Libri > Trilogia di Bartimeus
Ricorda la storia  |      
Autore: QueenOfEvil    20/09/2015    1 recensioni
Qualcuno si è mai chiesto quale fosse la vita di Nathaniel prima della sua vita a casa Underwood? Prima della magia, prima di Bartimeus, Lovelace, Kitty e Nouda? È davvero possibile per due genitori abbandonare il figlio per semplici ragioni economiche?
Questa fanfiction si pone l'intento, non facile, di narrare la storia di due personaggi che nessuno conosce, di cui tutti ignorano addirittura il nome, ma che sono stati fondamentali per il nostro Nath, semplicemente perché senza di loro lui... non esisterebbe!
Signori e signore, ecco a voi Lawrence, Susanne Greensand e la loro storia: spero che possa dare risposte a domande che, almeno io, mi sono fatta molte volte
Genere: Angst, Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nathaniel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Lawrence! Lawrence!” La voce squillante di Susanne risuonò allegra fuori dal portone, dove aspettava impaziente il marito, e si diffuse per tutto il piccolo sobborgo di periferia a Londra, dove vivevano, felicemente sposati, ormai da quattro o cinque anni.

“Che succede Susie? Cosa può averti reso così eccitata?” l’uomo la squadrò sorpreso, mentre riponeva in un angolo la sacca da lavoro che, come ogni venerdì, riportava dalla fabbrica.

“Ti ho detto mille volte che odio quel soprannome… mi fa sembrare infantile” evitò la domanda lei, mettendo un falso broncio: lui sapeva che quella discussione si sarebbe potuta protrarre per ore, così si limitò ad alzare le mani in segno di resa.

Non aveva mai visto quella strana scintilla negli occhi della donna e voleva assolutamente scoprirne la causa.

“D’accordo, d’accordo, niente Susie… ma ora mi dici che ti prende?” 

La ragazza gli si avvicinò raggiante, poi prese le mani di lui nelle sue e sussurrò “Aspetto un bambino”

Era da mesi che cercavano di avere un figlio, ma fino ad allora non c’erano stati risultati: si stavano per arrendere all’evidenza di una vita solo loro due, quando la notizia era arrivata. Lawrence non ci poteva credere: aveva tanto sognato questo giorno e finalmente era arrivato.

Sarebbero diventati genitori.

Sarebbe diventato padre.

Iniziarono subito i preparativi per rendere la loro modesta casa più accogliente: era composta solo da un bagno, una camera, una cucina e un piccolo sgabuzzino. Questo, anche se piuttosto angusto, poteva tranquillamente ospitare un letto ed un armadio: non era molto, ma, vista la loro situazione, purtroppo non potevano permettersi di più.

Mentre lui, recuperato del materiale di scarto non usato nel suo luogo di lavoro, fabbricava una piccola culla, la donna dipingeva la stanza con colori caldi che l’avrebbero resa più luminosa ed accogliente.

Infine, venne il momento del parto: Susanne diede alla luce un maschietto e sembrò che la casa risplendesse di vita, quando si sentì per la prima volta il pianto del bambino.

“Come… come lo chiameremo?” chiese Lawrence, con gli occhi lucidi per la commozione.

“Nathaniel” rispose semplicemente lei: non era una domanda, ma un’affermazione. Aveva riflettuto a lungo e, alla fine, era giunta al nome che aveva portato anche un altro membro della sua famiglia: un cugino a cui era molto affezionata, morto nell’ennesimo reclutamento di forze per l’ennesima campagna militare del governo britannico. Era l’unico parente ed amico che fosse rimasto alla coppia e la sua morte era stata un duro colpo per entrambi.

Era un uomo intelligente, coraggioso e dallo spirito fiero.

Anche suo figlio sarebbe stato così, ne era certa.

                                                     ~~~~~~~~~~~~~~~~~

“Mamma, mamma! Cosa c’è per pranzo?” 

Erano passati cinque anni da quel giorno ed il piccolo Nathaniel era cresciuto: aveva ereditato gli occhi chiari dalla madre, mentre i capelli neri, quasi come l’ebano, erano una caratteristica di entrambi i genitori. La sua costituzione era esile, anche per via dei pasti non abbondanti che la famiglia doveva consumare, ma era sano, in forze e estremamente sveglio.

