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Autore: Niglia    22/09/2015    9 recensioni
[Kagome/Kouga]
In cui al suo arrivo nel passato una giovane ragazza del futuro finisce nelle grinfie di un intraprendente demone lupo, e la storia prende decisamente un'altra piega.
Scritta per il 'Drabble Weekend Event' indetto dal gruppo FB "We are out for prompt".
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kagome, Koga
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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WE ARE OUT FOR PROMPT – 19/20 SETTEMBRE 2015


Titolo: In A Wolf’s Grasp
Personaggi: Kagome/Kouga
Prompt ©Harlequin Valentine: Inuyasha, KouKag: in cui, invece di incontrare un mezzo demone cane, Kagome uscita dal pozzo inciampa in un demone lupo (e lui non la divora).
Avvertimenti: Divergence!AU.
Note: È la prima volta che scrivo di Kouga, e spero che non mi sia uscito troppo OOC; inoltre ho un debole per queste AU dove Kagome incontra qualsiasi altro personaggio anziché Inuyasha al suo arrivo nel Sengoku – ci sono così tante possibilità, no? *_*
Ah, mi è stato richiesto di rendere questa oneshot una long: mi piacerebbe, sul serio! Però vedremo, non voglio fare promesse. Nel frattempo, godetevi questa e buona lettura! :)



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In A Wolf’s Grasp







Arrampicandosi a fatica su per le pareti ricoperte di muschio del pozzo, ancora tremante e piuttosto scossa dalla caduta e da quella che – pregava con forza – doveva essere stata solo una brutta allucinazione, Kagome continuò a maledire il suo gatto per essersi nascosto, suo fratello per averlo voluto cercare e persino suo nonno per averle raccontato delle storie che, chiaramente, avevano avuto più effetto sul suo subconscio di quanto lei stessa non avesse creduto.
Forse la caduta le aveva fatto perdere i sensi, o forse – meglio ancora – quel mattino non era ancora arrivato, e lei stava ancora dormendo, al sicuro nel suo letto, in attesa che suonasse la sveglia del giorno del suo compleanno e dissipasse gli ultimi rimasugli di quell’incubo orrendo… Peccato che la fatica che stava sentendo fosse terribilmente reale, e che in tutti i suoi sedici anni di vita non aveva mai avuto un sogno tanto realistico.
Con un ultimo gemito sofferente, Kagome si issò oltre il bordo del pozzo – per poi scivolare malamente e con un gemito soffocato sopra una calda superficie ricoperta di pellicce. Probabilmente non sarebbe stata la cosa più strana che le fosse capitata quel giorno, se solo il misterioso groviglio peloso non avesse deciso di rispondere all’involontario attacco con un misero guaito subito seguito da un ringhio minaccioso.
Accadde in meno di un battito di ciglia: un attimo prima Kagome cercava di capire che cosa le sue mani stessero toccando con precisione – non era il pavimento del tempio, questo era sicuro, anche perché non c’era alcun tempio intorno al pozzo – e quello successivo era premuta contro il suolo, con una mano enorme e callosa stretta intorno al collo in atteggiamento assai poco amichevole. Sforzandosi di deglutire, udì la propria trachea premersi contro il palmo di quella mano, e il fiato le scappò dai polmoni.
Cercò di sollevare le mani per provare ad allentare la stretta, ma al suo minimo movimento un secondo ringhio risuonò nell’aria, assai più roco e terribile di quello che lo aveva preceduto, e il sangue le si gelò nelle vene.
«Devi essere molto stupida, umana», sibilò una voce maschile da qualche parte sopra di lei, facendole maledire i propri capelli che, scivolatele sugli occhi, le impedivano la vista. «O molto ingenua, per credere di poter attaccare Kouga del Clan delle Montagne e sopravvivere per raccontarlo.»
Attaccare? No, un momento – qui c’era qualcosa che non tornava.
«Io non – non voglio proprio attaccare nessuno!» Si sforzò di ribattere a fatica malgrado la propria gola compressa. «E chi ti conosce, poi? Mi hai aggredito tu per primo senza nessun motivo!»
«Allora forse sei venuta qui per sedurmi», suggerì lo sconosciuto con aria fin troppo arrogante, facendo scivolare una mano verso il basso e posandola appena sopra il ginocchio di Kagome, aggrappandosi alla carne nuda e lasciandosi sfuggire un rombo compiaciuto. «Spiegherebbe il tuo abbigliamento, se non altro.»
Kagome arrossì fino alla radice dei capelli e si irrigidì, offesa. «Come ti permetti!» Strillò. Prima di riflettere su quanto stava per fare, la sua mano destra si sollevò e, alla cieca per via dei capelli che continuavano a ostruirle il viso, si sforzò di schiaffeggiare il suo assalitore.
