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Autore: Letsneko_chan    22/09/2015    2 recensioni
«Birds are flying over Europe Skies, tell me please, why can't I?»
«La smetti di canticchiare quella canzone? Mi dai sui nervi».
«Andiamo, Chris! Lo so che piace anche a te».
Sospirai: da quando mi avevi fatto ascoltare quella canzone, non sono mai riuscito a togliermela dalla testa.
«Promise me you'll be mine» borbottai prima di rivolgere lo sguardo al profilo cittadino che passava rapido davanti al finestrino.
«Te lo prometto, Chris. Ma la prossima volta vedi di cantare le parole nell’ordine giusto» mi dicesti con uno dei tuoi sorrisi così dolci.
Ricordi, Logan? Erano giorni felici quelli. Nel 2010 eravamo felici. E adesso? Adesso non lo siamo più.
Non lo sono più.
[...]
«Siamo uniti per sempre, no, Logan?»
«Sì. Lo siamo e lo saremo per sempre, Chris».
Quella fine che avevi sperato per noi nel primo libro che pubblicasti non si è mai avverata, sai Logan?
Genere: Angst, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevi  detto che saresti stato mio per sempre…

 

«Birds are flying over Europe’s Skies, tell me please, why can't I?»
«La smetti di canticchiare quella canzone? Mi dai sui nervi».
«Andiamo, Chris! Lo so che piace anche a te».
Sospirai: da quando mi avevi fatto ascoltare quella canzone, non sono mai riuscito a togliermela dalla testa.
«Promise me you'll be mine» borbottai prima di rivolgere lo sguardo al profilo cittadino che passava rapido davanti al finestrino.
«Te lo prometto, Chris. Ma la prossima volta vedi di cantare le parole nell’ordine giusto» mi dicesti con uno dei tuoi sorrisi così dolci.
Ricordi, Logan? Erano giorni felici quelli. Nel 2010 eravamo felici. E adesso? Adesso non lo siamo più.
Non lo sono più.
Non volevo separarmi da te, non di nuovo: i tuoi viaggi di lavoro ti portavano spesso, troppo spesso, lontano da me.
Eri libero, libero come quegli stormi d'uccelli che passavano sopra le nostre teste ogni giorno.
Ed io li osservavo, continuo a osservarli, pensando a te.
Penso alle notti insonni passate a coccolarci, a quelle notti passate ad amarci in quel letto adesso troppo freddo e troppo grande per me.
Penso a quel giorno maledetto, quando mi chiedesti di accompagnarti all'aeroporto: non l'avevo mai fatto, però quella volta eri riuscito a convincermi. Saresti dovuto volare verso l’America per la presentazione del tuo ultimo libro. Intrecciavi vite, le costruivi e le rapivi al momento opportuno: scherzavi, dicendo che i tuoi personaggi erano i nostri figli. Quei figli che desideravamo, ma non potevamo avere.
Ed io ci credevo.
Credevo al destino, alla conclusione felice, all’amore perpetuo che vince i secoli e si tramanda. Ma soprattutto credevo nell’amore a lieto fine.
E così, mentre canticchiavamo quella canzone che sentivamo come nostra, solo nostra, ci dirigevamo all'aeroporto.Stavi guidando, ma spesso ti voltavi a sorridermi, spettinarmi i capelli e a ogni semaforo rosso non perdevi occasione di rubarmi un bacio.
E ripetevi che sarebbe andato tutto bene, che saresti tornato dopo pochi giorni, che saresti stato sempre vicino a me perché eri nel mio cuore.
Ed io mi fidai: mi fidai delle tue parole, del tuo sorriso e delle tue promesse.
Ogni metro che percorrevamo, che ci separava dall'aeroporto mi sembrava infinito.
E tu continuavi a sorridere, Logan.
Sembravi un bambino allegro, spensierato.
Assomigliavi a uno dei tuoi personaggi, sai? Peccato che le loro lacrime fossero gocce d’inchiostro, sempre false. Così come il loro dolore: dicevi che erano vivi, ma erano solo povere immagini morte. 
Eppure, io mi sentivo turbato.
Ero in ansia, come poche volte.
Ma non riuscivo a capirne il motivo.«Andrà tutto bene, Chris! Di che ti preoccupi?»
Non lo sapevo.
Non potevo saperlo.
Tantomeno immaginarlo.
Ti accompagnai con passo stanco a fare il check-in. Avevi solo il bagaglio a mano: prima di passare dal metal detector mi stringesti a te, accarezzandomi i capelli e lasciandomi un succhiotto sul collo.
Ti detti dello stupido: eravamo in un luogo pubblico, non nel calduccio della nostra camera.
Ridesti e riusciti a cancellare per un attimo le mie preoccupazioni.
Ripensai al nostro primo incontro, sulla Tour Eiffel, avvenuto ormai dieci anni fa, e al nostro primo bacio, scambiato nello stesso luogo del primo incontro ma a un anno di distanza. Io, appena diciottenne, là in Francia per motivi di studi; tu, ventitreenne, là per un viaggio di piacere. Entrambi, però, eravamo in cima alla Tour Eiffel per una serata diversa: e la passammo davvero, una serata diversa dalle altre. Ci gustammo il tramonto, parlando come vecchi amici anche se eravamo due perfetti sconosciuti, entrambi felici di avere trovato qualcuno con l’accento inglese. Ti raccontai delle origini scozzesi della mia famiglia, anche se il nome che porto non le fa trasparire. Tu mi parlasti della tua passione per la scrittura, che desideravi far diventare un lavoro, anche se per il momento rimaneva un hobby.
Una volta scesi, ci promettemmo di ritrovarci nella fredda e grigia Londra. Ma, a esattamente un anno di distanza da quel giorno, eravamo nuovamente in cima alla Tour Eiffel.
E mostrando uno dei tuoi sorrisi più dolci – devo ammetterlo: in quel momento mi si sciolse il cuore – mi dicesti quelle due semplici parole che ebbero il potere di farmi rimanere di sasso quella prima volta come tutte quelle che seguirono.
«Ti amo».
Poi, sempre sorridendo, mi prendesti il viso tra le mani, dandomi un lungo bacio.
Ero imbarazzato a morte, ma tu riuscisti a rassicurarmi semplicemente abbracciandomi e riprendendo a baciarmi come se esistessimo solo noi due.
E all’aeroporto, prima di partite, facesti lo stesso. L’unica differenza fu che io mi avvinghiai a te, dimentico di tutta la gente. Ti baciai a lungo, volevo imprimere il tuo sapore nella mia mente: quel bacio mi avrebbe accompagnato nel mondo dei sogni per i giorni seguenti.