Susanne diceva spesso che, malgrado la sua età, era già più intelligente dei suoi genitori. Era anche buono e molto, molto onesto, ma forse un po’ troppo orgoglioso: questo era un grave difetto, almeno secondo il padre. 

“Essere umili permette di condurre una vita serena e a noi questo basta” soleva dire, incurante delle occhiate del figlio. Certi comportamenti sono davvero impossibili da cancellare, per quanto uno ci provi.

“Oggi, purtroppo, abbiamo solo un pezzo di focaccia, tesoro e lo dovremo mangiare a cena. Mi spiace davvero tanto, ma… ma quando papà tornerà con lo stipendio, oggi stesso, ti assicuro che andrà meglio” la voce desolata della donna cercava di celare un velo di inquietudine che ormai aleggiava su tutta la casa: era sempre più difficile arrivare a fine mese e la loro vita, anche se felice, andava incontro ad inaspettate difficoltà.

Aspettava perciò con ansia il ritorno del marito per poter comprare almeno un pezzo di pane al figlio, che la guardava con occhi lievemente tristi, ma sereni. L’innocenza dei bambini la stupiva sempre, ma il suo Nathaniel sembrava capire perfettamente la situazione, nonostante tutto: era speciale e di questo lei era consapevole.

Persa nei suoi pensieri, sussultò quando la porta dell’ingresso sbatté violentemente, quasi fosse stata richiusa con ira: in quei giorni Lawrence era molto nervoso e sembrava che qualcosa lo agitasse, ma nessuna delle domande della moglie aveva dato risultati.

“Allora? Come è andata al lavoro? Sei riuscito ad avere un aumento dello stipendio?” nessuno dei due era un tipo venale, ma era impensabile andare avanti in quelle condizioni. Il suo sguardo speranzoso venne ricambiato da uno disperato.

“Mi hanno licenziato”

Tre parole che fecero crollare la serenità precaria della famiglia: perfino il loro figlio, il loro amatissimo figlio, che aveva sempre il sorriso sulle labbra da quando era nato, perse per un attimo la spensieratezza tipica di quell’età ed il suo viso diventò serio.

Negli anni, probabilmente, quell’espressione gli si sarebbe congelata addosso.

“Come… come è possibile?”

“Non lo so, ma il direttore ha… detto che servivano posti di lavoro per i giovani e…”

“Ma gli hai spiegato la situazione? Abbiamo un figlio piccolo ed io ho perso il mio lavoro due anni fa: non possiamo continuare in queste condizioni! Oggi abbiamo ancora di che sopravvivere, ma che mi dici di domani? O del giorno dopo? O di quello dopo ancora?”

“Credi che non lo sappia?” Non aveva mai alzato la voce prima e Nath, sorpreso, scoppiò a piangere come fanno tutti a quell’età per richiedere attenzione: Susanne si precipitò a consolarlo con un piccolo bacio sulla fronte, pur continuando a guardare il marito.

“Ci ho provato: l’ho supplicato, ho rinunciato anche a una parte della paga, mi sono offerto di fare gli straordinari, ma non ha voluto darmi ascolto…” Serrò i pugni, in preda allo sconforto e la moglie, intenerita, gli si fece vicino, sorridendo.

“Abbiamo superato tante cose insieme, andrà bene comunque: ce la faremo”

Queste parole, però, non furono veritiere.

I giorni passavano e nessuno dei due trovava lavoro. Lawrence aveva addirittura proposto di arruolarsi, ma era stato respinto dal campo di ricerca reclute: anni di lavoro pensate gli avevano accorciato il fiato ed indebolito la vista, non sarebbe stato di alcun aiuto.

Dimagrivano tutti a vista d’occhio, ma impressionante era il cambiamento avvenuto in Nathaniel: non giocava, non rideva, sembrava che la vita avesse deciso di abbandonare poco a poco quel corpicino così piccolo ed indifeso.

Entrambi i genitori temevano che sarebbe successo il peggio.

Una sera, dopo aver messo a letto il figlio e raccontatogli la sua fiaba preferita, Pollicino, per farlo addormentare, i due discussero animatamente: la situazione era disperata.

