WE ARE OUT FOR PROMPT
– 19/20 SETTEMBRE 2015
Titolo: In A Wolf’s Grasp
Personaggi: Kagome/Kouga
Prompt ©Harlequin Valentine: Inuyasha,
KouKag: in cui, invece di
incontrare un mezzo demone cane, Kagome uscita dal pozzo inciampa in un
demone
lupo (e lui non la divora).
Avvertimenti: Divergence!AU.
Note: È la prima volta che scrivo di
Kouga, e spero che non mi sia
uscito troppo OOC; inoltre ho un debole per queste AU dove Kagome
incontra
qualsiasi altro personaggio anziché Inuyasha al suo arrivo
nel Sengoku – ci sono
così tante possibilità, no? *_*
Ah, mi è stato
richiesto di
rendere questa oneshot una long: mi piacerebbe, sul serio!
Però vedremo, non voglio
fare promesse. Nel frattempo, godetevi questa e buona lettura! :)
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In A
Wolf’s
Grasp
Arrampicandosi a fatica su per
le pareti ricoperte di muschio del pozzo, ancora tremante e piuttosto
scossa
dalla caduta e da quella che – pregava
con forza – doveva essere stata solo una brutta
allucinazione, Kagome
continuò a maledire il suo gatto per essersi nascosto, suo
fratello per averlo
voluto cercare e persino suo nonno per averle raccontato delle storie
che,
chiaramente, avevano avuto più effetto sul suo subconscio di
quanto lei stessa
non avesse creduto.
Forse la caduta le aveva fatto
perdere i sensi, o forse – meglio ancora – quel
mattino non era ancora
arrivato, e lei stava ancora dormendo, al sicuro nel suo letto, in
attesa che
suonasse la sveglia del giorno del suo compleanno e dissipasse gli
ultimi
rimasugli di quell’incubo orrendo… Peccato che la
fatica che stava sentendo
fosse terribilmente reale, e che in tutti i suoi sedici anni di vita
non aveva
mai avuto un sogno tanto realistico.
Con un ultimo gemito sofferente,
Kagome si issò oltre il bordo del pozzo – per poi
scivolare malamente e con un
gemito soffocato sopra una calda superficie ricoperta di pellicce.
Probabilmente
non sarebbe stata la cosa più strana che le fosse capitata
quel giorno, se solo
il misterioso groviglio peloso non avesse deciso di rispondere
all’involontario
attacco con un misero guaito subito seguito da un ringhio minaccioso.
Accadde in meno di un battito di
ciglia: un attimo prima Kagome cercava di capire che cosa le sue mani
stessero
toccando con precisione – non era il pavimento del tempio,
questo era sicuro,
anche perché non c’era alcun tempio intorno al
pozzo – e quello successivo era
premuta contro il suolo, con una mano enorme e callosa stretta intorno
al collo
in atteggiamento assai poco amichevole. Sforzandosi di deglutire,
udì la propria
trachea premersi contro il palmo di quella mano, e il fiato le
scappò dai
polmoni.
Cercò di sollevare le mani per
provare ad allentare la stretta, ma al suo minimo movimento un secondo
ringhio
risuonò nell’aria, assai più roco e
terribile di quello che lo aveva preceduto,
e il sangue le si gelò nelle vene.
«Devi essere molto stupida,
umana», sibilò una voce maschile da qualche parte
sopra di lei, facendole
maledire i propri capelli che, scivolatele sugli occhi, le impedivano
la vista.
«O molto ingenua, per credere di poter attaccare Kouga del
Clan delle Montagne
e sopravvivere per raccontarlo.»
Attaccare? No, un momento – qui
c’era qualcosa che non tornava.
«Io non – non voglio proprio
attaccare nessuno!» Si sforzò di ribattere a
fatica malgrado la propria gola
compressa. «E chi ti conosce, poi? Mi hai aggredito tu per
primo senza nessun
motivo!»
