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Autore: Robin Dunst    22/09/2015    1 recensioni
"Secoli sprecati quelli che avevo vissuto. Non riuscivo più a trovare l’utilità della mia esistenza. Volevo solo dimostrare agli altri chi ero, che valevo qualcosa, che non ero solamente il fratellino di Thor sempre un passo indietro al biondo e tanto perfetto figlio di Odino."
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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                                                                            I

Since I was born they have kept me down, they have forced me to conform.
I will tear down their holy crown in a vengeful thunder storm,


Secoli sprecati quelli che avevo vissuto. Non riuscivo più a trovare l’utilità della mia esistenza. Volevo solo dimostrare agli altri chi ero, che valevo qualcosa, che non ero solamente il fratellino di Thor sempre un passo indietro al biondo e tanto perfetto figlio di Odino.

Sembravano semplici ed efficaci tutti i piani che avevano escogitato, eppure non ce n’era uno che non mi si fosse ritorto contro alla fine. E ora cosa mi rimaneva da fare? 

Sospirai mentre raggiungevamo, in quella che i mortali chiamavano automobile, il punto da dove saremmo dovuti ripartire, tornare ad Asgard.

Non avevo paura del giudizio di Odino. Nel peggiore dei casi cosa sarebbe potuto succedermi? Essere condannato a morte? Perfino il sonno eterno sarebbe stato una dolce carezza in confronto alle torture atroci, fisiche e psicologiche, che avevo sopportato.


Tornai con la mente indietro di un anno.


La vita non era stata affatto clemente con me, volevo farla finita, levarmi dai piedi per sempre, in modo che nessuno avrebbe mai più avuto da ridire sulla mia indesiderata presenza. Avevo lasciato la presa, avevo chiuso gli occhi gettandomi nel vuoto, era stata strana quella sensazione di precarietà. Sentire l’aria graffiarti la pelle nella caduta, avere la strana certezza che quelli fossero gli ultimi istanti che avresti mai vissuto. Era stato quasi bello. 

Avevo ripensato a quella che era stata la mia vita, mi era passata davanti come un flash, un flash che in pochi secondi mi aveva permesso di rivedere ogni istante che avevo vissuto.
Ero stato lasciato a morire, abbandonato da piccolo in un freddo angolino di Jotunheim, ero stato salvato dalla più miserabile delle persone, per poi essere cresciuto tra menzogne e falsità, speranze e sogni destinati ad infrangersi.

Trascinato in battaglie alle quali non avrei mai preso parte se non fosse stato per Thor e la sua personale scorta di amici leccapiedi. Erano uno più stolto dell’altro quei guerrieri, uno vanitoso, l’altro ingordo, il terzo… Il terzo non sapevo neanche se sapesse parlare. Lo avevo sentito dire sì e no un paio di parole, da quando avevo avuto la sfortuna di conoscerlo insieme agli altri. Poi c’era Lady Sif -abile guerriera certo, ma non certo meno insignificante del resto della stolida combriccola- accecata da una’attrazione, mai pienamente ricambiata-  nei confronti di Thor.

Con mia grande sorpresa tra tutto il disprezzo e l’odio racchiusi tra qui ricordi riuscii a trovare anche qualcosa di dolce: ricordai la mia prima lezione di magia, con mia madre - o meglio… Colei che per secoli avevo creduto essere mia madre- l’unico essere vivente che mi avesse  mai dimostrato affetto. 

Sarebbe stato quello il ricordo della vita passata che avrei portato con me nel buio aldilà. 
 
Eppure dopo quella caduta riaprii gli occhi, non ero morto e ciò non poteva che darmi fastidio. Ero quasi… Deluso. 

Ero deluso dal fatto di essere ancora vivo, ma quella delusione non era nulla in confronto alla paura, il terrore che avevo percepito nello stesso momento in cui mi resi conto di essere  incappato in qualcosa di gran lunga peggiore della morte.



Tornai alla realtà.


Abbassai la testa, in quel momento realizzai di non essere mai stato felice in vita mia. Cos’era la felicità? Cos’era la gioia? Queste erano sensazioni a me sconosciute, di cui ero stato  privato da ancor prima di aver  memoria.

