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Autore: PandorasBox    21/09/2015    2 recensioni
[Frazel AU]
Poi lei alza gli occhi -e lui in quegli occhi ci vede il mondo, vede il tempo vorticare, vede la vita scoppiettare, si perde- ed è come se lo guardasse dritto nell’anima.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Frank Zhang, Frank/Hazel, Hazel Levesque
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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• Note
Puntualmente mi dico «Questa volta scriverò note degne di tale nome». Puntualmente, come si può vedere, non lo faccio.
Confesso i miei peccati: ho visto Sense8, mi è piaciuto molto e quello che ho scritto era, almeno nella mia testa, nato come una Sense8!au ─che poi sia cresciuto diventando tutt’altro è, ovviamente, un mero dettaglio.
Ho tentato per quanto possibile di lasciare riferimenti al canon ma non ci sono riuscita benissimo: volevo inserire per bene il fatto che sarà un discendente di Nettuno (ciao Frank, ‘sup? ) a liberare Hazel dalla sua maledizione ma parlare di maledizioni ─o di morti e resurrezioni- in una au è…complicato? Difficile? Non lo so neanche io? Sì, buona l’ultima.
E so che la fine di nonna Zhang non ci è nota ma volevo che ci fosse un punto di svolta nella vita di Frank e la cara signora ci è andata di mezzo. So anche che Hazel e Nico non vivono certo insieme ma vederli fare i fratelli (o immaginare il fatto che facciano i fratelli) è una cosa che mi scalda sempre un po’ il cuore.
Se poi vi state chiedendo perché San Francisco e non New Orleans, beh, Frank ed Hazel si incontrano al Campo Giove, credo la cosa abbia senso (se non ce l’ha fatemelo sapere).
 
 
 



A million faces, but all I'm seeing is you
 
 
 
 
Si incontrano e si trovano in un anonimo giovedì di ottobre senza sole, senza vento, senza nuvole, senza vita. Lo illuminano solo due occhi dorati che si fissano nei suoi, a pochi passi da lui, in piedi alla fermata della metro in chissà quale parte del mondo. Basta un'occhiata per capire di essere sulla stessa barca, di essere entrambi fregati, di essersi trovati, e lui vorrebbe correre da lei e dirle qualsiasi cosa, ma poi il treno arriva, lei sale, lui rimane in piedi in mezzo ad una strada piena di gente e immobile con in bocca il sapore delle parole non dette e il cuore in gola.
Quella ragazza ha il volto triste, caldo e bellissimo dell'estate che si spegne. In Canada il vento ha appena iniziato a farsi fresco e lui non se n'era ancora reso conto.
 
 
La incontra di nuovo, non solo nei suoi sogni, ed è come essere accanto a lei pur restando seduto alla sua scrivania. La vede disegnare, di notte, muovere pigramente la matita su un foglio, la sente canticchiare un motivetto che ha la voce di un tempo passato ed oramai inafferrabile. Poi lei alza gli occhi -e lui in quegli occhi ci vede il mondo, vede il tempo vorticare, vede la vita scoppiettare, si perde- ed è come se lo guardasse dritto nell’anima.
«Nico, è lui, è qui!» la sente quasi urlare, chiama qualcuno che lui non conosce, e vorrebbe sapere se quella nota di emozione la sta solo immaginando o esiste davvero.
Poi lei si alza e si avvicina, è così piccola che alza il mento per guardarlo in viso e lui sente il suo cuore fare una capriola, non sa cosa dire, gli capita spesso ma stavolta è tremendo.
Lei lo batte sul tempo e lo abbraccia, lo stringe forte, poggia la sua testa sul suo petto, è così reale, così pieno della disperazione di chi sembra aver aspettato una vita per quell’abbraccio. E lui sta per parlare, sta per farlo ma ha paura di rovinare tutto.
 
Pensa che vorrebbe toccarla, vorrebbe carezzarle i capelli che sembrano esser fatti di cannella (ed ecco qual è il suo profumo, profuma di spezie e di sole) e scendono ad incorniciarle il viso, le sfiorano le guance scure come vorrebbero fare le sue mani.
 
Ma poi una porta sbatte, in Canada, e lui vacilla e sa che non sarà lì ancora a lungo così mormora il suo nome («Frank, sono Frank.») e lei mormora il suo ma Frank non riesce ad ascoltarlo, è di nuovo a casa, sua nonna sta parlando con lui, lei è sparita.
Negli occhi ha impresso il colore dei suoi, sulla maglia il suo profumo.
 
 
Passano mesi a rincorrersi in occhiate fuggevoli, in incontri casuali e momenti brevissimi, in strade affollate e cucine e camere, in ristoranti dall’altra parte del mondo, in discorsi fatti da soli. E lui scopre le bellezze di un’America che non conosceva e lei vede la Cina, vede il Canada, parlano poco ma non importa perché lei  sorride di quei sorrisi che fermano il tempo e lo dilatano e non hanno bisogno di troppe parole.
 