Poi, quando chiamarono per l'ennesima volta il tuo volo, fui costretto a lasciarti partire, a scostarmi da te.
Provai a fermarti, ti supplicai di non andare.
Mi asciugasti una lacrima, dicendo che mi avresti chiamato appena atterrato.
Ed io ci sperai.
Mi accarezzasti i capelli – quei capelli rossi di cui dicevi di esserti follemente innamorato – e appoggiasti la tua fronte sulla mia, dicendo di guardarti negli occhi, cosicché potesse vedere le mie iridi verdi mischiarsi alle tue, dello stesso colore.
Sorridesti, poi prendesti dalla borsa un pacco di fogli. Mi facesti promettere che a casa l’avrei letto: era la bozza finale della tua ultima creazione. Volevi che fossi io il primo a leggere le tue schifezze. Così le chiamavi: schifezze che io trovavo piccoli capolavori.
Ma quella bozza non l’ho mai letta, sai? Non l’ho gettata: l’ho fatta rilegare e l’ho messa nello scaffale più in alto, insieme agli altri tuoi libri. Resteranno là. Fa troppo male rileggerli adesso.
Sono stato io a insistere che presentassi il primo libro all’editore. Andò male la prima volta, ma la seconda fu un successo strepitoso: tornasti a casa e, senza darmi il tempo di realizzare cosa stesse succedendo, mi baciasti. Mi baciasti fino a togliermi il fiato. Poi mi spiegasti il tutto e quello fu il giorno più felice della mia vita: ero orgoglioso di te, il mio fidanzato. Da lì cominciò il successo: sempre più spesso eri chiamato in paesi lontani ed eri costretto a lasciare me – ansioso per natura – a casa, a temere il peggio, sperando che non si avverasse.
Avevo tanta, troppa paura di perderti.
Ricordi, Logan?
Le nostre mani intrecciate si allontanarono piano piano e, mormorandoti di non partire – un ultimo, patetico tentativo di farti restare con me – ti osservai scomparire nella zona del duty free, dirigendomi poi verso una vetrata da cui si vedevano gli aerei partire.
Aspettai lì a lungo, chiedendomi quale fosse il tuo aereo.
Poi, quando fui certo che ormai eri in volo sui cieli dell'Europa, tornai verso la macchina.
Mi fermai a fare un po' di compere, poi mi diressi verso casa.
Ero preoccupato, come sempre d'altronde: tu eri lontano e le mie preoccupazioni sarebbero crollate solo quando ti  avrei stretto nuovamente tra le mie braccia. Seguivo con la mente il volo: in quel momento, molto probabilmente eri in volo sull’oceano. 
Entrai in casa, ma non feci in tempo ad appoggiare le buste sul piano della cucina che il telefono squillò.
Lo presi, aggrottando la fronte quando riconobbi il tuo numero.
«Pronto?»
La voce mi tremava.
«Chris!»
Piangevi: lo percepii chiaramente. Singhiozzavi il mio nome.
«Logan... che... che succede?» avevo un gruppo in gola, le braccia mi tremavano.
«Chris... io... l'aereo... avevi ragione a non volermi lasciar partire...»
Singhiozzasti, di nuovo.
Tu non piangevi mai.
«Logan!»
Perché piangi? avrei voluto chiederti, ma non ne trovai la forza.
«Ti amo tanto».
Ti amo tanto. Solo quelle tre parole prima che tutto sprofondasse nel silenzio.
Urlai il tuo nome: una, due, tre volte.
Ma tu non rispondesti.
Provai a richiamarti.
Ma niente.
Ogni tentativo era vano.
Crollai in terra, stringendo il telefono tra le mani e tenendo le spalle appoggiate al muro.
Mi tirai persino un pizzicotto sul braccio, cercando si svegliarmi, di convincermi che quello era un incubo. Un dannatissimo incubo. E non la cruda realtà.
Nascosi il viso tra le mani e piansi.
Piansi come poche volte in vita mia.
Poi, al dolore, subentrò la rabbia.
Non so quante cornici si scheggiarono, quanti vetri si ruppero quando, in preda all'ira, buttai giù le foto sul tavolo del salotto.
Non avrei più affondato le mani nei tuoi capelli neri.
Non mi sarei più perso nei tuoi occhi verdi.
Urlai, mi disperai per tutta la notte. Poi crollai esausto, indebolito dal pianto.
Fu tua mamma a trovami in quello stato: aveva appreso della tragedia dalla televisione.
Ci scambiammo ricordi e lacrime: parlammo dei tuoi progetti, di quello che volevi fare.
Primo fra tutti, sposarmi.
Mi mostrò persino l'anello che avevi comprato per chiedermelo, contavi di farlo al ritorno da quel viaggio.
Ma non l'hai fatto.
Rimanemmo insieme molti giorni, seguendo con apprensione le indagini. Ci bastava avere una bara non vuota su cui piangere, su cui sfogare il nostro dolore.
E forse la liberazione da questa tortura fu il giorno del tuo funerale.
Tenevo quell'anello in tasca e quel bacio nella mente: erano le uniche cose che mi rimanevano di te.
Non ci sarebbe mai stato un noi.
Eravamo divisi: sarebbe esistito soltanto un io. Ma non saresti stato tu: sarebbe toccato a me portare la vita avanti senza di te.
Ma quando calarono quella bara con pochi resti – il mare aveva inghiottito tutto: vite, gioielli, bagagli, allegria, sorrisi – non resistetti. Gettai quell'anello nella fossa un attimo prima che venisse ricoperta di terra. Sarebbe stato troppo doloroso portarlo.
Da allora, ogni giorno, vengo a trovarti: accarezzo la lapide, la foto, immaginandomi di accarezzare il tuo viso o i tuoi capelli.
Ogni volta piango.
Guardo quella foto – stai sorridendo lì: te la scattai il giorno in cui presentasti il primo libro – e piango.
Rivivo quei momenti felici, quei giorni dell’ormai lontano 2010.
Ma ogni volta non posso fare a meno di darmi la colpa.
Sì, perché è colpa mia se sei morto.
Non ho avuto il coraggio di fermarti, ti ho lasciato andare.
Se l'avessi fatto, probabilmente adesso rideremmo di aver beffato il destino.
E tu saresti qui, accanto a me, a sussurrare quelle parole che hai singhiozzato un attimo prima che il mare inghiottisse i tuoi ventotto anni di vita, prima che tutto diventasse buio per te. E per me.
Ti amo tanto.
Quelle parole sono scolpite nel mio cuore: perché è così che deve essere.
Perché sarai mai troppo lontano da me per non essere amato.
Il destino ci ha privato di un domani felice.
Ma non mi importa.
Finché vivrò, tu vivrai in me.