Scesi da quel veicolo ferroso trascinato da Thor per un braccio, coloro che mi avevano sconfitto mi guardavano beffardi. Quanto potevo odiarli…

Mi ero illuso nella possibilità di trovare finalmente la mia ricompensa in una vendetta, sarebbe stata una sorta di rimborso per i danni che avevo subito in passato.
Per ogni offesa, ogni torto, l’universo doveva pagare.  Non ero riuscito a prendere Asgard e avevo dunque tentano di sottomettere Midgard.  Anche perché mi era stato ordinato, da colui che per un anno intero si era quasi divertito nel torturarmi, di recuperare il tanto potente cubo azzurro che in quel momento splendeva davanti ad i miei occhi.

Ma non c’ero riuscito.


Ripensando a Thanos fui quasi rallegrato dal fatto che mi stessero portando ad Asgard, e che da lì me ne sarei riandato -se dopo un giorno o dopo millenni, non mi era permesso saperlo- solo da morto. 
Il titano aveva promesso di cercarmi in ogni dove se non gli avessi riportato il Tesseract come era di fatto accaduto, e il dover essere sbattuto in un posto traboccante di guardie pronte a difendere il loro regno con la vita mi tranquillizzava, sarei stato al sicuro in quella prigione dorata.

Thor salutò i suoi nuovi tanto cari amici per poi attivare il marchingegno collegato al cubo, facendoci sparire dagli occhi dei mortali in un fascio di luce. tornammo a quella che per secoli avevo considerato casa. Tornammo ad Asgard.



 
II

loathe their bloody righteous ways it fills me with despise,
Fuelling flames of violent rage, I will be their world's demise.




I trattamenti che gli Asgardiani riservavano ai prigionieri non erano di certo delicati, poi figuriamoci se erano rivolti a me, un criminale tanto speciale.

Ripensavo alla sentenza di Odino, quel lurido vecchio mi aveva condannato a passare l’eternità nei sotterranei. Mi avrebbe ucciso se avesse potuto, questo me l’aveva fatto capire senza mezzi termini. 
Tuttavia, nonostante Frigga gli avesse impedito di porre fine alla mia vita in un modo crudele quanto lo poteva essere una qualsiasi esecuzione, il Padre degli Dei era riuscito a riservarmi un trattamento speciale di cui mia madre non era al corrente. Non poteva non farmi soffrire, Odino era un esperto in questo campo, lo era sempre stato.

All’ennesimo colpo di frusta iniziai a tremare, stringendo i denti, serrando gli occhi. Ero vile, lo ero sempre stato, ma essendo anche un bugiardo più che patentato ero in grado di nascondere questa mia viltà. Ero diventato bravo, dannatamente bravo, a mascherare il dolore in modo da non dare alcuna soddisfazione  a coloro che si divertivano a torturarmi.

Ad un tratto sentii le catene allentarsi, una guardia mi afferro per una spalla facendomi voltare in modo indelicato verso tutti gli Enehrjair a cui stavo dando le spalle -e di certo non gli rivolgevo la schiena per mia volontà-.

Rivolsi loro un sorriso di scherno, uno di quegli infidi sorrisetti che dedicavo ai miei avversari per farli impazzire. Li sfidavo. Se avessi dovuto passare l’eternità  rinchiuso tra quattro mura, almeno mi sarei divertito un po’ portando all’esasperazione coloro che avevano il compito di esasperare me.

Tutto quello che guadagnai dal mio atteggiamento spavaldo fu solo un bello schiaffo tanto forte da portarmi a sbattere la testa contro il muro di pietra. Le orecchie fischiavano ma non ci feci caso. Continuai a recitare la mia parte.

Fui strattonato via da dov’ero e -con mia grande sorpresa- le catene vennero sciolte, lasciandomi così completa libertà di movimento. 

“Prova solo a tentare di fuggire e sei morto.” disse una guardia puntandomi la lancia contro, tenendo la lama affilata, fredda e lucente, così vicina al mio collo da sfiorarmi quasi la pelle.

“Sai, mi mancano quei tempi quando eravate obbligati a darmi del voi.” replicai io abbozzando una sorta di ghigno.

Mi gettarono addosso una copiosa secchiata d’acqua, una sorta di gelida doccia tanto per lavare un po’ via il sangue che mi macchiava la schiena.  