Il suono secco del ceffone risuonò bruscamente nella piccola radura, facendo tacere tutto il resto.
Oddio… E adesso…?
Il terribile ringhio che seguì il suo gesto dalla saggezza discutibile le fece capire che, molto probabilmente, si trovava in un pericolo più grande di quanto non avesse previsto. Chi diavolo ruggiva in quel modo, comunque? Non la gente normale, di certo!
Senza neppure darle il tempo di borbottare una qualsiasi debole scusa, la bocca del ragazzo si chiuse decisa nell’incavo del suo collo; e fu con enorme sgomento che Kagome si sentì pungere da quelle che avevano tutta l’aria di essere zanne appuntite e decisamente letali. Santo cielo, poteva forse essere un qualcosa simile al millepiedi che l’aveva trascinata giù per il pozzo?
«Lasciami – lasciami!» Strillò terrorizzata, cercando di colpirlo ancora o di spingerlo via.
«Zitta, donna», le intimò la creatura severamente – Kagome decise che avrebbe smesso di definirlo umano, perché di certo non apparteneva alla sua stessa specie.
Così si fece forza e rimase immobile, serrando furiosamente gli occhi e lasciando che l’essere la odorasse come un cane che cerca di memorizzare il profumo del suo nuovo padrone – sforzandosi di non rabbrividire alla sensazione della punta del suo naso che le sfregava contro il collo, la gola, la linea della mascella e più su, appena sotto l’orecchio, per poi scivolarvi dietro, immergendosi nei suoi capelli; e tuttavia non poté trattenere un gemito sorpreso quando egli ripeté lo stesso procedimento al contrario, usando stavolta bocca e lingua.
«Oh-mio-dio, che cosa diavolo stai facendo?» Sbottò isterica, sollevando le mani e cercando di far leva, inutilmente, sul petto dell’essere. Le sue mani vennero a contatto con il freddo metallo di un’armatura e la soffice morbidezza di una pelliccia, per poi scivolare sulla pelle nuda delle clavicole. Kagome vi si aggrappò, graffiando e spingendo con furia, fin quando l’uomo sopra di lei non si stufò e le afferrò entrambi i polsi con una mano, stringendoli e tenendoglieli premuti contro il petto per prevenire altri movimenti.
«Insomma – sta’ ferma!» Ringhiò scocciato, facendo schioccare le proprie zanne con fare minaccioso a un centimetro dal viso della ragazza. «Ti dimeni come un cucciolo!»
«Se credi che rimarrò ferma a farmi toccare da un pervertito come te, sappi che ti sbagli di grosso!» Strillò ancora lei, in un tono così alto da strappargli un guaito.
«Non voglio farti niente del genere», sibilò lui. «Sto solo cercando di capire che cosa sei!»
«Che cosa… sono? Io?» Kagome sgranò gli occhi, scuotendo la testa da una parte all’altra per liberarsi il viso dalla cortina di capelli che l’aveva resa cieca fin troppo. «Sei tu quello strano che ha iniziato a sniffare e odorarmi come un–»
I capelli finalmente le scivolarono via dagli occhi, e Kagome non riuscì a completare la frase. Davanti a lei – o meglio, sopra di lei, si corresse arrossendo violentemente – c’era l’essere maschile più attraente su cui avesse mai avuto l’occasione di posare lo sguardo. Ciò che rapì immediatamente la sua attenzione furono gli occhi – di un blu così profondo e limpido da non sembrare umano, le cui iridi sottili come quelle di un gatto non facevano che confermare il pensiero precedente, e circondati da ciglia scure così folte da apparire quasi femminili. Osservò poi la linea dritta del naso che scivolava a sovrastare due labbra sottili, dischiuse in un ansito di sorpresa il tanto necessario a mostrare la punta di due zanne decisamente inumane; il mento e la mandibola avevano dei tratti duri e volitivi, e l’incarnato olivastro, bagnato dal sole, gli conferiva un aspetto decisamente esotico. Lunghi capelli corvini erano raccolti in una modesta coda di cavallo che gli pendeva disordinatamente da sopra una spalla, e che lasciavano del tutto scoperte delle orecchie più appuntite del normale, quasi elfiche; ma d’un tratto la sua attenzione scivolò sulle sue spalle – solide e larghe, che le davano la sensazione di essere imprigionata sotto di lui senza alcuna possibilità di fuga.
Kagome deglutì lentamente, stavolta con un’emozione ben diversa da quella provata pochi minuti prima.
«Ehm», mormorò, la gola improvvisamente secca. «Tu-tu non sei umano, vero?»
Il giovane aggrottò la fronte, piegando il capo di lato in un atteggiamento stranamente canino. «Certo che no – sono un demone lupo. Non hai mai visto un demone?»
