WE ARE OUT FOR PROMPT
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19/20 SETTEMBRE 2015
Titolo: I Found My Place
Personaggi: Hans, Anna
Prompt ©Alexiel Hamona Mihawk: Hans/Anna,
modern!AU, Ha sempre
sognato una casa come quella.
Avvertimenti: Probabile OOC.
Note: Il titolo della storia riprende un verso della
canzone “Love
is an open door”.
Il cognome di Hans “Westergaard”
è entrato praticamente nel (head)canon ufficiale, mentre il
fatto che giochi a
hockey è un semplice accenno a una fanfiction inglese che
adoro. E forse il
prompt voleva puntare a uno svolgimento più angst, ma mi
è uscita una cosa
fluffosa… a parte la frase finale che potrebbe essere
interpretata. LOL.
Buona lettura!
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I Found
My Place
L’immensa villa bianca, dal
tetto color sabbia e le imposte scure, circondata da un giardino
perfettamente
curato nel più piccolo dettaglio – dalla fontana
in marmo, al prato fin troppo
verde e ai cespugli di biancospino lungo il vialetto che conduceva al
portico –
pareva uscita direttamente dalle pagine di una rivista sulle case da
sogno. Se
stringeva gli occhi poteva quasi intravedere il luccichio degli effetti
grafici
di Photoshop – perché non era possibile che una
simile abitazione esistesse
nella realtà!
Hans deglutì, sistemandosi
meglio lo zaino sulle spalle e iniziando a pentirsi di essere passato
subito
dopo scuola, con addosso ancora la divisa da hockey. Per
carità, la doccia
l’aveva fatta subito dopo l’allenamento –
ma davanti a tutto quel lusso non
poteva fare a meno di sentirsi sporco e decisamente fuori luogo. Con
uno sbuffo
ironico, rifletté che probabilmente si sarebbe sentito a
disagio anche se fosse
andato vestito con il suo abito migliore – ossia uno che non
era già stato
indossato da almeno quattro dei suoi dodici fratelli maggiori.
Mentre avanzava lungo il
vialetto, si domandò per quale diavolo di motivo si fosse
offerto di portare
gli appunti e i vari compiti di scuola alla giovane ragazzina ricca che
si era
trasferita nella sua classe all’inizio del semestre. Forse
era stata semplice
curiosità – i suoi compagni di studio e
allenamento mormoravano strane storie
riguardanti genitori morti, eredità incredibili e una
misteriosa sorella
maggiore che la trattava male – o forse, in fondo, gli
dispiaceva che nei due
mesi in cui si era trasferita non aveva stretto amicizia con nessuno.
Preferiva
starsene sulle sue, la piccola Anna, preferibilmente
nell’ultimo banco accanto
alla finestra o in qualche reparto nascosto della biblioteca, e persino
durante
il pranzo mangiava fuori, su qualche panca solitaria ai lati del
cortile o
sulle scalinate che portavano al tetto.
Non avrebbe neppure saputo dire
per quale motivo fosse così conscio della sua presenza. Non
era quella grande
bellezza – anzi, era una ragazza piuttosto nella norma, che
svettava per lo più
per i suoi vestiti costosi che tuttavia si sforzava di non ostentare e
per
l’aria malinconica e pensierosa che aveva ovunque andasse e
qualsiasi cosa
facesse. L’aveva vista sorridere di rado, e quelle poche
volte il suo sorriso
era stato così triste che Hans si era ritrovato a pensarci
più e più volte –
perché, insomma, che ragione poteva avere una ragazza di
diciassette anni, nata
e cresciuta nella bambagia, per essere triste?
Così, quando si era assentata da
scuola per due giorni senza avvisare nessuno, Hans era stato il primo
ad
offrirsi per andare a portarle il materiale di studio che si era persa.
Il professore
gli aveva dato l’indirizzo, perché a quanto pareva
nessuno degli altri compagni
di classe aveva la benché minima idea di dove lei abitasse,
e quella sera
stessa aveva preso la sua moto e vi si era diretto subito dopo
l’allenamento.
Salì i gradini del portico
continuando a lanciare occhiate ammirate e invidiose a destra e a
sinistra, e
sollevò poi un dito per pigiarlo sul freddo e lucido ottone
del campanello.
Hans quasi sperò di non lasciarci impronte – ridicolo.
Non dovette attendere molto.
Subito da dentro provenne il rumore di passi affrettati, e pochi
secondi dopo
la porta si spalancò su quella che doveva essere la
governante, o domestica, o
qualsiasi fosse il termine esatto. Alla chiara espressione confusa
della donna,
Hans si schiarì la voce e cercò di suonare
convincente.