Mi furono lanciati – sì, lanciati. Dato che nessuno aveva il coraggio di muovere più di un passo nella mia direzione- dei vestiti nuovi. 
Li guardai quasi incredulo, credevo che mi avrebbero lasciato con i vestiti che avevo: quei pantaloni ormai mezzi laceri che avevo indosso in pratica da quando ero arrivato a Midgard diversi giorni prima. 

“Devi ringraziare la regina per quelli.” disse colui che me li aveva tirati. Cercai di trattenere un sorriso quasi nostalgico, era quasi commovente il fatto che Frigga non rinunciasse ad aiutarmi in un qualsiasi  modo, nonostante fosse consapevole di tutto ciò che avevo fatto.

Mi vestii alla svelta, sotto la pressione degli Enehrjair che forse ritenevano di avere qualcosa più importante da fare che assicurarsi che io non scappassi. Illusi. Di certo non sarei fuggito nel preciso istante in cui tutti si aspettavano che lo facessi.

I loro modi non facevano altro che innervosirmi, loro la potevano utilizzare la violenza. Erano autorizzati, giustificati nel farlo, forse avevano già ucciso qualcuno in passato, esattamente come me, eppure io ero dalla parte del prigioniero, dalla parte del torto, e loro se ne stavano tranquilli, rimanendo nel giusto, attendendo nuovi ordini da eseguire. Mi disgustavano quasi, burattini in armatura dorata, ecco cos’erano. Legati ad Odino più di quanto fossero legati alla loro stessa vita. Non potevo far altro che compatirli. Avrei preferito commettere nuovamente tutti i crimini considerati orribili dei quali mi ero macchiato, subire da capo tutto ciò che avevo a stento sopportato, che essere come loro, che essere come Odino mi avrebbe voluto.

In quel momento non sarei fuggito, nonostante avessi avuto il modo di farlo. Sarebbe stato semplice,un ologramma ben piazzato, un’illusione per farli distrarre, io che disarmavo un paio di guardie per poi uccidere le altre. Acquisire l’aspetto di uno di loro per uscire inosservato da palazzo, per poi lasciare Asgard grazie ad uno dei sentieri che conoscevo fin troppo bene. 

Non sarebbe stato difficile, tuttavia  non sarebbe stato neanche soddisfacente. 

Ero arrabbiato, come non ammetterlo. Ma di quella rabbia mi sarei nutrito pian piano, avrei fatto quello che sapevo fare meglio: architettare un buon piano, un sistema che questa volta non avrebbe finito per distruggermi.  
Fornendomi una cella isolata, lasciandomi nel silenzio e nella solitudine, non avrebbero fatto altro che darmi modo per riflettere, pianificare, covare odio, rancore, vendetta. 

Odino a suo malgrado aveva commesso un grave errore a cedere alle preghiere di Frigga, di certo una parete di energia dorata e un paio di guardie alle uscite non avrebbero fermato uno come me.

Mi sarei vendicato prima o poi, a costo di porre fine ai nove regni, a costo di arrivare a generare il vero e proprio Ragnarok. 




 

III

Asgård's always been my home but I'm of different blood




“Odino continua a portarmi nuovi amici.” dissi con quel sarcasmo arrogante ormai radicato nel mio tono di voce, mentre mi dirigevo verso la parete d’energia dorata che mi separava dal mondo al di fuori della mia cella dalle pareti bianche, guardando i nuovi prigionieri che venivano scortati delle guardie alle loro nuove sistemazioni. “Molto premuroso.”  aggiunsi poi con il medesimo tono, voltandomi verso la figura di Frigga, presente lì sottoforma di ologramma. 
Quello era il metodo che adoperava per farmi visita, infischiandosene delle proibizioni del Padre degli Dei.

“I libri che ti ho mandato non ti interessano?” disse lei rivolgendo un’occhiata ad una pila di scritti ammucchiati disordinatamente in un angolo, le copertine di tonalità differenti l’una dall’altra in pieno contrasto con il bianco quasi stancante della parete.

“E’ così che dovrei passare l’eternità? Leggendo?” replicai io, cercando di mantenere  un profilo distaccato.