«Devo ammettere che tu sei il mio primo», ammise lei con un filo di voce. Un demone. Lo aveva detto sul serio, vero? E lei ci aveva creduto senza nemmeno dubitare?
Tutto questo stress mi manderà in terapia, sospirò chiudendo gli occhi.
«Va bene, sei un demone.» Diciamo che ti credo, per quieto vivere. «Posso sapere perché sei ancora su di me, e perché mi stavi odorando fino a poco fa?»
Quelle labbra sottili stranamente attraenti si aprirono in un sorriso che era tutto seduzione. «Per rispondere alla seconda domanda, hai un odore troppo buono per un essere umano – in genere quelli della tua razza puzzano. Tu invece… profumi», sussurrò sorpreso, chinandosi di nuovo verso di lei e immergendo il naso tra i suoi capelli, per poi inspirare profondamente. «Aaah. Mentre, riguardo la tua prima domanda…»
Stavolta le strofinò il naso contro la guancia in un gesto che sarebbe quasi potuto essere affettuoso, se solo non si fossero appena incontrati e lei non avesse ancora una leggera paura di lui. «Mh, sei morbida, e mi piace rimanere dove sono», fu la sua semplice risposta.
Kagome sentì nuovamente le fitte di panico, e riprese a divincolarsi sotto il peso – non era confortevole, no, che cosa diamine le prendeva? – del demone.
«A me invece piacerebbe se ti levassi – oddio!» La voce le si bloccò in gola, e gli occhi incontrarono quelli blu del ragazzo – come aveva detto di chiamarsi? Qualcosa su un Clan delle Montagne? – trovandoli fin troppo compiaciuti per i suoi gusti. «Che cos’era quello?»
Lui sorrise, facendo balenare una zanna. «Cosa? Questo?» Domandò.
Kagome sentì di nuovo qualcosa di caldo e soffice strofinarsi con studiata lentezza contro la propria coscia, e rabbrividì di un piacevole solletico. «S-smettila!» Balbettò, quando sentì la cosa strusciarlesi ancora addosso. «Che cos’è
«Mmh… Solo la mia coda», rispose con un verso che somigliava a delle fusa, stendendosi meglio su di lei in modo da poter godere delle sue morbide curve senza schiacciarla.
Kagome sgranò leggermente gli occhi. Ha pure una coda? La situazione stava degenerando.
«Ti dispiacerebbe levarti, mh… tizio…?»
Il demone imbronciò le labbra, apparendo sinceramente risentito. «Il mio nome è Kouga. Kouga, del Clan delle Montagne», ripeté, come a voler essere certo che stavolta il suo nome le rimanesse impresso. «E tu, bella umana? Il tuo nome?»
«Sono Kagome, e sono stanca di rimanere qui distesa per terra! Levati!» Sbottò agitata. Nel prossimo futuro non voleva scoprire altre parti della sua anatomia, se poteva impedirlo.
Ridacchiando a mezza voce, il demone – Kouga – si limitò a scuotere la testa. «Non me ne andrò di qui fino a quando non mi dirai perché sei venuta a disturbare il mio sonno – non che la cosa mi dispiaccia più di tanto, devo ammettere», le mormorò contro la gola con fare seduttivo.
«Non lo perché sono qui, va bene!» Esclamò a quel punto Kagome, lasciandosi prendere dall’isteria. «Io me stavo andando a scuola senza disturbare nessuno! Poi mio fratello è venuto a dirmi che il gatto era sparito, e siamo andati a cercarlo, e siamo entrati nel tempietto del pozzo, e da lì dentro è sbucato fuori un mostro osceno con zanne e un sacco di braccia che mi ha afferrato e mi trascinato giù insieme a lei, e mi ha graffiato e ha cercato di mangiarmi perché voleva chissà che diavolo di sfera da me! E io non ho nessunissima maledetta sfera!»
Kouga sbatté lentamente le palpebre, assorbendo lo sfogo per lo più incomprensibile della ragazza, e poi spostò lo sguardo verso il pozzo alle loro spalle con un’aria d’un tratto seria e meditativa. «Mh. Quindi, sei venuta dal pozzo?» Mormorò perplesso, sforzandosi di capire. «Potrebbe spiegare lo strano picco di reiki che ho sentito prima che apparissi tu…»
«Aspetta, di cosa stai parlando? Reiki? Che cos’è?» Domandò Kagome interessata e sinceramente sorpresa dall’improvviso cambiamento di Kouga da ragazzino pestifero a uomo assennato.
«Il reiki è l’emanazione fisica dell’aura di una sacerdotessa… E’ l’equivalente dello youki nei demoni», spiegò pazientemente, riportando lo sguardo su di lei. Inarcò un sopracciglio, studiandola per la prima volta con aria assorta. «Sei una sacerdotessa?»
