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Autore: Niglia    22/09/2015    3 recensioni
[Hans/Anna]
Ha sempre sognato una casa come quella...
Scritta per il 'Drabble Weekend Event' indetto dal gruppo FB "We are out for prompt".
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Hans
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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WE ARE OUT FOR PROMPT – 19/20 SETTEMBRE 2015

Titolo: I Found My Place
Personaggi: Hans, Anna
Prompt ©Alexiel Hamona Mihawk: Hans/Anna, modern!AU, Ha sempre sognato una casa come quella.
Avvertimenti: Probabile OOC.
Note: Il titolo della storia riprende un verso della canzone “Love is an open door”.
Il cognome di Hans “Westergaard” è entrato praticamente nel (head)canon ufficiale, mentre il fatto che giochi a hockey è un semplice accenno a una fanfiction inglese che adoro. E forse il prompt voleva puntare a uno svolgimento più angst, ma mi è uscita una cosa fluffosa… a parte la frase finale che potrebbe essere interpretata. LOL.
Buona lettura!



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I Found My Place








L’immensa villa bianca, dal tetto color sabbia e le imposte scure, circondata da un giardino perfettamente curato nel più piccolo dettaglio – dalla fontana in marmo, al prato fin troppo verde e ai cespugli di biancospino lungo il vialetto che conduceva al portico – pareva uscita direttamente dalle pagine di una rivista sulle case da sogno. Se stringeva gli occhi poteva quasi intravedere il luccichio degli effetti grafici di Photoshop – perché non era possibile che una simile abitazione esistesse nella realtà!
Hans deglutì, sistemandosi meglio lo zaino sulle spalle e iniziando a pentirsi di essere passato subito dopo scuola, con addosso ancora la divisa da hockey. Per carità, la doccia l’aveva fatta subito dopo l’allenamento – ma davanti a tutto quel lusso non poteva fare a meno di sentirsi sporco e decisamente fuori luogo. Con uno sbuffo ironico, rifletté che probabilmente si sarebbe sentito a disagio anche se fosse andato vestito con il suo abito migliore – ossia uno che non era già stato indossato da almeno quattro dei suoi dodici fratelli maggiori.
Mentre avanzava lungo il vialetto, si domandò per quale diavolo di motivo si fosse offerto di portare gli appunti e i vari compiti di scuola alla giovane ragazzina ricca che si era trasferita nella sua classe all’inizio del semestre. Forse era stata semplice curiosità – i suoi compagni di studio e allenamento mormoravano strane storie riguardanti genitori morti, eredità incredibili e una misteriosa sorella maggiore che la trattava male – o forse, in fondo, gli dispiaceva che nei due mesi in cui si era trasferita non aveva stretto amicizia con nessuno. Preferiva starsene sulle sue, la piccola Anna, preferibilmente nell’ultimo banco accanto alla finestra o in qualche reparto nascosto della biblioteca, e persino durante il pranzo mangiava fuori, su qualche panca solitaria ai lati del cortile o sulle scalinate che portavano al tetto.
Non avrebbe neppure saputo dire per quale motivo fosse così conscio della sua presenza. Non era quella grande bellezza – anzi, era una ragazza piuttosto nella norma, che svettava per lo più per i suoi vestiti costosi che tuttavia si sforzava di non ostentare e per l’aria malinconica e pensierosa che aveva ovunque andasse e qualsiasi cosa facesse. L’aveva vista sorridere di rado, e quelle poche volte il suo sorriso era stato così triste che Hans si era ritrovato a pensarci più e più volte – perché, insomma, che ragione poteva avere una ragazza di diciassette anni, nata e cresciuta nella bambagia, per essere triste?
Così, quando si era assentata da scuola per due giorni senza avvisare nessuno, Hans era stato il primo ad offrirsi per andare a portarle il materiale di studio che si era persa. Il professore gli aveva dato l’indirizzo, perché a quanto pareva nessuno degli altri compagni di classe aveva la benché minima idea di dove lei abitasse, e quella sera stessa aveva preso la sua moto e vi si era diretto subito dopo l’allenamento.
Salì i gradini del portico continuando a lanciare occhiate ammirate e invidiose a destra e a sinistra, e sollevò poi un dito per pigiarlo sul freddo e lucido ottone del campanello. Hans quasi sperò di non lasciarci impronte – ridicolo.