“Ho fatto ogni cosa in mio potere per farti avere conforto, Loki.” replicò la donna. Effettivamente quei libri, assieme a tutto l’arredamento della stanzetta nel quale ero rinchiuso, erano arrivati lì solo ed elusivamente grazie a lei. Non l’avrei mai ammesso, ma aveva ragione.                  
                                                                                     
“Ah, davvero?” chiesi poi ancora sarcastico, sta volta più acido, decidendo dunque di fare la parte dell’eterno ingrato. 
Posai le mani sullo schienale della poltrona, facendo aderire i palmi al morbido velluto che la ricopriva, sporgendomi verso la regina di Asgard, passando poi all’argomento che tra tutti prediligevo: “Odino condivide la tua preoccupazione? Anche Thor? Deve essere così fastidioso, con loro a chiederti di me giorno e notte.”

Non potevo far a meno di usare il sarcasmo, di nuovo. Frigga era l’unica che si era fatta viva in quei lunghi e monotoni mesi, identici l’uno all’altro, in cui il tempo pareva rifiutarsi di scorrere. 
Da Odino non mi aspettavo nulla, ma il fatto che Thor non fosse passato neanche a dare uno sguardo mi aveva sorpreso, quasi deluso. Mi aspettavo che quell’idiota dai capelli biondi sarebbe venuto a farmi visita, ad implorarmi di tornare il suo amato fratellino di un tempo, offrendomi l’occasione di schernirlo un po’ e divertirmi, ma non era accaduto. Forse non era più tanto stolto quanto ricordassi.

“Sai benissimo che sono state le tue azioni a condurti qui.”  ribadì lei con tono fermo, deciso. Non era la prima volta che mi sentivo ripetere quella frase, di solito la ignoravo, facevo finta di non udire quelle parole, ma questa volta non ressi, dovetti rispondere.

“Le mie azioni?” dissi, allontanandomi dalla poltrona blu, iniziando a muovere qualche passo per i pochi metri quadri che mi erano stati concessi. “Cercavo solo di dare verità alla bugia con la quale sono stato nutrito. Che ero nato per essere un re.” conclusi poi quasi sprezzante di quell’ultima parola che per anni era stata la mia massima ambizione, ambizione che mi aveva portato alla sconfitta, al fallimento, all’umiliazione.

“Un re? Un vero re ammette le proprie colpe. Tutte le vite che hai tolto sulla terra?” disse lei con tono quasi di rimprovero, sporgendosi nella mia direzione, guardandomi di sbiego.

Ecco, i midgardiani uccisi, quella era la mia gran colpa. Erano necessarie quelle morti, dannazione. Era un rischio calcolato, che non poteva non essere corso. Loro mi avevano impedito di andare avanti con i miei piani, io me ne ero sbarazzato. 
Ma, dopo tutto, non era forse vero che era il fine a giustificare i mezzi? Mi pare che fosse stato proprio un midgardiano di altri tempi a diffondere quel giusto concetto. 

Poi io cosa avevo fatto, quanto potevo averne uccisi? Non ne ero neanche al corrente. E di certo non ero l’unico ad essermi macchiato le mani di sangue, Thor nelle battaglie passate aveva commesso ben più molte uccisioni, Odino… Non sarebbe basto un giorno ad elencare tutti i nomi delle sue vittime.

“Una piccola manciata paragonata al numero che Odino stesso ha preso.” dissi più che giustamente io, dopo aver calcolato l’infinito numero di nemici di Asgard sterminati dal tanto acclamato e giusto Padre degli Dei.

Sentii Frigga sbuffare appena,  in un sospiro leggero. Scuotere delicatamente la testa cercando un modo di farmi ragionare.  “Tuo padre…” disse, io la fermai prima che potesse continuare. 
Odino non era mio padre, questa storia era ben chiara a tutti, e io non ci tenevo ad essere suo figlio, anzi, ero quasi lieto di non aver nulla a che fare con lui.

“Lui non è mio padre!” esclamai troppo forte, urlando in pratica, forse in modo fin troppo aggressivo. Ma dopo tutto è questo che si ottiene mettendo una tigre in gabbia, prima o poi ti ringhierà ferocemente  contro.

Frigga rimase rigida, immobile. Avevo esagerato, lei non era Thor, o Odino, o qualsiasi altro a cui avrei potuto urlare contro ottenendo un altro urlo in risposta. Lei non perdeva mai le staffe, era paziente, fin troppo paziente, dimostrava questa sua dote ogni volta che si concedeva del tempo per parlare con me. 