Il suo sguardo serio le mise addosso un’inspiegabile agitazione. «Io? No, non… non credo! Voglio dire, abito in un tempio, ma da qui a definirmi sacerdotessa–»
«Beh, quel reiki doveva pur provenire da qualcuno, e qua ci siamo solo io e te», la interruppe lui piuttosto bruscamente. «Non mentirmi, Kagome – mi piaci, e non vorrei davvero doverti considerare una minaccia.»
«Una minaccia? Ma se non avevo idea di chi fossi fino a un minuto fa!» Ribatté lei. «Senti, perché non ci alziamo e parliamo da persone civili, inizia a venirmi mal di schiena a furia di rimanere in questa posizione…»
Kouga avrebbe voluto contraddirla e ripeterle che non si sarebbe mosso di un centimetro fino a quando non gli avesse detto con esattezza chi era e che cosa ci faceva nei suoi territori; la ragazza era un mistero, e malgrado avesse avuto una mezza intenzione di farne uno spuntino – la sua gente si nutriva di umani di volta in volta, dopotutto – c’era qualcosa, in lei, che la rendeva diversa, e di conseguenza speciale, e sarebbe stato un peccato ucciderla prima di aver risolto il suo enigma. Senza contare che il suo profumo era piacevolmente inebriante, e il suo temperamento provocatorio rappresentava una sfida allettante per qualsiasi demone – specie uno appartenenze alla sua razza.
Lentamente, la sua espressione assunse l’aria determinata di chi ha preso una decisione, e il profumo della ragazza precipitò rapidamente in un turbinio di ansia, timore e apprensione – sorridere gli venne istintivo.
Kagome rifletté che pareva un gatto che ha appena inghiottito il canarino.
Vennero tuttavia interrotti prima che Kouga potesse metterla a parte del recente cambiamento dei piani: dalla foresta provenne il suono di passi rapidi e respiri affaticati come di chi ha percorso un lungo tratto di corsa senza mai fermarsi a respirare, e dopo pochi secondi dalla vegetazione sbucarono altri due demoni che si fermarono a riprendere fiato ai bordi della radura. A giudicare dall’abbigliamento e dal generale aspetto fisico, Kagome dedusse che doveva trattarsi di alcuni compagni di Kouga, e immediatamente si irrigidì – fino a quando qualcuno non le avesse assicurato che si trovava al sicuro, non avrebbe di certo abbassato la guardia. Ancora non aveva neppure capito dove si trovava, che diamine!
«Kouga!» Ansimò uno di loro, i cui capelli argentei erano acconciati in una sorta di cresta. «Sei qui!»
L’altro deglutì, passandosi una mano sul volto sudato. «Ti abbiamo cercato dappertutto!»
Come se avesse intuito l’attuale stato d’animo della ragazza, Kouga avvicinò le labbra al suo orecchio e le sussurrò: «Tranquilla: sono membri del branco.»
Kagome sbuffò, inarcando un sopracciglio come a voler dire, E la cosa dovrebbe tranquillizzarmi perché?
Quello attirò tuttavia l’attenzione dei nuovi arrivati, che subito fecero dei passi in avanti muovendosi pressoché all’unisono e divorandola con lo sguardo. «Chi è l’umana?» Domandò quello con la cresta.
«Uno spuntino?» Ridacchiò l’altro, leccandosi le labbra.
Kouga emise un basso ringhio di avvertimento, rimettendo in riga i due demoni. Dopodiché si alzò agilmente, senza lasciare la presa sui polsi di Kagome e aiutandola a mettersi in piedi con una strana delicatezza. «Nessuno spuntino», ribatté sorridendo di sbieco, passando il braccio libero intorno alle spalle della ragazza. «Kagome è la mia donna!»
«Ah?» Fecero i due lupi, aggrottando la fronte.
«CHE COSA?» Strillò Kagome, cercando di dargli – inutilmente – una gomitata.
Ignorando la reazione della ragazza, Kouga si limitò a stringerla maggiormente contro di sé e riportò la sua attenzione ai suoi compagni. «Ginta, Hakkaku: salutate la vostra nuova sorella!»
Impallidendo come un cencio all’avvicinarsi dei due demoni, che a quanto pareva avevano tutta l’intenzione di annusarla a loro volta, Kagome realizzò che la sua vita aveva appena iniziato ad andare a rotoli, e che quello era probabilmente il peggior compleanno della sua vita.
La coda di Kouga le scivolò nuovamente lungo le cosce, procurandole un brivido, e quando sollevò lo sguardo per incontrare l’occhiata maliziosa del demone, Kagome arrossì e rettificò.
In fondo ne aveva avuto di peggiori…


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