«Uhm, salve. Sono un compagno di
classe di Anna, sono venuto a portarle i compiti
per–»
La donna non lo lasciò finire.
«Oh, è a scuola con miss Anna? Prego, entri, non
stia fuori!» Esclamò subito
facendosi da parte per farlo avanzare nell’ingresso. Hans
sbatté le palpebre ma
obbedì – in quale universo parallelo era finito?
Quella donna gli aveva appena
dato del ‘lei’ e si era rivolta a una ragazzina che
poteva essere sua nipote
con l’appellativo di ‘miss’?
Wow, i ricchi erano strani.
Nel frattempo, la governante
stava continuando a parlare e a fargli strada. «Lei
è il primo amico di miss
Anna che viene a trovarla! Sono tanto lieta che miss Anna abbia fatto
amicizia
con un così bel ragazzo, vedrà che
sarà contenta di vederla! Perché non inizia
a raggiungerla? Ha avuto la febbre alta fino a ieri notte ma stamattina
le è
scesa e adesso sta già meglio… Guardi, la sua
camera è al primo piano, alla
fine delle scale giri a sinistra e prosegua per tutto il
corridoio… Non può
sbagliare! Io vado a preparare il tè!»
Hans osservò con occhi sgranati
la donna che spariva dietro chissà quale porta, prima di
volgere lo sguardo
verso le scale con aria perplessa. Era questa l’accoglienza
che ricevevano gli
estranei in casa della gente ricca? Erano davvero così
sicuri di loro stessi da
non curarsi minimamente di chi lasciavano libero di gironzolare nella
propria
dimora?
Con un sospiro rassegnato, Hans
prese a salire le scale. I suoi occhi curiosi e voraci continuavano a
studiare
l’ambiente – osservando i quadri, le lampade, il
tappeto che ricopriva i
gradini in legno, il corrimano lucido e liscio, persino la tappezzeria
delicatamente decorata. Oh, i ricchi potevano pure essere strani ma di
sicuro
si trattavano bene. Non gli sarebbe dispiaciuto abitare in una casa del
genere…
Poteva quasi immaginarselo.
Seduto su una poltroncina di vimini sotto il portico, con in mano un
bicchiere
colmo di qualche costosissimo liquore, un domestico che di tanto in
tanto gli
si avvicinava per chiedergli che cosa gradisse, e due o tre cani
accucciati ai
suoi piedi a sonnecchiare in un pomeriggio estivo, e
l’esaltante consapevolezza
di essere padrone dell’immensa villa alle sue spalle e della
proprietà che ne
faceva parte.
Ah, e la parte più bella: le
occhiate di invidia dei suoi fratelli.
E la mano di Anna dolcemente
posata su una spalla, mentre si chinava verso di lui facendo scivolare
i suoi
serici capelli rossi sul suo viso, e le labbra sorridenti appena
dischiuse per
–
Fermo un attimo! Che cosa ci faceva Anna nella sua
fantasia? Che
diamine, non la conosceva nemmeno!
Passandosi una mano per
ravvivarsi i propri capelli rossi e scuotere dalla mente
l’incomprensibile
visione che aveva appena avuto, Hans prese un profondo respiro e
bussò due
colpi decisi alla porta della camera della sua compagna di classe. Il
piano era
semplice: entrare, lasciarle gli appunti e andarsene da quella casa il
prima
possibile, prima che si impiantasse così a fondo nelle sue
retine da rendergli
impossibile tornare a vivere in una casa insieme ad altre quattordici
persone.
Da dietro la porta provenne un
delicato tossire, e poi una voce forzatamente allegra
esclamò: «Avanti!»
Hans si affacciò sull’uscio,
leggermente intimidito dalla nuova stanza – probabilmente
persino più grande
della sua sala da pranzo. Contrariamente alle sue aspettative, non
c’era nulla
di rosa: l’arredamento prendeva toni di bianco, rosso e
qualche gradazione
pastello di verde, e tutto sommato non era eccessivamente femminile o
eccentrica.
Un’ampia scrivania con sopra un computer, quaderni e fogli
sparsi, una parete
ricoperta da fotografie di paesaggi e qualche foto di famiglia
– alla faccia di
chi diceva che Anna non andava d’accordo con la sua
misteriosa sorella – un
armadio, uno stereo, un’ampia finestra che dava sul giardino
e un letto
matrimoniale, unico arredo davvero lussuoso, con sopra la ragazza
sepolta da un
notevole strato di coperte e cuscini.