Il silenzio regnò per qualche istante ma fu subito lei a romperlo. “Allora io non sono tua madre?” disse ancora calma, nonostante fosse ferita. Lei era  l’unica capace di tenermi testa sul serio. 

In quel momento non seppi cosa rispondere, o meglio lo sapevo, la risposta giusta era un “No” fermo secco e deciso, eppure non era la risposta che mi sentivo di dare. Perché forse infondo lei era stata davvero mia madre, l’unica e la sola. Non mi importava che non fossi davvero suo figlio, mi bastava sapere che lei mi considerasse tale dopotutto.

“Non lo sei.” dissi comunque, con tono tuttavia quasi delicato, vacillante forse, come se in quel momento tutte le mie doti da ottimo bugiardo fossero andate in frantumi, rendendo chiaramente possibile di capire che le parole che avevo appena detto non coincidevano minimamente a ciò che pensavo.

Lei abbozzò lo stesso un sorriso, la cosa mi colse completamente di sorpresa. Come faceva a tenere così tanto a uno come me? Questa cosa non sarei mai riuscita a capirla. Si avvicinò ancora sorridente, in attesa forse che tornassi sui miei passi, dando la risposta che per me era più vera. 

Ma io non ne ero capace, mentivo così spesso che ormai quella era diventata una cosa naturale, era il dire la verità, l’essere sincero, che era un’impresa quasi impossibile.

“Sei sempre molto perspicace riguardo agli altri, tranne che per te stesso.” disse lei quasi con dolcezza, in una frase che forse non poteva essere più vera. 

Scossi la testa mentre continuava a sorridere delicatamente, non potevo dargli ragione, nonostante ne avesse e come. Era nella mia natura. Una natura così strana e complessa che perfino io stesso ero arrivato ad odiare.

Posai le mie mani sulle sue, facendo dissolvere lentamente il suo ologramma, mentre lei continuava a fissarmi ancora terribilmente affabile, così materna. Appena fu completamente via, finalmente lontana nelle sue stanze, chiusi gli occhi concedendomi un sospiro, questa volta avevo tremendamente esagerato, sia nel bene che nel male.


Mi ricomposi più in fretta che potei, l’eternità era lunga ci sarebbe stato tempo un giorno per scusarsi, tempo per assumersi forse le proprie colpe.



Presi il bicchiere di metallo posato sul piccolo tavolo, iniziando a passarlo da una mano all’altra. Non trovando un modo migliore di svagarmi, quel piccolo manufatto era l’unica cosa che avevo per intrattenermi e smettere di pensare.

Mi allungai sul letto con lo sguardo rivolto al soffitto, bianco anch’esso e forse –esattamente come le altre pareti- troppo luminoso. Iniziai a lanciare il bicchierino metallico su e giù, riafferrandolo e tirandolo di nuovo, come un ragazzino annoiato. Beh, di certo non ero più un ragazzino da qualche secolo, ma sicuramente  non potevo negare di essere annoiato. 


Da quelle parti non accadevano spesso eventi elettrizzanti.


Quasi avessi pronunciato le ultime parole famose d’un tratto si sentirono degli strani colpi provenire dalle celle circostanti, delle grida di alcuni prigionieri in preda al panico. Ci fu anche una sorta di sbalzo di corrente, uno di quelli in genere dovuti al tentativo da parte di qualcuno di scalfire le barriere protettive, che fece per un attimo diventare il tutto buio - nonché rendere la vicenda infinitamente più interessante -. 

Lasciai il bicchiere e mi alzai quasi di scatto, stranamente incuriosito dall’inusuale subbuglio.

Una sorta di ringhio, delle grida, Einehrjar correre verso il punto da dove tutto questo proveniva e d’un tratto l’allarme delle prigioni echeggiare nell’aria. Questo fu tutto quello che riuscii a percepire non potendo far altro che rimanere rinchiuso. 
Un prigioniero era riuscito ad evadere, o almeno a mettere piede al di fuori della propria cella, e fui quasi meravigliato dal fatto che per una volta io non ero coinvolto in quel genere di trambusti. 

Ci volle poco prima che il responsabile di ciò che stava accadendo si trovasse a passare davanti alla mia cella. 
Guardai quella creatura dalle sembianze mostruose nel modo in cui sapevo fare meglio: fulminandola con il mio sguardo infido e diabolico. Aveva liberato gli altri prigionieri, chissà se sarebbe stata tanto spavalda da liberare anche me.