«Allora forse sei venuta qui per
sedurmi», suggerì lo sconosciuto con aria fin
troppo arrogante, facendo
scivolare una mano verso il basso e posandola appena sopra il ginocchio
di
Kagome, aggrappandosi alla carne nuda e lasciandosi sfuggire un rombo
compiaciuto. «Spiegherebbe il tuo abbigliamento, se non
altro.»
Kagome arrossì fino alla radice
dei capelli e si irrigidì, offesa. «Come ti
permetti!» Strillò. Prima di riflettere
su quanto stava per fare, la sua mano destra si sollevò e,
alla cieca per via
dei capelli che continuavano a ostruirle il viso, si sforzò
di schiaffeggiare
il suo assalitore.
Il suono secco del ceffone risuonò
bruscamente nella piccola radura, facendo tacere tutto il resto.
Oddio… E adesso…?
Il terribile ringhio che seguì
il suo gesto dalla saggezza discutibile le fece capire che, molto
probabilmente, si trovava in un pericolo più grande di
quanto non avesse
previsto. Chi diavolo ruggiva in quel modo, comunque? Non la gente
normale, di
certo!
Senza neppure darle il tempo di
borbottare una qualsiasi debole scusa, la bocca del ragazzo si chiuse
decisa
nell’incavo del suo collo; e fu con enorme sgomento che
Kagome si sentì pungere
da quelle che avevano tutta l’aria di essere zanne appuntite
e decisamente
letali. Santo cielo, poteva forse essere un qualcosa
simile al millepiedi che l’aveva trascinata giù
per il pozzo?
«Lasciami – lasciami!» Strillò
terrorizzata, cercando di colpirlo ancora o di spingerlo via.
«Zitta, donna», le
intimò la creatura severamente – Kagome decise
che avrebbe smesso di definirlo umano, perché di certo non
apparteneva alla sua
stessa specie.
Così si fece forza e rimase
immobile, serrando furiosamente gli occhi e lasciando che
l’essere la odorasse
come un cane che cerca di memorizzare il profumo del suo nuovo padrone
–
sforzandosi di non rabbrividire alla sensazione della punta del suo
naso che le
sfregava contro il collo, la gola, la linea della mascella e
più su, appena
sotto l’orecchio, per poi scivolarvi dietro, immergendosi nei
suoi capelli; e
tuttavia non poté trattenere un gemito sorpreso quando egli
ripeté lo stesso
procedimento al contrario, usando stavolta bocca e lingua.
«Oh-mio-dio, che cosa diavolo
stai facendo?» Sbottò isterica, sollevando le mani
e cercando di far leva,
inutilmente, sul petto dell’essere. Le sue mani vennero a
contatto con il
freddo metallo di un’armatura e la soffice morbidezza di una
pelliccia, per poi
scivolare sulla pelle nuda delle clavicole. Kagome vi si
aggrappò, graffiando e
spingendo con furia, fin quando l’uomo sopra di lei non si
stufò e le afferrò
entrambi i polsi con una mano, stringendoli e tenendoglieli premuti
contro il
petto per prevenire altri movimenti.
«Insomma – sta’ ferma!»
Ringhiò
scocciato, facendo schioccare le proprie zanne con fare minaccioso a un
centimetro dal viso della ragazza. «Ti dimeni come un
cucciolo!»
«Se credi che rimarrò ferma a
farmi toccare da un pervertito come te, sappi che ti sbagli di
grosso!» Strillò
ancora lei, in un tono così alto da strappargli un guaito.
«Non voglio farti niente del
genere», sibilò lui. «Sto solo cercando
di capire che cosa sei!»
«Che cosa… sono? Io?»
Kagome sgranò gli occhi, scuotendo
la testa da una parte all’altra per liberarsi il viso dalla
cortina di capelli
che l’aveva resa cieca fin troppo. «Sei tu quello
strano che ha iniziato a
sniffare e odorarmi come un–»
I capelli finalmente le
scivolarono via dagli occhi, e Kagome non riuscì a
completare la frase. Davanti
a lei – o meglio, sopra di lei, si
corresse arrossendo violentemente – c’era
l’essere maschile più attraente su
cui avesse mai avuto l’occasione di posare lo sguardo.