 

«Siamo uniti per sempre, no, Logan?
«Sì. Lo siamo e lo saremo per sempre, Chris».

Quella fine che avevi sperato per noi nel primo libro che pubblicasti non si è mai avverata, sai Logan?
La felicità è rimasta solo in quei due personaggi stampati su carta, vane figure senza corpo: li invidio, sai?
Li invidio, li odio: loro hanno raggiunto ciò che mi è stato negato per sempre. E per questo è bene che restino lassù, su quella mensola che non posso raggiungere.
Sai, Logan… forse era meglio che su quell’aereo fossimo insieme: almeno non passerei la vita a chiedermi

Perché proprio tu?

  

Note:

Salve a tutti! Spero che siate arrivati vivi in fondo a questa storia scritta di getto già qualche tempo fa (qualche giorno a dire il vero), ma che ho preferito lasciare un attimo in sospeso per poi ricontrollarla meglio.
Il fatto che i protagonisti – citati – di quella storia di Logan abbiano gli stessi nomi dei componenti della storia è dovuto al fatto che mi immagino che nei suoi libri Logan ricrei un po’ la loro situazione, magari idealizzandola.
La canzone da cui sono tratte le frasi iniziali in corsivo è Europe’s Skies di Alexander Rybak e inizialmente questa storia doveva essere una fan fiction un po’ diversa sulla mia OTP del fandom Axis Power Hetalia – ovvero la DanimarcaxNorvegia.In ogni caso spero sia piaciuta.

Lets_

   
 
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