Fui meravigliato di me stesso, quasi orgoglioso in realtà, ero riuscito ad intimorire quella grossa bestia che dopo aver avuto un istante di esitazione aveva ben pensato che fosse meglio lasciarmi lì. Non fui affatto deluso dal fatto di dover rimanere in cella, non ero dell’umore adatto per evadere.

“Ti conviene prendere le scale sulla sinistra.” dissi poi attirando nuovamente l’attenzione del mostro. Dopotutto quale interesse avrei avuto nel preservare la sicurezza di Asgard?


Anche se, ben presto, mi sarei accorto che l’aver aiutato quel mostro sarebbe diventato l’errore più grave della mia esistenza non certo povera di sbagli. Un peso che avrei avuto per l’eternità su quel che rimaneva della mia coscienza.






 
IV
All this rage, and all this hate, it burns me deep inside,
And still it is, the only thing, keeping me alive.



La tranquillità ritrovata di quegli istanti cessò bruscamente, con la notizia portatami da una guardia. 
Mentre l’uomo parlava, breve e conciso, rivolsi lo sguardo al vuoto. Smisi quasi di respirare per un istante, per quell’attimo irreale nel quale venivano pronunciate le uniche parole che non avrei mai voluto sentire. 

“Le mie condoglianze” disse infine, freddo e distaccato, prima che lo potessi congedare con un cenno della testa.

Girai piano il capo nella direzione opposta, distogliendo lo sguardo dall’esterno della cella, dai corridoi silenziosi, deserti, nel quale risuonava solo il passo dell’ Enehrjair che mi aveva parlato.

Frigga era morta. 

Sospirai piano, nell’aria un senso di staticità irreale, come se ormai fossi lontano dalla realtà dalla quale in quel momento sarei voluto inutilmente fuggire. Ma la realtà dei fatti era lì, tangibile, dolorosa, insopportabile. 

Frigga era stata uccisa da quel mostro evaso dai sotterranei.

Feci scivolare piano un dito sulle pagine del libro che stavo leggendo, il polpastrello a sfiorare la carta bianca, scendendo tra le parole, mentre rivolgevo ancora una volta lo sguardo ad un punto indefinito dell’ambiente circostante. 

Quel mostro aveva trovato la via per fuggire dai sotterranei a causa mia. Frigga era morta a causa mia.

Chiusi il libro con un movimento veloce, ed alzandomi lo posai su uno sgabello. Tornai con la mente a quella mattina, all’ultima volta che avevo potuto parlare con lei. L’avevo ferita, me ne ero pentito fin da subito ma ora che non avrei mai più potuto parlarle di nuovo, ora che le parole da me pronunciate non potevano essere mai più smentite, rimangiate, quel senso di colpa che avevo fin da subito provato, che avevo cercato di ignorare, di nascondere, era diventato troppo grande per essere represso.

Frigga era morta a causa mia, e le ultime parole che le avevo rivolto erano state a dir poco orribili. Ed ora non avrei mai più potuto rimediare.

Strinsi i pugni, arrivando a farmi male mentre le braccia tremavano appena, mentre tutt’attorno a me si generava una flebile onda d’energia, potente a sufficienza da far cadere a terra la sedia ed il tavolo, facendo rovinare tutto a terra, generando un rumore metallico ed uno sbalzo d’energia che fece diventare tutto  buio per un istante. Cose che non parvero tuttavia attirare l’attenzione delle guardie.

Cercai di regolarizzare il respiro inutilmente, era impossibile mantenere la calma. Facevo fatica a rimanere lucido in quegli istanti. Troppi pensieri, troppi ricordi, troppe colpe ora affollavano la mia mente, riempiendomi la testa, portandomi quasi al punto di impazzire.

Sospirai di nuovo, sta volta appena tremante. Un nodo doloroso che cominciava a stringermi la gola, il vuoto avanzare lentamente dentro di me, facendosi spazio con violenza, divorando ogni cosa. La consapevolezza di aver sbagliato in maniera più che irrimediabile.