Ciò che rapì
immediatamente la sua attenzione furono gli occhi – di un blu
così profondo e
limpido da non sembrare umano, le cui iridi sottili come quelle di un
gatto non
facevano che confermare il pensiero precedente, e circondati da ciglia
scure
così folte da apparire quasi femminili. Osservò
poi la linea dritta del naso
che scivolava a sovrastare due labbra sottili, dischiuse in un ansito
di
sorpresa il tanto necessario a mostrare la punta di due zanne
decisamente
inumane; il mento e la mandibola avevano dei tratti duri e volitivi, e
l’incarnato olivastro, bagnato dal sole, gli conferiva un
aspetto decisamente
esotico. Lunghi capelli corvini erano raccolti in una modesta coda di
cavallo
che gli pendeva disordinatamente da sopra una spalla, e che lasciavano
del
tutto scoperte delle orecchie più appuntite del normale,
quasi elfiche; ma d’un
tratto la sua attenzione scivolò sulle sue spalle
– solide e larghe, che le
davano la sensazione di essere imprigionata sotto di lui senza alcuna
possibilità di fuga.
Kagome deglutì lentamente,
stavolta con un’emozione ben diversa da quella provata pochi
minuti prima.
«Ehm», mormorò, la gola
improvvisamente secca. «Tu-tu non sei umano, vero?»
Il giovane aggrottò la fronte,
piegando il capo di lato in un atteggiamento stranamente canino.
«Certo che no –
sono un demone lupo. Non hai mai visto un demone?»
«Devo ammettere che tu sei il mio
primo», ammise lei con un filo di voce. Un
demone. Lo aveva detto sul serio, vero? E lei ci aveva
creduto senza
nemmeno dubitare?
Tutto questo stress mi manderà in terapia,
sospirò chiudendo gli
occhi.
«Va bene, sei un demone.» Diciamo che ti
credo, per quieto vivere.
«Posso sapere perché sei ancora su di me, e
perché mi stavi odorando fino a
poco fa?»
Quelle labbra sottili
stranamente attraenti si aprirono in un sorriso che era tutto
seduzione. «Per
rispondere alla seconda domanda, hai un odore troppo buono per un
essere umano –
in genere quelli della tua razza puzzano. Tu invece… profumi»,
sussurrò sorpreso, chinandosi di nuovo verso di lei e
immergendo
il naso tra i suoi capelli, per poi inspirare profondamente. «Aaah.
Mentre, riguardo la tua prima
domanda…»
Stavolta le strofinò il naso
contro la guancia in un gesto che sarebbe quasi potuto essere
affettuoso, se
solo non si fossero appena incontrati e lei non avesse ancora una
leggera paura
di lui. «Mh, sei morbida, e mi piace rimanere dove
sono», fu la sua semplice
risposta.
Kagome sentì nuovamente le fitte
di panico, e riprese a divincolarsi sotto il peso – non era
confortevole, no, che cosa diamine le prendeva?
– del demone.
«A me invece piacerebbe se ti
levassi – oddio!» La voce le si bloccò
in gola, e gli occhi incontrarono quelli
blu del ragazzo – come aveva detto di chiamarsi? Qualcosa su
un Clan delle
Montagne? – trovandoli fin troppo compiaciuti per i suoi
gusti. «Che cos’era
quello?»
Lui sorrise, facendo balenare
una zanna. «Cosa? Questo?» Domandò.
Kagome sentì di nuovo qualcosa di
caldo e soffice strofinarsi con studiata lentezza contro la propria
coscia, e
rabbrividì di un piacevole solletico.
«S-smettila!» Balbettò, quando
sentì la
cosa strusciarlesi ancora addosso. «Che
cos’è?»