“Se continuiamo in questo modo, morirà di fame!” Susanne era sull’orlo delle lacrime e neanche Lawrence, che l’amava moltissimo, sapeva come consolarla: si sentiva in colpa, malgrado non ne avesse.

“Che possiamo fare? Non riusciamo neanche a provvedere alla nostra sopravvivenza: come gli garantiremo un’istruzione? Di che potremo vestirlo se a malapena arriviamo a fine giornata?”

I due rimasero a lungo in silenzio, poi l’uomo, rassegnato, sospirò e si decise a pronunciare una frase che avrebbe perseguitato entrambi per il resto della loro vita “Un modo ci sarebbe…”

Avevano letto su un’inserzione del giornale che i maghi adottavano bambini per farne loro eredi e in cambio elargivano generose somme di denaro: questa era la loro unica possibilità per salvare sia Nathaniel che loro stessi, anche se significava dire addio a quella che era stata la loro gioia più grande.

“No, non possiamo farlo: è nostro figlio, il nostro bambino, noi non…” la donna scoppiò a piangere fra le braccia del marito, sapendo bene che non c’era altra scelta: l’unico modo per prendersi cura di lui, era lasciare che avesse una vita senza di loro.

“È ironico” pensò amaramente la madre, mentre lo guardava dormire per l’ultima volta nel suo lettino, nel piccolo sgabuzzino che anni prima aveva dipinto con tanto amore “Che ami tanto Pollicino: lì i genitori lo abbandonano perché è l’ultimo dei loro figli, noi invece lo facciamo per il suo bene… questo se lo ricorderà, quando crescerà? O per lui saremo solo due macchie sfuocate in un passato da dimenticare?”

La mattina, con il cuore in mille pezzi, il padre andò a svegliare il piccolo, che dormiva stretto nel coperte ed un’espressione di costante fame: neanche nei sogni, ormai, questa lo abbandonava.

“Svegliati, piccolo mio, oggi si va a fare una gita” tentò di sorridere, ma non riusciva: il pensiero che non avrebbe più visto la sua zazzera ribelle e i suoi occhi curiosi… amava il figlio più di ogni altra cosa e per la sua salvezza avrebbe fatto di tutto, ma questo era veramente un duro colpo.

“Si mangia, adesso?” tre parole che fecero sussultare l’uomo davanti a lui: sì, avevano fatto la scelta giusta.

“No… ma presto avrai tutto il cibo che vorrai” vide gli occhi di suo figlio illuminarsi come ormai non accadeva da tempo. Troppo tempo.

“Davvero papà?”

“E quando mai ti direi una bugia? Ora però vestiti, dobbiamo andare”

“Dove?”

“In un posto in cui sarai felice” gli rispose, ma dovette trattenersi dallo scoppiare a piangere: per non perderlo in un modo, avrebbe comunque dovuto allontanarsi da lui per sempre.

Nell’inserzione c’era scritto di non dare al bambino nessun oggetto personale che potesse rammentargli il suo nome o il suo passato e così i genitori fecero: non potevano permettere che non venisse accettato, dovevano salvarlo ad ogni costo.

Durante la camminata, non avevano i soldi neanche per un mezzo pubblico, Nathaniel li tempestò di domande e sembrava aver ritrovato un po’ della vivacità che lo caratterizzava un tempo: mai tragitto per Susanne e Lawrence sembrò così breve e allo stesso tempo infinito come quello.

Entrarono in una grossa costruzione che trasudava un potere e una grandiosità quasi eccessiva, la prima in cui loro, comunissimi comuni, avessero mai messo piede: c’era una sorta di ufficio a cui l’inserto diceva di rivolgersi. Una segretaria fissò il nuovo arrivato, e la sua famiglia, con circospezione, quasi fosse contrariata dalla presenza di non maghi in un luogo simile.

“Lui è…” il padre fu subito zittito dalla donna davanti a lui

“Niente nomi, lo sa, è proibito: è lui che volete affidarci?”

“Sì” rispose la madre, per poi rivolgersi al figlio, un po’ intimidito dall’aspetto austero che tutto sembrava avere “Saluta la signora, da bravo”

Nathaniel mosse esitante la mano.