Iniziai a buttare a terra ogni cosa che mi circondava, in preda ad una scarica di violento rancore. Nessuno era stato in grado di salvarla, me per primo, tenuto sotto chiave come il più miserabile degli uomini. Thor, Odino, dov’erano in quel dannato istante? 
Li odiai con tutto me stesso, come non avevo mai fatto prima di quel giorno. Incapaci, buoni a nulla, tanto spavaldi prima e poi assenti nel momento di vera necessità.  Nell’unico istante in cui sarebbero davvero potuti servire a qualcosa loro non c’erano. 

E non c’ero neanch’io.

Una lacrima solitaria scese giù dallo zigomo, mi fece fermare all’istante, quasi non mi aspettassi di poter piangere. Ero infuriato, con me stesso e con gli altri, eppure ad un tratto mi resi conto di non aver neanche più la forza per essere arrabbiato. Un’altra  lacrima seguì la prima, io ancora immobile, pugno fermo contro il muro, braccio che tremava. 

La mano scivolò piano sulla parete, dopo che ebbi aperto il palmo senza neanche averlo prima calcolato. Chiusi gli occhi, poggiando la fronte contro il muro.


Riuscivo  a vedere quello che stava accadendo lì fuori, lontano da dov’ero. Avevo cercato di trasportarmi almeno con la mente, con lo sguardo, lì dove tutti erano riuniti. Il popolo intero gremito per dare l’ultimo saluto alla sua regina. Tutti presenti, raccolti in un silenzio collettivo. Tranne me, che potevo solamente assistere da lontano, da solo, circondato dalla piccola distruzione che io stesso avevo provocato.

La freccia infuocata fu scoccata dopo l’ordine di Padre Tutto: si vide una fiamma ardere viva nel cuore della notte una volta che essa ebbe colpito il suo bersaglio, sulla superficie del mare scuro, piatto, illuminato dall’ondeggiante e rosso riflesso. Il tutto sotto la luce delicata delle stelle, spettatrici silenziose di quella notte di dolore. 
L’anima della regina volò in cielo, andando ad unirsi alle stelle, diventando parte stessa del cosmo, abbandonando per sempre ogni mondo che si poteva definire terreno.


Aprii gli occhi gonfi di lacrime, abbozzando un sorriso timido dopo quell’ultima immagine. Tornai alla realtà che mi avvolgeva, nei sotterranei. Avrei voluto essere lì, per salutarla un’ultima volta, in carne ed osa. 


Mi gettai a terra, le spalle conto il muro. Lei era mia madre, come avevo potuto dirle il contrario? Come avevo fatto a mentirle? Come avevo anche solo potuto pensare per un istante che io non fossi suo figlio? Anche se di fatto non lo ero lei mi aveva sempre considerato come tale, e ciò era pienamente sufficiente.



 “Allora io non sono tua madre?” mi parve di sentirla di nuovo, mentre mi porgeva quella domanda che mi era già stata posta.

“Per me lo sei sempre stata.” Fu allora la mia risposta, sussurrata appena, parole che a fatica non si strozzarono in gola. 



Come avrei voluto dirglielo sul serio.






 
V
 
You all shall kneel to me! Or death will set you free!
You all shall kneel to me!





Respirai profondamente l’aria polverosa di quel regno oscuro, ero pronto: nulla mi avrebbe fermato. In quei pochi istanti avrei scritto il mio futuro, avrei avuto la mia vendetta.

Il piano di Thor era stupido,  sapevo che fosse destinato a fallire fin dal principio. E quando tutto andò effettivamente a rotoli non ne fui affatto sorpreso. 

Ma alla fine le cose sarebbero andate a mio favore, senza dubbio alcuno .

Si sarebbero piegati tutti al mio cospetto, dal primo all’ultimo, dal più potente al più insignificante di loro. Di Odino non sarebbe rimasta traccia, e così anche di Thor. Il mio piano era infallibile, perfetto: nessuno sarebbe mai riuscito a smascherarmi. La tanto attesa e bramata vendetta sarebbe stata dolcissima. 

Contai velocemente gli avversari che avrei dovuto fronteggiare, esaminando attentamente la situazione, lanciandomi poi nello scontro vero e proprio. Agii violento, fulmineo, letale. Nessuno di loro ebbe scampo, caddero tutti senza vita, impotenti.

Vidi il mostro che aveva ucciso Frigga infierire su Thor, colpire il dio del tuono con ferocia, ormai sul punto di finirlo. Quando intervenni io.