«Mmh… Solo la mia coda», rispose
con un verso che somigliava a delle fusa, stendendosi meglio su di lei
in modo
da poter godere delle sue morbide curve senza schiacciarla.
Kagome sgranò leggermente gli
occhi. Ha pure una coda? La situazione
stava degenerando.
«Ti dispiacerebbe levarti, mh…
tizio…?»
Il demone imbronciò le labbra,
apparendo sinceramente risentito. «Il mio nome è
Kouga. Kouga, del Clan delle
Montagne», ripeté, come a voler essere certo che
stavolta il suo nome le rimanesse
impresso. «E tu, bella umana? Il tuo nome?»
«Sono Kagome, e sono stanca di
rimanere qui distesa per terra! Levati!» Sbottò
agitata. Nel prossimo futuro non
voleva scoprire altre parti della sua anatomia, se poteva impedirlo.
Ridacchiando a mezza voce, il
demone – Kouga – si limitò a scuotere la
testa. «Non me ne andrò di qui fino a
quando non mi dirai perché sei venuta a disturbare il mio
sonno – non che la
cosa mi dispiaccia più di tanto, devo ammettere»,
le mormorò contro la gola con
fare seduttivo.
«Non lo perché sono qui, va
bene!» Esclamò a quel punto Kagome, lasciandosi
prendere dall’isteria. «Io me
stavo andando a scuola senza disturbare nessuno! Poi mio fratello
è venuto a
dirmi che il gatto era sparito, e siamo andati a cercarlo, e siamo
entrati nel
tempietto del pozzo, e da lì dentro è sbucato
fuori un mostro osceno con zanne
e un sacco di braccia che mi ha afferrato e mi trascinato
giù insieme a lei, e
mi ha graffiato e ha cercato di mangiarmi perché voleva
chissà che diavolo di
sfera da me! E io non ho nessunissima maledetta sfera!»
Kouga sbatté lentamente le
palpebre, assorbendo lo sfogo per lo più incomprensibile
della ragazza, e poi
spostò lo sguardo verso il pozzo alle loro spalle con
un’aria d’un tratto seria
e meditativa. «Mh. Quindi, sei venuta dal pozzo?»
Mormorò perplesso,
sforzandosi di capire. «Potrebbe spiegare lo strano picco di
reiki che ho
sentito prima che apparissi tu…»
«Aspetta, di cosa stai parlando?
Reiki? Che cos’è?» Domandò
Kagome interessata e sinceramente sorpresa dall’improvviso
cambiamento di Kouga da ragazzino pestifero a uomo assennato.
«Il reiki è l’emanazione fisica
dell’aura
di una sacerdotessa… E’ l’equivalente
dello youki nei demoni», spiegò pazientemente,
riportando lo sguardo su di lei. Inarcò un sopracciglio,
studiandola per la
prima volta con aria assorta. «Sei una
sacerdotessa?»
Il suo sguardo serio le mise
addosso un’inspiegabile agitazione. «Io? No,
non… non credo! Voglio dire, abito
in un tempio, ma da qui a definirmi sacerdotessa–»
«Beh, quel reiki doveva pur
provenire da qualcuno, e qua ci siamo solo io e te», la
interruppe lui
piuttosto bruscamente. «Non mentirmi, Kagome – mi
piaci, e non vorrei davvero
doverti considerare una minaccia.»
«Una minaccia? Ma se non avevo
idea di chi fossi fino a un minuto fa!» Ribatté
lei. «Senti, perché non ci
alziamo e parliamo da persone civili, inizia a venirmi mal di schiena a
furia
di rimanere in questa posizione…»
Kouga avrebbe voluto contraddirla
e ripeterle che non si sarebbe mosso di un centimetro fino a quando non
gli
avesse detto con esattezza chi era e che cosa ci faceva nei suoi
territori; la
ragazza era un mistero, e malgrado avesse avuto una mezza intenzione di
farne
uno spuntino – la sua gente si nutriva di umani di volta in
volta, dopotutto –
c’era qualcosa, in lei, che la rendeva diversa, e di
conseguenza speciale, e
sarebbe stato un peccato ucciderla prima di aver risolto il suo enigma.