 
E passa l’inverno, la primavera è alle porte quando lui scopre il suo nome e scopre che gli piace pronunciarlo perché la rende più vera. Ed Hazel ride quando lui glielo confessa: sono a San Francisco e lei sta lavando i piatti, Frank la osserva seduto su una sedia della sua minuscola cucina e allo stesso tempo è seduto in treno.
E scopre che le sue mani sono bollenti e forti, lisce, scopre che gli piace stringerle. Perché lui è in Canada ma può vedere il tramonto di San Francisco insieme ad Hazel, dalla sua finestra; perché lei è a San Francisco ma può scoprire di cosa sa l’aria di una primavera che stenta ad arrivare a casa di Frank.
 
 
 Arriva l’estate e con lei una domanda aleggia nell’aria («Quando ci incontreremo davvero?») ma nessuno dei due ha il coraggio di darle voce, anche se sono insieme. Poi Nico rientra (ed è sempre imbarazzante quando lui è intorno), Hazel rompe un piatto e Frank capisce che è ora di andare.
Per quelli come loro è difficile incontrarsi ma stare vicini è un altro conto, lo è anche di più. Mentre si addormenta pensa al sapore dei suoi baci. Quella sera si chiede se sia davvero difficile o se sono loro a voler complicare la loro già intricata vita.
 
 
Sua madre glielo ripeteva spesso, da bambino, “puoi esser quel che vuoi, Frank” gli diceva. E lui si impegnava, provava e riprovava, ma restava sempre Frank e non molto di più.
Frank non era un gran che.
Ed a sua nonna forse Frank non piaceva così tanto, per quanto lui si impegnasse.
Mentre Hazel gli stringe la mano, però, composta nel suo vestito chiaro, in piedi di fronte alla lapide di sua nonna e allo stesso tempo seduta a terra nel suo piccolo salotto, si scopre a pensare che forse non gli importa più.
Se davvero a sua nonna non è piaciuto, se davvero non è stato chi lei si aspettava, ormai non può che rimediare cercando di essere chi lui vuole essere.
Ed osserva Hazel, osserva il suo salotto: non c'è suo fratello sul divano che finge di non vederli (ed effettivamente non può vedere lui, ma sua sorella c'è e lui riesce ad ignorarla), c'è silenzio, anche la solita musica jazz non vibra nell'aria.
Nel silenzio di quel salotto come sotto la pioggia canadese Frank decide che vuole essere coraggioso e non parla se non per poche parole.
«Quando ci vedremo davvero?» chiedono gli occhi di Hazel e la voce di Frank finalmente risponde a quella domanda.
Non può più aspettare, non è più tempo di aver paura.
 
 
 
 
I loro occhi si incontrano e si trovano davvero in un tiepido mattino di marzo, l’aria è ferma, il sole si affaccia timidamente in un cielo spruzzato di nuvole. Hazel è in piedi davanti alle porte degli arrivi internazionali, dondola sui talloni e si pente di aver proibito a suo fratello di accompagnarla, si torce con le mani l’orlo di quella maglia viola, vecchia ed usurata, che Frank dice di amare tanto.
Non si è mai sentita tanto elettrica.
Ha lo sguardo abbassato sul suo telefono ─qualcuno ha provato a chiamarla ma lei non lo sentito squillare- quando lo rialza incontra Frank, i suoi occhi, il suo modo calmo di camminare, e si chiede perché non riesca a corrergli incontro come avrebbe voluto.
Gli occhi di Frank sono così scuri e brillanti da poterci vedere dentro la calma di quelle notti calde passate alla finestra, fin da bambina, a cercare con lo sguardo la risposta alle sue domande, a quella sensazione di nostalgia per qualcosa che non poteva afferrare, al bisogno della sua voce di chiamare un nome che non conosceva ancora.
Gli occhi di Frank sono neri e profondi e lei non riesce ad allontanare il suo sguardo da loro, non riesce a lasciarlo, a lasciare le sue mani, a stancarsi dell’imbarazzo che tinge le guance di quel ragazzone che la tiene stretta come se fosse il suo unico appiglio.
E tutti i pezzi tornano al loro posto, ed Hazel scopre cosa significa sentirsi a casa, nel tempo giusto, nel posto giusto, sentirsi viva.
Piange e non le importa perché poi Frank le sorride e la porta fuori e San Francisco non sembra neanche la stessa, brilla di una luce diversa, è più vera, è più sua.
E Frank è davvero con lei ed ora è il suo turno ad esser coraggiosa ed accettare quel che prova, accettare che una sola persona possa rimettere tanto ordine una vita -intrecciata, complessa- come la sua, accettare che può essere felice ed ha diritto a vivere davvero.
«Mi sento a casa.. » mormora Frank, ed Hazel capisce che non sarà poi così difficile, che finalmente è libera.
 
 
 
 
 
   
 
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