Trafissi quella creatura oscura senza pensarci per più di un secondo, era la morte ciò che meritava, la dannazione eterna che spettava ad un mostro come lui. 
Mi guardò torvo, ancora in piedi dopo quel colpo che per chiunque altro sarebbe stato letale, ma infondo sapevo che la mia mossa non sarebbe stata sufficiente per ucciderlo. Avevo solamente attirato la sua attenzione.


Accadde tutto in fretta, tanto velocemente che mi accorsi di quello che stava succedendo quando era ormai troppo tardi. Spalancai gli occhi travolto da quell’intenso ed inaspettato dolore, trafitto anch’io da un colpo improvviso. La lama ancora sporgente dal corpo di quel mostro ora a perforarmi il petto.


Lo guardai dritto negli occhi, digrignando i denti.  Non sarebbe riuscito a sconfiggermi, non prima che avessi avuto io la meglio su di lui. 
Questo era il prezzo da pagare, inaspettato ma calcolato. Se volevo vedere il mio nemico bruciare all’inferno, dovevo essere pronto a seguirlo.

Venni gettato a terra, sul suolo scuro e polveroso. Mi contorsi appena, inarcando il collo all’indietro, gemendo a causa di quel logorante dolore che provavo. Ogni respiro pareva bruciarmi nel petto, provocando fitte intense.  

Cercai di rialzarmi giusto il necessario per fissare quel mostro ancora una volta, rivolgendogli lo stesso sguardo di sfida che gli avevo dedicato durante il nostro primo incontro nei sotterranei.

“Ci vediamo all’inferno, mostro.” Dissi sprezzante, con voce tuttavia leggermente frammentata.

Nonostante il suo gesto fosse stato improvviso ed inaspettato avevo avuto la lucidità di attivare uno di quei congegni che aveva alla cintura, una granata esplosiva in grado di generare buchi neri.

La creatura fu dunque risucchiata dal vuoto stesso, sparendo prima che potesse fare qualsiasi cosa in suo potere per salvarsi. Avevo avuto la mia vendetta, avevo vinto anche se a modo mio. Gettai la testa all’indietro esausto.

“No, no, no.”  Balbettò Thor in preda al panico, venendosi a posizionare al mio fianco in un gesto inaspettato. 

Una raffica di vento mi travolse rabbiosa, graffiandomi il volto, facendomi rabbrividire. Una strana freddezza cominciò ad avvolgere il mio corpo tremante, un gelo che non mi apparteneva neanche nel mio stato di gigante di ghiaccio.

Stavo morendo, ormai ne avevo l’amara certezza. Non riuscivo a pensare ad altro mentre Thor continuava a parlarmi, mentre io rispondevo quasi automaticamente, come se continuassi a parlare esclusivamente per inerzia. Ormai ogni cosa stava perdendo la sua importanza.

Un’altra folata. L’aria sta volta più delicata, quasi anche il vento di colpo avesse iniziato a provare compassione nei miei confronti.  Feci un piccolo sospiro, faticoso, doloroso. Mentre sentivo il mio corpo cedere poco alla volta, un innaturale torpore avvolgermi delicato.

Alla fine non ressi un istante di più. Abbassai  le palpebre pesanti, sfinito, mentre sentivo l’oscurità avvolgermi, divorarmi senza pietà alcuna. Il Valhalla non era per gli esseri come me, non avrei mai più rivisto la luce. C’era il gelido regno di Nifflehaim  pronto a ricevermi.


Rimasi in quello stato di precaria attesa per un lasso di tempo che parve infinito, avvolto dal nulla, da un silenzio assordante. Stavo per perdere ormai ogni speranza eppure riaprii gli occhi. Ancora in vita.

 Il piano, con mia infinita sorpresa, aveva funzionato alla fine.




 
VI

I've come to overthrow the throne, Deceiver of the gods.



Un sorriso diabolico ad incorniciare la mia infida espressione. “No” iniziai appena Thor se ne fu andato, sparito dalla grande sala dorata. “Grazie a te.”
Strinsi lo scettro reale soddisfatto, guardando ogni cosa dall’alto trono dorato. Per gli altri non ero nulla più che un ricordo appartenente al passato, un’ombra nella notte, un incubo ricorrente.

Ero vivo, avevo finalmente ottenuto quello che cercavo da tempo: Asgard era mia. 
   
 
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