Senza contare
che il suo profumo era piacevolmente inebriante, e il suo temperamento
provocatorio rappresentava una sfida allettante per qualsiasi demone
– specie uno
appartenenze alla sua razza.
Lentamente, la sua espressione
assunse l’aria determinata di chi ha preso una decisione, e
il profumo della
ragazza precipitò rapidamente in un turbinio di ansia,
timore e apprensione – sorridere
gli venne istintivo.
Kagome rifletté che pareva un
gatto che ha appena inghiottito il canarino.
Vennero tuttavia interrotti
prima che Kouga potesse metterla a parte del recente cambiamento dei
piani: dalla
foresta provenne il suono di passi rapidi e respiri affaticati come di
chi ha
percorso un lungo tratto di corsa senza mai fermarsi a respirare, e
dopo pochi
secondi dalla vegetazione sbucarono altri due demoni che si fermarono a
riprendere fiato ai bordi della radura. A giudicare
dall’abbigliamento e dal
generale aspetto fisico, Kagome dedusse che doveva trattarsi di alcuni
compagni
di Kouga, e immediatamente si irrigidì – fino a
quando qualcuno non le avesse assicurato
che si trovava al sicuro, non avrebbe di certo abbassato la guardia.
Ancora non
aveva neppure capito dove si trovava, che diamine!
«Kouga!» Ansimò uno di loro, i
cui capelli argentei erano acconciati in una sorta di cresta.
«Sei qui!»
L’altro deglutì, passandosi una
mano sul volto sudato. «Ti abbiamo cercato
dappertutto!»
Come se avesse intuito l’attuale
stato d’animo della ragazza, Kouga avvicinò le
labbra al suo orecchio e le
sussurrò: «Tranquilla: sono membri del
branco.»
Kagome sbuffò, inarcando un
sopracciglio come a voler dire, E la cosa
dovrebbe tranquillizzarmi perché?
Quello attirò tuttavia l’attenzione
dei nuovi arrivati, che subito fecero dei passi in avanti muovendosi
pressoché
all’unisono e divorandola con lo sguardo. «Chi
è l’umana?» Domandò quello
con
la cresta.
«Uno spuntino?» Ridacchiò
l’altro,
leccandosi le labbra.
Kouga emise un basso ringhio di
avvertimento, rimettendo in riga i due demoni. Dopodiché si
alzò agilmente,
senza lasciare la presa sui polsi di Kagome e aiutandola a mettersi in
piedi
con una strana delicatezza. «Nessuno spuntino»,
ribatté sorridendo di sbieco,
passando il braccio libero intorno alle spalle della ragazza.
«Kagome è la mia
donna!»
«Ah?» Fecero i due lupi,
aggrottando la fronte.
«CHE COSA?» Strillò Kagome,
cercando di dargli – inutilmente – una gomitata.
Ignorando la reazione della
ragazza, Kouga si limitò a stringerla maggiormente contro di
sé e riportò la
sua attenzione ai suoi compagni. «Ginta, Hakkaku: salutate la
vostra nuova
sorella!»
Impallidendo come un cencio all’avvicinarsi
dei due demoni, che a quanto pareva avevano tutta
l’intenzione di annusarla a
loro volta, Kagome realizzò che la sua vita aveva appena
iniziato ad andare a
rotoli, e che quello era probabilmente il peggior compleanno della sua
vita.
La coda di Kouga le scivolò
nuovamente lungo le cosce, procurandole un brivido, e quando
sollevò lo sguardo
per incontrare l’occhiata maliziosa del demone, Kagome
arrossì e rettificò.
In fondo ne aveva avuto di peggiori…
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
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Oneshot:
2573 parole.