Non dovette attendere molto. Subito da dentro provenne il rumore di passi affrettati, e pochi secondi dopo la porta si spalancò su quella che doveva essere la governante, o domestica, o qualsiasi fosse il termine esatto. Alla chiara espressione confusa della donna, Hans si schiarì la voce e cercò di suonare convincente.
«Uhm, salve. Sono un compagno di classe di Anna, sono venuto a portarle i compiti per–»
La donna non lo lasciò finire. «Oh, è a scuola con miss Anna? Prego, entri, non stia fuori!» Esclamò subito facendosi da parte per farlo avanzare nell’ingresso. Hans sbatté le palpebre ma obbedì – in quale universo parallelo era finito? Quella donna gli aveva appena dato del ‘lei’ e si era rivolta a una ragazzina che poteva essere sua nipote con l’appellativo di ‘miss’?
Wow, i ricchi erano strani.
Nel frattempo, la governante stava continuando a parlare e a fargli strada. «Lei è il primo amico di miss Anna che viene a trovarla! Sono tanto lieta che miss Anna abbia fatto amicizia con un così bel ragazzo, vedrà che sarà contenta di vederla! Perché non inizia a raggiungerla? Ha avuto la febbre alta fino a ieri notte ma stamattina le è scesa e adesso sta già meglio… Guardi, la sua camera è al primo piano, alla fine delle scale giri a sinistra e prosegua per tutto il corridoio… Non può sbagliare! Io vado a preparare il tè!»
Hans osservò con occhi sgranati la donna che spariva dietro chissà quale porta, prima di volgere lo sguardo verso le scale con aria perplessa. Era questa l’accoglienza che ricevevano gli estranei in casa della gente ricca? Erano davvero così sicuri di loro stessi da non curarsi minimamente di chi lasciavano libero di gironzolare nella propria dimora?
Con un sospiro rassegnato, Hans prese a salire le scale. I suoi occhi curiosi e voraci continuavano a studiare l’ambiente – osservando i quadri, le lampade, il tappeto che ricopriva i gradini in legno, il corrimano lucido e liscio, persino la tappezzeria delicatamente decorata. Oh, i ricchi potevano pure essere strani ma di sicuro si trattavano bene. Non gli sarebbe dispiaciuto abitare in una casa del genere…
Poteva quasi immaginarselo. Seduto su una poltroncina di vimini sotto il portico, con in mano un bicchiere colmo di qualche costosissimo liquore, un domestico che di tanto in tanto gli si avvicinava per chiedergli che cosa gradisse, e due o tre cani accucciati ai suoi piedi a sonnecchiare in un pomeriggio estivo, e l’esaltante consapevolezza di essere padrone dell’immensa villa alle sue spalle e della proprietà che ne faceva parte.
Ah, e la parte più bella: le occhiate di invidia dei suoi fratelli.
E la mano di Anna dolcemente posata su una spalla, mentre si chinava verso di lui facendo scivolare i suoi serici capelli rossi sul suo viso, e le labbra sorridenti appena dischiuse per –
Fermo un attimo! Che cosa ci faceva Anna nella sua fantasia? Che diamine, non la conosceva nemmeno!
Passandosi una mano per ravvivarsi i propri capelli rossi e scuotere dalla mente l’incomprensibile visione che aveva appena avuto, Hans prese un profondo respiro e bussò due colpi decisi alla porta della camera della sua compagna di classe. Il piano era semplice: entrare, lasciarle gli appunti e andarsene da quella casa il prima possibile, prima che si impiantasse così a fondo nelle sue retine da rendergli impossibile tornare a vivere in una casa insieme ad altre quattordici persone.
Da dietro la porta provenne un delicato tossire, e poi una voce forzatamente allegra esclamò: «Avanti!»
Hans si affacciò sull’uscio, leggermente intimidito dalla nuova stanza – probabilmente persino più grande della sua sala da pranzo. Contrariamente alle sue aspettative, non c’era nulla di rosa: l’arredamento prendeva toni di bianco, rosso e qualche gradazione pastello di verde, e tutto sommato non era eccessivamente femminile o eccentrica. Un’ampia scrivania con sopra un computer, quaderni e fogli sparsi, una parete ricoperta da fotografie di paesaggi e qualche foto di famiglia – alla faccia di chi diceva che Anna non andava d’accordo con la sua misteriosa sorella – un armadio, uno stereo, un’ampia finestra che dava sul giardino e un letto matrimoniale, unico arredo davvero lussuoso, con sopra la ragazza sepolta da un notevole strato di coperte e cuscini.
