsunayoshi era
privo di punti deboli e aperture, e all’erta come se stesse affrontando
una battaglia. Poteva prevedere perfettamente che, se lo avesse attaccato in
quell’istante, il Cielo non si sarebbe fatto trovare impreparato e, anzi,
avrebbe contrattaccato in meno di un secondo.
La Fiamma del Firmamento era trattenuta a
stento, Natsu vibrava sull’anello che indossava al dito medio. Lo stesso
anello con lo stemma di una delle più potenti Famiglie mafiose mai esistita.
Quella che lo aveva ricattato e usato i suoi compagni come merce di scambio. E
tutto perché diventasse una specie di guardia del corpo di un fottuto
ragazzino che giocava a fare il boss mafioso.
Ora, quel ragazzino Boss lo era diventato
sul serio e Mukuro si ritrovò a chiedersi una volta in più cosa
ci facesse lì, cosa ci facessero entrambi in quella stanza vivi.
“Il vostro matrimonio sarà
sotto la mia protezione di fronte a tutti i miei nemici e di fronte a tutti i
tuoi. Chiunque proverà a fare del male a Chrome, o a te, sarà mio nemico finché avrò respiro e lo
perseguiterò fino alla morte.”
L’Illusionista roteò gli occhi
al cielo. “Tsunayoshi, non ho bisogno della tua protezione, grazie
mille.”
“Non ti ho chiesto se ne hai bisogno
o meno. Né mi interessa il tuo parere a riguardo, Mukuro. Sei un mio
Guardiano e un membro della mia Famiglia, avrai la mia protezione che ti
piaccia o meno.”
Mukuro rise. Un suono basso, cupo,
minaccioso. “Ragazzino, scendi dal piedistallo. Non so chi ti credi di
essere questo pomeriggio, ma ho paura che tu mi abbia scambiato per uno di quei
cani da guardia che ti idolatrano. Non
sono io il tuo Guardiano e non faccio
parte della tua Famiglia. Non farò mai
parte della tua combriccola di mafiosi.”
“Mukuro, non condivido come mio padre
ti abbia reclutato, ma se vuoi che sia sincero condivido ben poche cose di
quell’uomo. Ma adesso tu ed io siamo qui. Non piace né a te e
né a me, ma io sono Vongola
Decimo e tu sei un membro della mia
famiglia. E non sto parlando della Famiglia Vongola. Le cose stanno
così, può non piacerti, ma non puoi farci nulla per cambiare la
situazione. Celebrerò il tuo matrimonio, ti garantirò la mia
protezione e sono pronto ad uccidere
per te.”
Il Guardiano si prese un minuto sano prima
di decidere se replicare. Sapeva esattamente il peso di quelle parole.
Tsunayoshi non era pronto ad uccidere mai, per nessun motivo. Alla fine si
strinse semplicemente nelle spalle. “Se hai finito, la porta è
quella che hai aperto senza permesso.”
“Non ho finito.”
“Mi sono espresso male. La porta
è sempre quella, vattene. Anche se non hai finito.”
“Tu sarai un bravo marito per
Chrome.”
“Mh?”
“Io celebrerò le vostre nozze,
ma sarai tu a sposare Chrome e ti impegnerai a renderla felice ogni singolo
giorno della tua vita.”
“Altrimenti?” lo
provocò.
“Altrimenti ti ammazzo” lo
disse senza allegria e senza timori. Senza una sola inflessione nella voce.
“Mi stai minacciando
Tsunayoshi?”
“Ti ho detto che sono disposto ad
uccidere chiunque provi a far del male a te o a Chrome. Se tu le farai del
male, sarà contro di te che me la prenderò.”
“E se fosse lei a fare del male a
me?” chiese con un sopracciglio inarcato e una risata strafottente.
“Non essere ridicolo”
replicò con una smorfia. “E’ quello che volevi, no? Sei
capace anche da solo di difendere Chrome da ogni potenziale minaccia. Ma da te? E’ per proteggerla da te che mi
hai chiesto di sposarvi.”
Mukuro si fermò un istante a
fissarlo. A fissarlo davvero.
“Sei diventato davvero un Boss
mafioso” disse infine.
“Dovrebbe essere un complimento?”
“Affatto.”
“Lo prenderò comunque come
tale.”
Con quelle parole si alzò e se ne
andò. Aveva un matrimonio da organizzare.
~Omake ~
“Vongola?”
“Fran? Volevo parlarti del matrimonio
di Mukuro e Chrome.”
“Oh? Ho capito. Vuole che accompagni
il Maestro all’altare.”
Tsuna rimase a guardare per
un’istante la cornetta del telefono interdetto. Lui voleva chiedere a
Fran se era disposto ad essere il testimone di Mukuro, tanto per rovinargli la
festa, non quello… Quando lo sguardo gli cadde sui nuovi rapporti del
traffico di caramelle alla Nebbia di Mukuro capì che Fran era un
maledetto genio. Per quanto potesse impegnarsi, lui non avrebbe mai avuto il
talento di irritarlo che aveva il ragazzino.
Tanto valeva lasciare che se ne occupasse
lui e che lo portasse pure all’altare.
“Sì, esattamente.”
“Sarà fatto.”