“Siete sicuri che possa superare i test?” il dubbio nella sua voce era percepibile anche per un sordo

“Assolutamente: è piccolo, ma molto sveglio e impara facilmente”

“Questo lo verificheremo subito… Ne arriva uno!” l’impiegata si sporse verso un’altra porta e gridò quelle parole con forse un po’ troppa furia, perché il bimbo, spaventato, si corse a nascondere dietro le gambe della madre, che a sua volta lo guardò con un sorriso triste.

Era l’ultimo che avrebbe potuto rivolgergli.

“Devi andare con lei, tesoro” gli disse, con tono dolce.

“No… io voglio stare con te e papà! Ho… ho paura”

“Non dire sciocchezze, non hai nulla da temere” poi gli sussurrò all’orecchio, come se gli stesse raccontando un segreto “Sai, ho sentito che dietro quel muro ci sono un sacco di giocattoli… beato te che ti fanno entrare! A noi adulti non è concesso, sai?”

Gli occhi del figlio si allargarono, meravigliati “Quindi è un bel posto?”

“Bellissimo. Ora vai, prima che cambino idea”

L’immagine paradisiaca descritta dalla donna sembrò avere effetto su Nath, che, senza perdere tempo, corse, con quella buffa corsa tipica dei bambini, verso quella porta.

Verso la sua nuova vita.

I genitori aspettarono ore lì davanti, impazienti di sapere se al loro primogenito sarebbe stata data una possibilità oppure no. Anche se continuavano a dirsi che avevano fatto la cosa giusta e che sarebbe stato felice, in una nuova casa, in una nuova famiglia, una parte di loro sperava ardentemente che l’esame fallisse e che Nathaniel, il loro adorato Nathaniel, potesse tornare a casa con loro.

“Gli daremo la nostra porzione di cibo tutti i giorni” si dicevano in quei momenti, pur sapendo che non sarebbe bastato, ed era grande lo sforzo che dovevano compiere per non irrompere nella sala, prendere in braccio il piccolo e andarsene, in barba ai maghi, alla fame e alle regole.

Ma resistettero e alla fine il responso arrivò chiaro come il sole e fece male come un raggio di luce dritto negli occhi: l’apprendista aveva superato tutte le prove. Da allora in avanti non sarebbe più stato un comune, ma un aspirante mago.

E loro non lo avrebbero mai più rivisto.

“Volete salutarlo?” chiese loro un uomo, i cui occhi sembravano mostrare almeno un po’ di compassione per la loro situazione.

Susanne avrebbe risposto di sì, senza pensarci due volte, ma Lawrence, più duro all’esterno anche se a pezzi dentro di sé, rispose con un rifiuto: se lo avessero fatto, non sarebbero stati in grado di lasciarlo andare.

Così si allontanarono per sempre, abbracciati l’uno all’altra, da quello che era e sarebbe stato sempre il loro unico figlio, il loro piccolo che per anni aveva allietato la loro vita con pianti, grida e risate, che li guardava con occhi pieni di ammirazione e che nutriva per loro un amore profondo, anche se non quanto quello che loro provavano per lui.

Usciti dal palazzo, la madre si voltò e numerose lacrime cominciarono a scorrerle sulle guance “Addio, mio piccolo Nathaniel” sussurrò, prima di seguire il marito, verso la sua nuova esistenza lontana da lui.

 

                                          


ANGOLO DELL'AUTRICE:
Spero davvero che vi sia piaciuta, è la mia prima fanfiction su questo fandom e vorrei davvero sapere cosa ne pensiate. Mi sono scervellata a lungo su come presentare i due genitori e alla fine è venuto fuori quello che avete appena letto... beh, non so davvero cos'altro aggiungere se non che ringrazio anche solo chi leggerà (ma se vorrete recensire mi farete davvero un favore enorme) e che questo era il mio piccolo tributo al libro più bello che io abbia mai letto e al piccolo grande Nathaniel, che con le sue debolezze e punti di forza è riuscito (credo) ad entrare un po' nel cuore a tutti noi
Sono troppo sentimentale? Credo di sì in questo frangente, ma se dovessi scrivere qualcosa su Bartimeus, non penso proprio che adotterò questo tipo di stile (nel caso lo facessi, sono bene accetti i pomodori in faccia XD)
L_A_B_SH
Ps: la "B" del mio nome utente sta per Bartimeus

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Trilogia di Bartimeus / Vai alla pagina dell'autore: QueenOfEvil