«Mh, Gerda?» Chiese, mettendo il naso fuori da sotto il piumone. Quando però i suoi occhi verdi si posarono sul suo attuale visitatore, la giovane scattò a sedere, apparendo leggermente più lucida, con una criniera di capelli scarmigliati e gonfi che le dava l’aria del leone, e lo fissò con aria incuriosita e contenta insieme. «Ooh, ma tu sei Westergaard!»
Hans batté le palpebre, iniziando a provare un leggero imbarazzo. «Hm, sì? Mi conosci?»
«Certo, sì, siamo in classe insieme! Storia, chimica, economia e letteratura! Non ti ricordi?»
«Ah, io sì, mi ricordo, non pensavo che te ne ricordassi tu…»
«Beh, beh, sei l’unico che gioca a hockey della classe», ammise lei, arrossendo appena.
Hans si ritrovò suo malgrado a sorridere. «Ti piace l’hockey?»
«Mi piaci tu», sbottò Anna istintivamente, senza pensarci. Nel giro di un secondo però sgranò gli occhi, diventò impossibilmente rossa e iniziò a balbettare in modo terribilmente delizioso. «Oh mio Dio, volevo dire che mi piaci come giochi a hockey! Cioè, sei molto bravo! Non volevo dire che mi piaci in quel senso, cioè-cioè, non fraintendermi, sei bellissimo! È solo che-che… io–»
Decidendo di salvarla dall’imbarazzo e dalla fossa che stava diventando sempre più profonda, Hans si sforzò di trattenere la risata e diede due colpi di tosse per darsi un contegno. «Anna? Prendi un respiro profondo, ti tornerà la tosse», suggerì, l’immagine stessa della galanteria.
«Scusami, sul serio», mormorò lei con aria contrita fissando un punto indefinito delle coperte. «Ho un caso acuto di diarrea verbale. Peggiora con la febbre.»
A quella Hans non riuscì a non ridacchiare.
Passandosi una mano tra i capelli per domare la sua chioma ribelle, Anna parve realizzare un’altra cosa. «Non ti ho neppure chiesto come mai sei venuto fin qui! È successo qualcosa a scuola?»
«Ah no, non preoccuparti. Semplicemente, il signor Weaseltown mi ha incaricato di portarti i compiti, e quindi…» Si sfilò lo zaino da dietro le spalle e prese a frugarci all’interno alla ricerca degli appunti.
Mentre lo osservava, Anna si lasciò scappare un risolino. «Sono quasi sicura che si pronunci Weselton.»
Hans ricambiò il sorriso con un ghigno che aveva conquistato ragazze ben più popolari. «Weaseltown fa più ridere, però, non credi?»
Ben presto, Hans si ritrovò a sedersi sul bordo del letto di Anna, a ridere e chiacchierare come se si conoscessero da sempre e non come se fossero fortuiti compagni di classe che non si erano mai rivolti più di due parole prima di allora. Scoprì che Anna andava spesso ad assistere agli allenamenti di hockey – le piaceva vedere la gente fare avanti e indietro sul ghiaccio, uno strano passatempo che le aveva passato sua sorella per tutte le volte in cui se la trascinava appresso quando andava a fare le sue gare di pattinaggio artistico; scoprì che i suoi genitori erano in effetti scomparsi, e che lei aveva vissuto con sua sorella Elsa seguendola da una capitale europea all’altra inseguendo gare e allenamenti, e che solo adesso, da grande, aveva puntato i piedi per avere una sistemazione stabile e si era trasferita nella S. Isles Highschool.
Gerda era già andata a portare loro del tè, ma solo quando iniziò a far buio e furono costretti ad accendere le luci i due si accorsero che si era fatto tardi.
Tuttavia, prima che Hans potesse prepararsi per andar via, Anna gli posò frettolosamente una mano sul braccio e lo trattenne, impedendogli di alzarsi. «Mh, Hans? Lo so che è la prima volta che vieni a casa mia, però… Per ringraziarti di essere venuto fin qui, ti andrebbe di rimanere a cena?»
Il ragazzo inarcò un sopracciglio, e all’improvviso la visione di loro due seduti sotto il portico tornò a baluginargli misteriosamente in testa. Arrossendo leggermente – perché non si era appena immaginato di baciare Anna, no, non era possibile – Hans scrollò le spalle, rivolgendole un sorriso. «Sì, perché no? Resto volentieri.»
Il sorriso che si allargò per tutta risposta sulla bocca di Anna gli fece pensare che, forse, quella visione non era poi tanto impossibile.
E forse neppure il sogno di abitare in quella casa.




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Drabble: 1897 parole.


   
 
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