«Mh, Gerda?» Chiese, mettendo il
naso fuori da sotto il piumone. Quando però i suoi occhi
verdi si posarono sul
suo attuale visitatore, la giovane scattò a sedere,
apparendo leggermente più
lucida, con una criniera di capelli scarmigliati e gonfi che le dava
l’aria del
leone, e lo fissò con aria incuriosita e contenta insieme.
«Ooh, ma tu sei
Westergaard!»
Hans batté le palpebre,
iniziando a provare un leggero imbarazzo. «Hm, sì?
Mi conosci?»
«Certo, sì, siamo in classe
insieme! Storia, chimica, economia e letteratura! Non ti
ricordi?»
«Ah, io sì, mi ricordo, non
pensavo che te ne ricordassi tu…»
«Beh, beh, sei l’unico che gioca
a hockey della classe», ammise lei, arrossendo appena.
Hans si ritrovò suo malgrado a
sorridere. «Ti piace l’hockey?»
«Mi piaci tu», sbottò Anna
istintivamente, senza pensarci. Nel giro di un secondo però
sgranò gli occhi,
diventò impossibilmente rossa e iniziò a
balbettare in modo terribilmente
delizioso. «Oh mio Dio, volevo dire che mi piaci come giochi
a hockey! Cioè,
sei molto bravo! Non volevo dire che mi piaci in quel senso,
cioè-cioè, non
fraintendermi, sei bellissimo! È solo che-che…
io–»
Decidendo di salvarla
dall’imbarazzo e dalla fossa che stava diventando sempre
più profonda, Hans si
sforzò di trattenere la risata e diede due colpi di tosse
per darsi un
contegno. «Anna? Prendi un respiro profondo, ti
tornerà la tosse», suggerì,
l’immagine stessa della galanteria.
«Scusami, sul serio», mormorò lei
con aria contrita fissando un punto indefinito delle coperte.
«Ho un caso acuto
di diarrea verbale. Peggiora con la febbre.»
A quella Hans non riuscì a non
ridacchiare.
Passandosi una mano tra i
capelli per domare la sua chioma ribelle, Anna parve realizzare
un’altra cosa. «Non
ti ho neppure chiesto come mai sei venuto fin qui! È
successo qualcosa a
scuola?»
«Ah no, non preoccuparti.
Semplicemente, il signor Weaseltown mi ha incaricato di portarti i
compiti, e
quindi…» Si sfilò lo zaino da dietro le
spalle e prese a frugarci all’interno
alla ricerca degli appunti.
Mentre lo osservava, Anna si
lasciò scappare un risolino. «Sono quasi sicura
che si pronunci Weselton.»
Hans ricambiò il sorriso con un
ghigno che aveva conquistato ragazze ben più popolari.
«Weaseltown fa più
ridere, però, non credi?»
Ben presto, Hans si ritrovò a
sedersi sul bordo del letto di Anna, a ridere e chiacchierare come se
si
conoscessero da sempre e non come se fossero fortuiti compagni di
classe che
non si erano mai rivolti più di due parole prima di allora.
Scoprì che Anna
andava spesso ad assistere agli allenamenti di hockey – le
piaceva vedere la
gente fare avanti e indietro sul ghiaccio, uno strano passatempo che le
aveva
passato sua sorella per tutte le volte in cui se la trascinava appresso
quando
andava a fare le sue gare di pattinaggio artistico; scoprì
che i suoi genitori
erano in effetti scomparsi, e che lei aveva vissuto con sua sorella
Elsa
seguendola da una capitale europea all’altra inseguendo gare
e allenamenti, e
che solo adesso, da grande, aveva puntato i piedi per avere una
sistemazione
stabile e si era trasferita nella S. Isles Highschool.
Gerda era già andata a portare
loro del tè, ma solo quando iniziò a far buio e
furono costretti ad accendere
le luci i due si accorsero che si era fatto tardi.
Tuttavia, prima che Hans potesse
prepararsi per andar via, Anna gli posò frettolosamente una
mano sul braccio e
lo trattenne, impedendogli di alzarsi. «Mh, Hans? Lo so che
è la prima volta
che vieni a casa mia, però… Per ringraziarti di
essere venuto fin qui, ti
andrebbe di rimanere a cena?»
Il ragazzo inarcò un
sopracciglio, e all’improvviso la visione di loro due seduti
sotto il portico tornò
a baluginargli misteriosamente in testa. Arrossendo leggermente
– perché non si
era appena immaginato di baciare Anna, no, non era possibile
– Hans scrollò le
spalle, rivolgendole un sorriso. «Sì,
perché no? Resto volentieri.»
Il sorriso che si allargò per
tutta risposta sulla bocca di Anna gli fece pensare che, forse, quella
visione
non era poi tanto impossibile.
E forse neppure il sogno di
abitare in quella casa.
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